venerdì 19 novembre 2021

la mano sinistra del buio

farò rapporto come se raccontassi una storia, perché mi è stato insegnato da bambino, sulla mia terra natia, che la verità è una questione dell'immaginazione. a seconda di come viene raccontato, il più solido dei fatti può farsi fiasco o conquista: come l'ineffabile gioiello organico dei nostri mari, che si fa tanto più luminoso quanto più una donna lo indossa e, portato da un'altra, si offusca e si fa polvere. i fatti non sono più solidi, coerenti, rotondi e reali delle perle. ma entrambi sono delicati.

torna finalmente disponibile la mano sinistra del buio (sì, del buio, non delle tenebre, ha fatto strano per un po' ma alla fine va bene così) a cinquant'anni dalla prima pubblicazione italiana e finalmente sono riuscita a leggerlo, anche se nell'ultimo anno ero già riuscita ad approcciarmi a ursula k. le guin e all'ecumene con i reietti dell'altro pianeta e con il pianeta dell'esilio. ed è stato amore totale!
quindi l'uscita di questa nuova edizione è stata per me grandissima gioia, volevo leggere la mano sinistra del buio sopratutto perché è stato sempre il titolo di le guin più citato nelle lezioni di antropologia e mi aveva incuriosito capire come si poteva collegare la fantascienza all'antropologia, per definizione una così lontana dalla realtà e l'altra la più "umana" e terrestre delle scienze umane.

la mano sinistra del buio è un romanzo che in effetti non solo si presta a moltissime riflessioni, come dice nicoletta vallorani nella sua postfazione "è questo che insegna la creazione immaginaria, ipotizzare modi che potrebbero insegnarci qualcosa sul nostro", se proprio non insegna dà ottimi spunti per analizzare criticamente le nostre costruzioni sociali che si fondano sul più naturale dei dati di fatto - che nel romanzo invece non esiste, ovvero la distinzione in due sessi biologici (cosa su cui vorrei tornare più avanti). ma oltre a questo il racconto di genly ai, protagonista e voce narrante, spesso e volentieri prende il tono di una vera e propria etnografia del mondo alieno in cui si trova e che lui descrive dal punto di vista di un osservatore partecipante, attento a ogni aspetto della vita dei suoi ospiti, dal paesaggio naturale che li circonda alle loro abitudini di vita, dai cibi che consumano alle case che abitano, dalle città in cui vivono ai loro sistemi politici e alle loro pratiche rituali e religiose.
non so perché vallorani nella postfazione dica che le guin figlia è di un archeologo, alfred kroeber era in realtà un antropologo, allievo di quel franz boas che a cavallo tra '800 e '900 fu uno dei fautori della rivoluzione della disciplina, e anche sua madre, theodora kroeber, sbrigativamente segnalata come scrittrice, era psicologa e antropologa anche lei, autrice della biografia di ishi. sicuramente tutto questo ha influito sulla formazione e sulla sensibilità di le guin, e in questo libro è facilissimo coglierlo.
questo romanzo non è estrapolativo. se vi aggrada potete leggerlo, allo stesso modo di tanta altra fantascienza, come un esperimento di pensiero. [...] lo scopo di un esperimento di pensiero nel senso in cui questo concetto è stato usato da schröedinger e da altri fisici, non è quello di prevedere il futuro - addirittura il famoso esperimento di schröedinger dimostra che il "futuro", sul piano della fisica quantistica, non può essere previsto - ma su quello di descrivere la realtà, il mondo presente.
la fantascienza non prevede; descrive.
[...] le previsioni sono compito di profeti, chiaroveggenti e futurologi. non sono compito dei romanzieri. il compito dei romanzieri è mentire.
 dalla prefazione dell'autrice

la prima menzogna è quella che mette in piedi un futuro in cui l'umanità è capace di viaggiare nello spazio e ha colonizzato l'intera galassia. col tempo, sui diversi pianeti, gli esseri umani si sono evoluti divergendo in modo più o meno evidente dalla loro fisiologia originaria per adattarsi ai diversi ambienti. ad unire molti di questi mondi è l'ecumene, un'alleanza interplanetaria non funzionale esclusivamente al libero mercato ma votata allo sviluppo e alla cooperazione attraverso la condivisione di conoscenze (ciao globalizzazione, si poteva fare di meglio ma tu hai scelto il neoliberismo e quindi amen). in questo scenario si muove genly ai, inviato dell'ecumene sul pianeta gethen - conosciuto anche come "inverno" nella lingua di ai - per far conoscere l'ecumene ai gethiani e invitarli a farne parte. gethen è un mondo che non conosce ancora i viaggi spaziali, anzi, non sa nulla degli altri abitanti della galassia, neppure della loro esistenza. le parole di ai nascondono agli occhi dei gethiani tanto il rischio della perdita del loro potere, di diventare poco più di un feudo sotto un controllo più grande dei re e della commensalità - rispettivamente le due forme di governo dei due paesi in cui ai si trova a viaggiare - tanto quanto poco più delle farneticazioni di un pazzo pervertito. genly ai è in effetti l'unico maschio in un pianeta in cui la popolazione è, per buona parte della sua esistenza, androgina, capace di diventare maschio o femmina solo nel periodo del kemmer, i giorni in cui i gethiani sono fertili e possono riprodursi. ogni gethiano può assumere entrambi i ruoli nel corso della vita e quindi essere madre o padre dei suoi figli, o meglio può essere genitore diretto o meno della propria discendenza.

senza spoilerare troppo circa le vicissitudini di genly ai, quella che pare una bizzarria biologica fine a se stessa - che le guin spiega come una forma di adattamento a un pianeta dalle scarse risorse e con un clima rigidissimo al limite della sopravvivenza - dà luogo a una serie di conseguenze impensabili per chi è abituato alla dualità maschio/femmina. questa infatti non si può considerare solo nei termini biologici e riproduttivi, ma plasma ogni possibile forma di interazione sociale tra individui: dai ruoli sociali a quelli politici e religiosi, l'esistenza di un unico sesso - o meglio di un non-sesso se non per alcuni giorni e anche in quel caso non determinato una volta e per sempre - impedisce all'origine tutta una serie di concezioni stereotipate, coercizioni, violenze e privilegi di cui siamo saturi fino a non vederli e nei quali genly ai più volte, nelle sue osservazioni sul comportamento e sull'aspetto dei gethiani, cade. c'è un momento in cui l'inviato dell'ecumene dice che nei gethiani riesce finalmente a non vedere uomini o donne, a smettere di cercare quelle caratteristiche che gli permettono di incasellare qualcuno in una delle due categorie, ma semplicemente di trovarsi di fronte all'umanità.

se l'ecumene è espressione della visione politica dell'autrice, nella peculiarità sessuale dei gethiani credo si possa comprendere la sua concezione di femminismo, inteso come una tensione verso una parità così assoluta e naturalizzata da non dare alle differenze biologiche alcun peso.
tutto il romanzo è non solo un bellissimo racconto d'avventura e di una profonda amicizia ma - almeno dal mio personalissimo punto di vista - un manifesto politico e sociale, una descrizione di un umanità imperfetta certo, che non ha dimenticato ottusità e violenza, ma che potrebbe essere sulla strada giusta per ottenere una qualche forma di equità, cooperazione e giustizia sociale.
la fantascienza, come dice le guin nella prefazione, non prevede il futuro, però attraverso la possibilità di immaginarlo riesce a descrivere il presente soprattutto tramite le sue mancanze e i suoi bisogni. ripensare la letteratura fantascientifica, e più in generale fantastica, e tirarla fuori dalla sua nicchia da nerd, dalla definizione di escapismo di genere il cui unico obiettivo è offrire un paio di giorni di svago, potrebbe dare l'opportunità di immaginare alternative e ancor di più di imparare a trasformarle in risposte.

