mercoledì 30 dicembre 2020

dororo

oh quarantotto demoni, ascoltate la mia preghiera!
voglio possedere tutto ciò che è sotto il cielo! datemi la forza per conquistare tutto il giappone e in cambio vi darò qualunque cosa! cosa desiderate? denaro? un sacrificio umano? uh? un topolino? significa che volete mio figlio?
benissimo! vi donerò il mio nascituro! occhi, orecchie, bocca, mani... ognuno di voi quarantotto potrà prendersi una parte del corpo di mio figlio, accettate?

uno dei più grandi rimpianti che ho è di aver letto pochissime opere di osamu tezuka, uno dei buoni propositi del 2021 è rimediare a questa mancanza ma intanto per natale mi sono fatta regalare questo megavolumone che raccoglie i quattro volumi di dororo. nonostante la mia profonda antipatia per goen (non riesco ancora a perdonargli di aver comprato i diritti di himitsu soltanto per interromperlo al quarto volume) devo ammettere che è una gran bella edizione a un prezzo abbastanza abbordabile.

la storia è probabilmente nota a tutti, so che sono stati fatti un sacco di remake, trasposizioni animate, live action e blabla, ma volevo comunque scrivere due righe nel caso qualcuno fino ad adesso se lo fosse perso come me.

ancora prima di venire al mondo, il primogenito di un avido e arrogante daimyo viene sacrificato a quarantotto demoni che alla sua nascita prendono altrettante parti del suo corpo.
nonostante tutto, il bambino nasce vivo e il padre decide di abbandonarlo dentro una cesta in balia della corrente del fiume.
sopravvissuto persino a questo, il neonato viene trovato da un medico che si rende presto conto degli incredibili poteri mentali di questa creatura deforme, lo cresce come fosse suo figlio e gli costruisce delle protesi per dargli una vita il più normale possibile, stupito delle grandissime capacità del bambino che, nonostante sia sordo e cieco, riesce velocemente a imparare a muoversi come chiunque altro, e a comunicare telepaticamente. ma pochi anni dopo il medico si accorge che il bambino attira ogni sorta di spettri e demoni: impara presto a combattere nonostante tutte le sue limitazioni e lascia la sua casa, con il nuovo nome di hyakkimaru.
uno spettro gli rivela che per riavere le parti mancanti del suo corpo deve uccidere i quarantotto demoni che se ne sono impossessati e così hyakkimaru diventa una sorta di ronin, un guerriero errante senza padrone che ha solo lo scopo di recuperare la propria umanità.
presto, in uno dei suoi viaggi incontra dororo, un bambino orfano e vagabondo che per vivere rubacchia dove può, facendosi beccare e picchiare nonostante si vanti di essere il più grande ladro di sempre.
i due diventano in qualche modo amici e iniziano così il loro viaggio insieme in un giappone oppresso dalla prepotenza dei samurai e dei feudatari e dalla violenza della guerra.


nonostante la struttura episodica, (incontro-scontro con il demone o il cattivo di turno poi si riprende il viaggio) dororo ha una trama molto articolata e ben organizzata che ci permette di conoscere meglio i due protagonisti, il passato di dororo, i desideri e le paure di hyakkimaru che, a differenza di quello che succede di solito in questo tipo di storie, più demoni sconfigge, più parti del suo vero corpo recupera e più diventa debole, perdendo poco alla volta i poteri che lo avevano aiutato durante l'infanzia.

anche se si tratta di un'opera per un pubblico giovane, tezuka non risparmia momenti di riflessione importanti: hyakkimaru e dororo, nonostante il primo abbia un corpo tremendamente mutilato e il secondo sia solo un povero ladruncolo orfano disprezzato da tutti, ribadiscono più volte la loro dignità di esseri umani e la loro voglia di vivere e superare gli ostacoli senza lasciarsi abbattere, attraverso i loro occhi tezuka ci mostra gli orrori della guerra, combattuta dagli eserciti e dai grandi signori ma di cui ne fa le spese soprattutto la povera gente comune e - cosa rara nella narrazione tipica del giappone feudale - ci fa vedere i samurai finalmente sotto una luce diversa, li spoglia di ogni presunto eroismo e li mostra come uomini arroganti, violenti e spietati, pronti a tutto pur di compiacere i loro padroni.

dororo è un manga che sa mischiare momenti comici e altri altamente drammatici, cliché prevedibilissimi (anche se bisogna sempre tenere in conto che si tratta di un'opera che ha più di quarant'anni) e colpi di scena inaspettati, scene di violenza e altre di grande dolcezza, delle poche serie che ho letto di tezuka sicuramente quella che mi ha appassionata di più e che, nonostante un finale troppo frettoloso, ricorderò con più piacere.

lunedì 28 dicembre 2020

feminist art ~ le donne che hanno rivoluzionato l'arte

il museo non conserva la storia di un singolo essere umano, non si può raccontare la storia della nostra cultura senza la voce delle donne e dei neri.
la cultura, altrimenti, è solo la storia dei potenti!

questo libro arriva in un momento praticamente perfetto per me, il momento in cui mi ritrovo ad aver finito all'università due corsi bellissimi incentrati sull'esclusione nella narrazione storica da un lato delle donne e dall'altro da tutto ciò che non è l'occidente coloniale. feminist art, scritto da valentina grande e disegnato da eva rossetti, si inserisce perfettamente in questo percorso raccontando la storia di tre artiste e di un collettivo che con le loro opere hanno cercato di riconquistare non solo gli spazi espositivi nei musei, ma hanno tentato di ridare al corpo delle donne spazio non solo in quanto oggetto (quante opere d'arte raffigurano donne e quante sono state create da donne?) ma finalmente come soggetto, donne che hanno fatto arte e politica insieme, che si sono o meno definite femministe ma che in ogni caso hanno espresso la loro volontà di dare voce a chi fino ad adesso non era mai stato davvero ascoltato.

judy chicago


la prima delle artiste presentate nel libro è una delle prime artiste-attiviste che dalla metà degli anni '60 ha lavorato sulla riappropriazione delle parole e della rappresentazione di quelli che ancora oggi - purtroppo - restano a volte dei tabù: la vagina, il sangue mestruale, gli assorbenti, tutto quello che rappresenta il normale funzionamento biologico di un corpo femminile e che scandalizzano e disgustano semplicemente perché vanno oltre l'idea di corpo-oggetto, oltre il concetto che un corpo femminile esista solo per il compiacimento di qualcun'altro.
judy chicago lavorò anche con un gruppo di studentesse, cercando di trasmettere l'idea che le donne debbano uscire dagli spazi angusti che sono loro riservati e che debbano riappropriarsi tanto dei loro corpi quanto degli spazi accademici, sociali e politici.

