lunedì 7 ottobre 2024

i cento amori di giulietta

appena ho visto helene, ho assaporato sulle labbra il gusto lieve e dolciastro del vino al miele, la reminiscenza di un bacio. succede tutte le volte che lei riappare nella mia vita, un ricordo ostinato che perdura dalla sera del nostro primo incontro, secoli fa.
certo, lei è del tutto inconsapevole della sua identità. o del fatto che la sua presenza - o assenza - nella mia vita abbia plasmato la mia intera esistenza.
oggi sarò pure sebastien, ma in principio il mio nome era romeo.
e il suo giulietta.

leggere i cento amori di giulietta non è stato facile perché ho passato la maggior parte del tempo con gli occhi lucidi e le lacrime sempre pronte a riversarsi giù, in uno stato di totale perdita di contegno e di assenza di vergogna. evelyn skye mi aveva convinta con damsel e adesso mi ha definitivamente conquistata con i cento amori di giulietta che, se da un lato è meno "politico" del primo, dall'altro è riuscito a farmi sentire totalmente coinvolta, trascinata nella storia che stavo leggendo. una storia d'amore bellissima, scritta senza mai scadere nel melenso, senza mai indugiare in scene da vecchio voyer senza scrupoli... e poi, insomma, parliamo della storia d'amore per antonomasia, quella di romeo e giulietta!
anche se in realtà le cose non sono andate proprio come ce le aveva raccontate shakespeare...

helene e sebastien si incontrano per la prima volta in una piccola cittadina dell'alaska. helene è appena arrivata, ha mollato tutto di colpo - il lavoro da giornalista che non decolla mai e, soprattutto, quel bastardo del suo futuro ex marito - e dalla california si è rifugiata nel gelo artico per poter diventare finalmente la nuova versione di sé che aspira a essere - quella che smette di tollerare le cattiverie e i tradimenti del marito, quella che tiene sempre gli occhi bassi, non alza mai la voce, sopporta tutto, non si lamenta mai e non rivendica mai quello che le spetta per diritto - e per scrivere, finalmente, il suo libro.
da quando ha memoria, colleziona brevi racconti, storie d'amore ambientate in tempi e luoghi diversi. helene sa che c'è qualcosa che le sfugge e che collega insieme tutto il materiale che ha accumulato fino ad adesso... ma cosa?
la sua unica certezza è che il protagonista maschile - anche se di volta in volta cambia nome, mestiere, città d'origine eccetera - è sebastien, l'amico immaginario che le fa compagnia e la sostiene di fronte a ogni difficoltà, nato nella sua mente per affrontare la malattia e la morte di suo padre quanto era ancora soltanto una ragazzina.
e adesso, eccolo lì: stesso volto, stessi occhi, stessi capelli, persino lo stesso nome! sebastien in carne ed ossa, dentro lo stesso pub in cui si è rifugiata a mangiare qualcosa di caldo la sera del suo arrivo in alaska, il primo giorno della sua nuova vita
com'è possibile che il suo amico immaginario, il protagonista dei suoi racconti, un personaggio inventato dalla sua immaginazione sia lì di fronte a lei, in carne e ossa?

il loro incontro non è certo una scena da film romantico, anzi. nonostante il destino sembra portarli costantemente una di fronte all'altro, sebastien è sempre scontroso, sgarbato e antipatico. in qualche modo, helene ha la sensazione che anche lui la conosca, ma è evidente che i sentimenti che lei prova per il sebastien che l'ha accompagnata per tanto tempo nella sua fantasia non corrispondono affatto a quelli che il sebastien della realtà prova per lei. ma perché lui è così respingente?

quella di romeo e giulietta è una storia con radici profondissime, che attraversano secoli e continenti. shakespeare fu ispirato dal racconto di questo amore impossibile già noto nel medioevo - ad esempio, dante cita le due famiglie dei montecchi e capuletti (cappelletti) nella sua divina commedia - ma alcunə studiosə hanno trovato echi degli archetipi di questa storia già nella letteratura classica greca e latina.
cambiano i nomi, cambiano i luoghi e le epoche ma l'infelice destino dei due amanti resta uguale.
evelyn skye si inserisce in questa lunghissima tradizione raccontandoci un finale alternativo della tragedia shakespeariana, quello in cui romeo, in realtà, uccide giulietta per sbaglio durante il suo duello con paride e per questo viene maledetto: per quanto ci provi, non riesce a morire e il suo tempo si dilata quasi all'infinito, facendolo invecchiare di un anno ogni cinquanta. in questa vita quasi eterna, romeo è costretto a incontrare ogni volta l'incarnazione di giulietta - ignara della loro vera identità - ad amarla e ad esserne amato, e infine, proprio come la prima volta, a perderla tragicamente.
romeo non può morire, giulietta muore ogni volta.
e adesso, tocca a helene e sebastien recitare sul palco del loro destino: le loro anime sono legate da secoli e anche questa volta non possono restare indifferenti una all'altro. ma qualcosa, adesso, sembra seguire un copione differente. che sia un segno che la maledizione si può spezzare?

