domenica 5 gennaio 2025

commenti randomici a letture randomiche (90)

inizio questo post senza sapere quando lo finirò o se ne pubblicherò un altro prima perché sono entrata in questo 2025 portandomi dietro quintali d'odio dal 2024 per tutto quello che riguarda i social, la bolla, il bookstagram, e con la nostalgia per quello che erano i blog e che non sono più e blablabla. e sì, forse è che ormai sono solo troppo vecchia e non so adattarmi al cambiamenti velocissimi delle realtà online, sono rimasta aggrappata a qualcosa che non esiste più, però che tristezza.
vabbè, il punto non è questo.

vi racconto in breve tre libri che ho letto a fine dell'anno scorso, che vi consiglio ma con qualche riserva. sono tutti e tre dei poteva essere bellissimo ma.

lo specchio perfetto del mio umore, insomma.

 ritrovato e perduto 
le parti azzurre erano dove c'era tanta acqua, simili alle cisterne ma più profonde, e le parti di altri colori erano terra, simili ai giardini di terriccio ma più grandi. il cielo non riusciva proprio a capirlo. il cielo era una seconda palla che circondava la palla di terriccio, diceva suo padre, ma nel modellino del globo non potevano mostrarlo perché di fatto non si vedeva. era trasparente, come l'aria. era aria. però azzurra. una palla di aria, e da sotto appariva azzurra, e stava fuori dalla palla di terriccio. aria esterna. che cosa strana.

questo povero libro mi ha aspettata per anni e nel frattempo ha affrontato cinque traslochi. la sua mole mi ha sempre spaventata però le vacanze di natale mi sembravano il periodo perfetto per affrontarlo. ero sicura che avrei adorato ogni pagina di ritrovato e perduto - figuriamoci, è ursula k. le guin! - invece mi è difficile dare un giudizio perché se da un lato ci sono racconti meravigliosi, dall'altro ce ne sono anche alcuni che mi hanno sfiancata e che ho addirittura mollato a metà, se non meno.
capita spesso nelle raccolte di racconti che il livello non sia sempre uguale, però forse è la prima volta che trovo un'antologia così altalenante.

la raccolta si divide in racconti non di genere, altri di fantascienza - legati e non al ciclo dell'ecumene - e altri fantasy, attinenti all'universo di terramare. i miei preferiti sono quelli in cui viene maggiormente fuori l'attenzione antropologica di le guin (ricordiamoci che era figlia di alfred kroeber, uno degli allievi del padre dell'antropologia moderna franz boas, convinto antirazzista a cui dobbiamo pagine meravigliose che smontavano le teorie cosiddette scientifiche razziste in voga nell'ottocento ben prima che la genetica facesse la sua comparsa), come la questione di seggri - ambientato in un mondo in cui il rapporto tra uomini e donne è di 1 a 16 e dove, quindi, l'appartenenza al genere maschile determina in modo preponderante il futuro dei socializzati maschi e dove i rapporti relazionali sono pesantemente influenzati da questa proporzione - o una storia alternativa o un pescatore del mare interno, in cui il matrimonio è un complesso sistema di relazioni endo ed esogamiche a quattro, dove il concetto stesso di amore è qualcosa di molto differente da quello che siamo abituatə a pensare. molto bello anche liberazione di una donna, un racconto che, attraverso la storia di una donna che da schiava impara a conoscere la libertà, invita a riflettere sul significato che diamo al concetto di libertà stessa che, per le guin, dipende in buona parte dalla possibilità di conoscere e di dotarsi di strumenti intellettuali per comprendere le strutture del mondo in cui viviamo.

il mio racconto preferito è però l'ultimo, più una novella o un romanzo breve che un racconto a dire il vero, paradisi perduti: setting della storia è un'astronave-mondo, la discovery, in viaggio verso un nuovo mondo abitabile, partita da una terra ormai in crisi in cui la vita umana è seriamente minacciata dal pericolo dell'estinzione. l'enorme distanza da percorrere, però, prevede che sarà la sesta generazione quella che per prima potrà vedere il nuovo mondo, mentre l'ultima che ha visto il pianeta madre, la generazione zero, è ormai estinta da tempo. la vicenda inizia quando i membri della quinta generazione sono appena bambinə e la vita nell'astronave mondo è l'unica realtà conosciuta ormai da decine e decide di anni. uomini e donne natə, vissutə e mortə senza aver sperimentato mai nulla più che i video immersivi che simulano la vita sulla terra, immaginando un mondo che non avrebbero mai raggiunto.
eppure, sulla discovery non si conosce il senso di claustrofobia né quello di oppressione: generazione dopo generazione, la vita in viaggio si è normalizzata fino al punto da dar vita a una sorta di religione fondata proprio sul concetto di viaggio infinito verso la beatitudine, lontano dai pericoli, dalla miseria, dalle malattie e dalle difficoltà da cui l'astronave lə ha sempre protettə e che però potrebbero ripresentarsi nel nuovo mondo.
costruendo una comunità e una politica fondata sulla cooperazione e sull'integrazione di tutti i membri nella società, su un obiettivo comune, sul riutilizzo virtuoso delle risorse le guin riflette con noi sull'utopia anarchica dell'autogoverno, ponendo dubbi sempre molto interessanti - come è pure in i reietti dell'altro pianeta - su quanto possa essere soddisfacente vivere nel migliore dei sistemi possibili.