giovedì 4 novembre 2021

tekkon kinkreet

- ma se dio ha creato gli uomini...
- dio?
- sì! perché non li ha fatti tutti uguali?
- in che senso?
- grassi, magri, alti, bassi, simpatici, antipatici, sono tutti diversi! dio ci ha provato e si è sbagliato!
- "sbagliato?"
- si! quando ha fatto shiro, dio si era pentito di avere fatto l'ippopotamo con la bocca troppo grande. perciò a shiro manca qualche rotella nella testa... e anche a kuro. anche a kuro manca qualche rotella.
- dio si è sbagliato anche con kuro?
- sì! ma le rotelle che mancano a kuro, ce le ha shiro. ce le ho tutte io.


shiro e kuro non hanno i genitori, non vanno a scuola, dormono dentro una macchina, vivono per le strade del quartiere di takaracho, il loro quartiere.
non sono affatto due poveri orfanelli, sono i gatti, protettori del quartiere, famosi per la loro capacità di volare letteralmente da un palazzo all'altro e per l'incredibile violenza da cui sanno lasciarsi travolgere quando il quartiere è in pericolo.
e il quartiere, il loro quartiere, è davvero in pericolo, minacciato da uno yakuza che vuole trasformarsi in imprenditore e cambiare takaracho per il suo personale tornaconto, a qualunque costo, poco importa se questo significa continuare a inondare le sue strade di sangue e coinvolgere le bande locali in una guerra sempre più spietata, in cui shiro e kuro non esitano a buttarsi a capofitto, una guerra che prosegue senza enormi sconvolgimenti fino al momento in cui i due ragazzi non finiscono per essere divisi e l'equilibrio si spezza, portando a conseguenze inattese.

questa è grossomodo la trama di tekkon kinkreet, opera di taiyo matsumoto dei primi anni '90 che anticipa alcune tematiche del forse più celebre sunny, uscito qualche anno fa per j-pop (e adesso di nuovo disponibile) dopo un primo, fallimentare tentativo di pubblicazione da parte di kappa edizioni per la collana manga-san nell'ormai lontano 2008.


shiro e kuro, bianco e nero. i due protagonisti sono uno l'antitesi dell'altro, opposti e complementari, inseparabili. il primo è un ragazzino solare, che esprime le sue emozioni senza riserve, a volte, nonostante la durezza della vita in strada, fin troppo ingenuo, al limite del distacco dalla realtà. shiro sa di essere il soldato in missione sulla terra, il cui compito è assicurare la pace. e dove shiro volge gli occhi al cielo per confermare a qualcuno lassù che sta facendo bene il suo dovere, kuro tiene i piedi ben piantati per terra, è freddo e duro come la roccia, quasi incapace di provare emozioni se non per shiro, disposto a tutto pur di proteggerlo, pur di non cambiare nulla della realtà che li circonda.

senza perdersi in spiegoni e didascalie, taiyo matsumoto ci lascia vagare per tarakacho e tra i pensieri dei due ragazzini - difficile dire quale sia l'ambiente più surreale - mettendo in piedi un racconto di crescita (difficile definirlo di formazione) crudo e visionario in cui convergono quei topoi che fanno di sunny un'opera tanto amata come il conflitto tra l'infanzia e l'età adulta, tra i grandi sogni dei bambini e le meschinità dei più grandi, un conflitto che qui però si esplicita narrativamente e graficamente in molto poco metaforiche sprangate in testa e calci allo stomaco.


il racconto è tutto affidato ai dialoghi e ai pensieri dei personaggi, scambi di battute essenziali, a volte anche solo allusivi, in alcune situazioni persino incomprensibili, e non c'è spazio per una qualche voce narrante e questo - insieme alla straordinaria espressività dei disegni - rende la lettura incalzante, veloce quasi quanto i voli dei gatti sui tetti del quartiere.

rispetto a sunny però tekkon kinkreet ha in più un'estetica più sporca e visionaria che sembra voler conciliare insieme le stesse contraddizioni che animano shiro e kuro: takaracho sembra un incubo a metà tra una violenza decadente e disperata e un infantilismo gioioso e ingenuo in cui si susseguono architetture insensate e personaggi ai limiti del surreale.

per quanto abusata sia quest'espressione, è davvero un piccolo capolavoro e sono stata felicissima di essere riuscita a recuperarlo.
e adesso, in attesa della pubblicazione di number 5, mi aspetta anche gogo monster, di cui spero di riuscire a parlarvi a breve!

mercoledì 29 settembre 2021

24/7

 no guarda andatevene affanculo. anzi. come si dice. "arrivederci e grazie"


se il secondo libro è davvero il banco di prova di un autore, per nova mi sa che preferisco aspettare il terzo. stelle o sparo mi era piaciuto moltissimo, 24/7 mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca perché mi aspettavo una bomba e invece... è stato più che altro un petardo.


un campo di pomodori, tre vecchi sfaticati e un ragazzino appassionato di rap costretto ai lavori socialmente utili, scena di ordinaria tristezza e incompatibilità generazionale sconvolta da un camion di rifiuti tossici che si ribalta sul raccolto.
cambio.
dante ha appena iniziato il suo nuovo lavoro come commesso di uno dei tanti squallidi discount di una qualsiasi città, famoso però per la qualità delle sue verdure: roba sana, gustosa e a chilometro zero - viva l'ambientalismo! - peccato che proprio il suo primo giorno di lavoro i pomodori - conditi da dio solo sa che roba - siano tra la merce fresca. e peccato che proprio il suo primo giorno per un qualche motivo le uscite del supermercato si chiudano tutte proprio mentre i clienti si trasformano in mostri ributtanti sotto l'influsso dei liquami non identificati, dando il via a una sequela di scene splatter e grottesche, tra vecchie rompicoglioni e mamme pancine, mentre dante si spara un paio di flash deprimenti sulla sua ex.


ora, è sicuramente interessante la critica sociale al disagio dei giovani, il lavoro che non c'è e quando c'è è una merda, il fatto che i supermercati ci fanno cordialmente schifo tanto quanto ci faccia schifo questa storia del puoi (anzi, devi) spendere ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni alla settimana, e il momento di odio omicida verso la nonnina rompipalle in coda l'abbiamo sperimentato tutti. ok, mi piace tutto, tutto fantastico, interessante e azzeccato. ma se dobbiamo puntare tutto su questa metafora allora mi sembra che sia un po'... floscia? nel senso: cosa aggiunge a quello che sappiamo, viviamo e sperimentiamo ogni giorno? quale nuova chiave di lettura dà al nostro quotidiano?