the dinner party (1974-79 - brooklyn museum)

raggiunge la fama con the dinner party "una cena immaginaria in cui judy aveva progettato 39 differenti piatti in ceramica, tutte rappresentazioni irreali di vagine di 39 importanti donne del passato, donne divorate dalla storia che avevano lottato contro i pregiudizi per poter essere ascoltate"

faith ringgold


lavora negli anni '70 cercando di spingere oltre i limiti del movimento femminista, un movimento che era sopratutto quello delle donne bianche della classe media, lottando sia come nera che come donna, trovando muri sia nella comunità nera, dove gli uomini erano spaventati e vedevano come una minaccia l'empowerment femminile, sia in quella femminista.
pittrice, scultrice e performer, scopre nel quilting il modo migliore per esprimersi "faith aveva scelto i narrative quilt come mezzo e forma d'arte... tante schiave avevano cucito queste calde trapunte per i padroni bianchi, e mentre le cucivano si raccontavano delle storie, il filo univa scampoli di possibili fughe con la ferrovia sotterranea o di voli che presto o tardi avrebbero liberato i loro figli..."

tar beach #2 (1990)

faith mi ha fatto venire in mente antropologhe come gladys reichard e ruth bunzel che hanno studiato quelle che sono sempre state ritenute arti minori (la prima si è occupata di tessitura, la seconda di ceramica) perché tradizionalmente occupazioni femminili.
faith ringgold ha ripreso la tecnica del quilting per raccontare, attraverso le sue stoffe, la vita e i desideri delle afroamericane e più in generale delle donne non occidentali, rivendicando il valore artistico della creatività femminile e non-europea, da sempre declassata a semplice artigianato.

ana mendieta


di origini cubane e esule fin da bambina negli stati uniti con la sorella, l'arte di ana mendieta si è concentrata tutta sul concetto di appartenenza ma non alla patria (di cui nel libro si sottolinea il carattere patriarcale già a partire dall'etimologia del termine) bensì alla natura e alla madre terra.
le sue opere e performance sottolineano proprio il suo essere parte della natura "through my earth/body sculptures, i become one with the earth ... i become an extension of nature and nature becomes an extension of my body*"

siluetas series

importantissima diventa per lei la performance: "credeva nella body art, con essa offriva un'altra narrazione sul corpo femminile perché la carne prende tante forme quante sono le possibilità".
la sua storia finisce in modo violento e tragico, ma ho apprezzato moltissimo la scelta delle due autrici di parlarne solo nell'introduzione e di lasciare tutta la parte dedicata alla sua biografia solo alla sua arte e al suo pensiero, per ricordarla come artista e non come vittima.

guerrilla girls


la conclusione perfetta a questo libro è il capitolo dedicato alle guerrilla girls, femministe intersezionali, senza un'identità e una collocazione geografica precisa che dalla metà degli anni '80 denunciano le violenze che il mondo dell'arte ha compiuto, escludendol*, sulle donne, sulle persone nere, su* omosessual* e su* trans, su chiunque insomma non fosse maschio, etero e occidentale.

da guerrillagirls.com

"negli anni le guerrilla sono diventate numerose e i loro progetti sono arrivati in tutto il mondo, anche nei musei che avevano contestato.
sono ovunque e possono essere chiunque.
sono tutte le donne che non chiedono un'identificazione ma un posto in cui esistere"

valentina grande e eva rossetti hanno scritto un libro importantissimo, un libro che dà spazio e visibilità ad artiste che sono nascoste, che hanno faticato per farsi riconoscere uno spazio, tanto dentro i musei quanto nella vita di ogni giorno, che hanno fatto arte per lottare per il riconoscimento dei diritti di tutti e che sono ancora troppo poco note.
i testi sono veloci ma ricchissimi, lasciano emergere la vita e il pensiero di queste donne, il loro contesto storico che per quanto possa sembrarci lontano è troppo simile a quello che viviamo oggi.
le loro idee, le loro battaglie sono le stesse di oggi: vogliamo vederle come avanguardie o renderci conto che non si è ancora finito di lottare per riuscire a garantire a tutti il giusto spazio in cui esistere?
i disegni sono bellissimi, sia quando riprendono le opere di cui si tratta, sia quando ci mostrano le artiste nella loro quotidianità, riescono a trasmettere pienamente il concetto che arte, impegno politico e vita di ogni giorno non possono che essere una sola cosa.

pubblicazioni come feminist art sono importantissime: che si tratti di artiste visuali, di scrittrici, di scienziate, di ricercatrici, le donne continuano a fare fatica per trovare un loro spazio ma tantissime mettono la loro capacità, il loro talento, la loro creatività in campo per far amplificare quelle voci che restano ancora soffocate "il femminismo non gode di rispetto, ma i diritti delle donne, i diritti civili, i black lives matter e i diritti di gay, lesbiche e trans sono i grandi movimenti per i diritti umani del nostro tempo, e dovreste chiedervi perché qualcuno voglia limitarli."

tra i graphic novel pubblicati nel 2020 questo credo che sia uno di quelli più importanti, uno di quelli che vorrei consigliare e far leggere a tutte e tutti, per far riscoprire figure meno note nel mondo dell'arte ma sopratutto per gli spunti di riflessione che riesce a dare.

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*fonte qui. tutte le altre citazioni sono tratte dal libro feminist art.
le immagini sono tratte dal libro se non dove diversamente specificato.

mercoledì 23 dicembre 2020

nove ultimi giorni sul pianeta terra | l'involo: una fiaba

la prima notte della tempesta di meteore sua madre venne a svegliarlo, ma lt stava solo fingendo di dormire. era sdraiato al buio ad aspettare la fine del mondo.

è il 1975, lt ha dieci anni e una notte il cielo si accende di uno spettacolo mai visto prima: decine, centinaia di stelle cadenti illuminano tutto, prima lontane, poi cominciano a cadere vicino, come se fosse un bombardamento, fino ai campi vicino casa loro. ma non si tratta di comuni meteore: sono gusci vuoti, capsule che contengono qualcosa.
quel giorno del 1975 è il primo di nove giorni narrati nel corso di circa 90 anni - fino al 2062 - che raccontano da un lato di un'invasione lenta e silenziosa: migliaia, milioni di piante aliene sparse per tutto il globo, piante che non sfruttano gli impollinatori per riprodursi ma che sono comunque capaci di divorare lo spazio intorno a loro, piante che si sono evolute sembrando innocue ma diventando letali, che si sono fatte armi per sopravvivere e riprodursi sempre di più.
dall'altra parte c'è lt, cresciuto all'ombra di questa minaccia vegetale, la crisi tra e con i suoi genitori, la sensazione di scoperta davanti al primo amore e poi il matrimonio, i figli, i nipoti, la volontà - come per le piante aliene - di rimanere aggrappato a questo pianeta, di continuare a esserci almeno come specie umana, di non arrendersi davanti all'invasione.
con lt cresce anche l'uomo-felce, che da piccolo germoglio diventa un gigantesco, mostruoso invasore dentro la vecchia casa del padre, metafora perfetta della sorte dell'intero pianeta.
nove giorni in quasi novantanni sono i momenti più importanti della vita di lt, quelli da ricordare per lasciare una traccia di sé, una memoria che se non è letteralmente biologica, come quella delle piante aliene, è una memoria degli affetti, l'unica che può garantire di mantenere integra la propria umanità.
okay, piccola, ci siamo. ascolta:
c'era una volta una storia sulla fine del mondo.
no, riproviamo.
questa è una fiaba su com'è finito il mondo.
no, non funziona neanche così. mi dispiace, piccola mia. non ci so proprio fare.
e comunque il mondo non è finito. è semplice cambiato.