purtroppo non tutti i racconti, come accennavo su, sono all'altezza di quelli di cui ho brevemente parlato qui. forse è una questione di gusto personale, però avrei preferito una raccolta più breve ma con un livello sempre così alto.

 fisica della malinconia 

non mi importa se il libro dice che è un mostro. sono stato in lui e conosco tutta la storia. c'è alla base un grande peccato e una calunnia, una straordinaria ingiustizia. io sono il minotauro e non sono assetato di sangue, non voglio divorare sette giovani e sette fanciulle ogni volta, non so perché sono rinchiuso, non ho alcuna colpa... e ho una paura bestiale del buio.

un po' romanzo, un po' memoir, un po' raccolta di appunti e riflessioni, fisica della malinconia è un lungo monologo di quello che fu un bambino dotato di un'empatia così forte da riuscire a fare propri persino i ricordi altrui più lontani nel tempo, trasformando in suoi gli eventi vissuti da suo nonno quando era bambino, quelli di una lumaca o di un altro bambino, quello che per via della sua testa di toro venne chiuso in un labirinto buio e chiamato mostro fino al momento del suo assassino. quello che fu quel bambino è adesso un uomo che ha perduto quella capacità - o, si potrebbe anche dire, è guarito dalla sua patologia - e che adesso colleziona storie, riempiendo quaderni su quaderni dei ricordi altrui.
tra storia e ricordo, tra realtà e mitologia, andiamo avanti e indietro tra il labirinto del minotauro e la casa in cui il suo giovane nonno, ai tempi in cui era soldato, era stato salvato e amato da una donna che parlava un'altra lingua.
il buio del labirinto, il buio della casa della sua infanzia al piano seminterrato, il buio a cui il nonno è costretto ad abituarsi per non farsi accusare di diserzione: il senso di smarrimento è il filo rosso che collega diversi piani temporali e i diversi piani di realtà, che tiene insieme le pagine di questo libro e che ci guida, quasi ipnotizzati, dal principio alla fine.

la lingua di gospodinov è incantevole e mi ha fatto venire voglia di leggere anche gli altri suoi libri ma a volte questo mi ha un po' stancata, si ripiega troppo su sé stesso, ingarbugliando memoria e sogno, ricordi ed empatia e perdendosi in lunghe pagine che mi facevano venire voglia di tornare indietro o correre avanti. bello, sì, ma avrei preferito che mantenesse un po' di più la messa a fuoco.

 amatka 

vanja andò a prendere le sue valigie e slacciò le fibbie. una di queste sembrava sul punto di cedere. era stato il regalo di qualcuno che a sua volta l'aveva ereditata da qualcun altro, e così via. in ogni caso, non sarebbe durata a lungo: la parola valigia era quasi illeggibile. avrebbe potuto ricalcare le lettere, certo, ma la domanda era cosa sarebbe accaduto prima - la valigia si sarebbe semplicemente sgretolata per l'usura oppure si sarebbe dissolta, una volta riposta. avrebbe dovuto distruggerla.
«valigia» sussurrò vanja per mantenerla nella sua forma ancora per un po'. «valigia, valigia».


