il fiume styx, per la lentezza della corrente e la frequenza di banchi di sabbia, pozze stagnanti lungo le sponde e rami morti, è infestato dalle zanzare, sanguisughe e serpenti. tutta quest'area della contea di escambia è scarsamente popolata, a maggior ragione lungo i fiumi, dove non vive quasi nessuno. per costruire, la gente si sposta sui terreni più elevati, lontano dagli insetti e dalle frequenti esondazioni primaverili. sebbene lo styx si snodi per oltre quattro chilometri, soltanto quattro persone abitano sulle sue sponde. una di queste è un'anziana nera la cui baracca si trova pericolosamente vicina alla confluenza del perdido. la donna è sorda e pazza.gli altri tre stanno appena oltre l'unico ponte sul fiume. la vecchia evelyn larkin e i suoi nipoti, jerry e margaret, che vivono lì per i mirtilli.
dopo la saga di blackwater, gli aghi d'oro e katie, era ovvio che il mio hype per un nuovo romanzo di michael mcdowell sarebbe stato enorme.
ed è per tutto questo hype che mi duole ammettere che se con blackwater mi ero innamorata e se gli aghi d'oro mi aveva convinta tantissimo, già kate mi aveva entusiasmata un puntino di meno e luna fredda su babylon non ha fatto rialzare l'asticella.
quella di luna fredda su babylon è una storia di omicidi brutali, di avidità e di vendetta - e in questo ricorda un po' katie - e di fantasmi, mentre l'ambientazione riporta alla mente blackwater: le sponde di un fiume - lo styx, nome decisamente evocativo - il suo letto fangoso e le sue acque a tratti tumultuose e inquietanti.
ad aggrapparsi agli argini del fiume è una cittadina di nome babylon, molto meno gloriosa della sua omonima di biblica memoria. una cittadina di periferia come tante altre, dove sotto l'apparente tranquillità quotidiana, serpeggiano odi, invidie e risentimenti.
siamo all'inizio degli anni '80 e la quiete di babylon viene squarciata dalla scomparsa di una ragazzina, ritrovata cadavere dopo pochi giorni. un omicidio brutale e insensato che è solo il primo di un crescendo di violenza. attorno a cui si muovono, da un lato, la famiglia larkin - proprietari di una piantagione di mirtilli il cui sfruttamento riesce a malapena a garantirgli una vita dignitosa - e dall'altro i redfield, il vecchio padre, ormai disabile, tanto bisognoso di attenzioni quanto severo, e i suoi due figli, due poco di buono arroganti e desiderosi di mettere le mani sul patrimonio di famiglia.
senza spoilerarvi nulla della trama, la storia prende una piega più che auspicabile e le identità di vittime e carnefice sono rivelate più o meno immediatamente - ma si capisce tutto molto prima - così come il movente. insomma, quello di mcdowell non è un giallo in cui bisogna collegare i fili tra i diversi indizi e arrivare a una qualche soluzione, è a pieno titolo un horror in cui a farla da padrone è la brutalità dei fatti, la miseria dietro le motivazioni che portano a quei fatti e, soprattutto, l'atmosfera sovrannaturale che avvolge ogni cosa. perché - a differenza di quanto succedeva ne gli aghi d'oro o in katie - a cercare vendetta non sono più lə familiarə offesi dalle uccisioni dellə loro carə ma le vittime stesse, o meglio, i loro fantasmi.
sono proprio loro a mettere effettivamente in moto gli eventi e noi lettorə ci troviamo a osservarli da una prospettiva privilegiata rispetto allə personaggə umanə del racconto ma solo fino a un certo punto: sappiamo che, nella babylon di mcdowell, i fantasmi esistono e che partecipano attivamente ai meccanismi della realtà, che sono causa di svariati effetti (ed effetto di una causa sola: la violenza efferata che da persone li ha fatti diventare fantasmi, appunto) e che sono mossi dal desiderio di vendicarsi, ma il loro mondo interiore - ammesso che ce ne sia uno - ci è completamente precluso.
sappiamo, insomma, che esiste una dimensione sovrannaturale, ma non riusciamo a conoscerla veramente. come vivi, per quanto onniscienti, noi lettorə rimaniamo tagliati fuori dalle verità che vanno oltre l'orizzonte delle nostre esperienze.
le figure spettrali e vendicative di babylon sembrano avere una volontà ferrea e degli obiettivi molto ben definiti ma non parlano e, per quello che ne sappiamo, non pensano. soffrono ancora? sono consapevoli? impossibile dare una risposta, restano per noi inconoscibili. il loro aspetto tradisce il destino della parte materiale di ciò che erano ma sono, allo stesso tempo, incorporei e scollegati dalle leggi della fisica.
ed è questa loro natura ambivalente, muta e impossibile da comprendere che li rende (almeno un po') terrificanti, tanto per chi li incontra tra le pagine del racconto, quanto per noi.
se però in blackwater l'aspetto sovrannaturale della storia mi aveva colpita, qui mi ha lasciata poco convinta, come se mancasse qualcosa. più che paura mi hanno fatto provare repulsione e pena e qualsiasi vendetta riescano a ottenere alla fine non riesce a riequilibrare nulla. erano, e restano per tutto il tempo, vittime, quasi che non ci fosse davvero nessuna possibilità di riscatto né di giustizia per loro, quasi che ogni traccia del sé che erano fosse stata annientata lasciando spazio solo al bisogno di vendicarsi.
insomma, luna fredda su babylon è un libro sicuramente unputdownable, come tutti quelli di michael mcdowell, eppure tra tutti quelli pubblicati fino ad adesso, è quello più tiepidino, che (imho) convince ed emoziona di meno.











