venerdì 26 luglio 2024

suzume

i portali esistono indisturbati in tutti quei luoghi di cui nessuno ha più memoria. il nostro compito è preservare il ricordo di tali luoghi e vegliare si di loro.


una ragazza incontra un ragazzo.
un incipit così può dare vita a miliardi di storie, milioni di miliardi di possibilità narrative e immaginifiche.
una ragazza incontra un ragazzo e decide di seguirlo.
makoto shinkai prende il via dal più banale degli incipit e con suzume costruisce un racconto che lega insieme nella stessa trama alcuni temi chiave della cultura - pop e non - giapponese: l'importanza dei ricordi, la fragile bellezza del presente, le responsabilità che abbiamo nei confronti del futuro, il bisogno di essere accettatə e amatə.

il manga, disponibile in box per star comics, è la fedelissima trasposizione del film di animazione uscito nel 2022 (e disponibile su netflix): sulla strada per andare a scuola, suzume incontra sota, un ragazzo sconosciuto, diretto verso delle vecchie rovine. poco dopo, dalla finestra della sua aula, suzume vede qualcosa di inspiegabile, un gigantesco verme di oscurità che punta proprio nella direzione delle rovine. sentendosi in qualche modo responsabile perché è l'unica capace di scorgere il mostro, suzume inforca di nuovo la bicicletta e corre per salvare quel ragazzo senza sapere che sta per iniziare un lungo viaggio, un'avventura tra i mondi per salvare l'umanità, chiudendo i portali che separano il nostro mondo dall'altrove, un luogo senza tempo al di là della vita stessa.


come accade già con altrə personaggə di shinkai, suzume si ritrova a dover svolgere un compito enorme, a portare sulle sue spalle una gigantesca responsabilità - deve letteralmente salvare il mondo e, allo stesso tempo, proteggere la persona che ama - ma non è di certo una supereroina, anzi! la nostra protagonista è un'adolescente come tantə, è una ragazza che si trascina dietro i traumi irrisolti della sua infanzia, fatta di dolore e perdita. e il viaggio con sota culminerà proprio nel luogo in cui tutto è iniziato per lei, un luogo liminale dove passato e futuro si incontrano determinando un nuovo presenze di speranza e consolazione.


inutile dire che il mio personaggio preferito è statə, per tutto il tempo, daijin, il non-gatto che sembra la causa della crisi dei portali. daijin è uno spirito capriccioso che pensa e agisce al di fuori della morale umana e che per questo può sembrare l'antagonista della storia: il suo compito è fare da pietra di volta - in completa ed eterna solitudine - ai portali, per tenerli bloccati ed evitare che il verme possa uscire e scatenarsi nel mondo reale.
nonostante il suo potere, daijin è però una creatura dolce desiderosa di amore e di affetto, proprio come chiunque altro. quando suzume, senza conoscere la sua natura, è gentile con ləi, daijin rifiuta il suo compito e spera di poter rimanere al fianco della ragazza, ribellandosi alle sue responsabilità e scatenando il caos.

e, a essere sincera, tra un adorabile micetto parlante e un tizio sconosciuto, avrei compiuto scelte molto diverse da quelle di suzume...


daijin in un frame del film

giovedì 11 luglio 2024

bridgerton ~ considerazioni e appunti sparsi

i libri non sono mai solo libri, non si limitano mai a raccontare solo le storie scritte tra le loro pagine.
o almeno, per me è sempre stato così.

avevo deciso già prima di partire che queste prime settimane a bologna le avrei dedicate a bridgerton perché, per quanto desiderassi tornare qui, allontanarsi da casa non è una cosa facile. avevo pensato di buttarmi in questa serie perché l'ultima stagione di bridgerton è anche l'ultima serie tv che ho guardato prima di partire e pensavo che creare una sorta di collegamento avrebbe reso meno netto il cambiamento.


