lunedì 23 dicembre 2019

commenti randomici a letture randomiche (71)

post veloce per parlarvi di tre serie nuove uscite (più o meno) da poco e che vi consiglio (più o meno) appassionatamente.
(approfitto dell'inutile e noiosa introduzione per scusarmi se vado così a rilento con i post sul blog, leggo - poco - più di quanto riesco a scrivere poi qui, ma si avvicina la peggiore sessione d'esami della mia vita e se non va più che bene entro in stato depressivo e catatonico e non è un bello spettacolo. non sapete quanta voglia ho di passare i giorni su questa tastiera a blaterare di cose belle!)

il primo, uscito ormai quasi un mese fa (ma lo trovate ancora in edicola) è il numero d'esordio di samuel stern, nuova serie horror di bugs comics creata esclusivamente per il circuito delle edicole.
mi hanno convinto sopratutto due cose: la nostalgia di passare all'edicola vicino casa a comprare i fumetti, cosa che non facevo da tantissimo tempo ormai, e il fatto - brutale e molto poco intellettuale - che ho un debole per gli uomini rossi e barbuti. figuriamoci poi se sono anche librai.

non essendo una grandissima amante dell'horror non ho tanti termini di paragone, tranne qualche volume di dylan dog sparso e poco altro, ma il nuovo incubo funziona eccome.
un fumetto seriale dovrebbe far appassionare il lettore alla storia, a una macro-trama che va oltre le vicende del singolo episodio che invece è autoconclusivo, e farlo affezionare ai personaggi principali. ed è esattamente quello che succede già dopo poco pagine.
l'episodio si concentra tutto su un caso di possessione demoniaca di una bambina, permettendo agli sceneggiatori (gianmarco fumasoli e massimiliano filadoro) di toccare argomenti - purtroppo - meno fantasiosi di quello sovrannaturale, dando alla storia un sapore più adulto e consapevole, ma più che alla sfortunata famigliola i dubbi, le domande e la voglia di saperne di più si focalizza tutta sul passato di samuel, sui suoi poteri e sul rapporto con il prete - piuttosto manesco e spiccio - duncan o' connor.
molto belli anche i disegni di luigi formisano, bianchi e neri pieni e d'impatto, puliti, eleganti e capaci di rendere benissimo atmosfere ed emozioni dei personaggi.
il formato è quello classico bonellide, facilissimo da incastrare tra altre pubblicazioni simili (ci tengo a sottolinearlo perché mi fa sclerare questa maledetta abitudine di fare tutte le serie di formati diversi che poi bisogna essere geni di tetris per riuscire a sistemare tutto negli scaffali).
tra pochi giorni uscirà il secondo volume, quindi andate di corsa in edicola a recuperare il primo!

il secondo è quello che tra i tre mi è piaciuto di più in assoluto, attica di giacomo bevilacqua, un bonelli non bonellide che anzi per formato, storia e disegni richiama palesemente le pubblicazioni giapponesi.
avevo aspettative alte ma è davvero una bomba.
c'è tantissimo in questo primo numero e il livello si mantiene sempre altissimo, dalla prima all'ultima pagina: attica è la città più bella del mondo, la migliore in cui vivere, ma a quale prezzo? è circondata da un muro gigantesco che taglia fuori un'immensa periferia in cui si vive in condizioni al limite della disumanità, il prezzo che tanti devono pagare perché pochi possano condurre un'esistenza agiata.
a new york un'organizzazione - definita terroristica - capeggiata dal misterioso storm, sta reclutando i cinque - l'occhio, il marchio, il dono, la guida e la spada - che faranno crollare il muro.
in questo primo numero conosciamo kat - l'occhio - giovanissima detective digitale, ingaggiata da una moglie sicura dei tradimenti di suo marito e capace, con qualche rapida occhiata, di carpire informazioni e segreti di ogni persona. kat è già in contatto con storm e sa della sua missione ad attica quando incontra aiden - il marchio - di pochi più anni più grande di lei, integerrimo responsabile di una palestra di arti marziali.
non vi spoilero nulla perché questo primo volume è già strapieno di colpi di scena e mette delle basi solidissime a una storia che si prospetta davvero spettacolare. so che è già uscito il secondo volume e io non vedo l'ora di metterci le mani sopra.

