lunedì 31 maggio 2021

la porta del cielo

ave fenice stellare, prega per noi astronaute, adesso e nell'ora della nostra ascensione. amen.

non fatevi trarre in inganno dai colori della copertina e dalla compattezza di questo libro, la porta del cielo è capace di torcervi le budella e lasciarvi con l'amaro in bocca e un forte senso di claustrofobia e ansia ogni volta che tornerete a pensarci.
ana llurba esordisce con un romanzo breve e potente, definito - a ragione - femminista e new weird e che mi ha subito fatto pensare alle atmosfere di handmaid's tale, forse a qualcosa di meno complesso ma ancora più malsano e spaventoso.
l'edizione italiana è tradotta da francesca bianchi (challenger e ventuno) e ormai il mio cervello collega il suo nome con libri belli e strani che so mi piaceranno tantissimo. e infatti.

la storia di estrella e delle sue sorelline christa e judith è una storia di abuso e inganno, una storia che inizia con quella del comandante, l'unico personaggio maschile della storia.
in prigione per aver abusato della figlia minorenne, scopre e diventa seguace di un nuovo culto, una religione che adora divinità stellari che promettono la salvezza lontano dalla terra, un paradiso reale, localizzabile nella mappa celeste, corrispondente a betelgeuse, la stella più luminosa del cielo.
cacciato dalla setta per le sue idee troppo estremiste, con l'aiuto di una suora rapisce tre bambine piccolissime e le conduce all'astronave, istruendole sui pericoli del mondo esterno, distrutto dalla catastrofe, da fuoco e fiamme e veleni che rendono impossibile la sopravvivenza.

una delle bellissime illustrazioni di ambra garlaschelli

estrella racconta la sua storia dal fondo della fossa in cui è stata gettata per punizione, parla con gli scarafaggi e con la sua amica samantha, svela di avere in ventre il bambino che segnerà il secondo avvento, parla con convinzione del culto dei padri creatori, della salvezza e dei sacrifici che ha sopportato per poter un giorno lasciare la terra e ascendere fino al cielo.
tra le bambine si crea una strana forma di sorellanza, un rapporto che è frutto di tutta la violenza cui sono sottoposte ma che è forse l'unica consolazione possibile all'interno dell'astronave.

la realtà si intravede dietro il velo dell'inganno calato sugli occhi di queste bambine, abusate oltre l'inverosimile, rinchiuse e ingannate, e la loro incapacità di comprendere cosa davvero succede intorno a loro è forse uno degli aspetti più dolorosi di tutto il libro.

fa male, sì, ma fatevi un regalo e leggetelo perché è un esempio quasi magistrale di narrazione e perché può dare il via a una serie infinita di osservazioni sul rapporto tra religione e controllo patriarcale sulle donne, sui loro corpi quanto sulle loro menti.
e perché il finale vi scaraventerà in faccia un sacco di dubbi e domande su tutto quello che avete letto, su tutto quello che speravate, un finale crudele, ambiguo e in qualche modo geniale.

venerdì 28 maggio 2021

la casa capovolta

ogni mattina provava una sensazione strana come se la vita vera fosse da un'altra parte, per esempio a casa di laura, e lei stesse sospesa in un'anticamera, un luogo incerto, una specie di mondo dei sogni. le pareva di camminare nell'ovatta, e di non avere la percezione reale delle cose. e poi le bambole con le loro voci sottili la distraevano e finiva che non ascoltava suo padre o la maestra o qualcuno che avrebbe dovuto ascoltare. si rendeva conto delle situazioni sempre tardi come se dormisse o fosse in tutto le cose concrete rallentata e senza cervello. solo se c'era da seguire un ragionamento astratto si faceva attenta, si svegliava e smetteva di faticare: la terra delle idee stava al confine con il suo mondo dei sogni, in un posto da lì facilmente raggiungibile.

