lunedì 3 febbraio 2025

lucifero

ogni volta che mi sveglio guardo il mio riflesso, mi chiedo chi sono e non so mai che cosa rispondere. so solo che mi chiamo lucifero. so con quali indumenti mi ha vestito il signore, che cosa mi ha donato e, dentro di me, sento ogni dettaglio con cui mi ha creato. eppure mi sento perso. vorrei sapere perché esisto, così da poter onorare il suo splendore.
ma non lo so. non so nulla.

leggendo questo libro ho capito una cosa importantissima, una verità a cui mi ero avvicinata tante volte ma che non mi era mai apparsa tanto chiara: quando un libro non rispetta le aspettative che me ne ero fatta, non è (quasi mai) colpa mia. non sono io che, per chissà quale ragione, guardo una copertina, leggo le poche righe di presentazione dietro e do il via a processi mentali insensati nutriti dalla mia immaginazione. quando mi faccio delle aspettative che vengono tradite, è perché chi doveva presentarmi il libro mi ha lanciato un messaggio completamente sbagliato, una bugia a cui io ho creduto.

prendiamo lucifero di rafael nicolás. a guardare la copertina e a leggere la definizione di retelling queer della storia di satana mi aspettavo - per dirla sinceramente e senza troppi giri di parole - un mezzo pornello gay pieno di uomini bellissimi e con le alucce che si davano alle orge.
capisco la necessità di rivolgersi a quella fetta di lettorə che, nel nostro paese, è più ricettiva alle novità, mette più volentieri mano al portafogli e fa vivere i libri - a volte li fa diventare dei veri e proprio miracoli editoriali - grazie al bookstagram e al booktok, però se diventa una forzatura, se ci si rivolge al target sbagliato o al target giusto ma lanciando dei messaggi sbagliati, si rischia di far arrivare il libro a chi non lo apprezzerebbe davvero e di non raggiungere lə lettorə giustə.
e infatti non è che avessi molta voglia di leggerlo (ammetto con candore che i mezzi pornelli - o i pornelli completi - mi mettono abbastanza a disagio, a prescindere dal sesso, dalle identità di genere e dalle preferenze sessuali dellə protagonistə) ma poi la brava francesca (l'autrice de la bilbioteca di zosma) mi ha detto che lo stava leggendo e che non era nulla di quello che avevamo (dunque non era solo una questione mia) pensato, nessuna feticizzazione di uomini belli, più o meno vagamente androgini e gay (ciao fan degli yaoi!) ma un romanzo incredibilmente profondo che si poneva questioni filosofiche, etiche e teologiche circa la natura stessa di bene e male.

mi spiace per chi sperava di trovare pettorali bagnati di sudore e peccaminose passioni, ma sono felicissima di aver seguito il consiglio e di aver letto un romanzo così forte, che metterei volentieri accanto al paradiso perduto di milton e a il vangelo secondo gesù cristo di saramago (con i dovuti distinguo, ovviamente).
gli appunti che ho preso su questo libro sono tantissimi, e moltissimi di questi sono in forma di domanda, ma si possono sintetizzare tutti in un disperato perché? che riecheggia i pensieri e le parole di lucifero per più della metà della storia.

dicono che quando nasciamo piangiamo perché l'atto della nascita stesso è violento e doloroso, un trauma che ci strappa da tutto quello che è la nostra realtà, una realtà dolce e rassicurante, per scaraventarci in un mondo ostile fatto di luci che ci feriscono gli occhi, rumori che nessuna membrana attutisce più per noi, aria che forza i polmoni.
anche la nascita di lucifero è violenta e dolorosa. il puro spirito che viene plasmato e scolpito da dio, costretto in un corpo fatto di carne e sangue e muscoli e ossa, un corpo che può soffrire, che può essere ferito e piegato. lucifero viene plasmato da dio non perché sia bello ma perché sia l'incarnazione stessa della bellezza.
sia chiaro che in questo post, così come nel libro, per lucifero e per tutti gli altri angeli viene usato il maschile solo per abitudine: la forma degli angeli non è quella che siamo abituatə a pensare, esseri umani - maschi o femmine che siano - di indicibile bellezza e grazia, soffusi di luce e ammantati da ali piumate. nicolás si rifà al testo biblico per lasciarci intuire che le loro forme sono a dir poco incomprensibili e inimmaginabili per la mente umana, mostruose nel significato originario del termine, che ci sia una sovrabbondanza di teste (e non necessariamente umane) o di ali (non necessariamente attaccate sotto le scapole) o anche che non ci sia nessuna parvenza di forma umana o animale di sorta.

sappiamo solo che gli angeli sono di una bellezza squisita, che sono diversi tra loro per il colore della pelle, dei capelli e degli occhi e per le forme, che possono essere esili e delicate o forti e vigorose, ma gli altri dettagli sono omessi o solo accennati perché, sia chiaro, sono angeli, non esseri umani alati. e l'idea di bellezza che dio ha deciso di incarnare in loro non è neppure afferrabile per le nostre menti.
atteniamoci a questo e diciamo addio all'idea di un retelling queer: cosa dovrebbe esserci di queer in creature che non hanno nemmeno una vaga idea di cosa sia l'identità di genere, figuriamoci il sesso biologico (ammesso e non concesso che ne esista uno e che somigli a quello che noi intendiamo con queste parole)? ve lo dico io: assolutamente nulla. se anche fossero tutti biologicamente maschi e se anche tutti si riconoscessero nella categoria socioculturale di maschi, o se fossero tutte femmine o tuttə non binary o quello che vi pare, non cambierebbe niente. perché né il sesso, né l'identità di genere, né gli atti sessuali - che ci sono, certo, ma non sono quello che la copertina, tra testo e illustrazione, vi suggerisce - hanno un ruolo utile ad appiccicare a questo libro l'etichetta di queer. con buona pace di chi si occupa del marketing.