terzo e ultimo titolo da poco uscito è my roommate is a cat, di tsunami minatsuki e asu futatsuya, edito da flashbook edizioni.
ovviamente completamente diverso dagli altri due, racconta le giornate di subaru, un giovane scrittore sociopatico, da quando incontra per caso una gattina randagia e decide di portarla a casa con sé.

nulla di imperdibile, anzi, ma se siete dei gattofili incalliti come la sottoscritta è una lettura piacevole.
l'aspetto più apprezzabile è che le vicende sono narrate non soltanto dal punto di vista umano, ma anche da quello della piccola haru, rendendo un po' meno folli le incomprensibili reazioni della micetta ai comportamenti del suo nuovo amico umano.
il loro strano rapporto sembra cominciare a sciogliere un po' il cuore di ghiaccio di subaru da un lato e fa riemergere nella breve memoria di haru ricordi legati alla sua vita di randagina, cosa che lo avvicina un po' a chi's sweet home, pur non raggiungendo lo stesso livello.
molto carini anche i disegni, unica nota dolente l'edizione flashbook che ricorda quasi quelle delle sottilette planet manga di tanto tempo fa - che non ci mancavano affatto - e che ha un prezzo davvero spropositato rispetto al resto delle pubblicazioni di altre case editrici, sopratutto considerando il formato.

lunedì 16 dicembre 2019

mercedes

«mercedes, andiamo! non c'è alcuna via di fuga! il mondo sta finendo, le città sono in fiamme, non c'è nemmeno più l'acqua per pulire le sue mani o le nostre!»

ricca, potente, influente: prima amata e osannata dalle folle che dai talk show televisivi hanno imparato a conoscerla come una dolce e magnanima benefattrice dell'umanità, poi accusata di tutto, capro espiatorio di una crisi mondiale inarrestabile, odiata e braccata, in fuga da governo, polizia, esercito, da tutto e da tutti.
eccola mercedes, con la sua corazza di arroganza e prepotenza, fredda e determinata, accompagnata dai suoi "fedeli" collaboratori nel tentativo di fuggire al linciaggio mediatico e a una quantità smodata di capi d'accusa a cui nessuno, nemmeno la donna più potente del mondo, può sottrarsi.


daniel cuello non si perde in spiegoni e riassunti, gli basta una pagina con un paesaggio desertico e un albero scheletrito per contestualizzare il suo racconto: un futuro più prossimo di quanto non vorremmo ammettere, la terra agonizzante e i potenti che continuano a giocare a rimpallarsi le colpe per non assumersi nessuna responsabilità.
è questo il contesto in cui mercedes organizza la sua fuga rocambolesca, calcola ogni dettaglio, trascina con sé valigie piene di oggetti e abbandona persone - e cani! - senza pensarci due volte.
arrivare al confine, superarlo e assicurarsi l'impunità non sarà semplice come prevede però e, più dei prevedibili imprevisti, sarà il suo passato a tornare e schiacciarla.

cuello intreccia presente e passato in un continuo rimando di flashback che vanno lentamente a riempire i vuoti di un puzzle, svelano la reale natura di mercedes, una donna piccola, minuscola, quasi misera dentro un gigante di superbia.
non so se l'obiettivo fosse mostrare che anche dietro la peggiore delle persone si nasconde un'anima buona distrutta dai traumi, ma non credo sia questo il messaggio, anzi, se un messaggio c'è è proprio il contrario: niente giustifica il male che fai, niente se non la voglia di farlo.


lasciando tornare a galla le sue debolezze mercedes apre finalmente gli occhi sul mondo che la circonda e sulla gente che le sta accanto, si accorge di un universo fatto di piccoli - ed enormi - gesti d'amore che sopravvivono all'inferno che ha contribuito a creare e in qualche modo prova a espiare le sue colpe cercando, forse per la prima volta, di dare senza aspettarsi né tanto meno pretendere nulla in cambio. non si cancella nessun errore, ma si può sempre fare qualcosa di buono.
e, alla fine, ci sono alcune pagine che ci riportano a un paio di personaggi persi di vista quasi subito a inizio della storia. non vi dico nulla ma è stato lì che ho davvero rischiato di scoppiare a piangere .
ah, e c'è un cameo di rasputin! se non sapete chi sia correte a comprare residenza arcadia (e mercedes, ovvio!).
e ora aspettiamo il prossimo capolavoro.

lunedì 9 dicembre 2019

cavalier inservente

«va bene! non temete! ci penso io! DOMANI!»