se invece vogliamo prenderlo come una bella storia splatter piena di robe disgustose, una sorta di messa in scena dei pensieri che il 90% di noi ha fatto almeno una volta nella vita mentre spreca la sua esistenza in coda per pagare i surgelati (sulle note de i sogni son desideri), allora va molto meglio ma.
ma.
ragazzi, io lo so che sto per dire una cosa brutta, ma la devo dire.
non ne posso più di 'sti disegni lisergici - surreali - stile originalissimo - dinamici - espressivi - palette acide e coraggiose eccetera. non ne posso più di 'ste vignette che per capire che diamine sto guardando, se è una mano o un asparago brutto ci devo perdere tre minuti interi.
e io la parte splatter non me la sono goduta perché tempo di decifrare cosa stavo guardando era già passato l'effetto shock dell'acquirente mutante.
sarà che sono vecchia ormai, che non capisco più l'arte né il fumetto, che ne so. però davvero, basta. non è che serva essere dei preraffaelliti, per carità, però se non capisco cosa succede mi perdo il piacere della lettura. e dire che i disegni di stelle o sparo mi erano piaciuti moltissimo.

ecco, questo è il problema - mio, personalissimo: non c'ho trovato nulla di troppo profondo e nemmeno nulla di troppo divertente, è stato solo confuso e difficile da seguire e non mi ha lasciato nulla in più di quello che potevo pensare prima.
il che mi spiace tantissimo perché nova mi aveva conquistata con il suo primo libro.

aspetto il terzo sperando di cambiare idea di nuovo.

lunedì 27 settembre 2021

stargazing

è per questo che sono così diversa dagli altri. in realtà sono un essere celeste, come quelli nei miei quaderni. presto penso che verranno a prendermi, così sarò di nuovo con la mia gente. così andrà tutto bene.

dopo il principe e la sarta, bao publishing porta in italia un'altra opera di jen wang che parla di amicizia, di crescita e di sogni da realizzare. stargazing è una storia più semplice e intima - ispirata all'infanzia dell'autrice - in cui però è facile ritrovare lo stile e le atmosfere che ci avevano fatto amare così tanto la storia di frances e sebastian.


questa volta le protagoniste sono due bambine, entrambe di origine taiwanese e figlie di emigrati negli stati uniti, christine hong e moon li.
christine è una ragazzina un po' introversa, divisa tra scuola e lezioni di violino, brava e diligente in quello che fa senza mai però riuscire a emergere troppo. la sua vita tranquilla e un po' monotona viene stravolta il giorno in cui i suoi genitori decidono di affittare la casetta sul retro - dove prima viveva il nonno di christine - alla mamma di moon, che si trova in un momento di difficoltà economiche.
christine ha già incrociato moon e il carattere espansivo e vivace della nuova arrivata ha già dato modo a parecchi di spettegolare su di lei: c'è chi dice che sia violenta e che questo sia il motivo per cui ha dovuto cambiare scuola, chi insiste sul fatto che la sua famiglia sia povera, chi, più in generale, la considera una stramba. e in realtà anche christine, quando scopre che moon andrà ad abitare proprio dietro casa sua, non è troppo entusiasta, ma le cose cambieranno molto più rapidamente di quanto ci si sarebbe aspettati.


nonostante i timori iniziali, christine si lascia coinvolgere subito dall'espansività di moon, scoprendo di avere gli stessi gusti in fatto di musica, facendosi trascinare in coreografie e balletti che non avrebbe mai azzardato da sola e perdendosi nelle fantasie della nuova amica, nei disegni di figure magiche in volo che lei raccoglie nei suoi quaderni.
moon riesce facilmente a inserirsi nel gruppo di christine, quasi interamente composto di bambini di origine asiatica, e a sfatare tutti i miti che aleggiano su di lei. è aperta e sincera e ci vuole poco a capire che non è affatto la bambina violenta e strana di cui avevano sentito parlare prima di conoscerla.

così passano i giorni, il legame tra christine e moon si fa sempre più stretto e christine scopre una se stessa che non avrebbe neppure immaginato, una versione di sé più libera dagli schemi e dalle convenzioni, capace di divertirsi e persino di permettersi qualche piccola, innocente trasgressione.
eppure pian piano, christine inizia a sentirsi divisa in due: da una parte c'è l'affetto e l'ammirazione per moon, dall'altro sente che il suo cambiamento - che si riflette in qualche voto non brillante a scuola e in qualche occhiataccia di troppo da parte di suo padre - non la soddisfa totalmente, allontanandola troppo dall'immagine che aveva costruito di se stessa, una se stessa molto più diligente, lontana dalle fantasticherie e dai sogni ad occhi aperti di moon.
se christine inizia in qualche modo ad allontanarsi e a cercare di risolvere questo suo piccolo dramma interiore, moon invece sembra non accorgersi di quello che sta succedendo alla sua amica fino a suscitare in lei persino gelosia, dandole l'impressione che quel rapporto a due non sia in fondo così importante come christine pensava.
e il giorno in cui christine, arrabbiata, triste e impaurita, tradisce la fiducia di moon per paura di essere tradita e ferita a sua volta, si scatena qualcosa di totalmente inaspettato e molto più grande di quanto due bambine avrebbero mai potuto immaginare.


stargazing è la storia di due ragazzine che si rivolge principalmente a un pubblico molto giovane ma non per questo pecca di superficialità, anzi, se la leggerezza è non avere macigni sul cuore, si può tranquillamente dire che jen wang riesce a raccontare con leggerezza e senza alcuna retorica una storia difficile, tanto più quanto è davvero ispirata a un episodio fondamentale della sua infanzia.
christine e moon, nonostante le incertezze, le paure, la difficoltà di mettere a fuoco i propri sentimenti e di cominciare, pian piano, a crescere, accettando di poter sbagliare, di poter ferire qualcuno a cui si vuole bene e di poter essere feriti da chi si vuole bene, riescono a superare insieme il più difficile dei momenti, a dare un senso alle loro paure e ai cambiamenti, perdendosi forse per un attimo ma ritrovandosi poi più legate e forti di prima.

martedì 21 settembre 2021

io sarò il rovo

camminare fa bene ai pensieri, li accorda, li raccoglie nel cuore. allora è come se respirassero: diventano pensieri-passo, pensieri-terra, pensieri-albero, pensieri-cielo. [...] salgo al bosco. in un pomeriggio estivo mi accompagna freak, il vecchio cane; zoppica, ma non cede e, a volte, io credo, bisognerebbe provare la semplice fedeltà degli animali che vogliono solo quel poco d'attenzione per essere felici. [...] mentre camminiamo gli racconto una storia nella lingua di coloro che si amano. lui annusa, scorge tutto quello che dico, perché i suoi sensi sono ancora superiori ai miei.

dietro il velo dell'ordinato, categorizzato mondo dell'ogni-cosa-a-suo-posto, la fiaba taglia vincoli e fa cadere ogni barriera e la penna di francesca matteoni si intinge in quel calamaio di misteri, racconti popolari, sogni e archetipi per mettere nero su bianco le storie contenute in questa raccolta.
io sarò il rovo è un libro difficile da rendere in poche parole, pagina dopo pagina trova nuove soluzioni all'idea di fiaba e di poesia, gioca sul confine tra immaginazione e ricordo, tra un passato lontanissimo nel tempo e un presente appena visibile con la coda dell'occhio.