in realtà, le cose a bologna in queste settimane non sono andate come speravo, per tutta una serie di motivi che non ha senso raccontare qui. l'idea di leggere bridgerton, invece, è stata anche migliore di quanto avessi immaginato.
perché i libri non sono solo libri e questi libri qui non sono stati solo una sorta di collegamento tra un prima e un dopo abbastanza sconcertante (non è neppure la prima volta che vivo lontana da casa e sicuramente ho vissuto momenti peggiori di questo). i romanzi di julia quinn sono stati per me, in questi giorni, non solo un rifugio ma anche qualcosa di solo mio.
mi capita spesso di leggere libri/fumetti che stanno leggendo/hanno letto anche le persone con cui di solito parlo di libri e, di solito, mi piace confrontarmi e scambiare impressioni e idee con altrə lettorə.
in fondo è il motivo per cui ho aperto il blog (anche se, ormai da anni, questo spazio è molto meno animato di un tempo).
questa volta sono stata felice di leggere qualcosa che non solo nessunə della mia bolla sta leggendo ma che, probabilmente, in pochə leggerebbero.

e no, non voglio considerare bridgerton un guilty pleasure perché trovo tremendamente stupido dovermi sentire in colpa per quello che mi piace, tremendamente stupido e tremendamente maschilista quando quello che mi piace coincide con l'idea di cose-da-femmina, espressione che nasconde (poco e male) il disprezzo per tutto quello che secoli di stereotipi hanno associato alle donne.
e quindi, senza cercare giustificazioni e senza preoccuparmi di "oddio, cosa penserà di me la gente se leggo dei romanzi rosa?", sto leggendo la saga della famiglia bridgerton di julia quinn e mi sta piacendo un sacco, nonostante non sia di certo un'opera immune da critiche.
sto usando questi romanzi come spazi confortevoli, sto convivendo con lə personaggə come fossero amicə, sto lasciando che il loro vissuto interiore, i loro sentimenti e le loro emozioni possa riecheggiare da qualche parte in me, senza giudizi morali, solo provando a entrare in empatia con loro.

a livello più epidermico, è divertente scoprire le differenze tra i romanzi e le serie tv, che sono tantissime e si concretizzano più nei sottintesi che nelle differenze di trama vere e proprie. nonostante i romanzi siano sicuramente una lettura piacere, ammetto che certe cose della serie tv, probabilmente quelle che hanno fatto storcere il naso a chi intende adattamento come pedissequa ripetizione punto per punto della trama. ad esempio, una delle primissime cose che mi è piaciuta dell'adattamento televisivo è l'idea di mettere in scena una società che ignora completamente i pregiudizi razziali. quella di bridgerton, nella versione netflix, è una società sì classista ed aderente ai canoni culturali occidentali, ma in cui sembra che l'incontro tra bianchə e bipoc abbia portato a rapporti più equilibrati e paritari tra persone che non condividono lo stesso colore della pelle. non è una questione approfondita e proprio per questo, si può immaginare bridgerton come se fosse ambientato in un universo parallelo, un what-if in cui il colonialismo eurocentrico non esiste. non un mondo perfetto ma sicuramente un pelino meglio di quello che conosciamo, che parte da una base speculativa interessante su cui si possono immaginare un sacco di versioni alternative della nostra storia moderna e contemporanea.
inoltre shonda rhimes ha voluto dare spazio a corpi non conformi (da penelope ad alcunə personaggə disabili che si sono intravistə nella terza stagione) e alle relazioni non eteronormate e non monogame (anche queste nella stagione diledicata a polin), allargando enormemente il canone della rappresentazione tipico delle serie tv e dei film in costume.