quando un libro promette di avere una trama originale che mi incuriosisce in modo particolare cerco di evitare di leggere commenti e recensioni prima di iniziarlo, così da non farmi idee preconcette e aspettative di vario tipo. con amatka è stato così, sapevo solo che era ambientato in un mondo in cui è necessario nominare le cose per evitare che queste svaniscano. non avevo capito bene come avrebbe dovuto funzionare questa regola ma non ho voluto indagare oltre.
effettivamente è stato utile arrivare alla prima pagina con meno informazioni possibili perché il sistema descritto da karin tidbeck, anche se non è originalissimo, è parecchio interessante, e il suo punto di forza non si limita esclusivamente a questa strana peculiarità degli oggetti.
la storia di vanja è ambientata in un qualche pianeta - o parte di un pianeta, questo non è chiarissimo - in cui gli oggetti perdono la loro forma se non vengono nominati, tornando alla materia primigenia con cui sono stati creati, una sostanza informe e molliccia non meglio identificata che sembra comporre qualsiasi cosa, a esclusione degli artefatti provenienti dal vecchio mondo - che supponiamo essere la terra. in questo pianeta non esistono altri animali se non gli esseri umani, divisi in colonie le cui funzioni principali sono chiaramente assegnate: essre, balbit, odek e, appunto, amatka, più una quinta colonia ormai distrutta, di cui la storia ufficiale dice poco o nulla, ma che - non vi dico come né perché - sarà importantissima per lo svilupparsi della trama.
la vita nelle colonie è fortemente comunitaria, lə bambinə vivono tuttə insieme in delle case apposite lontanə dallə genitorə per scongiurare inutili attaccamenti ed eventuali traumi, ogni persona ha un preciso compito da svolgere e tuttə lavorano per il bene collettivo, tenendo sempre a mente l'impresa eroica dei pionieri, di chi cioè fondò le colonie, permettendo a tuttə adesso di vivere vite piene e sicure.

giunta ad amatka, vanja svolge correttamente la sua ricerca sulle abitudini igieniche commissionata da essre, per capire che tipo di prodotti potrebbe essere utile commercializzare nella colonia, ma alla fine decide di rimanere con le persone scelte per ospitarla: nina, che lavora come dottoressa, ivar, assegnato alle coltivazioni di funghi - con cui ad amatka non solo si cucina praticamente tre quarti delle possibili pietanze, ma ci si fa praticamente di tutto, saponi compresi - e la vecchia ulla, anche lei medico ma ormai in pensione, che sembra conoscere molti dei segreti legati ad amatka e al passato delle altre colonie, soprattutto della quinta...
è per amore di nina che vanja resta, e tutto sembrerebbe il preludio di una lunga e serena felicità se non fosse che la storia di amatka e delle colonie tutte comincia a venire alla luce, tra vecchi libri destinati a scomparire e strane costruzioni segrete nascoste sottoterra...

il senso di questo libro sta tutto nelle parole, in quelle che l'autrice utilizza per raccontare la storia, certo, ma soprattutto in quelle che lə personaggə sono liberə o meno di pronunciare. la materia presente nelle colonie risponde alle parole, prende forma grazie ad esse e in loro assenza si disgrega. il mondo esiste perché viene nominato, proprio come avviene nel mito ebraico della creazione, dio "disse" e la luce, il cielo, la terra, gli alberi, gli animali, la vita, ogni cosa "fu". il potere che ognunə dellə abitantə delle colonie è immenso e dunque deve essere controllato perché chi ha il potere di fare ha anche quello di disfare, e infatti l'uso improprio delle parole può costare caro, carissimo.

possiamo dire che amatka è una distopia se ci fermiamo al suo sistema politico, all'annullamento richiesto alla dimensione individuale di ciascunə dellə colonə a beneficio della comunità, ma diventa quasi una riflessione teologica - o più semplicemente un fantasy - se osserviamo il rapporto tra le parole, tra il potere che ha chi le pronuncia, e la realtà circostante: avere il potere di un dio significa andare oltre la propria umanità e quindi rinunciarvi, perderla irrimediabilmente e per sempre.

personalmente avrei preferito che questa doppia identità del romanzo fosse rimasta più in equilibrio mentre invece il finale si sbilancia troppo a beneficio della seconda, lasciandomi con tante, troppe domande ma con un senso di stupore enorme, che mi ha comunque fatto apprezzare tantissimo la lettura.

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domenica 29 dicembre 2024

julia

era stato l'uomo che lavorava ad archivi a iniziare tutto, lui che non sapeva niente, con quel modo di fare compassato, imbronciato, lui che si sentiva superiore a tutto e a tutti, un emblema del vecchiopensiero. non a caso syme lo chiamava «vecchia miseria».
julia lo aveva già visto prima. quelli di finzione, archivi e ricerca consumavano il secondo pasto alle tredici, quindi tutti si conoscevano almeno di vista. ma fino a quel momento, per lei era stato solo vecchia miseria, uno che pareva avesse appena ingoiato una mosca, uno che tossiva più di quanto parlava. si chiamava compagno smith, anche se «compagno» non gli si addiceva molto. ovviamente, se ci si sentiva stupidi a chiamare qualcuno «compagno», era molto meglio non parlarci affatto.