immaginatevi una sorta di apocalisse zombie ma dove le persone, invece che trasformarsi in antropofagi col cervello spento, diventano uccelli.
è questo lo scenario in cui si muove maria col padre contagiato in fase di trasformazione, in una grecia post-apocalittica fatta di città morte e vandalizzate e di gente terrorizzata che cerca solo di strappare un giorno in più a un destino che pare inevitabile.
in cerca di suo marito e incinta di una bambina, maria incontra el, una ragazza che come lei sta cercando di sopravvivere. le due diventano subito amiche e vivranno insieme giorni terribili e disperatamente poetici, scanditi dal racconto, come una favola, che maria inventa ogni sera per la sua bambina, fino alla fine.

questi due racconti lunghi o romanzi brevi o novellette (come dicono i bookblogger fighi), nove ultimi giorni sul pianeta terra e l'involo sono due esempi perfetti di come la fantascienza possa essere qualcosa di più di alieni verdi e raggi laser, macchinari incredibili e pianeti lontani.
entrambi in poche pagine riescono a mostrare tutta la fragilità dell'umanità, l'equilibrio delicato del nostro pianeta e delle nostre vite, l'importanza dei legami affettivi, la volontà quasi genetica di voler resistere e sopravvivere a ogni catastrofe, per quanto imprevedibile e irreparabile sia.

lunedì 21 dicembre 2020

an invitation from a crab

alcune volte, quando si riflette su qualcosa, succede che vengano in mente all'improvviso cose  strane di cui non si comprendono bene le ragioni, la causa o l'origine. mentre dormiamo, poi, capita spesso di fare sogni incoerenti. se hanno un bel significato, magari li consideriamo dei segni d'ispirazione, ma in genere non hanno un senso particolare.
in ogni caso, si tratta spesso di cose che non hanno molto a che fare con la vita reale (di quelle che ci coinvolgono direttamente in genere comprendiamo le ragioni) e quindi finiscono in qualche modo per svanire dalla memoria senza che si trovi una spiegazione convincente.
questo mi sembra un po' uno spreco, perciò cerco di non dimenticarle e provo a spiegarle. ogni volta che mi imbatto in cose misteriose, rifletto sulla loro vera natura, ma finisco sempre per capirle ancora meno e per farmi venire in mente idee assurde. comunque, nonostante ciò, ho la sensazione che una parte di me si diletti con certi pensieri incoerenti.

la lunga citazione che ho riportato all'inizio del post è tratta dal brano che conclude an invitation from a crab, la prima raccolta di storie di una serie che raccoglierà i lavori di panpanya e che continuerà a essere pubblicata da star comics nel corso del 2021 e 2022 (da aprile al ritmo di un volume ogni quattro mesi), una citazione lunga ma che credo riassuma al meglio l'atmosfera di tutto il volume.
leggendo an invitation from a crab ho capito che ho usato troppo spesso il termine onirico a sproposito. in effetti buona parte dei sogni, almeno di quelli che faccio io, più che essere immaginifici o surreali sono semplicemente un susseguirsi di situazioni assurde, illogiche e incoerenti.
ed è nella loro illogicità e incoerenza che sta l'aspetto più affascinante in fondo. questo volume di panpanya mi ha dato quella stessa sensazione di stordimento che mi resta quando mi sveglio subito dopo un sogno strano, uno di quelli in cui succedono cose insensate e in cui le mie reazioni agli eventi che vivo nel sogno sono così illogiche che poi mi chiedo perché diamine mi sono comportata così, a volte è tutto così assurdo che mi sento quasi in colpa.
le storie di questo volume sono qualcosa di appena un po' meno incoerente di un sogno, come un sogno sono stranianti e assurde e, come se ci fosse appena svegliati da un sogno, dopo la lettura si tende a dimenticare l'esatta successione degli eventi già dopo pochi secondi, resta solo la sensazione di disorientamento, quella sorta di ossessione per cui si cerca di capire il perché di qualcosa che sfugge a ogni possibile spiegazione.


protagonista delle diciotto storie di questo volumetto è una ragazzina di cui non conosciamo il nome né l'età, la cui identità sembra cambiare di volta in volta: in alcune storie è una bambina alle prese con giocattoli assurdi, in altre una ragazza che lavora part-time in una fabbrica che produce energia elettrica, in altre occasioni una studentessa alle prese con i compiti. che stia inseguendo un granchio per qualche motivo perso per le strade della città, che si ritrovi a scendere a una stazione della metropolitana a cui non aveva mai fatto caso prima o a raggiungere l'amazzonia per riportare a casa uno strano animale esotico, le avventure che vive hanno tutte la stessa atmosfera straniante e irreale.

accanto a lei anche gli altri personaggi hanno fattezze assurde: animali antropomorfi appena abbozzati o adulti le cui facce sono nascoste da strane maschere o scatole di cartone, emblema di un mondo misterioso e incomprensibile a cui si contrappone la visione infantile e curiosa della protagonista, sempre pronta a scoprire, nei suoi vagabondaggi, qualcosa di nuovo e insolito.


a rendere ancora più surreale l'atmosfera è il contrasto tra i fondali e gli ambienti, disegnati con uno stile realistico e attento ai dettagli, e lo stile dei personaggi, molto semplice e quasi abbozzato.

tra i racconti a fumetti ci sono alcune pagine a metà tra racconto breve e appunti di diario, riflessioni su argomenti svariati che personalmente ho apprezzato tantissimo, sopratutto quello finale (che infatti ho riportato all'inizio del post).


questo primo volume basta per capire quanto panpanya sia capace di realizzare opere diverse dai manga più mainstream a cui siamo decisamente più abituati, una lettura che non fa certo gridare al capolavoro ma che è stata comunque molto interessante (il racconto della fermata della metropolitana è probabilmente il migliore, squisitamente inquietante). sono curiosa di conoscere meglio questo autore e spero che prima o poi, accanto ai racconti brevi, provi a misurarsi con una narrazione più ampia.
e poi sono contenta della scelta di star comics di portare opere un po' più underground senza per forza stamparle in volumoni giganteschi a prezzi improponibili (qualsiasi riferimento a dynit è assolutamente voluto), spero che oltre a quelle di panpanya arrivino le opere di qualche altro autore capace di smontare un po' gli stereotipi che da anni continuiamo - anche, e forse sopratutto, noi lettori di vecchia data - ad avere sui fumetti orientali.

mercoledì 16 dicembre 2020

laura dean continua a lasciarmi

"come faccio a rompere con qualcuno che ha già rotto con me?"
"be', è quello che devi capire, no?"

