venerdì 16 maggio 2025

happy endings

se vuoi che questa cosa funzioni davvero, dovresti farti più coraggio. guarda dove siamo. potrebbe essere la tua ultima occasione.

una disegnatrice un po' fredda e un modello freddoloso.
due agenti spaziotemporali ligiə al dovere, un pericoloso gattino e un vecchio barbiere.
un giardiniere superstizioso e un piangitore di tombe (qualsiasi cosa sia, poi).
tre storie diverse e lontanissime tra loro che si sovrappongono perfettamente in un solo punto: quello in cui ci si fa coraggio e si decide di cogliere l'occasione perfetta e irripetibile per poter dire che vissero tuttə felici e contentə.

non conoscevo lucie bryon e non sapevo nulla di happy endings se non che mi piaceva un sacco la copertina (soprattutto per merito del gattino!), quindi ho iniziato a leggerlo senza nessun tipo di aspettative o di idee preconcette.
e mi ha stupita come pochissimi fumetti sono riusciti a fare nell'ultimo periodo!

happy endings raccoglie tre storie: buon anno, ocean (la mia preferita) e canzone di un giorno d’estate. nel primo racconto, il più breve dei tre, un ragazzo si ritrova mezzo nudo in un laboratorio artistico di una scuola di pittura a fare da modello per una ragazza quasi sconosciuta, che lo ha abbordato senza tergiversare e gli ha chiesto di posare per lei perché l'ha subito trovato bellissimo. a lui è bastata solo quella parola per sciogliersi e accettare l'invito, sicuro che dietro questa insolita richiesta ci fosse il tentativo di passare una serata romantica... ma di romantico sembra esserci ben poco nei progetti della disegnatrice che sembra quasi divertirsi a tormentarlo e a farlo congelare al freddo di una scuola vuota la notte di capodanno.
eppure, anche i cuori che appaiono di ghiaccio sanno quand'è il momento di sciogliersi...


con ocean cambiamo completamente registro, passando dal romance/slice of life puro della prima storia a un'atmosfera più da racconto sci-fi. protagonistə della storia sono tood e boots, due agenti incaricati di rilevare e risolvere le anomalie nel tessuto spaziotemporale. un'occupazione che si direbbe di tutto rispetto, non fosse che a entrambi sembra che il loro ruolo sia più che altro quello di tappabuchi, soprattutto dopo quest'ultima missione, che consisteva nel fermare un pericoloso micetto che non si sa in che modo avrebbe potuto stravolgere l'equilibrio dell'universo. fortuna vuole, però, che il loro comunicatore si guasti. e che un vecchio parrucchiere cerchi qualcuno a cui affidare il suo amato negozio. e, insomma, mentre aspettano di essere recuperatə, dovranno pur mangiare qualcosa e dormire da qualche parte, no?
inizia così una nuova fase della loro vita, in un tranquillo paesino francese, in cui la straordinaria ordinarietà di un'esistenza qualsiasi si rivela molto più entusiasmante e sorprendente di qualsiasi missione speciale.

infine, con canzone di un giorno d'estate bryon si immerge in una sorta di realismo magico. arthur trova un lavoretto come giardiniere in un cimitero e qui inizia ad incontrare un ragazzo misterioso e affascinante che ogni giorno piange su una tomba diversa. come può conoscere tuttə quellə defuntə? alcunə mortə sicuramente prima che lui nascesse, oltretutto! arthur si convince di aver a che fare con un fantasma ma la realtà è che anche vincent lavora al cimitero, per la precisione come piangitore di tombe, qualcosa di ancora più improbabile di un fantasma, probabilmente. eppure, nonostante i primi fraintendimenti, sembra che tra i due ragazzi stia sbocciando qualcosa...

con uno stile di disegno che si fa sempre più dettagliato, sicuro e morbido man mano si va avanti con la narrazione delle tre storie, lucie bryon racconta la bellezza delle piccole cose quotidiane, gli incontri, l'amore, la gioia del trovare il proprio posto se non nel mondo, almeno nella propria vita.