boschi e torrenti camminano verso i confini del mondo, volpi danzano sotto le stelle, bambine riemergono dai ricordi, amore e violenza intrecciano le stesse anime in cento vite differenti di uomini e donne, di fratelli e sorelle, di animali e di vegetali.
paesaggi e passi riportano alla mente favole dell'infanzia, altri raccontano il bosco e i cieli e il fondo del mare, il mondo tutto come un immenso essere vivente in cui ogni vita è collegata e in cui ogni racconto, ogni storia è, attraverso le parole - scelte con cura, eleganti, dense di significato - quella magia che scorre e alimenta tutto come un intricato sistema di arterie e vene.

se le fiabe sono state il modo per rendere innocua una saggezza antica, per tramandare i suoi messaggi sotto una scorza apparentemente innocua, una roba per bambini, in io sarò il rovo la scorza rivela un contenuto affascinante e misterioso, dolce e terrificante.
è bello il silenzio che non tace mai, si svuota di lingue umane. è bello essere appena separati dal paesaggio, attraverso il telo sottile che si modella sotto la pressione dei miei arti. mi addormento.
nel sogno esco dallo spazio erboso. annuso, raspo, premo la faccia nelle piante, ho fame. mi guardo le mani che si ispessiscono e terminano in zoccoli [...] grugnisco, poi sbuffo. sono io il cinghiale, ora. a chi appartengono i pensieri?
non c'è spazio per alcun finale morale e costruttivo, nessuna concessione alle convenzioni, l'insegnamento è più che altro una presa di coscienza lenta e silenziosa, la scoperta di quell'unione senza soluzione di continuità tra realtà e immaginazione, poesia e quotidianità, tra ogni essere vivente senza distinzione di specie. ed è per questo forse che la lingua si arricchisce non solo nella forma ma anche nella profondità dei messaggi e dei significati, come se ogni parola fosse più di se stessa, più del suo significato, come se ogni elemento della storia fosse ciò che è e anche simbolo di qualcosa di più, per poter dire quello che è impossibile dire, articolare in un suono o imprigionare in glifi sulla carta.
leggere questo libro va oltre il piacere di abbandonarsi ai racconti o di lasciarsi cullare dal ritmo delle parole, arriva a sfiorare la sensazione di restare sospesi su un confine che sono in realtà molti e da lì cogliere il fluire di quel mondo magico che abita a un passo da ciò che riusciamo a percepire.

lunedì 2 agosto 2021

dentro una scatola di latta

si tratta di annullare la distanza tra esperienze umane, sensoriali, e esperienze metafisiche, capisci? devi mettere da parte la fiducia nella fisica conosciuta. io ti parlo di poter sovvertire lo spazio e il tempo! se non ne sei convinto, è meglio rinunciare.

un morto ammazzato e una famiglia sterminata da un virus misterioso.
l'anonima, squallida provincia innevata in cui si muove il commissario marte è tormentata da un serial killer brutale e da ondate di pandemia che terrorizzano i suoi abitanti, un pezzetto di mondo che, come tutti gli altri, è devastato dai cambiamenti climatici e da relazioni umane che scivolano dal grottesco al penoso.

marco galli ci mette davanti, fin da subito, a una serie di elementi che ci fanno pensare al più classico dei noir, a quei polizieschi in cui è fin troppo facile indovinare chi è l'assassino, quelli che ti fanno pensare che la vera sorpresa sarà scoprire il perché e non chi. ma poi, poco alla volta, la narrazione assume toni sempre più surreali e allucinati, le certezze vengono ribaltate in modo quasi disturbante e i particolari che avevamo inizialmente ignorato iniziano a saltare all'occhio, diventando ossessivi, prime tra tutti le tappezzerie opprimenti di ogni interno, stanze cupe e asfittiche che contrastano con il bianco e il grigio quasi bidimensionali degli esterni e con la luminosità irreale del finale.


se alle pandemie e alle tute anti-contagio ci siamo ormai abituati (anche se il fumetto è stato in realtà scritto e disegnato nel 2012, cosa che aggiunge un tocco di inquietudine ulteriore a tutta la storia), le tecniche che permettono un interrogatorio altrimenti impossibile cui si affida la polizia sono uno dei tanti aspetti perturbanti di questa storia.
quello che più disturba è l'impossibilità di comprendere fino in fondo tutto quello che succede. il ruolo della moglie e, ancor più, del figlio di marte nell'intera vicenda è assolutamente inspiegabile, per quanto fondamentale sia. e poi un paio di scelte stilistiche rendono ancora più complesso per il lettore riuscire a capire cosa stia succedendo: ad esempio non ci sono onomatopee, capiamo che c'è un rumore solo se qualcuno lo dice espressamente, e le luci cambiano solo in un paio di sequenze, due scene si illuminano di un rosso innaturale e ci lasciano col dubbio se abbiamo appena assistito a un sogno, un'allucinazione, un salto temporale, o vattelapesca. se a marte viene chiesto di accettare di mettere da parte la fisica conosciuta, ai lettori è imposto invece di rinunciare ad avere una visione chiara di quello che succede, di arrendersi all'idea di non avere molte risposte alle troppe domande che la lettura di dentro una scatola di latta pone pagina dopo pagina. un paio di sequenze - senza troppi spoiler, solo per chi l'ha letto, sto parlando del dialogo con il medico e della scena con la bacinella - sono assolutamente criptiche - oppure sono scema io e non sono riuscita a capirle nemmeno dopo averle lette e rilette e rilette - eppure sembrano essere i nodi centrali e fondamentali di tutta la vicenda.


questa resa all'incomprensione è - nonostante la crudezza di un paio di scene, nonostante i volti impietosamente segnati e ai corpi cascanti e insani, nonostante i colori spenti che danno a tutto il racconto un'atmosfera insalubre e asfissiante - la parte più crudele della storia.
se una soluzione difficile da trovare ma comunque presente poteva essere il punto di forza di una trama altrimenti banale, non avere alcuna risposta, trovarsi anzi con tantissime domande fino all'ultima pagina rischia di trasformarsi da stimolo di riflessione a motivo di frustrazione per il lettore. il troppo stroppia, per dirla brevemente.
insomma, la storia funziona, gli elementi misteriosi e disturbanti la rendono qualcosa in più di un normale poliziesco ma forse dare qualcosa in più al lettore, non lasciarlo completamente in balia delle sue interpretazioni sarebbe stata, almeno per quello che mi riguarda, una scelta migliore.
se però vi va di leggere un incubo che continuerà a rotolarvi in mente per giorni e giorni, allora avete trovato il libro perfetto.

lunedì 19 luglio 2021

il silenzio delle ragazze

 c'è una cosa di cui sono certa: non vorranno che gli si mostri la brutale realtà della conquista e dell'oppressione. non vorranno sentire le storie di uomini e bambini brutalmente uccisi, di donne e fanciulle ridotte in schiavitù. non vorranno sapere che vivevamo in un campo di stupro. no, vorranno qualcosa di più delicato. una storia d'amore, magari? spero solo che capiscano chi erano gli amanti. la sua storia. sua, non mia. e finisce qui, dove c'è la sua tomba.