la versione di netflix, inoltre, è molto più dichiaratamente femminista, e lo dimostra nella caratterizzazione delle personagge ma anche, e in modo forse più sorprendente, dei personaggi. è vero che il matrimonio è il punto di arrivo a cui tutte le ragazze - alcune prima, alcune dopo - puntano, ma ognuna di loro lo fa spinta da motivazioni personali che non si limitano mai al coronamento di una storia d'amore né, ancor meno, al raggiungimento di uno status socialmente accettato e necessario. l'amore - nel senso di passione, desiderio e soprattutto complicità - in bridgerton è qualcosa di reale, e se pure i modelli di mascolinità più o meno tossica non mancano, gli uomini che sono stati raccontati fino ad adesso si rivelano sempre compagni realmente interessati al benessere - fuori e dentro la camera da letto - e alla felicità delle loro fidanzate e mogli. sono uomini che amano davvero, che non distolgono lo sguardo dai loro sentimenti ma che anzi li accolgono per conoscerli e comprenderli. praticamente, è speculative fiction pura.
per le personagge, invece, il matrimonio è anche una questione d'amore ma non solo: se nel mondo reale il matrimonio è stato per le donne poco più che un passaggio da un padre-padrone a un marito-padrone, qui diventa il mezzo in cui emanciparsi dalla propria condizione di figlia, bisognosa di cure e attenzioni anche soffocanti, per diventare adulta a tutti gli effetti. una volta sposata, una donna ricopre un ruolo sociale inedito, ed è anche legittimata a scoprire la propria sessualità, in un dialogo esplorativo, conoscitivo e costruttivo col partner e col proprio corpo, senza sensi di colpa né intromissioni religiose di sorta.

l'aspetto romantico/erotico è centrale, ovviamente, ma - finalmente! - è esplorato attraverso quello che, per antitesi alla sua controparte maggiormente presente nelle nostre esperienze, potremmo definire female gaze. nella serie tv così come nei romanzi, il piacere femminile è il punto centrale delle scene di sesso, ed è inscindibile da tutto l'apparato emotivo-sentimentale che coinvolge le personagge e lə loro partner. il sesso non è mai sinonimo di necessità maschile, nessun uomo "usa" la sua compagna e, per chi si muove in queste storie, la sola idea è raccapricciante.
insomma, tutto è come dovrebbe essere (e come è troppo di rado).
il sesso in bridgerton è indissolubilmente legato all'amore, ma non mi ha mai dato l'impressione che questo doppio legame sia dettato da un'educazione puritana che demonizza il piacere e lo accetta solo se speri. mi sembra più che altro una versione ingenua e pura del sesso e dell'amore che non sanno essere finti, tossici o usati come mezzo per uno scopo. è l'amore come ce lo si immagina da bambinə alla prima cotta: bello, luminoso e assoluto.
sicuramente nulla di più lontano dalle complessità culturali, sociali e psicologiche che regolano i rapporti di coppia, ma altrettanto sicuramente è una bella utopia in cui è piacevole perdersi.

per chi ha visto la serie tv ed è indecisə se leggere o meno i romanzi che l'hanno ispirata: il mio consiglio è sì, purché non vi aspettiate la copia fedele di quanto è stato portato sullo schermo. le differenze di trama ci sono e sono spesso anche abbastanza macroscopiche, anche se i punti cardinali delle storie sono identici, però ho trovato interessante non soltanto leggere le versioni "alternative" delle storie che già conoscevo ma anche capire quanto lə personaggə di julia quinn potessero essere capaci di trasformarsi, di adattarsi a media e pubblici enormemente differenti tra loro, senza snaturarsi.

alla fine, a tre romanzi dalla fine della serie (e speriamo ad almeno cinque stagioni alla fine della serie tv) posso dire che quella di bridgerton è una delle serie che mi porterò dentro per tante, tantissime ragioni.

lunedì 17 giugno 2024

deadline party

qui bisogna iniziare a pensare a un business plan per l'aldilà! qualcosa di fresco, di innovativo di... eterno!