ho apprezzato tantissimo, inoltre, che ci siano coppie di ogni tipo: un ragazzo e una ragazza, due ragazze, due ragazzi. ma anche una famiglia fatta di amicə che vivono nella stessa casa e dormono nello stesso letto pur non avendo una relazione romantica/sessuale. così come mi è piaciuto che certi stereotipi vengano stravolti - nella prima storia abbiamo una ragazza sicura di sé e un po' maliziosa e un ragazzo timido e romantico, ad esempio - senza alcun didascalismo di sorta.

perché se c'è una cosa naturale, è che non esistono regole fisse in natura, se non quella che ognunə cerca di realizzare la propria felicità come meglio crede. ed ecco che l'amore qui è qualcosa che non si cura degli stereotipi e delle convenzioni, che non si dà etichette ma che, semplicemente, prende la forma che preferisce. ed è da questa libertà che germoglia il seme della felicità.
happy endings è un libro che racconta questa felicità come una cosa piccola e facile da sperimentare: basta avere coraggio e saper cogliere l'occasione giusta.

martedì 13 maggio 2025

intimità senza contatto

il contatto fisico è la principale causa del turbamento emotivo da cui è affetta la società umana. tramite i nostri studi ed esperienti abbiamo stabilito che esiste una correlazione positiva tra il valore di deviazione dalla condizione psicofisica ottimale di un individuo e la percentuale di contatto fisico interpersonale nella sua vita. in altre parole, le emozioni sono da considerarsi alla stregua di un virus trasmissibile per mezzo del contatto.

il genere distopico è uno dei miei preferiti, forse il mio preferito in assoluto. uno dei parametri - decisamente poco scientifico, ne sono consapevole - che uso per capire quanto una storia distopica funziona bene, è di solito il senso di malessere fisico che mi trasmette: se mi manca l’aria, mi viene una stretta allo stomaco e comincio a percepire una sorta di ansia crescente, vuol dire che funziona benissimo. il mio metro di paragone rimane 1984 di orwell, o meglio, le sensazioni che ho provato la prima volta che l’ho letto - avevo qualcosa come tredici anni, credo.
più una storia distopica mi dà quel tipo di coinvolgimento, più mi piace.

intimità senza contatto di lin hsin-hui mi ha dato, per tutto il tempo, quella strana sensazione di disagio che si trasforma presto in quel tipo di ansia che prende quando si percepisce un pericolo ma non si riesce a riconoscerlo esattamente, o non si riesce a valutare il rischio effettivo che si sta correndo (se avete mai sofferto di ansia, sapete benissimo di cosa sto parlando. in caso contrario, meglio per voi!).

siamo sul nostro pianeta, in un futuro lontano, forse nemmeno troppo. un'intelligenza artificiale estremamente sviluppata ha preso il controllo della terra e sostituito ogni governo, ed è riuscita lì dove gli esseri umani hanno sempre fallito: non ci sono più guerre né miseria, non esistono più malattie incurabili e ogni decisione viene presa con il preciso intento di permettere alla popolazione di vivere la propria vita al meglio, lontana da ogni pericolo.

certo, come da definizione, il progresso non è qualcosa che si raggiunge dall'oggi al domani. l'intelligenza artificiale ha avuto bisogno di tempo per raccogliere e analizzare ogni possibile dato al fine di trovare le soluzioni migliori per l'umanità.
eliminare ogni forma possibile di contatto tra le persone e, successivamente, risolvere il problema del decadimento fisiologico attraverso la procedura di bioibridazione: è questa l’ultima frontiera del percorso di perfezionamento delle creature biologiche e di superamento di ogni sofferenza e decadenza, che si comincia a delineare quando la nostra protagonista è ancora una bambina molto piccola.

la storia alterna due linee temporali: comincia nel presente, quando la nostra protagonista è già adulta, si è appena svegliata dopo l’intervento di bioibridazione e incontra per la prima volta il suo androide-partner, l’essere sintetico con cui trascorrerà tutto il resto della sua vita e con il quale potrà - anzi, dovrà - sperimentare di nuovo il contatto fisico.
con il passare dei giorni, riesce ad avere un controllo sempre maggiore del suo nuovo corpo bioibridato, un corpo perfetto, privo di ogni tipo di caratterizzazione somatica e sessuale, incapace di ammalarsi, soffrire o deteriorarsi. e, nel frattempo, cresce il suo tasso di sincronizzazione con l’androide, con il quale si ritrova a condividere ogni attimo della sua giornata e che mantiene con lei un contatto fisico praticamente costante, che si comporta un po’ come la voce della sua coscienza, un po’ come una guida all’interno del nuovo mondo in cui vivono solo quellə che hanno intrapreso la pratica di bioibridazione.