freddy è una ragazza come tante, ha 17 anni, un bel gruppo di amici, va al liceo, ha l'hobby di creare frankenstein di peluche, lavora al part time in una caffetteria ed è innamoratissima della sua ragazza.
peccato solo che questa ragazza è laura dean, la più popolare della scuola, una strafiga da paura che però solo nell'ultimo anno ha già lasciato freddy tre volte e non perde occasione per flirtare con chiunque, in qualsiasi momento, anche sapendo che freddy la vede, anche sapendo che la ferisce.
perché laura sa che freddy è così innamorata che le basterà farle due moine per farla tornare da lei.

mariko tamaki (autrice di e la chiamano estate) e rosemary valero-o'connell scrivono una storia che comincia dopo la presa di coscienza dell'omosessualità, dopo il coming out e dopo l'emozione dell'innamoramento e si concentra su una relazione che va avanti ormai da mesi, quando l'entusiasmo iniziale lascia il posto alla ricerca di una serenità che non vuole farsi trovare.


laura dean continua a lasciarmi è un romanzo di formazione, la storia di una ragazza che impara a liberarsi di un amore tossico e frustrante ma è anche un racconto corale che non relega a comparse gli amici di freddy, anzi.
da un lato ci sono eric e buddy, forse la coppia più innamorata e solida che freddy conosce, e doodle, la migliore amica di freddy, quella che soffre di più delle crisi di freddy e del suo amore malato per laura dean. poi ci sono le ragazze della caffetteria dove freddy lavora e c'è la sua famiglia. freddy sembra non accorgersene ma tutti sono accanto a lei, la supportano, le stanno accanto nei momenti peggiori con laura ma è laura ad attirare tutta la sua attenzione, ad allontanarla da chi le vuole bene veramente.
laura è egocentrica, è la reginetta della festa anche quando non c'è nessuna festa, sa dei sentimenti di freddy e se ne approfitta quando ha voglia di sentirsi importante.

le autrici concentrano la loro attenzione sui sentimenti e i pensieri di freddy e lasciano agli altri personaggi solo lo spazio di sguardi silenziosi e tristi: è il modo perfetto per rappresentare come freddy non riesca più a pensare ad altro che a laura, come non riesca più a rendersi conto di cosa succede alla gente intorno a lei, a quelli che le vogliono bene e a cui anche lei, nonostante la sua ossessione per laura, vuole bene. laura dean è un buco nero che attira tutte le attenzioni e i pensieri di freddy al punto tale da non farle più rendere conto di quello che capita attorno a lei, fino a un episodio in particolare - non dico nulla per non fare spoiler - in cui finalmente freddy capisce chi è laura e come condiziona la sua vita e il rapporto con tutti gli altri.


laura dean continua a lasciarmi sembra, fin dalla sua appariscente copertina rosa, una storia d'amore adolescenziale e frivola ma è soprattutto una storia d'amicizia e di crescita, una storia che parla di tanti tipi diversi d'amore: le due autrici non pongono neppure il problema di quali di questi siano legittimi e quali no dando per scontato che non ci siano coppie più accettabili di altre o che un rapporto romantico valga più di quello tra due amici ma si concentrano su quello che una relazione dà alle parti in causa: se stare insieme porta solo dolore e sofferenza, allora, anche se si è innamorati, anche se sembra impossibile, bisogna imparare a tagliare i legami.
così una storia che parla di adolescenti agli adolescenti si rivela in realtà un messaggio importante per tutti: se non ti fa felice, se ti toglie più di quello che ti dà, se ti lascia l'amaro in bocca, se ti isola dal resto del mondo, se ti ossessiona, se ti preoccupa, se ti spaventa, se ti ferisce, se ti fa piangere più di quanto ti faccia ridere, allora non è amore, ed è sempre così, qualsiasi età tu abbia, chiunque sia la persona che ami.

molto belli e delicati i disegni di rosemary valero-o'connell, morbidi e con uno stile quasi da euromanga che si sposa alla perfezione con la storia, bella anche la regia, alcune scene sono quasi da fotocopiare e appendere alle pareti, azzeccatissima la scelta di aggiungere solo il rosa pastello al bianco e nero che addolcisce e illumina le tavole molto più di quanto avrebbe fatto il grigio.

ammetto che mi aspettavo una lettura molto più leggera e invece sono rimasta piacevolmente sorpresa nel trovarmi dentro una vicenda che dice molto più di quello che racconta.

lunedì 14 dicembre 2020

i sotterranei del revolù

il museo del revolù. è così che viene comunemente chiamato. ma certi lo chiamano "il vedere sull'uomo"... altri "umile sol durevole"... altri ancora "il vile muro del suo"... dicono che tutti questi nomi non siano che l'anagramma del vero nome del museo, che sarebbe stato dimenticato.
io, da parte mia, direi che il suo vero nome non è stato ancora trovato. perché se è vero che possiamo dare una definizione solo alle cose che siamo in grado di circoscrivere, allora il museo è forzatamente un luogo molto difficile da definire...

marc-antoine mathieu l'avevo conosciuto con otto - l'uomo riscritto, una visionaria e surreale riflessione sull'io e sull'arte che mi aveva molto sorpresa e affascinata. oltretutto ho amato tantissimo alcune storie ambientate nei musei, come le variazioni d'orsay di manuele fior, una moderna olympia di catherine meurisse e i gatti del louvre di taiyo matsumoto e, soprattutto dopo aver letto quest'ultimo, avevo scoperto questo titolo di mathieu, che ho cercato a vuoto per un sacco di tempo e che finalmente sono riuscita a trovare e a leggere.

i sotterranei del revolù condivide con otto il senso del surreale e la lentezza narrativa che si apre più all'introspezione e alla riflessione che al racconto vero e proprio.
la trama in effetti è abbastanza semplice: un esperto, il signor liurseo del volume (anche qui, come nella citazione che ho riportato all'inizio, abbiamo un altro anagramma di museo del louvre, e non saranno le sole) riceve l'incarico di esplorare e catalogare i sotterranei del museo del revolù, ma l'impresa appare quasi subito molto più complessa di quello che ci si sarebbe aspettati: quelle che sembrano le fondamenta del museo si rivelano essere invece la cima e quindi ciò che adesso fa parte dei sotterranei arriva molto più in profondità del previsto.


inizia un lungo viaggio in discesa scandito dai titoli dei capitoli, ognuno dei quali tiene il conto dei giorni trascorsi tra corridoi, magazzini e sale sotterranee, un viaggio tra oggetti-simbolo che orbitano intorno all'opera in sé senza mai sovrapporsi del tutto a essa: gli stampi necessari ad eventuali restauri delle statue, il magazzino dei frammenti e l'oscuro laboratorio di restauro (che paradosso elegante: il nero preserva gli altri colori...), le copie e i quadri di collezioni artistiche (un genere che mi ha sempre affascinato tantissimo, se ne parla molto in un bellissimo saggio che consiglio sempre a tutti gli appassionati di arte, l'invenzione del quadro di victor stoichita) e poi gli archivi e la sala delle cornici, molto più importanti di quello che solitamente pensiamo.

questo mondo sotterraneo, in cui il concetto stesso di opera d'arte si frammenta in un'infinità di aspetti che mettono in gioco il suo significato e il concetto stesso di opera d'arte, intesa come oggetto unico e non replicabile, è abitato da una popolazione di esperti che sembrano quasi creature fuori dalla realtà (esemplare l'uomo che inventa il fumetto, certo che a nessuno, fuori da quel sotterraneo, potrebbe interessare l'idea) e dal tempo, come il vecchio esperto che consegna a del volume i suoi diari e appunti e che sembra solo anticipare quello che verrà dopo, come se non fosse che un frammento di una spirale eterna di un tempo ciclico e infinito, unico e replicabile, intrappolato in un sotterraneo infinito e come tale inconoscibile, proprio come inconoscibile, infinita unica e replicabile sembra essere la memoria, concetto che sta alla base stessa dell'idea del museo (e, ritornando a otto, dell'individuo).

i sotterranei del revolù è un libretto brevissimo ma intenso, una finestra che si apre su tante riflessioni  sull'arte, sulla memoria e sulla necessità che abbiamo di conservare e replicare il nostro passato, e che sarebbe un validissimo compendio a un corso di estetica dell'arte.

venerdì 11 dicembre 2020

scoop!