Il solo Atride,
Ei solo è reo, che voi per la fanciulla
Brisëide qui manda. Or va, fuor mena,
Generoso Patróclo, la donzella,
E in man di questi guidator l’affida.
Ma voi medesmi innanzi ai santi numi
Ed innanzi ai mortali e al re crudele
Siatemi testimon, quando il dì splenda
Che a scampar gli altri di rovina il mio
Braccio abbisogni. Perocchè delira
In suo danno costui, ned il presente
Vede, nè il poi, nè il come a sua difesa
Salvi alle navi pugneran gli Achei.
Disse; e Patróclo del diletto amico
Al comando obbedì. Fuor della tenda
Brisëide menò, guancia gentile,
Ed agli araldi condottier la cesse.
Mentre ei fanno alle navi achee ritorno,
E ritrosa con lor partía la donna,
Proruppe Achille in un subito pianto [...]
(iliade - libro I)

Di beltà simigliante all’aurea Venere
Come vide Brisëide del morto
Pátroclo le ferite, abbandonossi
Sull’estinto, e ululava e colle mani
Laceravasi il petto e il delicato
Collo e il bel viso, e sì dicea plorando:
Oh mio Patróclo! oh caro e dolce amico
D’una meschina! Io ti lasciai qui vivo
Partendo; e ahi quale al mio tornar ti trovo!
Ahi come viemmi un mal su l’altro! Vidi
L’uomo a cui diermi i genitor, trafitto
Dinanzi alla città, vidi d’acerba
Morte rapiti tre fratei diletti;
E quando Achille il mio consorte uccise
E di Minete la città distrusse,
Tu mi vietavi il piangere, e d’Achille
Farmi sposa dicevi, e a Ftia condurmi
Tu stesso, e m’apprestar fra’ Mirmidóni
Il nuzïal banchetto. Avrai tu dunque,
O sempre mite eroe, sempre il mio pianto.
(iliade - libro XIX)

eccola briseide nell'iliade.
è la causa scatenante di tutta la vicenda narrata dal poema, la seconda donna, dopo elena, ad avere un peso fondamentale per le sorti di due popoli, quello greco e quello troiano. la incontriamo subito nel primo libro, è condotta dai servi di achille agli araldi di agamennone, non parla, non fa nulla, è solo ritrosa. achille piange, ma non per lei, piange per l'affronto subito, piange perché gli stanno togliendo una cosa.
e torna poi sul corpo di patroclo, a raccontare, in solo otto versi, tutta la sua storia e le sue speranze di smettere di essere cosa e tornare a vivere come donna.
briseide, come elena, ha un ruolo decisivo ma uno spazio minuscolo nel poema, così come tutte le altre donne: non c'è spazio per le loro azioni, per le loro storie, per le loro vite, i loro sentimenti, i loro pensieri.

come avevamo visto già per circe di madeline miller (non so in realtà quale dei due libri sia uscito prima, ma questo è l'ordine in cui li ho letti, e ancora prima qui vi avevo parlato di nausicaa, fumetto di bepi vigna e andrea serio) e prima ancora in medea e cassandra di christa wolf, figure femminili di grandissima importanza nelle opere fondanti della tradizione letteraria occidentale, relegate per secoli a essere poco più di comparse, oggetti di scena o espedienti narrativi, prendono finalmente la parola, e raccontano la storia dal loro punto di vista.

la storia di briseide comincia qui con l'urlo di guerra di achille. i greci stanno attaccando lirnesso, la voce di achille, riconoscibile tra tutte, si avvicina sempre di più.
nell'orrore generale, achille si distingue per la sua brutalità. per mano sua, briseide vede morire i suoi fratelli.
mentre uccide il più piccolo di loro, poco più di un bambino, briseide, rifugiata con le altre donne in una torre, sente lo sguardo di achille su di sé. achille, l'eroe noto per il suo valore immenso, cantato e lodato da tutti, non è altro che un macellaio per lei e le altre. sanno cosa le attende e non ci vorrà molto, dopo la caduta della città, perché briseide venga data in dono proprio a colui che le ha sterminato la famiglia, e così succede a molte altre delle sue compagne.

è dura la vita di una donna, quando la sua città soccombe ai nemici dice priamo a un certo punto della storia e briseide, per tutto il tempo, non fa che illustrarci al meglio cosa sottintendono le parole del vecchio re: alle donne non resta altro che soddisfare i capricci dei vincitori, schiave fuori e dentro ai letti. il destino migliore che si possano aspettare è di essere il premio di qualcuno di abbastanza importante, di uno degli eroi, altrimenti sono date in pasto a tutto l'esercito.

le donne troiane, schiave nel campo greco, sono le uniche a conoscere le debolezze dei loro padroni e ci restituiscono di loro un ritratto completamente diverso da quello che siamo soliti immaginare, anche quando non solo di debolezza si tratta: le lacrime di achille, ad esempio, le vediamo spesso in tutto il poema di omero, ma la sua crudeltà, la sua rabbia continua, quello è qualcosa che solo briseide riesce a cogliere, lei è l'unica che osa dare loro il giusto nome, anche se lo fa solo nella sua mente, nessun altro ne avrebbe il coraggio, nascondendosi dietro un rispettoso timore reverenziale.
un altro compito - dice briseide - è quello che viene riservato a lei e alle altre donne: mantenere la memoria nonostante i morti, nonostante le città distrutte, nonostante ogni bene sia stato depredato e adorni adesso la tenda di qualche generale, privato della storia che portava con sé, che sia una tunica ricamata da una figlia per il proprio padre o la collana che una madre portava come pegno d'amore.
alle donne troiane è affidato il passato dei popoli distrutti e il dovere di trasmetterlo, perché qualcosa di loro continui a rimanere, nelle storie, nei canti, negli incubi di chi ha tolto loro ogni cosa.

la vicenda narrata da briseide comincia prima dell'inizio dell'iliade così come la narra omero e si conclude dopo, ripescando le parole di euripide nelle sue troiane e nell'ecuba: è la sua storia ma è la storia di tutte le donne sconfitte, del loro modo - nobile o meschino che sia - di cercare di sopravvivere nell'inferno in cui sono cadute. pat barker più volte le fa ripetere che il loro comportamento potrebbe apparire di comodo a volte, che non tutte difendono il loro orgoglio come dovrebbero ma - e questo è il punto fondamentale - briseide risponde a queste accuse che parlano nella sua testa: se non sei mai stato schiavo, se non sai cosa vuol dire essere cosa e non persona, allora non puoi capire.
ma la storia è anche quella di achille, l'uomo che briseide odia ma al quale è ormai indissolubilmente legata. è attorno a lui che ruotano le loro vite, anche dopo la morte, quando il sangue di polissena bagna il tumulo di terra che ricopre le sue ossa, ultimo tributo dovuto al più grande degli eroi, al peggiore degli assassini.
le scene del campo di battaglia, quelle sulle mura di troia, non sono riportate: lo sguardo di briseide è confinato nel campo greco, non conosce altro, neppure gli dei sono presenti nel racconto, il solo mondo di cui parla è quello delle schiave e dei padroni, delle amare memorie del passato perduto e dell'orrore sanguinolento del presente.
mi ha fatto pensare questa assenza del divino: briseide è, nel mito, la sacerdotessa di apollo. nell'opera di barker invece non si fa alcun riferimento a questa cosa e, come dicevo, non ci sono dei (l'unico riferimento è inizialmente quello ad apollo, invocato per vendicare crise, ma effettivamente la peste si diffonde senza che l'intervento divino sia necessario). mi è sembrato un modo per sottolineare che tutta la responsabilità della guerra - e questa è forse la differenza più forte col poema omerico, oltre quella ovviamente del punto di vista femminile - sia solo ed esclusivamente umana. l'assenza degli dei sottolinea l'importanza della volontà umana e non dà scampo dalle proprie colpe.