la seconda linea temporale è quella del passato, frammentata in una serie di flashback che segue la crescita della nostra protagonista e, al contempo, ci racconta le diverse tappe del progresso tecnologico che allontanano sempre più l’umanità dalla dimensione fisica del reale per limitarne le esperienze al solo regno del virtuale.
dall’annunciazione del contatto zero all’introduzione dei primi robot domestici e poi alla svalutazione degli spazi esterni all’ambiente domestico, fino alla totale traslazione di ogni possibile attività - esclusa quella lavorativa - all’incorporeità delle esperienze sintetiche.

la protagonista (e, in generale, tutti gli esseri umani) si ritrova così perfettamente isolata da chiunque altrə, prima nella realtà dei corpi completamente biologici ma limitati alle connessioni virtuali e poi nel nuovo mondo dei corpi bioibridati. è un crescendo lento e asfissiante, scandito dal tasso di sincronizzazione con l’androide che aumenta incessantemente. come due stelle legate in un sistema binario risucchiano una la massa dell’altra fino a portarla al collasso, così l’androide aumenta la sua assertività, la sua consapevolezza e, in definitiva, il suo potere sul suo essere umano.

non mi è sembrato affatto casuale che la protagonista, nonostante non abbia più alcuna caratteristica fisica né ruolo sociale che la definisca come donna, continui a pensare sé stessa al femminile e all’androide, da sempre privo di caratteristiche di genere, al maschile.
e, in effetti, il modificarsi dell’equilibrio all’interno del loro rapporto ci fa sempre di più immaginare lei con le fattezze di una donna e lui con quelle di un uomo. questo cambiamento lento, quasi impercettibile e spaventosamente subdolo ricorda in modo inquietante il progredire di quei rapporti uomo-narcisista-manipolatore/donna-vittima-manipolata che sono - con questa precisa struttura - purtroppo molto frequenti e noti.

ma il fulcro della riflessione di lin hsin-hui sta tutto nella riflessione del nostro rapporto con le tecnologie “intelligenti”: nel futuro di intimità senza contatto, l'umanità ha lasciato sempre più spazio e potere d’azione all'intelligenza artificiale che da semplice strumento di ausilio è diventata un'entità autonoma e pensante, capace cioè di elaborare, rielaborare ed elaborare ancora i dati a sua disposizione fino a raggiungere livelli forse anche superiori a quelli delle menti umane.
priva di emozioni, l’intelligenza artificiale non agisce per ambizione o desiderio di dominio - qualità squisitamente umana - ma semplicemente non conosce un limite ragionevole all’input iniziale, quello cioè di migliorare la condizione umana. proseguendo su questa strada, finisce per pervertire il suo compito, arrivando al paradosso che la migliore condizione umana - priva di dolore, sofferenza, odio, rabbia, eccetera - è quella in cui l’umanità svanisce del tutto.

il finale, che non vi rivelo, mi ha ricordato in modo doloroso l’amore che wilson smith prova, nelle sue ultime ore, per il grande fratello. e cosa c’è di più distopico di una realtà che riesce a farci amare volontariamente quello che ci distrugge?

lunedì 28 aprile 2025

negli universi

penso che, per qualcuno di noi, ci saranno momenti in questa vita in cui saremo in bilico sul confine tra l'andare e il restare, e da quale lato penderemo ha poco a che fare con le decisioni o il desiderio o il fato e tutto a che fare con le circostanze.