lucifero nasce e in noi - e in lui - nascono i primi perché: il suo corpo, così bello da stupire ogni altro angelo del paradiso, non è soltanto l'origine di un dolore fisico, ma motivo di vergogna. dio lo crea, gli dà la vita e la conoscenza e lo ammanta di ogni pietra preziosa e di vergogna.
perché lo fa? e come può una creatura come un angelo, la cui vita è destinata a godere di ogni possibile piacere in paradiso per l'eternità, provare vergogna per il proprio corpo? come fa a conoscere il concetto stesso di vergogna, il più artificiale e culturalmente informato dei nostri - umani - sentimenti?
tenete da parte questa domanda (tranquillə, ve la porrete alla seconda pagina, non è uno spoiler) perché vi accompagnerà per tutta la lettura.

leggendo la storia di lucifero scopriamo com'è la vita degli angeli e com'è il paradiso, un posto di eterna beatitudine e gioia, dove gli angeli trascorrono il loro tempo infinito in amicizia fraterna, tra un lavoro che non è mai fatica e divertimenti che anche quando diventano brutali - fanno qualcosa che somiglia ai nostri sport, corrono e fanno giochi di squadra, ma vanno matti per i combattimenti che sono spesso feroci - non sono mai davvero violenti o mortali. i loro corpi sanguinano, vengono feriti, provano dolore ma non muoiono. il dolore è un gioco, per tutti tranne che per lucifero: la prima volta che tira fuori le ali, ripiegate all'interno del suo corpo, lo strappo della carne e il sangue che ne cola è per lui un trauma, che rimarrà impresso nella sua memoria per milioni di anni.
la sua gioventù è un periodo lungo, lunghissimo. il tempo degli angeli è inconcepibile per noi ed è proprio per sottolineare questa impossibilità di comprensione che nicolás non lo scandisce mai in modo chiaro, lasciandoci solo intuire quanto infinitamente grande sia.

circondato dall'affetto degli altri angeli - rosier, raffaele, asmodeo, belial, gabriele, tra gli altri - lucifero trascorre la sua giovinezza tormentato dalla vergogna e dalle domande. avverte la profonda differenza tra sé e tutti gli altri ma non riesce a comprenderla, si strugge nella paura di non essere sufficiente per essere amato da dio e desidera ardentemente incontrarlo. il paradiso è la terra degli angeli e dio, invece, ha scelto di vivere nell'eden, nel suo giardino, chiamando a sé i suoi figli solo quando ne ha voglia, per essere servito, adorato e venerato.
plasmato, creato e voluto da dio, lucifero non è ancora stato ammesso alla sua presenza, e questa lontananza lo fa soffrire, lo impaurisce. perché un angelo, creato perché viva nella gioia, soffre e ha paura?
lucifero cresce senza sapere chi è: ogni angelo ha il suo talento - rosier è l'angelo della frutta, belial l'angelo del volo, e così via - ma qual è il suo? tutti gli dicono che lui è l'angelo della bellezza, ma cosa fa l'angelo della bellezza? in che modo onora il talento che gli è stato donato? cosa deve fare l'angelo della bellezza per compiacere dio? domande su domande su domande, e lucifero crede che solo incontrare finalmente dio potrà dissipare tutti i suoi dubbi.

quando l'incontro avviene, finalmente, l'angelo più giovane e più bello si convince di aver trovato finalmente una risposta: a dio piace sentirlo cantare e i suoi canti e i suoi balli in onore del padre coinvolgono chiunque in paradiso e dunque sarà l'angelo della venerazione. la musica di lucifero trascina chiunque in modo quasi frenetico, estatico, come se nessuno possa resistergli.
parlare con dio, però, non porta ai risultati sperati. nessuna vera risposta, nessuna piena comprensione, solo una valanga di dubbi che cresce man mano che va avanti, che investe tutto quello che incontra, se ne nutre, cresce ancora e diventa inarrestabile.
nelle parole di dio, lucifero non riesce mai a trovare alcuna rivelazione né risposta:
di tanto in tanto lucifero si chiedeva perché il loro padre non potesse spiegare in modo diretto la natura delle cose. erano sempre metafore, allusioni, parole studiate per essere interpretate. le prime falsità.
e intanto, lucifero incontra michele, l'angelo della forza, che per tanto tempo aveva ammirato durante i combattimenti.
potremmo chiamare amore quello che nasce tra loro ma il significato che diamo alle parole non può adattarsi a quello che succede a due angeli del paradiso, esseri eterni creati soltanto per amare dio. totalmente ed esclusivamente dio.
il rapporto tra lucifero e michele è un'amicizia totalizzante che si strugge della sua incapacità di essere qualcosa di più: c'è un'infinita tenerezza tra i due, un desiderio profondo di stare vicini, di toccarsi, di annullare i confini, ma non è nulla che sfiori anche solo lontanamente il nostro concetto di desiderio.
almeno fino a quando non succede quel qualcosa che stravolge lucifero, l'innesco osceno e brutale che dà il via a una lunga e sofferta strada verso la ribellione.