alcune storie sono considerate autentici capolavori della letteratura e, più in generale, di tutta la nostra cultura occidentale, al punto tale che diventa impensabile pensare di poterne cambiare anche solo una virgola. 1984 di george orwell è una di queste. considerato il capostipite - ma non lo è - della letteratura distopica, la storia di winston smith e del grande fratello ha fatto da modello non soltanto nell'ambito della narrativa speculativa successiva, ma è entrato nell'immaginario e nel linguaggio comune in modo così pervasivo che anche chi non l'ha mai letto si ritrova, in qualche modo, a citarlo.
1984 è considerato uno dei pilastri letterari del nostro mondo e, come tale, è impensabile rimaneggiarlo, riscriverlo, provare a immaginare una nuova versione.
o almeno, lo era.
poi sandra newman ha scritto julia.

e ha fatto benissimo: non soltanto newman non tradisce lo spirito della storia originale, che anzi ha studiato con attenzione, esplorato nel dettaglio e reso perfettamente, ma espande quel mondo distopico e claustrofobico che conoscevamo ormai da quasi un secolo, dando finalmente voce alla personaggia più importante - e più misteriosa - del romanzo di orwell.

in 1984 julia è la donna che winston smith vorrebbe stuprare e uccidere perché troppo bella e troppo fanatica. è la donna che mostra con orgoglio la sua appartenenza alla lega antisesso ed è la donna lussuriosa e seducente che farà innamorare winston. è la donna che lo tradirà e che da lui sarà tradita, spezzando anche l'ultima delle certezze di smith.
julia appare come frutto dell'immaginazione di smith: è quello che desidera e insieme quello che odia. julia è la personificazione dell'ipocrisia del sistema e della sua incapacità di piegare davvero le persone al modo di essere che il grande fratello desidera.
ma per orwell, julia è oggetto dei pensieri di smith, è motore della narrazione e della presa di coscienza da parte del suo protagonista. ma non è mai davvero una persona completa in sé. orwell mette in scena brandelli di una personaggia che ci lasciano intravedere la sua complessità senza darci modo di conoscere veramente chi sia, cosa pensa, quali sono le motivazioni che la spingono ad agire.

newman riempie i vuoti, completa julia e la sua storia, la trasforma - finalmente - in soggetto, in protagonista del racconto, scrivendo quello che a tutti gli effetti si può definire un retelling femminista di 1984, esplorando da un lato il mondo dentro julia, andando indietro nel suo passato, ascoltando i suoi pensieri, le sue intenzioni, le sue parole, dall'altro lato mette a fuoco il nostro sguardo sull'oceania: se winston cammina con gli occhi fissi sulla punta delle sue scarpe, julia va a testa alta, dando al suo sguardo la possibilità di estendersi fino all'orizzonte.

julia conosce bene il mondo in cui vive. ha visto sua madre e suo padre morire e, peggio ancora, annullarsi e tradirsi, in nome della rivoluzione prima e di una tardiva e inutile redenzione poi. ha vissuto un'infanzia di solitudine, abuso e violenza in un mondo in cui queste parole non hanno neppure significato, un mondo che non le ha dato gli strumenti per riconoscere quello che ha subito né per elaborarlo.
prima di entrare a far parte del partito, la sua quotidianità era così miserabile che adesso non ha paura di avventurarsi nei quartieri prolet su cui piovono bombe di dubbia provenienza. a julia non importa nulla delle gerarchie imposte dall'alto e non si fa troppi scrupoli a infrangere quelle regole a cui non crede ma che finge di seguire con convinzione per salvarsi la pelle, giorno dopo giorno.
julia può attraversare gli spazi che a smith - e di conseguenza a orwell - erano proibiti: i dormitori e in generale gli spazi femminili che sono solo l'anticamera di un mondo, quello delle donne, estremamente oppresso. certo, sappiamo già che non c'è nulla in airstrip one (quella che un tempo veniva chiamata londra) e in tutta l'oceania su cui il partito non abbia controllo, ma il corpo femminile è ancor più di quello maschile teatro di sopraffazioni, controllo e violenza. non esiste intimità, non c'è alcuno spazio in cui il corpo femminile non sia osservato, scrutato, controllato o peggio toccato, usato e sfruttato. una gravidanza non approvata - cioè quella di una donna che non appartiene a nessun uomo - significa la morte, e una morte voluta dal partito vuol dire smettere di esistere anche come ricordo in chi, fino a un paio di ore prima, ti salutava ogni giorno.