eva, le sue bambole, i suoi amici immaginari, sua madre e suo padre, e poi laura e la sua famiglia e i vicini, i loro vicini, le case di via madonna del latte e le vite che le animano e ancora più in là, il campo e l'uomo solo che abita in un camper con le sue galline e il suo piccolo orto.
immaginatevi un punto e poi una linea curva che parte da questo, lo avvolge, si allarga, continua a girare su se stessa come una spirale e ogni parte di questa spirale, in qualche modo, è autonoma e allo stesso tempo dipende da tutte le altre.
questa è la sensazione che mi ha dato fin da subito la casa capovolta, quella di essere finita di colpo in quel piccolo, normale, anonimo quartiere di casette tutte uguali e famiglie per bene, di tende appena scostate per spiare i vicini, di pettegolezzi e meschinità, di piccoli drammi capaci di sconvolgere vite intere, di esistenze come quinte teatrali, pezzi di cartone colorato tenuti su con un po' di colla e la paura della consapevolezza.

eva è una bambina difficile, a volte strana: parla con le sue bambole e con i suoi amici immaginari come se bastasse premere un interruttore per passare da una realtà all'altra.
eva è capace di trascinare laura nei suoi giochi ancora così infantili, sa dello scoiattolo che vive dentro l'albero e vuole bene alla gallina nera con cui ha fatto amicizia.
eva sa gestire in qualche modo la rabbia incontrollabile di sua madre e i silenzi di suo padre, è brava a scuola ma la sua intelligenza si intreccia con una fantasia sfrenata, un modo tutto suo di vedere il mondo.
quello che manca a eva è una famiglia normale che si prenda davvero cura di lei, che la tratti con affetto e attenzione, che non la faccia sentire fuori posto a casa sua, che non la spinga a cercare rifugio in giardino in ripari improvvisati quando le urla dentro casa si fanno troppo forti.

nella storia, eva è una sorta di occhio del ciclone, un punto fermo attorno il quale ruotano le altre storie e le vite degli abitanti del suo quartiere.
marta, la madre di laura, che fa sempre entrare dentro casa eva, le offre la colazione senza fare caso al suo modo di fare strano e poco convenzionale e rimpiange la vita che aveva prima di sposarsi, guido, il marito di marta, che gioisce nel tenere tutti sotto controllo come fossero soprammobili allineati su una mensola, sicuro che nulla intaccherà mai la sua vita perfetta, fabiola e i suoi pettegolezzi cattivi, toni e la sua nostalgia per il fratello che non vede da anni, nicola che vive da tanto tempo solo dopo che sua moglie è andata via, il vecchio professore che non insegna più e abita in un camper fin quando le cose intorno a lui non iniziano a diventare difficili da gestire.
e poi le bambole che parlano e rimproverano eva quando fa qualcosa di sbagliato e loris, suo fratello mai nato che è diventato un grande musicista e parla solo con lei e il signore con la valigia, che sa dire sempre la parola giusta quando le cose non vanno come dovrebbero.

elisabetta pierini esordisce con la casa capovolta ma sembra avere già la capacità di una narratrice navigata, ha uno stile veloce, secco, senza fronzoli eppure ricco di poesia, sono pagine che spesso di fanno fermare e ripassare sullo stesso punto per gustarti a pieno le immagini a cui riesce a dare vita.
è capace di prenderti per mano e portarti dentro la storia, tra le strade e dentro le case e nelle menti dei personaggi che abitano il suo romanzo, sa trasformare le vite quotidiane di personaggi banali in una costellazione di critiche alla realtà di oggi senza perdere la capacità di far sembrare la vita una favola, una storia degna di essere raccontata, ma soprattutto non banalizza mai nulla, sa restituire a ogni piccolo evento, a ogni pensiero, a ogni desiderio, a ogni paura la dimensione che ha nell'influire sull'esistenza di ognuno.
mi è sembrato che fosse questo il punto centrale di tutto il racconto: quello che dall'esterno sembra solo una sciocchezza, quello che tendiamo a sminuire perché magari non riusciamo a comprenderlo fino in fondo, è in realtà qualcosa di così potente da stravolgere tutto.