l'amore tra lucifero e michele e quello che dio impone ai suoi angeli da un lato sono diversi dall'esperienza di amore che abbiamo noi, creature finite e per nulla perfette, ma dall'altro rispecchiano benissimo i due concetti di amore sano e amore tossico. lì dove c'è reciprocità, dove c'è rispetto e parità, dove c'è voglia di rendere felice l'altro, ovvero nel rapporto tra i due angeli, nicolás ci racconta l'amore così come dovrebbe essere, un amore che è anche scoperta e conoscenza.
ma nell'amore che dio pretende c'è tutta la tossicità possibile, come se - cioè, è esattamente questo - quella pretesa fosse alla base di ogni orrore insito nelle culture patriarcali che tanto bene conosciamo e di cui tanto parliamo, provando a decostruirle e distruggerle.

il modo di scrivere di rafael nicolás è perfetto per questa storia, lirico e al tempo stesso semplice, capace di portare sul piano umano eventi che vanno molto al di là della nostra natura e della nostra possibilità di comprensione. nicolás ci permette di cogliere la dimensione propria del sentire e del pensare degli angeli e, attraverso le loro parole, quella di dio. dà loro un carattere e una personalità, rendendoli riconoscibili e unici pur nel loro essere perfetti.
ma il capolavoro della sua penna è la caratterizzazione di dio, una figura impossibile da descrivere, un essere che nemmeno gli angeli possono guardare direttamente, di cui però cogliamo alcuni sprazzi. immenso, potente oltre ogni immaginazione, l'idea di dio che ci arriva è respingente e spaventosa eppure terribilmente umana, inquietantemente vicina a quella di un padre che pretende amore dai suoi figli ma che non è capace di dare loro nulla, se non la possibilità di essere venuti al mondo. 
«impuro? che cosa vuol dire essere impuri?» nella sua testa, gridò: "sono diventato impuro? sono rovinato?".
«non conoscere l'impurità, vuol dire essere puri» rispose semplicemente il signore. «non tremare, lucifero, non hai nulla da temere [...] devi sempre mantenere la tua purezza, in tutti i modi possibili. la tua mente e il tuo corpo mi appartengono.»
la storia della guerra in paradiso la conosciamo già: lucifero raduna un esercito di angeli a lui fedeli e combatte contro dio, contro un altro esercito di angeli. una guerra soprattutto fratricida, una guerra che solo dio, in quanto dio, può vincere e che porterà alla caduta di lucifero e di tutti i suoi seguaci, scaraventati giù dal paradiso sulla terra, con così tanta forza da creare l'inferno stesso.
ma nicolás non si limita a riprendere il mito originale, si concentra invece sul come e sul perché della dannazione di lucifero, sulla sua origine, sul suo motivo e sul suo significato.
per farlo, non può che risultare blasfemo agli occhi dellə lettorə credenti. e come potrebbe non essere così? quale altra volontà, se non la sua, poteva concepire il nemico? quale altro potere, se non il suo, poteva corrompere lo spirito perfetto di un angelo?

noi cristianə - e non intendo necessariamente chi ha fede (chi scrive, ad esempio, non ne ha) ma chi è natə e cresciutə in una società prevalentemente cristiana, regolata da leggi morali e giuridiche che si rifanno a quelle cristiane e quindi a un intero sistema di pensiero fondato sull'insegnamento di cristo - abbiamo un'immagine incongruente e sdoppiata di dio: il dio del vecchio testamento e quello del nuovo sono profondamente diversi, per molti aspetti opposti, e quale che siano i motivi - legati alla fede o alla storia sociale, politica e culturale degli ultimi due millenni - per cui vogliamo accettare che sia sempre la stessa entità che decide di cambiare il suo rapporto con gli esseri umani, non riusciamo comunque a toglierci dalla mente l'idea di un dio buono, compassionevole e caritatevole.
ma dobbiamo fare uno sforzo e ricordarci che non è così: dio è terribile e chiede di essere temuto, oltre che amato e venerato. abbiamo deciso di adottare il dio degli eserciti di un popolo che non metteva carità e compassione tra i suoi valori fondamentali, e dunque non possiamo dimenticare l'ambiguità della natura di dio e del suo rapporto con gli esseri umani e, prima, con gli angeli.

nicolás fa quello sforzo per noi, ci ricorda che dio - il dio prima di gesù o, se preferite, lo stesso dio che costringe il suo stesso figlio a sofferenze indicibili e a una morte crudele e senza dignità - è temibile e incomprensibile, lontano dal pensiero umano. ci ricorda che è un dio forte (he whom thunder hath made greater, diceva il lucifero di milton), uno che non si fa scrupoli a ostentare la sua potenza e che agisce esclusivamente per sé, incurante del dolore di creature troppo piccole per valere qualcosa dinnanzi a lui.
questo è il dio di lucifero e questo è il motore primo della storia dell'angelo più bello, quello che porta la luce e che illumina dio e il creato intero.
quell'angelo che ci ricorda che perché ci sia luce, perché qualcuno brilli, qualcun altro deve rimanere nell'ombra e nell'oscurità.
e che se ombra e oscurità non esistono, allora bisogna crearle.