da quando questo libro è stato pubblicato ho letto in giro critiche su un presunto femminismo spiccio e semplicista, e ammetto che questo è stato il motivo per cui ho rimandato di tanto l'acquisto.
dopo averlo letto posso rispondere che sinceramente mi sembrano un mucchio di cazzate, che non c'è nessun femminismo spiccio e semplicista e che molte di queste critiche mi sembrano solo un'enorme voglia di decontestualizzare e di colpevolizzare, sempre e comunque, le vittime.
quello che viene rimproverato a pat barker è di aver stigmatizzato gli uomini come crudeli stupratori e assassini e le donne come vittime, a cui ogni cosa viene giustificata solo per il fatto di essere schiave. nessuno - e nessuna - sarebbe più di questo per l'autrice.
momento di pausa. rileggete le ultime due frasi sopra. fatto? bene.
gli uomini protagonisti del libro sono soldati. sono l'esercito acheo, sono l'esercito di agamennone, l'uomo che ha fatto sgozzare la propria figlia perché il vento fosse favorevole alle sue navi (non so se è chiaro il tipo di personaggio, ma mi pare abbastanza). i soldati greci combattono, conquistano, saccheggiano e distruggono tutto ma non in quanto maschi-cattivi, in quanto soldati. i soldati fanno la guerra, la guerra è questo, letteralmente un macello, non una partita di risiko. e i greci - e non solo ai tempi di agamennone - sono un popolo che contempla pienamente la schiavitù: cosa c'è di più ovvio che trattare uno schiavo come un oggetto? e cosa c'è di più ovvio, se lo schiavo è una schiava, di stuprarla ogni volta che se ne ha voglia?
il comportamento degli uomini in questo romanzo non ha semplicemente a che fare con il loro sesso, la loro natura non si esaurisce esclusivamente con la definizione del loro genere, è un comportamento coerente con una cultura di un certo tipo e con un momento e un luogo particolare: il campo militare fuori da una città sotto assedio durante una guerra lunga dieci anni, nel XII - XI sec. a. c..
pat barker non critica nessun uomo in quanto uomo, definisce semplicemente i soldati achei per quello che sono: guerrieri, assassini e stupratori che non hanno alcuna pietà per le loro vittime.
barker sa però riconoscere il rispetto di alcuni uomini per altri, l'amicizia sincera tra achille e patroclo (mi spiace molto per le fangirl che volevano il momento gay tra loro ma per il modo stesso in cui è impostata la struttura della narrazione - cioè la voce narrante di briseide, che certo non avrebbe avuto l'accesso al letto dei due - sarebbe stato impossibile), il dolore di achille per l'abbandono da parte di teti e il suo amore per il padre, che si rispecchia poi nel rispetto e nella pietà per priamo.
barker sottolinea spesso il buon cuore di patroclo pur ricordando, attraverso i pensieri di briseide, che nonostante la sua gentilezza, anche patroclo ha ucciso, devastato, stuprato. anche priamo è, per quanto la sua parte nella scena sia breve, una figura sfaccettata, capace di provare pena per briseide e però consapevole di non poter infrangere le leggi per farla fuggire. nonostante la loro brutalità, molti capi achei - e anche alcuni dei loro sottoposti - sono mostrati nella loro totalità, nelle loro contraddizioni anche, senza nessun appiattimento al modello maschio = cattivo.
certo, c'è tra i soldati greci un'esaltazione della virilità, di una virilità aggressiva e predatoria, che si esplicita tutta nella dominazione e nella violenza, ma torniamo sempre al punto di partenza: cosa vi aspettavate da un campo militare di più di trenta secoli fa? che facessero sciarpine all'uncinetto in vista dell'inverno?
alle donne troiane nel campo viene invece rimproverato di essere sì vittime, ma non immacolate e piangenti, sia mai che una donna sofferente faccia altro che contemplare - preferibilmente con delicatezza ed eleganza - il proprio dolore.
no, non sono questo. e le poche ragazze troppo giovani per non essere delle ingenue - come criseide - sono doppiamente vittime, oggetto di pena persino per le donne più adulte, per quanto accomunate dalla condizione di schiave. ognuna di loro usa tutti i mezzi a sua disposizione per sopravvivere a quell'inferno, che sia rimanere incinte e sperare di essere sposate e dunque liberate o che sia obbedire placidamente per non subire ritorsioni.
non sono molti i sentimenti di amicizia che si instaurano tra loro, ognuna è sola nella propria disgrazia e non combatte per nessuno se non per se stessa e per i propri figli. i momenti di solidarietà tra loro ci sono, certo, sono anche molto intensi, ma nessuna può fare nulla più che regalare alle altre un momento di consolazione. e anche qui: che altro avrebbero dovuto fare? nessuna donna, neanche una donna libera, neanche una regina, in quel contesto ha potere sugli uomini, figuriamoci una schiava su un re nemico. l'unica forma di resistenza concessa è sopravvivere e ricordare.

il silenzio delle ragazze in definitiva è, a mio avviso, un romanzo bellissimo che non solo non tradisce le fonti letterarie ma che anzi si inserisce pienamente in quel discorso iniziato proprio da euripide che mette al centro, finalmente, le vittime e concede loro parola.
non so se lo si può definire femminista o no: sicuramente sarebbe assurdo pensare a una briseide femminista, la guerra di troia si svolge tra il XII e l'XI secolo a.c. e non stiamo nemmeno a specificare la necessità di una contestualizzazione. sicuramente è fondamentale che pat barker dia voce alle donne, a quelle che per loro natura dovevano - e hanno dovuto per molti secoli dopo - stare zitte, subire e sopportare a volte vite intere di violenze, di essere reificate e trattate come merce anche quando erano donne libere o figlie di re, ma come detto, non è certo stato lei la prima a farlo, non sarà l'ultima e il fine non è quello di dimostrare una qualche forma di uguaglianza o dar voce a una rivendicazione politica di qualsiasi tipo. l'unico momento in cui riescono a prendersi una piccola rivincita è quando sono libere di ridere sul cadavere di uno dei loro aguzzini: solo qualche risata sommessa, qualche sguardo lontano dal controllo maschile, più di questo non solo non era permesso, ma non sarebbe stato credibile da provare a ottenere. saggiamente, pat barker riporta la rabbia di briseide per quello che deve sopportare in quanto donna, ma non la spinge mai oltre questo, sarebbe stato troppo fuori luogo e decontestualizzato.