la morte ci spaventa. da sempre. ok, sicuramente buona parte della nostra paura è legata al fatto che non tuttə hanno la fortuna di andarsene serenamente nel proprio letto ma il vero terrore nasce dal non sapere cosa succederà dopo (ammesso che ci sia davvero qualcosa dopo).
e se, a un certo punto, scoprissimo che l'aldilà esiste davvero?
pensate davvero che vivremmo i nostri giorni con serenità, sicurə del fatto che prima o poi ritroveremmo tutti i nostri affetti e che potremmo rimanere con loro in eterno, liberə da ogni bisogno materiale, finalmente in grado di esistere, semplicemente?
ovviamente no! è il capitalismo, baby, e non c'è nulla capace di sfuggirgli!

la morte è diventata una cosa cool, le dirette social che riprendono modi creativi e spettacolari di garantirsi il trapasso sono all'ordine del giorno e, ovviamente, è fiorito un ricchissimo business che va dalle riviste con i consigli su come tirare al meglio le cuoia all'organizzazione di suicide party di lusso.
in mezzo a questo delirio, la nostra protagonista si ritrova a fare l'ennesimo stage non retribuito come grafica di necrologi, sommersa da mille impegni, scadenze, datori di lavoro stronzi, richieste-del-cliente e, contemporaneamente, vessata da una madre asfissiante e ipercritica che la disprezza profondamente per il suo non-lavoro.
insomma, una vita non esattamente invidiabile... e se davvero l'aldilà fosse una soluzione?


in questa storia brevissima (e cattivissima) che ha inaugurato la collana gatti sciolti insieme a scuola di butch, alessandro ripane, con il suo tratto a metà tra pop e underground, mette in ridicolo una società che ruota intorno al lavoro ma dimentica completamente tutele e diritti, schiava della produttività, resa isterica dai social e dal desiderio di accumulare follower, like e visualizzazioni, un mondo caotico in cui tuttə parlano (di lavoro, principalmente) ma nessunə ascolta.
il lavoro creativo, che è in realtà uno degli aspetti principali se non il fulcro di questo incredibile circo di autopromozione egoriferita e totalizzante, è bistrattato e svalutato e chi, come la nostra protagonista, vi si dedica, è praticamente costrettə a subire ogni possibile umiliazione - in ogni ambito! - pur di andare avanti.
ma non si può rimanere a subire in silenzio per sempre e, per quanto attraente possa essere l'idea di mollare letteralmente tutto, ci sono tantissimi modi per riscattarsi dei torti subiti...

venerdì 14 giugno 2024

commenti randomici a letture randomiche (86)

ultimo post prima di partire.
insomma, probabilmente avete letto delle mie ansie sui social o forse no. beh, comunque non è la cosa davvero importante adesso, magari ve ne parlo alla prossima newsletter - che a giugno ormai è saltata, quindi ci rileggiamo (su substack) a luglio.

qui, intanto, vi racconto brevissimamente gli ultimi libri che ho letto in questi giorni.

 il caffè della luna piena 
il caffè della luna piena non occupa un luogo fisso.
capriccioso, cambia continuamente indirizzo, comparendo ora in una familiare via commerciale, ora nella stazione d'arrivo del treno, ora sulle quiete sponde di un fiume.
qui non puoi ordinare. siamo noi a offrirti dolci, cibi e bevande messi da parte apposta per te.
«forse stai sognando» dice sorridendo il grande gatto tigrato che mi è apparso davanti agli occhi.

non credo di essere stata l'unica a essere stata attratta dalla copertina di questo libro ma di certo la copertina è la parte migliore.
chiariamoci: non è un brutto romanzo, non è noioso, non è scritto male.
è semplicemente una di quelle storie che si dimenticano tre minuti dopo averle finite di leggere.
protagonista assoluto è in realtà proprio il caffè della luna piena, un misterioso locale gestito da gatti che appare per le strade di kyoto per chi ha bisogno di rimettere in ordine la propria vita.
la prima a imbattersi nel caffè è serikawa, una ex sceneggiatrice di successo che sembra aver perso il suo talento e che adesso tira a campare con un lavoro che non ama, in un appartamento che non le piace, rimpiangendo il passato. poi c'è akari, reduce da una delusione amorosa; megumi che vorrebbe cambiare lavoro e infine mizumoto, l'unico uomo del gruppo, che incontra di nuovo, dopo tantissimo tempo, il suo primo amore.
prevedibilmente le loro storie sono tutte intrecciate e, altrettanto prevedibilmente, l'incontro con i gatti de il caffè della luna piena servirà a tuttə loro per risolvere ogni problema tra una lettura della loro carta astrale e un dolce creato ad hoc, trovare la loro strada e vivere felici.