mercoledì 29 gennaio 2025

katie

sapeva che non c'era niente di cui vergognarsi a essere poveri, ma non poté evitare una fitta al pensiero dei continui sacrifici cui erano costrette lei e la madre, per la scarsità e precarietà di mezzi. a volte le capitava di sognare a occhi aperti gli abiti del guardaroba di jewel. sognava di visitare new york e di vedere l'oceano. sognava una vita che non fosse tutta fatica e privazioni. sognava cento sogni al giorno, uno più bello dell'altro, ma ciò che non si sarebbe mai sognata era quanto fosse a portata di mano la possibilità di esaudirli.


con katie torniamo ai paesaggi dell'america dell'800 a cui ci ha abituatə michael mcdowell, un paese di eccessi, in cui le classi sociali si distinguono nettamente, dove lə poverə arrancano avanti giorno per giorno strappando qualche ora di vita in più alle malattie, alla disperazione e alla fame mentre lə ricchə si annoiano tra serate di gala, pizzi e gioielli.
se però ne gli aghi d'oro le disuguaglianze sociali e un certo tono politico erano elementi portanti della trama del romanzo e in gioco trovavamo due famiglie rivali, in katie lo status di ogni individuo sembra più voluto da un capriccio del destino che l'espressione di un preciso sistema sociale, e la lotta si consuma tutta tra due donne: katie e philomena.
quello che accomuna i due romanzi sono, prevedibilmente, i numerosi ed efferati crimini che si consumano tra le loro pagine - che mcdowell sa descrivere con uno stile orripilante quanto ipnotico e affascinante - e lo stesso, identico (e in qualche modo preoccupante) senso di soddisfazione che ci dà arrivare alla fine e poter assaporare una sorta di rivalsa.

katie la conosciamo nel prologo, quando è ancora bambina e manifesta già un'indole psicotica che rivela il suo potenziale di serial killer. philo, invece, la incontriamo all'inizio della storia vera e propria, ed è la tipica ragazza povera, poverissima, ma volenterosa che sogna di cambiare la sua vita senza sapere bene come riuscirci e che è sempre stata circondata di persone la cui unica funzione - dal punto di vista narrativo, si intende - è quello di impedire ogni cambiamento: una madre arrendevole, un padrone di casa impietoso e arrogante, una non-amica acida e cattiva.
le vite delle due ragazze potrebbero non incrociarsi mai se non fosse per una complessa serie di morti, vedovanze e nuove parentele acquisite che portano katie a diventare la nipote del nonno di philo che, dopo anni e anni di silenzio, scrive alla figlia - la madre di philo - per farsi salvare dalle grinfie della nuora, del suo nuovo marito e della sua figliastra che lo tengono praticamente prigioniero nella sua stessa casa, lasciandolo sopravvivere quel tanto che basta finché non si deciderà a firmare il testamento e lasciare tutto a loro.

nella comparsa a sorpresa del nonno e nella promessa di una fortuna economica per nulla indifferente, philo vede non soltanto la possibilità di migliorare sensibilmente il proprio status sociale ma anche, e soprattutto, l'occasione di vedere finalmente sua madre felice, di nuovo riunita al padre perduto tanti anni prima. fingendosi una domestica per andare in soccorso del nonno, philo fa la conoscenza con la famiglia slape: richard, padre naturale di katie, e hannah, moglie di seconde nozze e matrigna di katie che, fin da piccolina, aveva cresciuto insegnandole ogni possibile crudeltà e disprezzo.
il terzetto è l'incarnazione del male, della cattiveria e - soprattutto nella figura di richard - della stupidità. il piano di philo per salvare il nonno - e i suoi soldi - viene scoperto presto: il povero vecchio fa una fine da incubo mentre philo viene accusata di un delitto mai commesso e ritorna non soltanto a essere povera in canna, ma braccata dalla polizia e da katie, la folle, brutale e pericolosissima "cugina".

da questo momento in poi, philo e katie viaggeranno su due binari paralleli, incrociandosi e raccogliendo l'una i resti dei delitti dell'altra, spostandosi dalla provincia alle affollatissime strade di new york, lì dove la vita corre avanti frenetica e ogni momento può essere quello decisivo per chiunque: si può incontrare un'amica sincera, trovare l'amore, diventare la segretaria personale di una facoltosa benefattrice, assistere a ogni genere di spettacolo teatrale, farsi predire il futuro, restare coinvoltə in incidenti mortali o finire due metri sotto il pavimento di una desolata cantina.