di re e regine, regni lontani e fantastici, principesse da salvare e impavidi cavalieri ne abbiamo letto così da tanto da averne le palle piene già a quell'età in cui se dicevi ne ho le palle piene ti arrivava un ceffone di dorso (preferibilmente con la sinistra, così ti beccavi un colpo di fede sullo zigomo a rafforzare il concetto che non si parla in modo così cafone), ma in fondo sono storie che continuano sempre ad affascinarci e emozionarci, anche se sappiamo già come andrà a finire, forse perché ci piace identificarci con l'eroe senza macchia né paura che intrepido affronta ogni sfida e alla fine conquista pure l'amore e un bel castello, che non fa schifo a nessuno.


francesco guarnaccia ci aiuta in questo processo di identificazione riprendendo lo schema trito e ritrito della principessa da salvare, del mostro cattivo e del regno sotto minaccia ma dandoci finalmente una figura di cavaliere un po' più realistica, normale, più vicina alla nostra quotidianità.
insomma, prospero è un cazzone fancazzista che non riesce a deludere il re quando viene chiamato a castello per ricevere l'incarico di salvare la principessa. è cavaliere un po' per caso ma in realtà non sa neanche andare a cavallo, della gloria stigrandissimicazzi, alle giostre e ai duelli preferisce starsene svaccato su una specie di sacco (sta là in attesa di andare a comprare un divano serio) a perdere tempo con il suo fido scudiero. e sopratutto, prospero è un procrastinatore di prima categoria, e alla notizia che ha un mese (veramente sarebbero ventisette giorni...) per salvare la principessa, inizia un ferreo programma fatto di improbabili allenamenti, pause e rinvii.


riuscirà il nostro a compiere la sua impresa? col cavolo che ve lo dico, compratevi cavalier inservente (qui) o al massimo leggetelo sul sito di mammaiuto (ma il cartaceo è bellissimo, ve lo consiglio) perché merita davvero, perché prospero è un adorabile idiota e le sue gesta sono molto divertenti, perché il mondo in cui lui e gli altri vivono è il solito paesaggio allucinato a cui guarnaccia ci ha abituati con una palette da cosa-cazzo-c'era-nel-mio-bicchiere, per i colpi di scena inaspettati che la storia ci regala qua e là, rubando anche qualche lacrimuccia (maledetto!), perché è una favola più vera di tante altre, che sa parlare a tutti e di tutti e sa diventare uno specchio non solo dei nostri difetti peggiori ma di tutto quello che di buono c'è in noi che non sappiamo vedere, e se tutto questo non vi basta, allora perché... beh... perché è una figata, perché in ogni pagina si legge tutto l'entusiasmo di chi i fumetti li fa perché si diverte un mondo e vuole far divertire chi li leggerà. e a me pare che questo - per restare in tema - sia l'aspetto più nobile dei racconti, che siano a fumetti o meno.

lunedì 2 dicembre 2019

momenti straordinari con applausi finti

«sei un coglione»

questa cosa, quella di essere solo dei poveri coglioni, dovrebbero ricordarcela più spesso. grazie gipi per il promemoria.
ogni volta che inizio a scrivere qualcosa su un libro di gipi mi viene subito da chiedere scusa perché so che sto per buttare giù un sacco di patetiche stronzate, ma è perché - da cogliona, appunto, quale sono - trovo enormemente difficile esprimere le mie emozioni senza farmi venire voglia di scavarmi una fossa e sotterrarmici, quindi provo a non essere stucchevole e banale e va anche peggio, quindi vabbè, fate conto che l'ho fatto, chiedo scusa, non sarò in grado di continuare questo post in modo decente (ma grazie al cielo dei tre/quattrocento che passano qui ogni giorno sì e no solo sette persone leggono qualcosa, probabilmente per noia, quindi il danno è meno grave di quel che temo).

dicevamo: momenti straordinari con applausi finti. il nuovo libro di gipi, l'ho atteso da quanto ho letto i primi tweet e le prime tavole che ha mostrato, ero sicura che me ne sarei innamorata e che - come ogni amore che si rispetti fa - mi avrebbe fatto male.
c'ho azzeccato. è l'unica cosa in cui sono mediamente brava, prevedere quali libri/fumetti mi piaceranno.