probabilmente non lo sa, ma il suo approccio alla vita così come il partito gliela impone è femminista nella misura in cui julia non lascia a nessunə il controllo sul suo corpo e soprattutto sulla sua sessualità. ovvio che non c'è, in quel mondo, nessuno spazio per un pensiero femminista né per una sua teorizzazione, ma poco importa quanto si sia capaci di dare un nome alle proprie azioni se queste vanno nella direzione opposta a quella imposta da una legge che regolamenta il desiderio, il concepimento, la corporeità tutta in ogni sua possibile declinazione, una legge che riduce le donne a oggetto di atti disgustosi tranne quando vengono compiuti nell'ombra da uomini potenti abbastanza da sfuggire al giudizio e alla legge o quando sono approvati dal partito.
la sensualità di julia assume finalmente il connotato politico che mancava in orwell: non è solo un modo per andare contro al partito, è il modo per affermare, attraverso il suo diritto al piacere, la padronanza di sé stessa.

la storia di julia va avanti fino ad arrivare al punto che conosciamo: l'incontro con winston smith, il biglietto con scritto ti amo (la cui storia è molto più complessa di quanto avremmo mai immaginato), gli incontri nel bosco prima e nella camera dell'antiquario poi, il tradimento, le camere di tortura al ministero dell'amore, la stanza 101. quello che newman aggiunge è tutto quello che orwell non poteva sapere, cioè tutto quello che fa parte di quella dimensione che winston non ha mai avuto il coraggio di esplorare prima di esservi trascinato da julia e che abbandonerà poi, alla fine della sua prigionia. winston esce annientato, annichilito totalmente, julia no.

forse questo finale è la parte più debole del romanzo, almeno se lo paragoniamo a 1984 e alla sua disarmante disperazione che pure lo ha reso il capolavoro assoluto che è. quello di newman è un finale più lungo, più complesso e che quindi ha bisogno di spiegarsi molto più di quanto non facesse quello orwelliano e che, così facendo, in qualche misura di indebolisce.
ma julia ha qualcosa che a winston manca, una sorta di capacità rigenerativa che procede di pari passo a quella generativa propria del suo essere donna: alla fine, julia è incinta e, in quanto contenitore di una nuova vita al servizio del partito, è intoccabile. ma soprattutto è innamorata, forse più dell'essere viva che di qualcunə altrə - che sia lə figlə, un'amica o un'amante, poco importa - al punto tale da rischiare il tutto per tutto per fuggire dal destino che le è stato affibiato e riscriverne uno proprio, cosa che winston non ha mai avuto neppure la forza di immaginare.

se 1984 distruggeva ogni possibilità di speranza attraverso l'annichilimento fisico e psicologico del suo protagonista, julia lo fa attraverso la presa di coscienza della sua protagonista, una presa di coscienza molto più ampia di quella di winston, una comprensione che abbraccia il mondo nella sua interezza e che cresce in un dialogo finale lontanissimo dagli orizzonti del romanzo originale, che lascia l'amaro in bocca e che cancella ogni barlume di umanità in qualsiasi angolo di questo millenovecentottantaquattro alternativo: fuori o dentro il partito, con o contro il grande fratello, dentro o fuori l'airstrip one la realtà rimane sempre uguale a sé stessa e a questo - ancor più che al controllo totalizzante attraverso gli schermi onnipresenti - non c'è davvero alcun rimedio.

non ho letto moltissimo in giro di questo romanzo ma so bene come vengono accolti i retelling, soprattutto quelli che reinterpretano in chiave femminile - e peggio ancora femminista - opere create da autori maschi con protagonisti maschi, quindi posso immaginare il tipo di accoglienza che julia ha avuto. a mio modestissimo avviso però, quest'opera merita di essere letta.
una riscrittura di 1984 tre quarti di secolo dopo la sua prima stesura lascia spazio a una riflessione sul concetto stesso che stava alla base della distopia orwelliana (ad esempio, l'idea di essere costantemente osservatə oggi non è così strana e spaventosa come lo era alla fine degli anni '40, anzi, possiamo ben dire di esserne consapevoli che ogni nostra azione - online ma anche in real - è in qualche modo monitorata e trasformata in dati utili a proporci qualche nuovo acquisto, e di averci fatto il callo al punto tale che non ci preoccupa più di tanto), così come un rovesciamento del punto di vista permette di ampliare l'orizzonte degli eventi e di osservare, come già detto, spazi che nel romanzo originale non erano stati indagati, per la gioia - auspicabilmente - dellə fan. senza contare che è sempre interessante - almeno dal mio punto di vista - scoprire qualcosa di più di quellə personaggə fondamentali alla storia che pure avevano avuto poche possibilità di raccontarsi nella storia originale.