katie è un romanzo che, come tutti quelli nati dalla penna di mcdowell e già pubblicati in italiano negli ultimi anni, si fa leggere senza lasciare allə lettorə un solo momento di tregua, affastellando colpi di scena e turpi omicidi mentre la narrazione entra ed esce nell'interiorità dellə personaggə, mostrandoci le loro virtù, le debolezze e - soprattutto, perché in fondo è questo che cerchiamo nei libri di mcdowell - l'orrore.
personalmente, per quanto l'abbia trovato estremamente appassionante (quasi ossessionante!), non lo ritengo all'altezza di blackwater o de gli aghi d'oro dove, rispettivamente, l'aspetto magico/sovrannaturale o il tema politico riuscivano a dare qualcosa di più al racconto. katie è la storia dello scontro tra una furiosa serial killer e una ragazza di sani principi che vuole una vita migliore, due personegge che però rimangono confinate nelle loro definizioni e che non tradiscono mai il loro ruolo.
consigliato allə fan dell'autore, ma sicuramente non è da questo che partirei per iniziare a conoscerlo.

se ti piacciono i post di questo blog puoi sostenermi su ko-fi

venerdì 24 gennaio 2025

ultima fermata prima del vuoto

e se solo una di quelle nuove persone ipotetiche ne salvasse un’altra, con una parola, un’azione o un singolo atto sconsiderato? quanti futuri potrebbe portare dentro di sé quel minuscolo neonato insanguinato? quante vite potrei aggiungere al conteggio?

il conteggio. tutta la vita di decem rea sembra girare attorno al conteggio, un modo per riportare equilibrio nella sua vita e, in qualche modo, all'universo.
tenere fede al suo proposito non è facile e per riuscirci si ritroverà imbarcata in un'avventura folle il cui obiettivo non è più semplicemente sopravvivere e aggiungere numeri al conteggio, ma salvare la generale.

ultima fermata prima del vuoto è definito un western fantascientifico, ma aggiungerei all'etichetta anche punk e totalmente matto. per tutto il tempo, all'inizio della storia, ho pensato che questo libro stesse rischiando di essere un minestrone di cose già viste, da ken il guerriero a kids with guns passando per star warsthe mandalorian, mad max e the last of us. in effetti, stark holborn pesca a piene mani da immaginari che conosciamo bene: le ambientazioni desertico-western, le bande di tagliagola (taglia-un-po'-di-tutto-e-raccatta-quello-che-puoi-che-si-vende-bene a dire il vero) che arrivano all'improvviso in piena notte, la figura dell'eroe, anzi dell'eroina in questo caso, solitaria e con un passato misterioso e non del tutto limpido alle spalle che si ritrova, suo malgrado, a proteggere una bambina a dir poco speciale da chi le sta dando la caccia senza pietà, e un mucchio di personaggə impossibili da definire buonə o cattivə.

eppure, ultima fermata prima del vuoto è soltanto sé stesso. holborn ha imparato tantissimo da un mucchio di narrazioni che l'hanno preceduta e ha dato alla luce un romanzo con una sua identità ben definita, con personaggə solidə e una trama che, nonostante viaggi a velocità prossime a quella del suono, difficilmente perde un colpo.

il racconto si apre nel deserto delle desolazioni, il faro della narrazione puntato fisso su decem rea. alle spalle, un passato misterioso di cui è impossibile scuotersi la colpa di dosso, davanti a lei l'oscurità della notte e del futuro, tutto intorno i se, entità quasi magiche - che spostano ultima fermata prima del vuoto dalla fantascienza nuda e cruda verso contaminazioni più fantasy - che si insinuano nella mente, mostrano i possibili futuri e, forse, contribuiscono a trasformarli in presente. è da qui, in questo ansiogeno buio rischiarato da un fuoco minuscolo, che decem nota la nave spaziale schiantarsi sul pianeta. l'esperienza le dice che avvicinarsi è un suicidio, il conteggio le ricorda che non ha scelta. il disastro è totale, ci sono solo due sopravvissutə: un uomo, un soldato, pronto a esalare il suo ultimo respiro e una bambina, minuscola, avvolta in una divisa troppo grande per lei, priva di sensi.

l'incidente non è stato un incidente e gabi, la bambina, non è nulla di neppure lontanamente simile a una bambina come tutte le altre. nella lotta tra l'accordo e i senza confini che ha scosso l'universo e i cui effetti si ripercuotono ancora sulle vite dellə sopravvissutə, la forza minoritaria è sempre stata per decem qualcosa di molto simile a una leggenda: bambinə geneticamente modificati e potenziati per diventare soldatə praticamente imbattibili, che puntano non soltanto sulle loro capacità affinate dalla biotecnologia dell'accordo ma anche, e soprattutto, sullo shock di chi si ritrova davanti a unə bambinə sul campo di battaglia.

gabi è una di loro e, per qualche motivo, l'accordo la vuole morta. nonostante l'incontro con decem prima e tutto il periodo che passano insieme poi non sia esattamente rose e fiori, tra le due si instaura una sorta di fiducia dettato dalla necessità di sopravvivere, per gabi, e di onorare le proprie promesse, per decem.

il viaggio - o la fuga, se preferite - attraverso scenari che sembrano fatti apposta per vedere morire quante più creature possibili, è frenetico, totalmente matto, una corsa infinita verso una meta che sembra allontanarsi come fosse uno scherzo. ma è anche costellato di incontri con personaggə che, come tutto in questo romanzo, sono impossibili da definire secondo gli standard di un'etica che non tiene conto della necessità impellente di sopravvivere minuto dopo minuto.
ai morti non interessano i motivi per cui li hai uccisi.
holborn ci prende al volo per una manica e ci butta dentro a un mondo che gira troppo veloce, dove nessunə ti spiega nulla e ti conviene aprire bene gli occhi e cogliere ogni dettaglio per non perderti nel nulla. non è solo una metafora per rendere il senso di urgenza che pervade tutta la narrazione, ma è esattamente quello che si prova durante la lettura: lo show don't tell è portato ai massimi livelli, non abbiamo possibilità di distrarci nemmeno per un momento perché nessuna voce paziente ci spiegherà cosa diamine stiamo leggendo.