è uscito in edicola un paio di giorni fa ma se siete fortunati dovreste ancora riuscire a recuperarlo e vi consiglio vivamente di farlo perché scoop!, speciale di internazionale dedicato al reportage a fumetti vale proprio la pena di essere letto, sia per il valore meramente artistico (passatemi il termine) dei fumetti che contiene sia per le tematiche e il modo in cui sono state affrontate.
  • 61chi (taiwan) isole nell'oceano: una storia che parte da notizie di cronaca di qualche anno fa che denuncia le condizioni di lavoro terribili dei pescatori stranieri sulle navi taiwanesi, l'estrema povertà delle famiglie alle loro spalle che li costringe a sopportare condizioni disumane sulle navi e come di tutta questa sofferenza arrivi pochissimo, anzi praticamente nulla sulle tavole dei ristoranti in cui il frutto di tanta fatica e dolore finisce magari nella spazzatura senza troppi rimpianti.
  • seth tobocman (stati uniti) le statue da buttare giù: ricordiamo tutti benissimo come le proteste che hanno seguito la morte di george floyd e di tanti altri cittadini afroamericani abbiano coinvolto anche la questione dell'abbattimento di quelle statue che rappresentano i simboli stessi della dominazione coloniale, dello sfruttamento, del dominio e del razzismo, con tutto il discorso - stupidamente retorico - che ne è seguito, tutta quella ridicola fuffa sulla presunta sacralità dell'arte che poco altro era se non la volontà di non voler riconoscere pienamente, anche dopo secoli, la realtà e l'eredità del passato coloniale in america come nel resto del mondo. oltretutto, è sembrato che tutto questo sia successo per la prima volta nella storia dell'umanità: suvvia, la damnatio memoriae l'hanno inventata un bel po' di tempo fa, statue e monumenti dedicati a personaggi negativi sono sempre stati distrutti e una statua di un pezzo di merda, bella e ben fatta per quanto sia, resta pur sempre la statua di un pezzo di merda. tobocman racconta la storia del monumento di silent sam nel campus dell'università del north carolina, uno dei tanti simboli della supremazia bianca sui neri in america e di come, dagli anni '60 fino al 2018 - anno in cui è stato definitivamente tirato giù - sia stato al centro di numerosissime polemiche. giusto per ricordare che l'arte non è una cosa sacra ma totalmente umana e il miglior lavoro che può fare è quello di esprimere il meglio dell'umanità, se ne raffigura gli aspetti peggiori, allora è meglio buttarla giù e costruire qualche statua nuova.
  • olivier kugler, andrew humphreys (regno unito) la resistenza del fish and chips: partendo da un locale di fish and chips, i due autori raccontano la gentrificazione di un quartiere, la perdita delle connessioni sociali all'interno di un territorio distrutte dalla speculazione e dalla sempre più pressante volontà di trasformare le realtà in spazi in cui limitarsi a consumare.
  • barbara yelin (germania) in fuga: personalmente l'ho trovato il racconto più toccante ed emozionante dell'intera raccolta. la storia è quella di kidane, un ragazzo eritreo che vive da qualche anno in svizzera e che improvvisamente, per colpa di una burocrazia disumana, fa perdere le sue tracce. la storia è raccontata dalla sorella di ursula, la donna che l'ha aiutato a trovare lavoro e ad integrarsi e mostra come, nonostante le indicibili sofferenze e difficoltà del viaggio, nonostante gli sforzi e la voglia di cominciare una nuova vita in un paese migliore da quello che si è costretti ad abbandonare, l'europa non faccia che cavillare su sciocchezze per allontanare chiunque sia nato dal lato sbagliato del pianeta. in questa storia c'è tutta la fredda e disgustosa razionalità del nuovo razzismo che si nasconde dietro i ma e dietro una burocrazia costruita ad hoc per rendere ancora più difficile la vita a chi vorrebbe solo poter sperare in un presente e un futuro come il nostro. una storia raccontata e disegnata con garbo, delicatezza e malinconia che però mette addosso rabbia e frustrazione per un sistema che deve essere cambiato il prima possibile.
  • leila abdelrazaq (stati uniti) un mondo di confini e frontiere: l'autrice, palestinese, partendo dalla sua esperienza in un racconto che è un po' diario di viaggio un po' un manifesto d'accusa, denuncia le ingiustizie legate alla differenza di validità dei passaporti: quello tedesco ad esempio permette di viaggiare in 134 paesi, quello iracheno solo in 30, così la nazionalità di una persona determina, sulla base di regole totalmente arbitrarie e ingiuste, il suo grado di libertà e lo espone a rischi e umiliazioni a ogni passaggio di frontiera. in una tavola tremenda mostra tutta la paura e la difficoltà di una cittadina palestinese costretta a muoversi in un paese controllato da soldati israeliani.
  • baudoin (francia) un bacio contro la guerra: "oggi tutto questo non sarebbe possibile" "sei sicuro?" sei tavole che riprendono opere d'arte del passato e che si interrogano sulla violenza, sulla dittatura, sulla guerra, sull'irrazionalità del male e su come, nel corso del tempo, siamo riusciti a imparare così poco dai nostri errori.
  • zerocalcare (italia) lontano dagli occhi: durante il primo lockdown nelle carceri italiane ci sono state diverse sommosse dei detenuti costretti, in un momento in cui non si faceva che raccomandare distanziamento e igiene, a vivere - come sempre - in condizioni disumane, affollati e senza nessuna protezione valida contro il virus. privati delle visite, erano comunque in pericolo perché le stesse regole ovviamente non valevano per il personale delle varie strutture di detenzione. attraverso alcune interviste con persone a vario titolo coinvolte nelle vicende, zerocalcare denuncia l'assurdità e l'inumanità del sistema detentivo, la violenza dei carcerieri e la totale mancanza di empatia nei confronti di chi si ritrova dall'altra parte del muro. perché se non sono tutti santi, non sono nemmeno tutti pericolosi capimafia o efferati assassini e - covid o meno - continuano a vivere in strutture troppo affollate insieme a un numero troppo esiguo di medici, psicologi, che si ritrovano anche loro a dover lavorare in situazioni di enorme stress. un sistema che andrebbe completamente rivisto e di cui, soprattutto, bisogna chiedersi se abbia davvero una qualche utilità.
  • sam wallman (australia) fiutate tutto, spiate tutto: al centro dell'australia si trova un centro, pine gap, una base militare usa che coinvolge i servizi segreti internazionali e che è a tutti gli effetti una base di spionaggio. wallman denuncia l'ingerenza dell'america praticamente in tutto il mondo, l'invasione si tantissimi paesi e l'uccisione, in operazioni militari, di tantissimi civili.
  • laurent maffre (francia) la macchina mangiadita: una storia di operai e di sfruttamento come tante, maffre denuncia il retaggio del colonialismo francese in algeria e di come oggi vivano in francia gli immigrati, costretti a lavori massacranti e a condizioni inumane che riecheggia la storia che apre il volume, come a dire che, pur cambiando gli attori sociali, i processi di sfruttamento e ingiustizia rimangono gli stessi.
  • zuzu (italia) l'ultima: chiude questa raccolta il ritratto di dana lauriola, attivista no-tav detenuta a torino e condannata a due anni di carcere per aver urlato le ragioni della sua protesta durante una manifestazione pacifica. una condanna assurda, ingiusta, esagerata che si nasconde sotto le parole di "interruzione di servizio di pubblica necessità" ma che è un vero e proprio processo politico alle idee di un movimento che da trent'anni lotta per la difesa del proprio territorio. proprio in questi giorni, in piena emergenza sanitaria, con i servizi pubblici totalmente inadeguati al periodo che stiamo vivendo, con la scuola e l'università gestite in maniera penosa e inefficace, lo stato italiano continua a distruggere la val di susa, ad attaccare violentemente i manifestanti e a sperperare risorse in una delle tante opere inutili e dannose. ognuno come può accanto a dana, nicoletta e tutti gli altri attivisti in carcere solo per aver espresso il loro giusto dissenso verso l'assurdità dei progetti come la tav, contro la violenza verso i territori e le persone in nome del profitto.