e poi - e questo vale per ogni rivisitazione, interpretazione, riscrittura, prequel, sequel e in generale per ogni opera derivata - la versione originale rimane lì, sempre uguale a sé stessa, disponibile a chiunque voglia rileggerla o scoprirla per la prima volta. julia di sandra newman è un romanzo che non soltanto non toglie nulla al capolavoro di orwell ma che arricchisce il nostro immaginario su quel futuro-ormai-passato distopico e che ci consegna nuovi strumenti per riflettere sul nostro presente.

venerdì 13 dicembre 2024

membrana

momo sfiorò la carta da parati gialla in camera da letto, poi diede un piccolo morso a una pesca bianca, di quelle che si coltivano in serra. dalla buccia rosa, quasi diafana, colò il succo. non era del tutto sicura che la rete neurale sottopelle fosse davvero entrata in contatto con il giallo della tappezzeria, né che le papille gustative percepissero realmente la dolcezza della polpa. c'è un confine invalicabile tra il nostro corpo e le cose esterne.
per momo il mondo era avvolto da una membrana. a trent'anni continuava a pensare che ci fosse una specie di pellicola tra lei e tutto il resto. non quella delle maschere di bellezza che usava sul lavoro, ma piuttosto una barriera invisibile che la faceva sentire come una pulce d'acqua, avvolta dal proprio carapace traslucido e sola in mezzo a un mare che non la toccava mai, anche se la circondava...

membrana è una storia di confini.
confine è una linea arbitrariamente posta a delimitare una proprietà o una sovranità, un segnale di esclusione da ciò che è altro. confine è ciò che deve essere superato per conoscerla, quell'alterità, e per riconoscerla come parte di ciò che siamo. confine è ciò che viene rotto per mescolarci a quell'alterità e creare qualcosa di nuovo.
o per tornare a quello che avevamo dimenticato di essere statə.

nel 2100, l'umanità ha riattraversato il confine che, miliardi di anni fa, aveva portato le prime forme di vita ad adattarsi all'atmosfera terrestre e a evolversi in quell'enormità di diverse forme di esistenza.
distrutto l'ecosistema terrestre, invece che alzare lo sguardo tra le stelle per cercare nuovi pianeti da colonizzare, l'umanità ha scelto di tornare alle profondità marine.
qui, nell'abisso, nelle metropoli sottomarine create tra nuovi confini che ricalcano gli stati-nazione del mondo che fu, la vita non è affatto facile. il ritorno agli oceani è avvenuto troppo bruscamente perché l'evoluzione potesse trasformare i corpi umani e i loro bisogni: le risorse indispensabili alla sopravvivenza continuano a essere coltivate sulla terraferma mentre sott'acqua è necessario prendersi cura di un altro, fondamentale ed essenziale confine, quello epiteliale.

momo, la trentenne protagonista della storia, è un'estetista di fama mondiale.
in un mondo sottomarino, la cura della pelle è di vitale importanza e chi eccelle in quest'arte gode di una fama paragonabile a quella di attorə e cantanti nella nostra realtà.
la vita di momo, però, non lascia molto spazio al gossip. introversa e riservata, quasi glaciale, momo non ha relazioni romantiche o sessuali, non ha amicə, non ha contatti da più di vent'anni con la propria madre e non lascia trasparire alcuna emozione, mai.

eppure, mentre custodisce un segreto che le permette di provare emozioni fortissime, di provare sensazioni estreme, di vivere decine e decine di vite differenti, grazie a una membrana capace di copiare la memoria tattile dellə suə clienti e di farle attraversare la più sottile e invalicabile delle frontiere, momo continua a rivangare il suo passato denso di misteri, di storie e di ricordi che continuano, dopo decenni, a scuoterla e ad accendere dubbi: i fatti della sua infanzia sono davvero andati come ricorda?

in un continuo spostarsi avanti e indietro nel tempo, tra flashback e ricordi, attraversando ancora una volta un confine, quello tra presente e passato, tra esperienza e memoria, ricostruiamo un pezzo alla volta la storia di momo, di sua madre e della sua amica cyborg.
congiungiamo i pezzi del racconto accorciando le distanze tra elementi che sembrano così lontani e che si svelano, pian piano, solo separati da una linea sottile, da quel confine labile e impercettibile tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra percezione e illusione, tra immaginazione ed esperienza, tra indifferenza e amore sconfinato.