ve lo dico io, in breve: un romanzo folle e velocissimo che un attimo ci fa sentire a casa nel nostro bel nerd-mondo, l'attimo dopo ci sbatte in faccia che no, questa non è la solita storia di buonə e cattivə che si affrontano a colpi di raggi laser, questa è una storia che parla dell'incomprensibile e incoerente complessità degli esseri umani, di colpa e di redenzione, di cosa vuol dire cercare sé stessə - come personaggə, come creatorə di mondi fantastici, come lettorə e appassionatə di fantastico - e provare a definire la propria identità.

martedì 21 gennaio 2025

l'airone della pioggia

ma ancora più curioso fu quel che videro dopo: un airone gigantesco, del colore della pioggia, che con un balzo fulmineo emerse all'improvviso dall'acqua senza lasciare nemmeno un'increspatura.

mentre leggevo l'airone della pioggia immaginavo i paesaggi e lə personaggə come se fossero quellə di un film dello studio ghibli. le atmosfere e le tematiche in effetti si avvicinano moltissimo a quelle che si ritrovano nei film diretti da miyazaki, ma declinate in modo molto più cupe e adulte.
già dall'inizio, da quel capitolo zero che somiglia a una favola o a una leggenda antica, robbie arnott ribalta i toni del racconto popolare. c'era una volta una contadina molto povera e sfortunata. un giorno l'airone della pioggia decise di aiutarla, e la contadina iniziò a vivere una vita felice e prospera, senza avidità, condividendo con lə altrə la sua nuova fortuna.
ma gli esseri umani sono creature capaci di invidia, gelosia e crudeltà, e per colpa di uno di loro, della sua rabbia cieca e dei suoi atti scellerati, la contadina tornò a vivere nella sfortuna e nella miseria, abbandonata dall'airone della pioggia, fino al giorno in cui incontrò una morte solitaria e miserabile.

misterioso e capriccioso come un dio, l'airone della pioggia è una creatura nata nella leggenda. o almeno, ren l'ha sempre pensato così, fino al giorno in cui, dopo un'interminabile scalata tra le montagne quando era ragazzina, sua nonna non la condusse fino a dove viveva l'airone.
vivo, reale, lì davanti ai suoi occhi questa creatura impossibile, pallida e lucente, appariva proprio come nelle leggende: il corpo fatto d'acqua, capace di lasciare filtrare attraverso di sé i raggi del sole, di librarsi in volo e di fluire come un ruscello. non poteva più dubitare, adesso, della sua esistenza, né faticava a credere che avesse potere sulla pioggia e sulla siccità, sull'abbondanza e la carestia, sulla vita e sulla morte.

adesso, ren vive sulla montagna, lontana dal resto dellə abitanti del paese e dalla guerra. le sue giornate sono difficili e pericolose, il suo tempo è tutto votato alla caccia e alla raccolta, alla sopravvivenza che in buona parte dipende anche dalla sua amicizia con barlow, un uomo che le procura quello che non può trovare nei boschi in cambio di qualcuna delle sue prede.
la loro è un'amicizia strana, fatta di silenzi interrotti da poche parole, solo se necessario. ren non vuole conoscere la sua vita, non vuole parlare della sua famiglia né di suo figlio: sa, per esperienza, di quali follie siano capaci lə giovanə, quanto sia facile per loro scegliere male e ferire chiunque pur di seguire ostinatamente le loro idee.
le giornate di ren sono difficili e pericolose ma immerse in paesaggi selvaggi, ostili e bellissimi. robbie arnott sa raccontare il bosco con parole che sanno farci sentire il suono dei ruscelli e respirare l'aria fresca che passa tra le foglie. la vita di ren è spalancata sull'enormità dell'essenziale: procacciarsi il cibo, trovare rifugi caldi e sicuri, difendersi dai pericoli, strappare alla grandezza del mondo un giorno dopo l'altro.
ma il giorno in cui un manipolo di soldati, guidati da una donna giovane, bellissima e spietata, segna la fine di tutto. ferita e braccata, ren è diventata la preda della comandante harker e del suo obiettivo: catturare l'airone della pioggia.

la storia di harker inizia lontano dal bosco, al nord del mondo, in un paesino gelido accovacciato sulle rive del mare. lì, la gente custodiva gelosamente il segreto dell'inchiostro che commerciava con il resto del mondo, garantendosi prosperità persino in un angolo di mondo così sperduto e ostile.
orfana, harker viveva con la zia, la donna che le aveva insegnato il segreto della pesca e della produzione d'inchiostro e che rideva di ogni cosa, in modo incontrollabile e spesso incomprensibile.
la vita della piccola harker e di tutto il villaggio viene stravolta dall'insistenza di un forestiero deciso a massificare la produzione di inchiostro e di arricchirsi con quel segreto che nessunə era disposto a condividere con uno straniero.
ma l'avidità, si sa, non porta altro se non disgrazie e fallimenti e harker, perduto il suo posto sul mare, inizia a viaggiare, diventa una soldata, si unisce alla guerra e si piega agli ordini di chi, probabilmente, non avrebbe mai ascoltato quando era bambina.