mercoledì 9 dicembre 2020

storia pittoresca, drammatica e caricaturale della santa russia

com'è nata la russia? la sua origine si perde (c'è bisogno di dirlo?) nella notte dei tempi.
soltanto verso il quarto secolo la sua storia inizia a delinearsi. le precedenti vicende di questa santa terra si sono perse tra la totale indifferenza (si suppone) degli indigeni dell'epoca.
i più antichi cronisti riferiscono che verso l'anno undici o undici e mezzo un bell'orso polare si lasciò sedurre dal languido sorriso di una giovane foca, e che da questa unione innaturale nacque il primo russo.
storia pittoresca, drammatica e caricaturale della santa russia, uscito qualche tempo fa per i tipi di eris edizioni, è una delle più divertenti follie difficili da definire che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi.

scritto e disegnato a metà dell'ottocento da gustave doré, questo strano oggetto sfugge a vari tentativi di catalogazione ma in definitiva può bastare il titolo a riassumere brevemente di cosa si tratti: dalla preistoria al momento in cui l'opera viene composta - gli anni della guerra di crimea che vedono russi e francesi, tra gli altri, sui due fronti opposti - doré racconta le vicende di un paese in cui la violenza e la sete di potere raggiungono un parossismo tale da sfociare nel grottesco, dove si succedono regnanti su regnanti (quasi tutti muoiono allo stesso modo - e credo di aver riso per questa cosa molto più del dovuto) ossessionati dall'idea di annettere altri territori - per lo più popolati da animali selvatici - e soprattutto di conquistare costantinopoli.


nella postfazione al volume c'è un'interessante riflessione su cosa la storia della santa russia in effetti sia che mi sento di condividere a pieno: considerare questo libro un antenato del fumetto sarebbe ridurlo alla stregua di quegli articoli da due soldi che tirano fuori la parola pompei davanti a ogni scavo archeologico, per il semplice fatto che prima di poter parlare di fumetto - se diamo per assunto che il primo sia stato yellow kid nel 1894 - bisogna che questo esista e che abbia un suo significato preciso e inconfondibile.

l'opera di doré non è un fumetto né un suo antenato per il semplice fatto che la combinazione tra immagini e parola ha qui una funzione e una struttura completamente diversa da quella che conosciamo come fumetto: qui le incisioni di doré - a volte elegantissime, altre grottesche, in certi momenti di una modernità quasi surreale - e i testi non danno vita a una scena dialogata o descritta né si articolano in una narrazione continua (nonostante la scansione della pagina ricordi molto quella di una tavola classica), anzi molto spesso cozzano tra loro o si completano in giochi di parole, illustrano - o celano - anche il disagio stesso del disegnatore alle prese con la difficoltà di dover parlare di argomenti tanto violenti e sgradevoli, generando appunto il senso di comico disorientamento che permea tutta l'opera.

storia della santa russia è più un racconto illustrato in cui le illustrazioni più che illustrare i fatti mettono in luce la satira asprissima dei testi, che invece mantengono un tono sempre calmo e compassato.
a un secolo e mezzo dalla sua creazione questo libro mantiene un tono divertente, brillante e dissacrante e fa scuola sulle infinite possibilità che parole e immagini possono trovare combinandosi insieme, generando narrazioni surreali, comiche, grottesche, drammatiche e caricaturali, scardinando le definizioni e distorcendo le regole stesse del racconto.

venerdì 4 dicembre 2020

a babbo morto

"ma che è 'sta merda da poveri? io avevo chiesto il nintendo!"

è arrivato dicembre, ci sono lucine ovunque, le caselle e-mail sono intasate di offerte per i regali, i jingle natalizi strombazzano in tv e dappertutto tocca sorbirci le solite stronzate su quanto saremo tutti più buoni.

insomma, è arrivato natale come ogni anno ma almeno questa volta possiamo tirarci fuori dalla forzata atmosfera di zuccherosa e consumistica felicità grazie alla storia di natale meno probabile che qualcuno potesse scrivere.
e chi se non zerocalcare poteva cimentarsi in una storia di natale così poco natalizia?

a babbo morto è a metà tra fumetto e storia illustrata (con l'aiuto ai colori dell'ormai imprescindibile alberto madrigal) una lettura veloce, velocissima, che però lascia un peso sullo stomaco che dura a lungo.
e se qualcuno è rimasto in qualche modo stupito dopo averlo letto, beh, o non aveva mai letto nulla di zerocalcare o non ne aveva mai capito nulla.

partendo dal momento della morte di babbo natale, padrone della klauss inc., azienda di produzione e distribuzione di giocattoli, si scatena un effetto a catena di scandali e crisi economiche che, ovviamente, non intaccano i vertici dell'azienda ma si riversano spietatamente sulla manovalanza: un incidente - probabilmente per nulla accidentale - scatena una vera e propria caccia al folletto.

già mal visti dopo gli scioperi contro i primi licenziamenti, gli scontri tra folletti e istituzioni si fanno sempre più duri, fino a degenerare in una tragica spirale di violenza.
la seconda parte della storia continua mantenendo la stessa atmosfera, e vede protagoniste delle befane-rider in cerca del giusto riconoscimento dei loro diritti di lavoratrici.