sebastien e helene incarnano due prospettive opposte (e l'alternanza delle voci narranti, nel libro, sottolinea al meglio questa differenza): per lui, ogni storia d'amore è destinata a finire tragicamente perché, per quanto follemente si possa amare ed essere amatə, il destino che aspetta ciascuno di noi è sempre lo stesso. helene riesce però a mostrargli l'altro lato della medaglia: non vale forse la pena vivere una vita forse breve, sì, ma che è riuscita a conoscere una gioia così grande e totalizzante come quella che giulietta prova ogni volta con romeo? sebastien guarda verso il futuro colmo di timori e di angosce, vivendo ogni momento come se fosse l'ultimo prima di anni e anni di perdita e dolore, mentre helene è capace di concentrarsi sul presente, di vivere pienamente il momento come se niente, a parte il qui e ora, avesse importanza.

i cento amori di giulietta è un romanzo che - oltre a coinvolgerci in una bellissima storia d'amore - ci spinge a trovare le nostre risposte oltre la parola fine. cosa succede quando una storia finisce, quando si gira l'ultima pagina del libro? ok, lə nostrə protagonistə felici e innamoratə si sono sposati e ora vivranno "per sempre felici e contenti", ma quanto dura questo per sempre? è ovvio che il lieto fine non è davvero la fine e, in questo senso, ha ragione sebastien: ogni grande amore è destinato a finire tragicamente con la morte di unə dellə due amanti, che sia dopo un giorno o dopo decenni. ma è anche ovvio che per lieto fine possiamo intendere anche il compimento di quell'amore, che lo si voglia intendere come il matrimonio, come la nascita di unə figliə o come la realizzazione si qualsivoglia obiettivo che per quella certa coppia ha significato e valore, e qui ci tocca seguire il ragionamento di helene: forse vivremo questa immensa felicità per poco tempo, ma sarà una gioia così grande che nulla ci farà rimpiangere averla vissuta.

evelyn skye ci suggerisce che forse, quello che veramente conta non è tanto il modo in cui decidiamo di interpretare la realtà ma quanto siamo capaci di affrontarla con consapevolezza, e di condividere pienamente e sinceramente questa consapevolezza con chi amiamo e scegliamo come compagnə nella nostra vita. leggere la nota finale è stato un colpo al cuore - le parole di skye sono così autentiche e sincere che è difficile trattenere le lacrime - ma bellissimo. non vi dico altro.
conoscere l'altrə e conoscere sé stessə - così come helene ha immaginato/ricordato tanti frammenti delle sue vite passate con romeo/sebastien - accettare il passato ed essere prontə ad accogliere il futuro con speranza e accettazione, forse è questo che può spezzare la maledizione, che può spazzare via la paura che ci impedisce di vivere le cose per paura di perderle.

mercoledì 2 ottobre 2024

nella verde gola delle lupe

agilulfa alza una mano benedicente. il lupo perde la ferocia e si avvicina mansueto, le posa il capo sul grembo come un cane dopo le botte.
«la buona santa lo legò con la cintura. poi chiamò la gente che accorse con bastoni e coltelli: gli levarono la pelle per donarla alla cacciatrice gentile e ne bruciarono le carni. infine, nella grotta della bestia costruirono il nostro eremo...»

probabilmente pecchiamo di troppa fantasia quando proviamo a immaginarci cosa sarebbe un matriarcato e iniziamo a pensare a pensare a donne libere e felici che danzano nei boschi, senza uomini nei dintorni. ma un sistema matriarcale che semplicemente fa proprie le logiche e gli strumenti di quello patriarcale, non assicurerà alle donne i diritti di libertà, sicurezza e piena realizzazione di sé che chiedono da secoli.
eppure, siamo così stanche di millenni di dominazione maschile che continuiamo a visualizzare nelle nostre menti l'idillio ogni volta che ci ritroviamo a fantasticare su questa parola che tanto ci affascina.

quando ho visto i primissimi annunci di nella verde gola delle lupe, ho iniziato anche io a fantasticare di donne selvagge e libere dalla perenne riduzione di tutto il loro essere al loro ruolo di madri/spose. e ho, colpevolmente, sbagliato.
la comunità che vive nel folto del bosco è una società matriarcale e di sole femmine, ma tutt'altro che libera e selvaggia. le lupe vivono un'esistenza di regole da educande e ruoli ben stabiliti, intimamente connessi ai loro corpi e scanditi dalle trasformazioni fisiologiche che questi subiscono con il tempo. figlie, sorelle, madri, zie, nonne: sono sempre e soltanto qualcosa in relazione alle altre donne che le hanno generate, che hanno generato o con cui hanno condiviso il grembo materno.
il potere, all'interno della comunità, è in mano alle anziane, le quali istruiscono le giovani - scegliendo accuratamente in che modo farlo e cosa escludere da questa educazione - e decidono del loro futuro, se saranno o meno lettrici dell'unico libro in loro possesso, quello che racconta la storia di santa agilulfa e del lupo.