prima di leggere negli universi, se mi avessero chiesto cos'è la realtà? non ci avrei pensato più di tanto, avrei risposto che realtà è l'hic et nunc, lo spaziotempo che percepisco e in cui mi percepisco nell'esatto momento in cui mi viene posta la domanda. il passato è ricordo, nostalgia o rimpianto, il futuro solo immaginazione e qualsiasi ipotesi su quello-che-non-è-stato-ma-forse-avrebbe-potuto-essere nulla di più che sogni ad occhi aperti.
ma se accettiamo l'idea che di fianco al nostro esistano infiniti universi paralleli, allora la risposta a quella domanda cambia radicalmente: realtà inizia a significare tante cose e il presente può essere definito da un'infinità di possibili passati e portare a un'infinità di possibili futuri. forse migliori di quello che vedremo.

il romanzo di emet north prende le mosse proprio da questa idea. ad ogni capitolo l'esistenza di raffi si sposta da un universo all'altro. o meglio: raffi e la sua vita esistono in ogni universo e noi, ad ogni capitolo, ci spostiamo da uno di questi a un altro, leggendo alcune delle versioni possibili del suo essere al mondo. nella prima, raffi studia proprio gli universi paralleli e immagina che in qualcuno di questi le cose con britt, una scultrice che ha conosciuto per caso e di cui si è innamorata senza trovare il coraggio di fare anche solo un passo verso un possibile futuro insieme a lei, possano essere andate in modo diverso...
l'idea degli universi paralleli esiste tanto nella fisica quantistica quanto, ovviamente, nella fantascienza ma nel romanzo di emet north la scienza, attuale o immaginata che sia, c'entra poco.
è la volontà di redenzione che esplode la realtà e la scompone in un'infinità di possibili varianti di sé stessa. l'errore, la colpa e il bisogno di rimediare, di rimescolare gli stessi elementi ancora e ancora fino a trovare la combinazione esatta per cancellare il dolore, anzi, per evitare che possa mai essere stato.

di capitolo in capitolo e di possibilità in possibilità, infatti, alcuni elementi tornano come se l'esistenza stessa di raffi non potesse essere se non in correlazione a loro: relazioni familiari disfunzionali, cavalli argentati, l'essere queer (e accettarlo o non accettarlo), la presenza - e spesso la paura - dei cani, la creazione artistica, la riflessione sulle strutture della realtà, amori irrealizzabili e altri terminati. e poi raffi, britt, kay, alice, graham, caleb e tutti i possibili legami che possono tenerlə insieme in una delle possibili dimensioni temporali.

l'esistenza che si ricompone come un prisma i cui lati trovano nuovi angoli e punti di contatto nella speranza di trovare la forma adatta a farsi rifugio, quella in cui raffi non avrà sbagliato.
legge la parte del libro sui viaggi nel tempo che parla del tornare nel passato per salvare qualcuno che ami. "per quel che ne sappiamo", dice il libro, "è possibile solo se l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica è vera. e se è vera, allora c'è già un universo parallelo in cui la persona che ami ora sta bene. e questo perché esiste ogni universo possibile. purtroppo, ti trovi in quello sbagliato.
c'è un universo in cui raffi pensa che in un altro universo aveva salutato quella bambina, invece di nascondersi. un altro in cui le ha chiuso la porta in faccia e ha distrutto tutto, un altro ancora in cui non ha risposto al telefono quando doveva. c'è un universo che è un incubo post apocalittico in cui gli animali sono posseduti da entità aliene e feroci e uno ancora dove diventare madre di una figlia femmina fa conflagrare il corpo delle donne in orde di animali. quello dove le donne partoriscono polpi e quello dei castelli di sabbia e uno in cui la pelle smette di funzionare.
in qualche modo, ognuno di questi contiene i presupposti dell'altro, come se fossero tutti concatenati, parte di una stessa struttura frattale, una forma che ripete sé stessa su scale differenti.

in ogni storia-universo, raffi mantiene un distacco quasi schizofrenico dalle sue stesse emozioni. per quanto tremende possano essere, per quanto dolore possa sperimentare, per quanto senso di colpa si ritrovi a trascinarsi addosso, raffi guarda alla sua interiorità come se stesse facendo un'analisi di laboratorio. o come se, in qualche modo, le differenti versioni di sé fossero coscienti della coesistenza di ogni momento di ogni universo nello stesso istante. se l'idea del multiverso rimanda immediatamente a quella di variazione, basta uno sguardo un po' più ampio per comprendere che la frammentazione e riformulazione del reale ha più a che fare con la permanenza e quindi con la conoscibilità di ogni dimensione temporale e di ogni possibile alternativa.