insomma, il caffè della luna piena è un romanzo che non consiglierei a meno che non vogliate passare qualche ora di nulla cosmico con una lettura di intrattenimento davvero molto, molto leggera.

 il grande albero al centro del mondo 
si narra che tanto tempo fa, al centro del mondo, si ergesse un grande albero.
nonostante le sue dimensioni, chi sapeva della sua esistenza poteva essere contato sulle dita di una mano. e proprio per questa ragione è possibile che ormai sia stato completamente dimenticato.

il grande albero al centro del mondo, invece, è stata una bellissima sorpresa. mi aspettava da mesi e alla fine è arrivato, come sempre, proprio al momento perfetto.
o forse ogni momento è perfetto per un libro come questo.
che makiko futaki sia stata una collaboratrice dello studio ghibli è evidente fin dalla copertina di questo libro e poi ancor più iniziando a leggere e a guardare le meravigliose illustrazioni che accompagnano la storia di sisi.
sisi vive sola con sua nonna in una valle solitaria ai piedi del grande albero. non ha mai visto nulla del mondo ma lo spettacolo dell'albero che si perde in alto tra le nuvole e poi l'incontro con un misterioso uccello dorato fa crescere in lei il desiderio di scoprire cosa cela la cima del gigante verde. inizia così un viaggio che sembra una fiaba, tra rospi parlanti, creature di muschio e incontri inaspettati, una fiaba che racconta di una natura grandiosa ma malata che ha bisogno di essere salvata, in perfetto stile ghibli.

il libro di makiko futaki è una storia straordinaria che sa stupire e incantare lettorə di ogni età. straconsigliato!

martedì 11 giugno 2024

lo spettro dell'asessualità ~ corpi, percorsi e rivendicazioni della comunità asessuale

se è vero che la marginalizzazione di esperienze diverse da quella eterocis è un fenomeno che colpisce praticamente chiunque non si identifichi nell'aggettivo di cui sopra, alle persone asessuali (e aromantiche ancor di più) è negata persino la consapevolezza della propria "deviazione dalla norma" se non in ottica strettamente patologizzante [...]. le persone asessuali o ace, insomma, sono vittime di una forma particolarmente perniciosa di ingiustizia ermeneutica. ovvero, non hanno accesso a concetti e informazioni rilevanti per costruire la propria identità, comprendere la propria oppressione e ribellarvisi.

la collana bookblock è ormai stranota per essere una cartuccera di piccole ma incredibilmente potenti bombe capaci, in pochissime pagine, di aprire porte su aspetti del reale che altrimenti magari non avremmo mai preso in considerazione.
lo spettro dell'asessualità di francesca anelli è stato per me esattamente questo, una messa a fuoco su qualcosa che ho sempre avuto davanti agli occhi ma che non riuscivo a vedere, semplicemente perché mi avevano messo sul naso degli occhiali sbagliati (sì, mi identifico nello spettro anche io).

anelli spiega fin dalle prime pagine che il suo piccolo libro, prima di essere il manifesto che lei desidera, dovrà farsi manuale divulgativo per spiegare una delle lettere meno conosciute e attenzionate della sigla lgbtqia+, quella "a" che si riferisce, appunto, alle persone asessuali e aromantiche.