se proprio dobbiamo affibbiare un'etichetta a questo romanzo, allora possiamo definirlo antimilitarista e pacifista: prima ancora che una lotta tra i sessi, è l'orrore della guerra a emergere con forza, sono le voci e le storie delle vittime quelle che risuonano più forti, insieme a quelle degli uomini, a volte poco più che ragazzini, uccisi sui campi di battaglia.
manca la poesia, manca l'idea della bella guerra: il campo di battaglia è solo terra infertile bagnata di sangue, merda e fango, non c'è spazio per i nobili duelli, solo per la miseria dei corpi straziati, i lamenti dei feriti, il putridume dei morti. barker toglie all'epica omerica il suo aspetto più caratteristico, quello del combattimento come qualcosa di bello e nobile e lo svela per quello che è, un groviglio di uomini che per motivi assurdi - una donna rapita al marito da un altro uomo - soffrono, uccidono e muoiono nei peggiori modi possibili, e chi riesce a sopravvivere fino alla vittoria, ha solo da versare altro sangue, quello di chi in campo non c'è nemmeno arrivato.
donne, vecchi, bambini, giovani soldati senza nome, tutti loro sono dimenticati a beneficio di pochi campioni, le loro storie spazzate via dalle gesta dei grandi re. per mezzo delle donne di questo racconto tutti loro gridano il loro diritto a non essere dimenticati.

lunedì 12 luglio 2021

nessun rimorso ~ genova 2001 - 2021

non è stato sufficiente reprimere, imprigionare, uccidere, ferire, distruggere la vita di attivisti e attiviste. non è stato sufficiente ingigantire a dismisura l'apparato punitivo nei confronti di ogni comportamento che mettesse in discussione l'accettazione dello stato di cose presenti, sfociando nel paradosso per cui una barricata in piazza vale cinque anni di galera, mentre aver ammazzato decide di persone in una fabbrica per il proprio guadagno non vale nemmeno un processo (o, per vederla con genova, nel paradosso per cui una vetrina rotta necessita il risarcimento di decine di anni di vita di militanti mentre la vita di carlo è un danno collaterale). tutto ciò non bastava a garantire che la storia andasse in una precisa direzione. è stato necessario liquidare l'idea stessa che il conflitto faccia parte della società e della storia stessa, che la dialettica tra forze e necessità contrastanti sia la dinamica essenziale dello sviluppo storico (progressivo o regressivo che sia, a seconda del punto di vista dei protagonisti della narrazione). solo dopo aver convinto tutti a desistere, che un pacato e civile confronto di opinioni sia l'unica prospettiva politica accettabile, il vero progetto di normalizzazione della società poteva dispiegarsi in tutta la sua forza e nella sua vera natura: quella di uniformazione del mondo che ci circonda, delle nostre vite e della loro prospettiva all'unico obiettivo accettabile, quello di essere schiavi per alcuni e quello di essere padroni per altri. schiavi felici e sazi, ma sempre schiavi.

da quando sto sui social, ogni estate è un fioccare di articoli sui fatti di genova, sulla diaz, bolzaneto, carlo giuliani, i processi ai manifestanti, le vergognose promozioni alle forze dell'ordine, le litigate online con i soliti cretini che se andava a mare non sarebbe morto eccetera eccetera.

io a luglio del 2001 c'avevo quattordici anni e, manco a dirlo, non avevo nessun modo di arrivare dall'altra parte del paese per partecipare a una manifestazione sulla quale avevo anche le idee abbastanza confuse, sapevo chi erano i buoni e chi i cattivi, sapevo da che parte sarei stata, ma è andata a finire che quello che successe a genova lo seguii attraverso i tg, incollata tutto il tempo alla tv (niente internet 24h/7 all'epoca) a rimpiangere di non avere qualche anno in più e di non essere lì, perché lì - questo mi era chiarissimo - si stava facendo la storia e io in qualche modo avrei voluto esserci.
non so quanto sarebbe tornato indietro di me se fossi andata veramente, probabilmente poco e messo male, quindi, da un certo punto di vista, meglio così.


ho sempre dato per scontato che quello che successe in quel luglio di vent'anni fa fosse noto a tutti, che tutti fossero informati sui fatti, che tutti avessero delle opinioni in merito. l'anno scorso, dopo il solito rituale della condivisione di articoli su facebook e instagram, mi contattano alcune colleghe della triennale (per chi si fosse perso la cosa: ho fatto un altro corso all'università iniziando a trent'anni, quindi tra me e le mie colleghe c'erano circa dieci/dodici anni di differenza) per chiedermi che cosa diamine fosse successo a genova nel 2001, perché non ne avevano mai sentito parlare.
la cosa mi ha scioccata tremendamente. mi sono chiesta come fosse possibile che ragazze colte e intelligenti, che leggono, si informano, vanno all'università eccetera, non sapessero assolutamente nulla di nulla di quello che era successo quando loro erano bambine.
certo, io non ho memoria diretta di cose come la caduta del muro di berlino, il massacro del rwanda, la guerra in jugoslavia o la morte di falcone e borsellino, di alcuni ho ricordi molto confusi perché ero piccola, però so di che si parla.
cos'è successo allora con i fatti di genova? perché i ventenni di adesso sono così poco informati?
dando un'occhiata fuori dalla mia bolla, accendendo un tg ad esempio, quanto sentite parlare di quello che successe all'epoca? e in che modo?
ecco, il punto è questo: la memoria di quei giorni rischia di perdersi, non bisogna nemmeno aspettare chissà quale divario generazionale perché le immagini delle cariche della polizia o dei ragazzi pestati per strada perda di significato: sono passati appena vent'anni e di genova ce ne ricordiamo solo noi, quelli che c'erano, quelli che stavano come me incollati alla tv o andavano in edicola a raccattare tutti i giornali possibili, quelli che ne parlavano nei collettivi studenteschi, quelli che insomma, nel 2001 erano abbastanza grandi da capirci qualcosa e ancora non abbastanza vecchi da non sapere con certezza da che parte stare.


in quest'ottica il libro di supporto legale, nessun rimorso ~ genova 2001 - 2021, è un libro prezioso, un mezzo che ha tutto il potenziale per arrivare a chi nel 2001 stava ancora a gattonare con il pannolone o a chi non era nemmeno nato.
il libro è nato dalla collaborazione di supporto legale - progetto nato nel 2004 per sostenere la difesa dei tantissimi manifestanti di genova portati in tribunale e che sta lavorando a un documentario proprio per il ventennale dei fatti del 2001, finanziabile tramite crowdfunding qui (tra le ricompense anche questo libro) - e trentasei fumettisti tra cui maicol e mirco, nova, martoz, marta baroni, daniel cuello, rita petruccioli, zerocalcare e tanti altri.
un mezzo, il fumetto, che riesce ad arrivare a un pubblico enorme, soprattutto a un pubblico giovane, a quello che è fondamentale non dimentichi.


questo libro è prezioso perché genova non si deve dimenticare. chi era andato a manifestare a genova chiedeva un sistema economico mondiale più giusto, meno globalizzato, un sistema che non si reggesse sulla sopraffazione dei paesi più deboli e sullo strapotere di un occidente sempre più chiuso nei suoi confini, chiedeva attenzione per le problematiche ecologiche, chiedeva insomma di non farci arrivare dove siamo arrivati adesso.
e probabilmente, se ci siamo arrivati, è perché tutto questo a genova (e un paio di anni prima a seattle) è stato zittito a sprangate, calci e filastrocche fasciste, è stato fatto annegare nel sangue, è stato distrutto nelle aule di tribunale in cui chi ha rotto una vetrina ha pagato più di chi ha massacrato e ucciso.