giocando con la metafora natalizia, zerocalcare mette in realtà sulla scena alcuni dei temi più importanti del nostro presente e di quel messaggio politico che ha sempre portato avanti: dalla mancanza di diritti sul lavoro al modo perverso dei media main stream di raccontare le realtà del nostro paese, dai fatti di cronaca purtroppo mai troppo lontani ("e hanno provato a dire che era stato un altro folletto, con un sasso. ci credete??"), alla violenza delle istituzioni, accettata come sacrosanta giustizia, alla volontà e capacità di creare reti di solidarietà tra sfruttati per cercare e creare soluzioni alternative a un sistema disumano.

mettete questo libro sotto l'albero per chiunque vogliate ma evitate di regalarlo ai bambini, a meno che non vogliate traumatizzarli per bene e passare la sera della vigilia a spiegare ai vostri pargoli che il paese in cui vivono non è affatto la favola di bontà, giustizia e democrazia che credono sia.

con tanti auguri di un natale arrabbiato e combattivo.

venerdì 13 novembre 2020

il libro della polvere ~ il regno segreto

"la vera domanda" pensò, è: "l'universo è vivo o morto?"
da qualche parte nella palude, in lontananza, le giunse il verso di un gufo.
lyra si ritrovò a chiedersi: "che significa?" e subito le venne in mente l'inevitabile risposta di talbot: non significa niente.
qualche anno prima, a oxford, aveva incontrato il daimon di una strega durante una piccola avventura che era culminata con la convinzione che, a saperla leggere, ogni cosa ha un suo significato. allora l'universo le era sembrato una creatura viva. c'erano messaggi ovunque, bastava saperli cogliere. una cosa banale come il verso di un gufo nelle profondità di una palude sarebbe stata carica di significato.
aveva avuto torto, allora a sentirsi in quel modo? o era stata immatura, ingenua, sentimentale?

quasi due anni fa scrivevo questo mega papirone presa dall'entusiasmo del ritorno di lyra e del suo mondo. la belle sauvage era stato annunciato e atteso con tutti i crismi, come si conviene al ritorno, dopo tanti anni, di una saga tanto amata, il che mi aveva dato modo di rileggere la prima trilogia e prepararmi all'inizio di questa nuova trilogia.
il regno segreto invece è uscito non solo in ritardo, ma praticamente quasi senza nessuna pubblicità, io stessa, che ho una sorta di ossessione per questa saga (e nonostante questo no, non sono ancora riuscita a vedere la serie), l'ho scoperto un paio di giorni prima e solo per caso. pessimo lavoro, salani, pessimo. e soprattutto, per quale diamine di motivo the secret commonwealth non è diventato la comunità segreta? non mi fisso mai sulle traduzioni dei titoli, anche quando sono assurde e orribili, capisco che la loro funzione principale è quella di far vendere il libro, ma stavolta - e leggendo il libro si capisce benissimo perché - sarebbe stato davvero importante. immagino che la parola regno in un fantasy piaccia molto di più ma... (sì ok, il titolo italiano di questo libro riprende la traduzione italiana - il regno segreto - di the secret commonwealth or an essay on the nature and action of the subterranean (and for the most part) invisible people heretofore going under the names of fauns and fairies, or the like, among the low country scots as described by those who have second sight, e però)

ok, andiamo al succo: la belle sauvage era stato un bel libro, il regno segreto è una roba stramegafichissima, all'altezza de la bussola d'oro non fosse per una cosa che mi ha quasi portata alle lacrime: non si conclude. il finale della storia sarà nel terzo libro e per il momento non sono riuscita a trovare nessuna notizia (anzi, se sapete qualcosa, ditemela!) né sulla data di pubblicazione, né sul titolo, né sulla trama. certo è che, viste le premesse che si sono aperte in questo secondo capitolo, rischiamo di trovarci tra le mani un finale strepitoso.

philip pullman in questo libro mette tantissimi elementi in gioco, primo tra tutti il rapporto tra lyra e pantalaimon: li troviamo, fin dalle prime righe, in contrasto, arrabbiati, feriti, incapaci di un vero dialogo. è stato parecchio sconvolgente, bisogna ammetterlo. il rapporto con i daimon sembrava una delle cose più inataccabili dell'universo, in questo capitolo de il libro della polvere invece pullman ci costringe ad aprire gli occhi e accorgerci che è molto più complesso di quello che si poteva immaginare, svelandoci segreti sconcertanti e per certi versi raccapriccianti (sui quali non dirò nulla, è stato davvero uno shock leggere alcune cose, non voglio spoilerarvi nulla).
capaci di separarsi già dal loro viaggio nel regno dei morti, la storia si apre con una scena che riporta all'inizio de la bussola d'oro: assolutamente per caso, pan si ritrova testimone di un brutale omicidio di quello che si scoprirà essere uno scienziato alle prese con lo studio di un particolare tipo di rose che crescono solo in un qualche sperduto posto in oriente. certo, un botanico non sembrerebbe una persona così pericolosa da meritare una fine del genere, ma è proprio sulle rose, anzi per la precisione sull'olio che si può estrarre da un particolare tipo di rosa e sulle sue capacità in relazione alla polvere, che si avvolge - in modo meravigliosamente intricato - tutta la trama del romanzo.

recuperati i documenti del povero botanico prima che finiscano nelle mani sbagliate - il magisterium, ovviamente - lyra e pan sono ormai nuovamente invischiati in un mistero molto più grande di loro, una storia cominciata vent'anni prima, fin dai primi mesi di vita di lyra, e forse prima ancora.
da questo momento in poi il ritmo si farà sempre più frenetico e veloce, e da oxford, la narrazione si sposterà velocemente in europa e poi ancora più a est, verso l'oriente.

tornano in scena un sacco di personaggi di queste oscure materie e de il libro della polvere, ognuno con la sua complessa ma ben strutturata ragnatela di legami, che anzi si fanno sempre più chiari man mano si va avanti nella narrazione, si aggiungono personaggi nuovi, la cui apparizione più o meno breve non è mai insignificante, ma sopratutto torna un intero universo, quel mondo così ben costruito e articolato che fin dalle prime pagine del primo romanzo è stato forse il più grande punto di forza della saga.

questa volta però pullman sembra spingersi oltre e tocca, con infinita delicatezza e senza rischiare di far sembrare tutto fuori luogo, argomenti nuovi, più adulti, in accordo anche con la lyra ormai vent'enne che incontriamo qui.
il primo è proprio il cambiamento di lyra: ormai adulta, sembra aver perso quella capacità di immaginare, di inventare storie - e anche bugie, che era stato il suo grande talento da bambina. è una lyra un po' ingrigita, una dei tanti suoi coetanei affascinati da un paio di libri che fanno del cinismo e dello scetticismo il loro vessillo, che negano ogni qualsivoglia tipo di realtà che possa andare oltre la mera razionalità, arrivando addirittura a negare l'esistenza stessa dei daimon, spiegandoli come una sorta di allucinazione. è proprio questo a rovinare il legame già fragile tra lyra e pantalaimon: lui è rimasto quello che è sempre stato, e vedere lyra ridotta così è qualcosa che non riesce a sopportare.