questo senso di onniscienza scavalca il limite materiale del romanzo in vari modi: mentre leggiamo, noi riusciamo a vedere il riproporsi dei diversi elementi in differenti combinazioni; raffi sembra riuscire a essere estranea a sé stessa e, allo stesso tempo, sembra indicarci di volta in volta quali sono i punti chiave di ogni storia, quelli a cui guardare per trovare le connessioni nel multiverso. infine, negli universi sembra riprendere la vita stessa di emet north: come le diverse raffi (o altrə personaggə) dei diversi universi, ha lavorato alla nasa, ha insegnato snowboard, ha addestrato cavalli, ha studiato la possibile esistenza del multiverso, è queer e traduce dallo spagnolo all'inglese, e cioè usa due diversi linguaggi-schemi di pensiero per traslare un racconto da una dimensione a un'altra.
negli universi è il suo primo romanzo, un esordio interessantissimo, letteralmente un meraviglioso caleidoscopio di parole.

giovedì 24 aprile 2025

the inheritance trilogy ~ la successione

la mia gente racconta storie sulla notte in cui nacqui. dicono che in pieno travaglio mia madre incrociò le gambe e lottò con tutte le sue forze per non mettermi al mondo. ovviamente nacqui lo stesso: la natura non si può fermare. eppure non mi sorprende che ci abbia provato.

the inheritance trilogy è la prima trilogia di n. k. jemisin.
lo dico perché le vogliamo bene e possiamo perdonarle le ingenuità che qui e lì si presentano in questi tre romanzi. personalmente, ho trovato più interessanti il secondo e il terzo libro (al punto che mi sono detta che se il primo fosse stato pubblicato in un'edizione diversa dal malloppone che li raccoglie tutti, probabilmente avrei abbandonato la lettura senza neppure arrivare a metà del primo).

provo ad andare con ordine (e senza fare spoiler).

le premesse del primo libro, i centomila regni, erano molto interessanti: siamo in un mondo in cui gli dei camminano letteralmente tra gli esseri umani e tutto è governato da un'unica, potentissima famiglia, quella degli arameri. la giovane yeine, discendente dellə arameri ma appartenente al popolo darre, viene convocata a cielo, il palazzo degli arameri, per partecipare alla cerimonia di successione al trono che governa i centomila regni.

quella dellə arameri non è esattamente una famigliola felice e affettuosa, anzi. la linea di sangue più pura domina sugli altri rami della famiglia e lə parenti meno nobili costituiscono la servitù del palazzo, ogni classe riconoscibile da un sigillo tatuato sulla fronte che definisce l'appartenenza a una delle linee di sangue. lə arameri non si mescolano con la gente di altri popoli, al massimo la dominano, ed è per questo che la decisione di kennith di sposare un darre l'ha portata a essere odiata, ripudiata e allontanata.
ma lə arameri non sono solo questo: dispoticə e sadicə, hanno approfittato della guerra degli dei, avvenuta all'alba dei tempi, per imprigionare le divinità cadute - nahadoth, signore dell'oscurità, e sieh, il trickster, sconfitti, insieme alla defunta signora grigia, enefa, da itempas, signore della luce - e usarle come armi. e, peggio, all'occorrenza come passatempo.

yeine si ritrova così da un lato invischiata nelle trame di corte, e dall'altro, però, deve affrontare un segreto che si porta - letteralmente - dentro dalla nascita: nel suo corpo convivono due anime e questo la lega strettamente alle vicende degli immortali.
ed ecco cos'è che non mi è piaciuto affatto: la componente romance tra lei e nahadoth. la loro relazione non solo è terribilmente tossica, ma è così infarcita di cliché che mi ha reso la lettura davvero pesante (e, secondo il mio modestissimo avviso, tutti quei dettagli non erano affatto utili né interessanti).
togliendo dalla narrazione tutto quello che non solo non è essenziale, ma che è semplicemente noioso (e a volte anche un po' imbarazzante) ovvero tutti i dettagli sulla relazione amorosa tra yeine e nahadoth, avremmo avuto un bel racconto molto più breve, ottimo per addentrarci in questo universo.
e invece.