avevamo ragione noi, lo leggiamo all'infinito da vent'anni ovunque ma non credo che sia una frase vuota: credo che l'eredità del movimento no-global sia adesso dei tanti gruppi di attivisti internazionali - da friday for future a no justice no peace alle varie ong che si occupano dei salvataggi in mare ai gruppi come non una di meno per i diritti delle donne e delle minoranze lgbt+ - credo che sotto il sangue della macelleria messicana di quei giorni qualcosa di buono sia rimasto, un seme che negli ultimi anni sta ricominciando a mettere radici e a sbocciare e che ha il dovere di arginare tutto il resto che è rimasto di quei giorni, dalla sicurezza di impunità di cui si ammantano le forze dell'ordine e le loro violenze che non si sono mai fermate allo strapotere dei pochi che continuano ad avere in mano il destino di tutti, anche se non costringono più nessuno a ritirare le mutande stese ad asciugare dai balconi sotto cui camminano.


qualche link utile se volete informarvi sui fatti del luglio 2001:
- movimento no-global (pagina wikipedia)
- la trappola (documentario)

(se avete altri link interessanti da segnalare mandatemi un messaggio via mail o sui vari canali social)

mercoledì 23 giugno 2021

mi stai ascoltando?

quando succede qualcosa di terribile o qualcosa di meraviglioso... qualcosa di enorme, ti fa sentire come se le montagne si possano sbriciolare o il cielo possa scomparire...
sai di cosa sto parlando?

bea e lou si conoscono appena, tra loro ci sono quasi dieci anni di differenza, lou è una bravissima meccanica e lou invece non sa neppure guidare ma entrambe si ritrovano una sera in una stazione di servizio, spinte dalla stessa necessità: scappare il più lontano possibile.

il loro viaggio insieme comincia assolutamente per caso: lou non ha il coraggio di lasciare una ragazzina in fuga da casa da sola e bea non ha nessuno da cui andare o a cui chiedere ospitalità.
quasi forzate inizialmente, il loro viaggio on the road per un texas che si svela sempre più fantastico e irreale chilometro dopo chilometro le avvicina sempre di più, ma ad abbattere definitivamente i muri che hanno alzato per proteggersi sarà una gatta trovata per strada, che bea battezzerà diamond e che decideranno di salvare e riportare a casa, cercando l'indirizzo scritto sulla sua targhetta, dalla famiglia che sicuramente la starà cercando.
dall'incontro con diamond non soltanto le due donne riescono ad aprirsi e a confidarsi il motivo della loro fuga, ma l'intero paesaggio inizia a perdere sempre di più contatto con la realtà: il meteo cambia con una velocità incomprensibile e le due si ritrovano praticamente inseguite da dei tizi inquietanti che si presentano come dipendenti dell'ufficio per le indagini delle strade ma sono, per qualche misterioso motivo, interessati a diamond.


tillie walden mette in scena una storia che sa scivolare con grazia e naturalezza dal road trip al fantasy, due protagoniste che nel corso del viaggio cambiano, crescono, si aprono l'una all'altra, trovano il coraggio di parlare dei loro traumi e delle loro paure.
senza alcuna retorica, walden crea una bellissima metafora - a voi scoprirne qualcosa in più - della capacità di superare i momenti più difficili e saper creare da sé le proprie alternative, le nuove strade da percorrere per raggiungere finalmente la serenità.


dopo un esordio come su un raggio di sole non ci si poteva aspettare poco da un'autrice come tille walden ma anche questa volta mi stai ascoltando? supera tutte le aspettative.
speriamo che bao publishing annunci presto alone in space, uscito da pochissimo per avery hill publishing, una raccolta di storie che comprende le prime pubblicazioni dell'autrice, inedite e non, sketch e illustrazioni.

venerdì 18 giugno 2021

troppo facile amarti in vacanza

è facile prendersi una pausa da ciò che si è davvero, quando si sta in vacanza, ma poi basta ritornare a casa per ricominciare a farci i conti, sai?

troppo facile amarti in vacanza si apre con un paesaggio bellissimo: il colosseo, e poi tutta roma, senza un'anima viva per strada, solo alberi e cespugli e erba e rampicanti che si riprendono la città, pronti a trasformarla in una nuova angkor.
sembrerebbe uno scenario idilliaco ma la quasi totale assenza di esseri umani dà il primo allarme: dove sono finiti tutti? e perché?
ad aiutarci a rispondere alle nostre domande sarà linda, una ragazza che, insieme al suo cane, follia, sta per iniziare un viaggio senza ritorno per arrivare più lontana possibile da quel paese che non sente più proprio.
seguiamo linda e follia dal momento in cui lasciano casa nel loro viaggio verso nord, oltre i confini, viaggio nel quale incontreranno personaggi caricaturali, grotteschi, quasi assurdi, metafore incarnate di tutto quello che ha reso il paese l'orrore da cui linda vuole fuggire.


l'apocalisse è in atto ma non ci sono catastrofi naturali, alieni i zombie. è tutto molto peggio: nel futuro prossimo immaginato da giacomo bevilacqua la destra più estrema, bigotta e becera ha preso il potere e ha autorizzato - sulla falsa riga del famoso quindicesimo articolo della costituzione congolese («débrouillez-vous!») - chiunque ad agire secondo il proprio interesse, a chiudersi dentro casa, ad avere terrore del diverso e odio verso chiunque si possa definire altro.

sui muri delle varie città uno sconcertante faccione biondo e sorridente ripete «difendi il tuo orto», «procrea oggi», «diverso perverso» e «dio e famiglia» perché nemmeno per un qualche tipo di patriottismo è rimasto spazio, come se persino quello fosse un concetto troppo complicato da comprendere e un'idea troppo difficile da gestire per i politicanti di turno. che nessuna forma di riconoscimento sociale possa esserci, nessun gruppo, nessuna comunità, che nessuno possa pensare a qualcosa di più che al proprio - pardon - culo, perché più sei solo, chiuso in te stesso, più e facile controllarti e manipolarti, più è semplice tirare fuori da ognuno il peggio di sé.

il biglietto che linda lascia sulla porta di casa prima di partire

al viaggio di linda, che mi ha un po' ricordato quello del piccolo principe e i suoi strani incontri sui vari pianeti prima del suo arrivo sulla terra, si alternano i racconti di amar, le storie su sua madre e sulla sua infanzia.
amar vuol dire tranquillità ma in realtà lui, le sue parole, sono l'unico faro di speranza in mezzo a questo oceano di squallore e crudeltà.
se linda è lo sguardo arrabbiato, troppo stanco per continuare a sopportare tutto quello che non va e che continua a circondarla, lo sguardo di chi non trova altra soluzione se non lasciarsi tutto alle spalle e cercare una nuova vita altrove, amar è la speranza, la fede di chi crede che con il proprio impegno sia possibile - e necessario - migliorare il mondo in cui si vive.
è solo dall'incontro di tutti e due però che si può ottenere qualcosa: non basta essere arrabbiati e non basta avere buone intenzioni, serve che rabbia e speranza si fondano insieme per poter ottenere qualcosa di costruttivo, per poter distruggere quello che non va e ricostruire qualcosa di nuovo sopra le macerie.

quando il viaggio di linda è costretto a trasformarsi in una vacanza, è lui a insegnarle il senso vero dell'allontanamento: lasciarsi indietro le brutture quotidiane e quello in cui ci trasformano per mettersi a cercare altrove e dentro se stessi "le ragioni per tornare".