viaggiando, lyra scopre realtà che non avrebbe mai pensato possibili a oxford: pullman reinterpreta in chiave fantasy - e a volte nemmeno troppo - alcuni dei grandi orrori del nostro mondo, dalla disperazione dei migranti e dei profughi, all'infinita povertà che spinge gli esseri umani alle azioni più degradanti pur di riuscire a sopravvivere, fino alle rivendicazioni di quella che potrebbe essere una qualsiasi ragazza che viaggia da sola e che vuole riuscire a farlo senza vivere nel costante timore di un'aggressione (svolta femminista che poteva essere gestita meglio, in certi passaggi si nota troppo la differenza del punto di vista tra autore/maschio e protagonista/femmina, sicuramente pullman ha cercato di essere più empatico possibile ma suona comunque troppo artefatto. ma, considerato che si tratta di un breve episodio, non è nulla di troppo grave).
come dicevo, i toni restano comunque accettabili anche per un pubblico giovane (tocca dire così ma sinceramente mi urta moltissimo questa continua volontà di trattare i ragazzini come se fossero degli idioti incapaci di capire come funziona il mondo prima del vent'anni, ma amen) e ai lettori più adulti - che forse sono di più, considerato che molti erano ragazzini ai tempi di queste oscure materie - non viene affatto facile leggere tra le righe e trarne le dovute conclusioni.
anche se non si schiera apertamente, pullman lascia intendere quali sono le sue posizioni in merito, e per questo gli vogliamo anche più bene di prima.

il regno segreto è dunque il racconto di un viaggio, anzi di tanti viaggi che sembra debbano portare tutti a un'identica meta: pan cerca il modo di restituire a lyra la sua capacità di immaginare, lyra cerca di scoprire la realtà dietro i molti misteri che ha improvvisamente cominciato a scoprire, entrambi vogliono ricucire il loro rapporto e tornare a essere quello che erano. gli altri personaggi intanto sono tutti attirati - con buone o cattive intenzioni - nell'orbita di lyra e di pan. le bussole di tutti puntano a oriente, in un luogo misterioso e per qualche motivo spaventoso noto come l'hotel blu o città della luna.

questo sarà sicuramente lo scenario - almeno quello iniziale - dell'ultimo capitolo de il libro della polvere. non ci resta che aspettare e sperare che pullman (e salani sopratutto!) non ci costringano a un'attesa troppo lunga.

lunedì 9 novembre 2020

scheletri

il modo più scontato di ammazzare qualcuno è chiuderlo dentro uno spazio senz'aria.
coi mostridentro invece funziona al contrario.
più ne parli, più entra l'aria. più c'è ricircolo. e i mostri soffrono perché sono creature molto freddolose.
se invece li covi, li tieni al caldo, senza far entrare nessuno... crescono.
e possono crescere tantissimo fino a occupare ogni parte di te.
[...] quindi uno dice vabbe' ma allora parlane, no? che sei stupido?
però oh, io certe cose non le riuscivo a dire.

in un modo o nell'altro, qualunque cosa decida di raccontare, zerocalcare è uno di quei pochi autori che non si limita a farmi pensare che sa creare empatia con i lettori: sa proprio arrivare a toccare quei punti nascosti e vulnerabili e farti un male cane. e poi ti consola facendoti capire che non sei affatto un fiocco di neve unico e speciale, che certa merda è molto più comune e banale di quanto avresti mai immaginato, che, almeno nella sfiga, non sei solo.
e ci riesce benissimo anche 'sta volta, nonostante scheletri sia stato presentato come un thriller e l'inizio della storia non rimandi esattamente - almeno mi auguro - a qualcosa di così tanto comune:

(scusate ma non riuscivo a riassumerla meglio di così)

ecco, insomma, la storia inizia così: con il ritrovamento di un po' più di mezzo dito davanti la porta di casa e un lungo flashback che ci riporta ai tempi in cui il giovane zerocalcare portava senza imbarazzo una cresta rossa e fingeva di frequentare l'università, passando invece le mattinate a fare avanti e indietro in metropolitana, incapace di spiegare a sua madre, ai suoi amici, a chiunque altro l'insopportabile senso di inadeguatezza che gli rendeva fisicamente impossibile andare a lezione.
è in metro, mentre ingoia mostri che cercano di soffocarlo e impara a memoria le facce dei soliti pendolari, che incontra arloc (sì, ovvio che fa riferimento a capitan harlock di matsumoto), un ragazzino più piccolo con cui, nonostante ogni aspettativa, stringe un'amicizia che stravolgerà parecchi equilibri a casa e nella sua comitiva, i cui strascichi continueranno a farsi sentire per anni.


scheletri è diviso in due grossi blocchi narrativi, quello dei fatti del 2002 e quello del 2020, il buco in mezzo si sente poco perché è facile collocarci in mezzo tutta la produzione di zerocalcare da la profezia dell'armadillo a macerie prime.
il 2002 è l'anno dell'incontro con arloc appunto, quello in cui il giovane calcare pensa di poter diventare una sorta di guida per questo sedicenne dalla vita sgangherata, lasciandosi in realtà trascinare dagli eventi molto più di quanto avrebbe voluto ammettere.
il 2020 è quello del zerocalcare di adesso, quello che nonostante il successo e la quasi-vita-da-adulto continua a sentirsi fuori fase rispetto ai suoi coetanei, quello delle paranoie e degli accolli, quello che crede che i suoi scheletri nell'armadio siano giganteschi e poi si rende conto di quanto possano essere enormemente grandi quelli che ha sempre avuto sotto gli occhi e non è mai riuscito a vedere davvero.



un thriller dicevamo, ma soprattutto un libro-di-zerocalcare, con tutto quello a cui ci ha abituati: la sua ironia in primo luogo, che rende davvero difficile collocare questo thriller in mezzo a tutti gli altri mai stati scritti, il rebibbiacentrismo, i personaggi secondari che ormai conosciamo tanto bene, quel mix di invenzione e autobiografia che caratterizza le sue storie da sempre.
scheletri è qualcosa di diverso ma non troppo: zerocalcare è bravo a rendere le sue storie riconoscibili da ogni punto di vista senza dare mai l'impressione di qualcosa di già visto, di noioso.
qui, forse più che altrove, c'è la realtà nuda e cruda della strada: i ragazzini sbandati, la violenza e la droga sono argomenti che già erano stati toccati, a volte anche solo sfiorati, ma qua diventano i temi principali della vicenda.

in attesa di a babbo morto (due libri di zerocalcare in due mesi circa è uno dei pochi-ma-buoni motivi personali per ringraziare del lockdown) scheletri finisce tra i miei preferiti di zerocalcare, forse a pari merito con macerie prime (terzo posto dopo kobane calling e dimentica il mio nome), almeno per il livello di angoscia esistenziale da post trent'anni che è riuscito a mettermi.

grazie miché, non mi fai mai sentire troppo sola