è importantissima la parola "spettro" che, dal titolo in poi, si ripete più e più volte all'interno del saggio, perché pone l'attenzione sul fatto che le categorie che utilizziamo per rendere visibili e conoscibili alcune identità che non si conformano allo standard, non sono mai contenitori rigidi e schematicamente disposti uno in relazione all'altro.

sappiamo che le "etichette" non sono affatto semplici brand a cui affiliarsi o meno. trovare un nome a esperienze che prima non ne avevano uno, significa renderle comunicabili e conoscibili e, di conseguenza, significa dotarci di strumenti per comprendere e conoscere noi stessə, spostarci dall'ambito della patologia individuale e trovare il nostro gruppo di appartenenza, ovvero uno spazio e una comunità in cui riconoscerci e con cui confrontarci senza timore di essere giudicatə in base alla nostra vicinanza o lontananza dallo standard normativamente stabilito e inteso.
e anche questo posizionamento non è fine a sé stesso: de-individualizzare una condizione vuol dire politicizzarla, passare cioè dalla dimensione personale/patologica a quella collettiva e di rivendicazione.

da qui, anelli fa riferimento tanto alla letteratura esistente, quanto ai movimenti social e alle sue esperienze personali per spiegarci il significato - anzi, tutti i possibili significati presenti nello spettro - del termine asessualità, ponendo questo concetto in relazione con la psichiatria e la medicina, per depatologizzarne l'esperienza, e con le strutture politico-economiche che definiscono gli standard sessuali/relazionali/riproduttivi per diverse categorie di persone (ad esempio, quelle disabili), nell'ottica della riproduzione di uno schema sociale sempre identico in cui ogni identità - una volta inequivocabilmente determinata - gioca il suo ruolo.

rivendicare di appartenere allo spettro ace, dunque, non è soltanto rifiutare diagnosi applicate sull'assunto che siamo tuttə allosessuali (ovvero, che abbiamo bisogno di partner con cui fare sesso, a prescindere dalla struttura sociale in cui ci disponiamo insieme a loro), ma anche scardinare le gerarchie relazionali (banalmente, l'idea che siano più importanti le relazioni con le persone con cui facciamo sesso e ancor di più quelle con cui stabiliamo una relazione sessuale e affettiva duratura e monogama) e le strutture di produzione e riproduzione del nucleo sociale base (la famiglia), ingranaggio basilare del sistema capitalistico.

un punto interessante (che abbiamo toccato anche noi, anche se in un'ottica differente ma sempre nel senso della marginalizzazione e svalutazione di alcune esperienze, nel nostro decostruzione antiabilista) è quello che riguarda la relazione con gli ambienti transfemministi da una parte e lgbtqia+:
è per questo davvero avvilente constatare come non avere una vita sessuale avventurosa, non mostrare particolare interesse per il sesso o non dare priorità alla ricerca di partner in grado di soddisfarci da questo punto di vista, si ancora frequentemente motivo di vergogna anche e soprattutto negli spazi femministi, perché percepito come una sorta di fallimento politico. [...] il mito della liberazione sessuale codificato secondo una lente allo continua a mietere vittime, rendendo spesso gli spazi transfemministi e queer, tanto online quanto online, ipersessualizzati e ostili nei confronti di chi non si conforma all'idea stereotipata di "persona libera".
se intendiamo il concetto di sessualità libera dalle imposizioni patriarcali in un solo e unico modo, non facciamo altro che reiterare l'idea che non ci siano altre possibilità di essere e di vivere se non quelle accettate dalla maggioranza (anche tra le minoranze), creando realtà marginalizzate persino all'interno degli spazi autoproclamatisi inclusivi e plurali.

lo spettro dell'asessualità da un lato rivendica l'esistenza delle persone ace, la loro queerness intesa come allontanamento dallo standard, mentre dall'altro pone le basi per una riflessione sui modelli relazionali comunemente accettati che, molto spesso, riproponiamo semplicemente perché non pensiamo possano esserci alternative.
conoscere e dare la dovuta importanza a ogni possibile declinazione delle esperienze affettive/sessuali/relazionali è il primo passo per la creazione di spazi davvero plurali e, ancor di più, per una sana e piena autoconsapevolezza.