l'airone della pioggia è stato definito una eco-favola ma credo che meriti qualcosa di più di un'etichetta così facile. robbie arnott ha uno stile asciutto, essenziale ma allo stesso tempo poetico ed evocativo, capace di mostrare paesaggi incantevoli e spaventosi, e di raccontare le turbolenze che investono l'animo umano. le storie di ren e harker, il modo in cui i loro destini si incontrano e si intrecciano quasi come fossero divinità capricciose a orchestrarne le coincidenze, dà al romanzo un tono sì fiabesco, ma più vicino al mito che al racconto per bambinə.

durante la lettura, l'incanto per i paesaggi naturali e gli elementi quasi magico-mitologici che ne fanno parte si contrappone con violenza al senso di rabbia e frustrazione che nasce dalla riflessione sull'avidità, sullo sfruttamento impietoso, sul desiderio di dominio di pochə che però stravolge la realtà di moltə, offendendone la memoria e mortificandone il futuro.
ci sono infiniti modi per criticare gli effetti devastanti del capitalismo, della guerra e del colonialismo ai danni delle popolazioni, umane e non, e delle loro terre. scegliere tra tutti questi il romanzo - focalizzarsi cioè su storie individuali e scandagliarle anche dal punto di vista più intimo, evocare immagini così nitide ed emozioni così forti - è forse la via più breve per toccare i nostri sentimenti e risvegliare la nostra più profonda consapevolezza del mondo in cui viviamo.
l'airone della pioggia è più che un'eco-favola, è una denuncia contro la frattura tra umano e non-umano in nome del potere e della ricchezza, una denuncia rabbiosa e addolorata che però si concede la speranza di una redenzione.

giovedì 16 gennaio 2025

il mondo della foresta

il terreno non era asciutto e solido, ma umido ed elastico, prodotto dalla collaborazione degli organismi viventi con la lunga complicata morte delle foglie e degli alberi; e da quel ricco cimitero crescevano sia alberi di trenta metri, sia minuscoli funghi che spuntavano in cerchi larghi poco più di un centimetro. l'odore dell'aria era sottile, vario e dolce. la vista non spaziava mai, a meno che non si guardasse in alto, fra i rami, e non si scorgessero le stelle. nulla era puro, secco, arido, netto. le rivelazioni mancavano all'appello. non esisteva la visione di tutte le cose nello stesso tempo: non c'erano certezze.

una delle ultime letture di fine 2024 - e, soprattutto, uno dei libri che è finito dritto dritto nella mia lista di preferiti dell'anno e dei miei preferiti in generale - è questo breve ma densissimo romanzo di ursula k. le guin, il mondo della foresta, il sesto libro del ciclo dell'ecumene (di cui aspettiamo ancora diverse riedizioni), scritto - come spiega l'autrice nell'introduzione, in un momento delicatissimo per la storia recente dell'umanità, ovvero durante gli anni della guerra in vietnam e durante i primi tempi in cui si iniziava a parlare di disastri ecologici e di necessità di tutela degli ecosistemi del nostro pianeta.

sebbene lei si rimproveri di aver dato un tono troppo moralista a questo racconto, io credo che sia riuscita a scrivere un piccolo capolavoro che è formalmente un romanzo e che, tra le righe, svela un bellissimo manifesto che riassume alcuni dei temi fondamentali delle sue opere (che sono poi, necessariamente, riferiti agli ideali a cui si è sempre rifatta come persona): l'anticolonialismo, il pacifismo, l'ecologismo, la lotta contro ogni forma di discriminazione e sopraffazione.

ma quello che più di ogni altra cosa mi ha colpita de il mondo della foresta è il modo in cui la sua penna sia riuscita a incarnare due personaggi, e quindi due tipologie di pensiero, così straordinariamente opposte e con una tale efficacia: il romanzo si apre presentandoci il capitano davidson, un personaggio quasi grottesco e caricaturale se non fosse così plausibilmente reale.
davidson è uno dei militari che tengono sotto controllo il pianeta colonia athshe - chiamato dai terresti new tahiti - il rigoglioso mondo-foresta (è interessante e significativo il gioco di parole fatto con il titolo originale: the word for world is forest) che la terra ha colonizzato e trasformato nella sua personale riserva di legname, un materiale ormai impossibile da reperire, il cui valore è più alto di quello di qualsiasi metallo o minerale prezioso.
athshe però, non è semplicemente una legnaia da cui prelevare risorse a piacimento: qui vivono lə athshianə, una delle tante possibili declinazioni della stirpe hainita, che si è adattata a vivere su un pianeta che è, come spiega il titolo, un'enorme foresta.
piccolə di statura e ricoperti di una soffice peluria verde, vengono chiamatə - con una certa sufficienza che sfocia in un non troppo celato disprezzo - creechie dai coloni terrestri. quello dellə athshianə è un popolo intrinsecamente pacifico, strutturalmente incapace di violenza, che dà una straordinaria importanza all'interiorità personale di ogni individuo, alla sua capacità di connettersi con un piano di esistenza più profondo che si mette in atto attraverso il sogno e, più precisamente, nella capacità di sognare con lucidità e di ricordare i sogni come strumento di consapevolezza e conoscenza di sé e della realtà tutta.
un modo di vivere talmente differente e distante da quello di davidson e dal suo esercito da risultare del tutto incomprensibile per questi colonizzatori profondamente razzisti e per nulla interessati a costruire dei rapporti pacifici e costruttivi con la popolazione indigena.