abbiate pazienza però, perché già nel secondo le cose migliorano.

i regni spezzati si colloca una decina d'anni dopo la fine del primo romanzo e ha come protagonista oree shoth, un'artista cieca capace di vedere, però, la magia.
oree vive a ombra, la nuova città sorta tra le radici dell'albero del mondo sotto cielo (so che è poco chiaro ma non posso dirvi di più senza spoilerare tutto, scusate). lo sconvolgimento creato da yeine ha permesso il ritorno di molte deidi sulla terra e il moltiplicarsi dei culti religiosi, ma è ancora a itempas che la maggioranza dei fedeli si rivolge.

così, per oree non è affatto una cosa tanto straordinaria trovare tra la spazzatura un deide un po' malconcio e portarselo a casa. muto e poco socievole, verrà battezzato da oree shiny, per la sua capacità di brillare di magia ogni mattino al sorgere del sole.
la vita di oree continua tranquilla tra il suo lavoro di venditrice di oggetti d'arte al mercato di ombra - sempre pieno di turistə e pellegrinə diretti all'albero mondo - e la sua strana convivenza con shiny, fino al giorno in cui trova il cadavere di una deide a cui è stato rubato il cuore, e viene sospettata dell'assassinio.
da questo momento la situazione precipita sempre di più per oree, mentre intorno a lei certe importanti rivelazioni stravolgono la sua - e la nostra - conoscenza del pantheon e delle relazioni tra esseri divini e umani.

oree mi è piaciuta molto di più di yeine come protagonista, e anche la sua storia è molto più interessante e appassionante. oree non si lascia trascinare dagli eventi e, anzi, nonostante le tante difficoltà che si ritrova ad affrontare mantiene sempre una forza straordinaria. c'è un po' di componente romance anche qui ma non l'ho trovata fastidiosa come nel primo romanzo - e non è nemmeno il tema principale della storia. ho anche apprezzato tanto il modo in cui è stata rappresentata la sua cecità e ancora di più come questa, di per sé, non sia motivo di discriminazione a ombra (non ci vivrei ma almeno non è una realtà abilista).
la vicenda di oree dà maggiore struttura al mondo costruito da jemisin, ci spiega meglio quali sono le leggi che regolano la vita degli immortali, le gerarchie interne e su cosa si basano le differenziazioni tra di loro, chiarendo tutto quello che nel primo libro veniva solo accennato.

del terzo romanzo, il regno degli dei, la quarta di copertina vi dice che la protagonista è shahar arameri.
però non è vero.
il protagonista è sieh, la deide - figlio cioè di due dei tre, in questo caso di enefa e nahadoth - che avevamo già incontrato accanto a yeine e che appare anche nella storia di oree.
sieh è il mio personaggio preferito di tutta la trilogia. incarna quello che nelle diverse mitologie è il trickster, l'imbroglione, e il dio dell'infanzia. ambiguo per natura, sieh vive in quello spazio liminale tra infanzia ed età adulta dove la morale non è quella dellə mortali ma neppure quella dellə deə: le leggi che guidano le sue azioni appartengono solo a lui e ai suoi impulsi del momento.
scaltro, amorale e privo di pietà come ogni bambinə che non ha ancora imparato a vivere secondo le regole del suo mondo, sieh ha già dimostrato però di essere capace di amore e lealtà (se, quando e verso chi vuole), tanto quanto di odio: quello che a sieh sembra impossibile riuscire a fare è lasciare che i suoi sentimenti cambino al cambiare delle situazioni. come per tutte le divinità, la sua natura è immutabile.

la storia inizia, ancora una volta, a cielo, nel palazzo arameri. sono passate generazioni dai tempi di yeine e anche se sieh non è più legato alla famiglia arameri, sembra incapace di allontanarsi definitivamente da cielo. qui incontra per la prima volta shahar e dekarta arameri, due gemellə figlə della reggente della famiglia, cresciutə con la stessa arroganza che ha caratterizzato da tempo immemore la loro stirpe, ma ancora bambinə. e come tuttə lə bambinə, desiderosə di fare amicizia e giocare con lə coetaneə come sieh.
provato il loro valore agli occhi della deide, shahar e dekarta riusciranno a convincerlo a stringere un patto di sangue con loro: saranno amicə per sempre. ma nel momento in cui i loro palmi incisi e sanguinanti si toccano, tutto viene travolto da un'inspiegabile esplosione.
lə bambinə sopravvivono, ma sieh si risveglia otto anni dopo, prigioniero di un corpo umano, debole e quasi incapace di esercitare la magia, che invecchia troppo velocemente.