membrana di chi ta-wei è stato per me una sorpresa totale, una rivelazione pagina dopo pagina del perché sia considerato da decenni - la sua pubblicazione originale è del 1995 - un romanzo fondamentale della letteratura sci-fi taiwanese e internazionale, capace di racchiudere in sé tematiche ecologiste, politiche e sociali senza mai piegarsi al didascalismo, intessendo una trama che solo in apparenza è complessa e arzigogolata ma che si dispiega in un finale sconvolgente e inaspettatamente straziante.

mercoledì 20 novembre 2024

nel paese delle donne selvagge

quelli che vedono gli altri come mostri non si accorgono che i mostri ricambiano lo sguardo e osservano con molta attenzione. gli individui che si ritengono superiori agli altri non sono in grado di rendersi conto che anche loro possono essere valutati e giudicati.

donne potenti, spaventose, furiose. donne assetate di vendetta, capaci di mutare forma e di tessere ogni sorta di inganni. donne di cui il folklore - e il teatro - giapponese trabocca: fantasmi e kitsune e demoni pronte a stravolgere la vita delle loro vittime... o di quelli che furono un tempo i loro carnefici.
matsuda aoko pesca a piena mani dal ricco repertorio nipponico di storie popolari, leggende, credenze, letteratura e drammaturgia per consegnarci un'antologia di racconti che è riuscita a sorprendermi e conquistarmi perché mi ha dato esattamente quello che per anni ho desiderato leggere sulle varie figure mitologiche femminili: una prospettiva diversa che ne ribaltasse il giudizio morale vecchio di secoli per mostrarle non più come mostri da temere, scacciare o annientare, ma come creature forti che rivendicano semplicemente il loro posto nel mondo.

le storie di nel paese delle donne selvagge si intrecciano più e più volte attorno a un fulcro centrale che è un ragazzo un po' ingenuo, immune al fascino di queste donne straordinarie o al terrore che provocano. shigeru è un personaggio quasi sbiadito, una figura praticamente anonima la cui presenza non fa che sottolineare la straordinarietà delle figure femminili protagoniste dei racconti.
shigeru è il punto di intersezione dei racconti ma è anche il centro politico dello spazio in cui vivono le protagoniste delle storie e lo è per un solo, banale ma fondamentale motivo: shigeru è un uomo e, in quanto tale, nonostante la sua mancanza di eccezionalità gli è permesso occupare uno spazio molto meno marginale di quello che abitano le donne.
ma più che shigeru, il vero trait d'union tra le storie lo fa il tono femminista: che si tratti di un potenziale poltergeist animata dalla gelosia o di una donna che riconosce il suo lato selvaggio nei peli che le ricoprono il corpo, di una fantasma che scopre la libertà nella sua nuova esistenza post-mortem o di un'anziana signora che si accorge solo adesso della sua vera natura e della bellezza della libertà dalle imposizioni di genere, matsuda aoko dà a tutte le sue protagoniste la possibilità di riflettere sui temi fondamentali del discorso femminista: le relazioni uomo/donna, il matrimonio, la maternità, le costrizioni sociali in merito alla cura del proprio corpo e del proprio aspetto, il ruolo femminile negli ambienti di lavoro, il giudizio sui corpi - femminili - che si discostano dagli standard morfologici ed estetici.
volendo trovare un solo, unico tema omnicomprensivo sarebbe quello della donna come soggetto attivo e consapevole, della donna che sceglie di autodeterminarsi e di tirarsi fuori da un sistema oppressivo e patriarcale come quello giapponese, la donna che fino a questo momento era stata svuotata della sua umanità e riconvertita in figura orrorifica da storia del terrore, che prende parola, racconta sé stessa e - attraverso la sua parola - riprende possesso della legittimità della propria esistenza.

è cosa nota che gli uomini che temono le donne - che hanno paura del loro non volersi sottomettere, del loro reclamare il diritto ad avere un ruolo che non sia solo quello di moglie obbediente e madre sacrificata al bene dellə figlə -  risolvono disumanizzandole e mostrificandole, le trasformano, cioè, in qualcosa di innaturale e incomprensibile, qualcosa che si può distruggere senza remore. che siano gorgoni o kitsune, la deformazione fisica attribuita nei miti a queste figure si accompagna a quella dei loro intenti: non più un comprensibile e profondamente umano desiderio di esistere secondo la propria natura, ma un'irrazionale ferocia, una crudeltà senza scopo. gli attacchi di queste donne non-più-umane o mai-state-umane sono impossibili da capire e da giustificare e questo non si traduce in un'incapacità di cambiare prospettiva da parte della voce narrante (sempre patriarcale e maschiocentrica) dei miti, ma nell'assurdità dell'essenza stessa di queste figure.
matsuda aoko conosce bene questo processo, ed è per questo che lo fa suo e lo stravolge completamente, ribaltando quella traduzione e riconsegnando quelle figure folkloristiche alla loro umanità.