una delle cose che più mi piace di le guin è la sua attenzione antropologica per le strutture sociali e culturali che descrive nei suoi romanzi che rendono molto più realistici i mondi in cui si svolgono le vicende come, ad esempio, succede quando ci descrive il modo in cui lə athshianə si dividono i compiti tra maschi e femmine, quando ci spiega il loro rapporto con i sogni e l'influenza che questi hanno nella loro vita, ma anche quando ci mostra le logiche del pensiero razzista, oppressivo e coloniale dei terrestri di base a athshe.

i popoli de il mondo della foresta sono agli antipodi sotto molti punti di vista e il loro incontro sarà inevitabilmente catastrofico. l'arrivo dei coloni terrestri e il loro comportamento oppressivo e sfruttatore farà scoprire allə athshianə la violenza per la prima volta. dopo gli inutili, efferati abusi che sono costrettə a subire, i loro sogni iniziano a cambiare, a partire da quelli di selver, un athshiano vittima della crudeltà di davidson, che diventa così - agli occhi dellə athshianə - un dio, ovvero un'entità capace di mutare radicalmente e permanentemente la realtà.

la metafora con la guerra del vietnam - ma che si può traslare in ogni altro contesto geografico e in ogni altro periodo storico che ha visto (e sta vedendo) gli effetti della colonizzazione occidentale - è più che mai chiara: un popolo pacifico viene occupato, oppresso, violentato, ucciso, sfruttato e disumanizzato, la sua terra distrutta e depredata da uomini che credono di agire in nome di un qualche diritto che li colloca al di sopra di ogni legge e di ogni etica. quel popolo è costretto a stravolgere sé stesso, la propria natura, la propria fede, le proprie credenze e abitudini per fronteggiare il nemico e resistere all'insensatezza crudele dei coloni.
chi non aveva mai neppure immaginato di prendere una vita adesso impara a pianificare attentati il più possibile letali, con il solo intento di salvaguardare la propria sopravvivenza e quella del pianeta stesso, consapevole del fatto che non vi è alcuna differenza né possibilità di separazione tra le due cose.
le guin ci dice che non c'è possibilità che i coloni agiscano in modo differente: per quanto uno dei personaggi terrestri, il dottor lyubov, possa essere interessato a comprendere lə athshianə e il loro mondo e a istaurare una convivenza pacifica, il suo stesso approccio scientifico viene fatto oggetto di appropriazione da parte dei soldati, che sfruttano le conoscenze di lyubov per realizzare i propri progetti (proprio come racconta la storia dell'antropologia e il suo pessimo uso soprattutto tra fine '800 e inizio '900).

le guin non concede alcuna redenzione al contingente militare terrestre su athshe proprio come non ne concede al governo del suo paese: l'oppressione di altri popoli e lo sfruttamento insensato e sfrenato delle risorse non possono che condurre a una catastrofe da cui non si può tornare indietro, che stravolge e avvelena sia le vittime che i carnefici: selver non potrà mai affrancarsi dal male che ha commesso, anche se è stato fatto per liberare il suo popolo, lə athshianə tuttə non potranno tornare al modo in cui vivevano prima di scontrarsi con i terrestri; e allo stesso modo i terrestri non potranno mai cancellare i crimini commessi su athshe.
proprio come l'america - e l'occidente tutto - non sarà mai assolta per la guerra in vietnam e per quella che ha portato ovunque in giro per il mondo, per come ha distrutto le risorse di mezzo pianeta, per come ha dominato, sfruttato e ucciso.
«a volte arriva un dio» disse selver. «porta un nuovo modo di fare una cosa, o una nuova cosa da farsi. un nuovo tipo di canzone, o un nuovo tipo di morte. la porta facendole attraversare il ponte che c'è tra il tempo del sogno e quello del mondo. e, una volta che l'abbia fatto, è fatto. non puoi prendere le cose che esistono nel mondo e cercare di ricacciarle nel sogno, di trattenerle all'interno del sogno mediante pareti e finzioni. questa è pazzia. ciò che è, è. è inutile adesso fingere, adesso, che non sappiamo ucciderci l'un l'altro»
è passato quasi mezzo secolo dalla prima pubblicazione di the word for world is forest e ancora, nonostante le centinaia di migliaia di voci che si alzano contro la colonizzazione di popoli e terre non si siano mai zittite per un solo momento, i nostri governi continuano ad agire come i davidson di turno, schiacciando, opprimendo e distruggendo. athshe insegna però che il momento della liberazione, per quanto difficile e sofferto sia, arriva.
ecco perché quelle voci non taceranno mai, ed ecco perché l'umanità continuerà a raccontare storie come questa, perché continuerà a protestare, a sabotare, a boicottare, a lottare.