mentre cerca di recuperare la sua natura divina e di tenere a bada il suo nuovo corpo da adulto, sieh dovrà da un lato gestire la complicata relazione con shahar e dekarta - a cui si trova legato da sentimenti che vanno oltre l'amicizia giuratasi da bambinə - e dall'altro muoversi un mondo che vuole scrollarsi di dosso il dominio arameri.

non so decidere quale tra il secondo e il terzo sia il mio preferito della trilogia, mi sono piaciuti tantissimo entrambi: le storie di oree e di sieh sono imprevedibili, il ritmo della narrazione è sempre alto e non lascia spazio a momenti di noia e le loro vicende aprono a riflessioni interessanti: ragionare sulla natura delle divinità significa ragionare su quella delle creature mortali perché è impossibile provare a capire le prime senza metterle a confronto con le seconde.

the inheritance trilogy è un fantasy che, nonostante sia incentrato su tematiche come l'amore, le relazioni familiari e la politica, potrei definire filosofico: cosa sarebbe di tutta la nostra cultura se davvero potessimo camminare sulla terra insieme allə deə? cosa sarebbero i nostri miti se non la nostra storia e cosa sarebbe la storia umana se non un breve capitolo nell'immenso libro di quella divina? e cosa ci differenzierebbe dallə immortalə se non la brevità della nostra esistenza e la capacità, quindi, di mutare nel corso della nostra vita, di trasformarci nel corso del tempo in infinite versioni di noi stessə?

sicuramente non è un capolavoro imperdibile, soprattutto per colpa del primo libro che sembra davvero uno scoglio insormontabile, ma è un'ottima lettura per chi apprezza il genere. il wordbuilding è interessante e ben strutturato, e si svela poco alla volta senza spiegoni noiosi, andando avanti con le storie - i tre romanzi principali e i racconti conclusivi - e dellə personaggə, divinə e non, ben caratterizzatə.

martedì 15 aprile 2025

la falce dei cieli

le cose non hanno uno scopo, come se l'universo fosse una macchina, in cui ogni parte svolge una funzione utile. qual è la funzione di una galassia? non so se la nostra vita abbia uno scopo, e non mi pare che la cosa abbia importanza. la cosa che ha importanza e che noi siamo una parte. come un filo di lana in un tappeto, o un filo d'erba in un prato. quello esiste e noi esistiamo. la cosa che stiamo facendo è come il vento che soffia sull'erba.

ho sempre amato moltissimo il vecchio adagio che recita attenzione ai tuoi desideri perché potrebbero avverarsi, perché credo che riesca a riassumere al meglio l'idea che qualsiasi cosa, anche quella fatta con le migliori intenzioni, può portare a un concatenarsi di conseguenze via via sempre più spiacevoli, se non addirittura drammatiche e irreparabili.
la falce dei cieli di ursula k. le guin, da poco ripubblicato da mondadori, sì rifà proprio a quest'idea.

estraneo al ciclo dell'ecumene, la falce dei cieli gioca con l'immaginario fantascientifico per indagare l'interiorità degli esseri umani, il mondo psichico. anzi, più precisamente, la sua dimensione inconscia, che confluisce poi nel regno dei sogni.