la paura che fa fermarsi a pensare a cosa è stato e a cosa sarà. e il fatto di essere dei coglioni, coglioni che si complicano la vita e si incasinano i pensieri e i sentimenti al punto tale che poi non hanno il coraggio di affrontarli e mandano tutto in merda.
grossomodo, approfittando della mia devastante capacità di sintesi, direi che il libro parla di questo.
sprecando qualche parola in più (sprecandola, letteralmente, perché di questo libro ne hanno parlato praticamente tutti, quindi anche se non l'avete letto sapete già tutto), la storia è quella di silvano (sì, è lo stesso nome dello scrittore protagonista di unastoria), di professione comico, e sta affrontando - come è successo da poco allo stesso gipi, proprio prima della scrittura di questo libro - la fase terminale della malattia di sua madre.
ed è un coglione.
è un coglione incapace di fermarsi un attimo a realizzare quello che sta succedendo nella sua vita, di mettere da parte tutto il resto e di rendersi conto che sua madre sta morendo, o probabilmente fa di tutto per pensare ad altro, come quando la sera, al telefono con la moglie, le racconta di un video che ha visto su un documentario che racconta come sono stati preparati gli attori che hanno lavorato a salvate il soldato ryan, o quello su un cecchino della seconda guerra mondiale, che da solo aveva ucciso centinaia di nemici.
discorsi tremendi sulla morte, filtrati dalla leggerezza di un video guardato distrattamente prima di addormentarsi, qualsiasi cosa pur di non pensare alla morte, vicina, tangibile, presente, reale, che sta a qualche chilometro da lui.


e mentre lui pensa a tutt'altro, mentre cerca costantemente di distrarsi, mentre si scorda di avere degli spettacoli da preparare, mentre fa avanti e indietro la strada in macchina tra il bed and breakfast in cui alloggia e l'ospedale dove si trova sua madre (notevole la scena in cui la visione di un paesaggio bellissimo viene devastato dai discorsi merdosi di un - purtroppo - noto politico italiano) gipi inserisce - come era successo per esempio in lmvdm con i pirati - due storie solo in apparenza scollegate: quella di alcuni cosmonauti in viaggio da un pianeta all'altro, e quella di un uomo preistorico, del quale pure tanto si è detto ma se siete riusciti a non spoilerarvi tutto con i vari articoli pubblicati in merito allora almeno io ve lo evito.

il mestiere di silvano è fare ridere, alleggerire il peso della vita dalle spalle di chi lo ascolta, almeno per qualche momento. è il suo modo di vedere le cose ormai, buttare lì la battuta spiazzante e cinica per non fermarsi a pensare a quanto male fa, e così l'unico momento in cui parla davvero di sua madre, della sua malattia e della morte imminente è proprio durante uno spettacolo. per esorcizzare la paura, direbbero quelli colti-sensibili-intelligenti, perché è un coglione, dico io, un coglione come tutti noi che davanti a una cosa del genere non sappiano che altro fare se non cercare di non farci troppo male.
è il bambino luminoso, che compare all'improvviso, a ricordargli quello che era, quando non era ancora così terrorizzato all'idea di provare qualcosa. è il sé bambino a riportarlo indietro all'amore dell'infanzia, all'enormità dei sentimenti che lo legavano alla famiglia e alla vita, a quella luce che si è andata affievolendo invecchiando e impermealizzandosi a tutto. è lui, il bambino luminoso, che glielo ricorda: le cose sono semplici, enormi, spaventose forse, ma semplici. e tu sei solo un coglione.

e l'ultima scena, quella con gli applausi finti del titolo arrivati proprio in un momento fuori dall'ordinario andare delle cose, è la metafora perfetta di quel processo di spersonalizzazione, di inaridimento dei rapporti umani, dei sentimenti, di quella voglia di smettere di ascoltarsi per farsi ascoltare, di far ridere per non trovarsi soli a piangere.


e allora come faccio io a non essere banale? a non dire che un libro così ti spiazza, ti costringe a metterti nudo davanti a uno specchio, a guardare quello che sei diventato, come hai smesso di essere un bambino luminoso e sei diventato solo un povero coglione (declinate tutto al femminile se è il caso, io quella roba degli asterischi non la sopporto, ma intendo comunque un tu generico, indipendentemente da cosa avete nelle mutande)
non lo so, non lo so fare, non lo faccio. è banale dire che è un libro che deve essere letto? sì, lo è, ma sticazzi, deve essere letto. leggetelo, fatevi male, sentitevi meglio.