chi, fino ad adesso, era stata raccontata da altri (maschile voluto) e aveva avuto un ruolo da antagonista, qui diventa la personaggia principale, protagonista della sua storia e della sua vita: le donne di aoko sono capaci di prendere spunto dal quotidiano - a volte anche da eventi piccoli e banali, a volte da qualcosa che è poco più di una sensazione - per riflettere non soltanto sulla loro condizione, ma su quella di tutte le donne - 
perché il mondo funzionava così? la società era ingiusta! spesso gli uomini erano costretti a fingere di essere in grado di fare cose che non erano in grado di fare, mentre le donne dovevano far finta di essere incapaci di fare cose che in realtà sapevano fare. che assurdità! nel corso dei decenni e dei secoli quante donne si erano viste tarpare le ali e non avevano potuto manifestare il loro talento? e quanti uomini, invece, si erano visti attribuire come per magia qualità che non possedevano e poteri che non meritavano?
- per poi ribellarsi a tutto quello che tarpa loro le ali, che soffoca i loro talenti e annichilisce i loro desideri. contro tutto quello che è sempre stato così, le donne escono dai miti per riappropriarsi della realtà.

lunedì 11 novembre 2024

roaming

volevo venire qui per stare con la mia migliore amica, ma tu... sei... tu non sei più tu.


roaming è una storia che parla dell'avere vent'anni, di com'è l'amicizia a quell'età, di com'è l'amore, di come ci si relaziona con sé stessə mentre ci si costruisce, un pezzo alla volta.
in modo anche inaspettatamente doloroso, a volte.
e inaspettatamente doloro è il viaggio a new york di dani, zoe e fiona.
cioè, inaspettatamente vale per loro, o per chi i vent'anni li sta vivendo adesso.
noi, che ormai stiamo quasi doppiando il traguardo, lo sapevamo benissimo fin da subito come sarebbe andata a finire.

new york è per dani e zoe il sogno di sempre. amiche fin da quando erano piccole, la provincia del canada in cui sono cresciute adesso sembra essere troppo stretta per due ragazze che si stanno trasformando in qualcosa di nuovo.
stanno crescendo ma, a volte, non si cresce seguendo la stessa traiettoria, o allo stesso ritmo.
le strade si dani e zoe hanno iniziato a dividersi quando hanno scelto percorsi di studio diversi all'università: arte e biologia. cosa potrebbe esserci di meno compatibile?


ma a scatenare davvero la tempesta tra dani e zoe è la presenza, durante il tanto sognato viaggio a new york di fiona.
dani e fiona studiano insieme, vivono nello stesso dormitorio e forse non potrebbero essere più diverse: ingenua e un po' infantile dani, il suo carattere stride con l'atteggiamento da "bad girl" di fiona.
eppure, in qualche modo il loro rapporto funziona finché l'incontro zoe - divisa tra l'affetto di lunga data per dani e la nuova irresistibile attrazione per fiona - non arriva a destabilizzare tutto.

forse perché, come dicevo sopra, questi tornado emotivi appartengono a un periodo passato della mia vita, di roaming ho preferito l'aspetto "taccuino di viaggio" che la storia in sé.
vedere new york attraverso i disegni di mariko e jillian tamaki me l'ha resa più affascinante di quando non siano mai riusciti a fare foto o video della città, e questo probabilmente perché la vera osservatrice - quella che ci presta il suo punto di vista per "visitare" la città, è dani, l'unica con cui ho empatizzato.
ho trovato zoe e fiona spesso - per non dire sempre - insopportabili, ho desiderato per tutto il tempo trascinare dani fuori dalla storia ed evitarle il dolore che prova chi viene lasciatə al margine. le ho voluto bene, davvero, per tutto il tempo in cui nessun'altrə, nella storia, l'ha fatto.


forse, roaming è un fumetto da adolescenti, forse è un fumetto da adolescenti di "quel" tipo, forse sono semplicemente troppo vecchia per queste cose o forse sono rimasta troppo uguale a quell'adolescente che in viaggio voleva solo vedere i musei, scattare le foto, divertirsi con le amiche e comprare i souvenir.
forse semplicemente non sono la lettrice giusta per roaming perché, per tutto il tempo, ho desiderato quello che desiderava dani: un altro viaggio, un'altra storia.