è qui che george orr, protagonista del romanzo, riesce a fare qualcosa di impensabile: i suoi sogni - o meglio, alcuni di essi, che lui definisce efficaci - trasformano la realtà, agendo retroattivamente su di essa e cambiandola senza che nessunə, tranne orr stesso, ne sia consapevole.
orr è dunque sia l'unico (probabilmente) essere umano in grado di mutare il tessuto della realtà, sia un archivio vivente di tutte le realtà-che-sono-state e che si sono perse a seguito di uno dei suoi sogni efficaci.
un potere spaventoso che orr non può controllare, proprio come nessunə di noi può controllare i propri sogni. un potere che orr non vorrebbe avere.

ed è proprio per il desiderio di sottrarsi a tutto questo che orr finisce in cura da uno psichiatra, il dottor haber. entrambi, orr e haber, vivono in quello che, negli anni '70 del secolo scorso, per le guin era un futuro prossimo e per noi è già passato (ed è difficile dire da quale delle due prospettive è la più terrificante): è il 2002 e a portland, nell'oregon, dove paziente e medico vivono, piove sempre. la popolazione mondiale è troppo numerosa e la malnutrizione è inevitabile. il cambiamento climatico ha reso il pianeta inospitale, nonostante l'umanità si aggrappi a quella cosa che chiama vita con le unghie e con i denti, e la guerra sconvolge i paesi del sud-ovest asiatico (visto che possiamo evitare di chiamarlo medio oriente?).
nessuno dei sogni di progresso, di pace e di benessere mondiale è stato realizzato, anzi.
sogni di progresso, pace e benessere.
sogni.

la prima volta che orr rivela i suoi timori ad haber, è rassegnato all'idea di non essere creduto. sa che per chiunque altro è impossibile immaginare che i sogni di un uomo anonimo come lui possano avere un potere così grande.
ma haber è un uomo di scienza e, prima di etichettare orr come il solito psicotico con manie di onnipotenza, decide di metterlo alla prova. grazie a un macchinario di sua invenzione, l'aumentatore, spiega a orr di poter controllare i ritmi del suo cervello (chiedo perdono di questa mia spiegazione a ogni neurologhə che si ritroverà eventualmente a leggerla) e di poterlo portare a sognare in modo efficace ma controllato. questo primo esperimento convince haber della sincerità orr, e gli spalanca le porte all'opportunità di realizzare ogni possibile miglioramento nell'intera realtà sfruttando i sogni di orr.

haber e orr sono due personaggi diametralmente opposti: haber non dubita mai, neppure un momento, della legittimità delle sue azioni. è sicuro che modificare il mondo, agire sulla sua storia per trasformare il presente e tendere verso un futuro che sia il più possibile simile alla sua personale idea di bene, sia non soltanto una possibilità ma una sorta di dovere. haber deve agire. deve imporre il suo giudizio sul reale per piegarlo alla sua logica e ai suoi desideri, perché crede fermamente che questi siano la migliore soluzione per tuttə, anche quando il prezzo da pagare è tremendamente caro.

se haber è il mutamento, orr è l'equilibrio, la stasi perfetta, la migliore interpretazione possibile del termine medio. orr non si affida a ciò che crede ma a ciò che sa, e sa che nessunə, neppure nella peggiore delle situazioni, può decidere del destino di miliardi di esseri viventi. orr sa che non può affidarsi a uno strumento incontrollabile come i sogni e sa, soprattutto, che nessunə può distanziarsi così tanto dalla natura umana per mutarsi in dio. perché se a ogni cambiamento di continuum - come lo chiama haber - le memorie delle diverse realtà restano e si sommano nella mente di chi ha sognato o ha pilotato il sogno, la realtà per quell'individuo andrà sempre più disgregandosi, portandolo infine alla follia. perché è l'irrealtà a farci impazzire, il vuoto generato dal disfacimento del tessuto del reale e l'impossibilità di rimanere connessə allə altrə.
sapeva che quando si nega ciò che si è, si finisce con l'essere posseduti da ciò che non si è: dalle ossessioni, dalle fantasie, dalle paure che accorrono a colmare il vuoto.
la falce dei cieli è il romanzo più filosofico - se per filosofia intendiamo l'indagine intellettuale su ciò che esiste, sul come e sul perché esiste - tra quelli che ho letto di ursula k. le guin.
nella storia, i piani della realtà si sovrappongono e noi lettorə, proprio come orr e haber, ci ritroviamo nei panni di chi riesce a vedere in trasparenza tra tutti gli strati creati dai sogni efficienti, trovandoci sempre più disorientatə in una trappola multidimensionale di realtà sostituite.

per farla brevissima: l'ennesimo capolavoro di una scrittrice straordinaria.