la santa, senza neppure tentennare davanti alla possibilità di conoscere il segreto che la grossa bestia - nera e capace di camminare su due piedi - dice di conoscere e di poterle confidare, la uccide e libera la grotta dove adesso vivono le lupe. perché - duemila anni di cristianesimo ce l'hanno insegnato bene - la donna saggia e giusta è quella che non si lascia trascinare dalla curiosità, uno dei tanti peccati in cui le donne sono così brave a scivolare... agilulfa è la fede e l'obbedienza che rinuncia alla conoscenza.
così le giovani crescono imparando a non fare domande, a fidarsi ciecamente delle altre più grandi, a obbedire, anche quando questo significa reprimere i propri sentimenti per una madre o una sorella morta, o temere quello che non si conosce. obbedire anche quando questo vuol dire ignorare tante cose, anche quelle che riguardano il loro stesso corpo.
cos'è che fa gonfiare il ventre delle madri? come fanno le donne a partorire bambine (perché i maschi vengono puntualmente abbandonati nel bosco, poco importano i sentimenti di una madre, queste sono le regole)? cosa succede alle vergini dopo il primo sangue? cos'è la congiunzione?
le risposte, per noi, non sono poi così difficili da immaginare.

lucrezia pei e ornella soncini immaginano un'italia in pieno rinascimento, anche se collocata in un universo alternativo, in cui, dal disequilibrio numerico tra maschi e femmine, le comunità si sfaldano e nuovi gruppi nascono tra le loro sfilacciature, come quello delle lupe.
quello che però manca a queste donne è la consapevolezza di ciò che sono e un intento politico che possa giustificare il loro modo di vivere e permetterle di figurarsi un obiettivo che sia più di "ci nascondiamo dai maschi ma ci accoppiamo con loro e facciamo accoppiare con loro le nostre figlie". quello che manca è un vero sentimento di sorellanza e fa male, malissimo SPOILER (TW STUPRO) leggere di ragazzine condotte nel bosco da madri e sorelle che finiscono per essere stuprate da uomini sconosciuti di cui, fino a poche ora prima, non sospettavano neanche l'esistenza.
quella delle lupe è una comunità di donne che, in fin dei conti, vivono secondo l'idea patriarcale di donna-utero, di donna destinata a produrre prole (altre femmine-riproduttrici o altri maschi-forza-lavoro), di donna silenziosa, obbediente, di donna che si prende cura delle bambine, delle giovani e inesperte ragazze, delle anziane ormai non più autonome.
fuori da quei ruoli, per le lupe non si disegnano altre possibilità.

al di là della trama, quello che rende difficile la lettura - o, almeno, l'ha resa difficile per me - è un linguaggio volutamente anacronistico e antico che, se da un lato ci lascia percepire la distanza temporale della storia e aiuta a rendere l'atmosfera, dall'altro troppe volte si contorce su sé stesso, finendo per curarsi più della sua forma che della capacità di comunicare, e arrivando spesso a rendere macchinosi e poco chiari alcuni passaggi.

la lettura di questo racconto mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca, mi aspettavo forse un “messaggio” diverso, di rivendicazione di ruoli differenti, non sempre e non esclusivamente di subordinazione, almeno nella dimensione del fantastico, uno spazio in cui è possibile costruire o criticare e non soltanto replicare. mi aspettavo anche che il richiamo alla natura proponesse un rapporto più di tipo “simbiotico” tra donne-bosco-animali, mentre questi esistono solo come prede, per la loro carne o la loro pelliccia, e la vegetazione è giusto un elemento dello sfondo. insomma, forse il problema è stato più nella comunicazione che è stata fatta del libro e il tipo di aspettative che aveva generato (quantomeno in me) che altro. mi ero preparata sì a un viaggio in un passato alternativo e distopico ma anche di vedere una reazione diversa delle personagge alle vicende che sono costrette a vivere.

ultima nota: le illustrazioni di marco calvi mi sono piaciute moltissimo, soprattutto per il modo in cui riprendono e reinterpretano da una parte l'iconografia sacra classica e dall'altra quella quasi "neopagana", molto più vicina ai nostri tempi, trovando un linguaggio visivo coerente e uniforme che raccorda perfettamente le immagini e le inserisce senza soluzione di continuità nel racconto.

giovedì 26 settembre 2024

commenti randomici a letture randomiche (88)

ricordatemi di non lamentarmi più perché non ho niente da fare e mi annoio.
queste settimane sono tremendamente incasinate, ritaglio letteralmente manciate di minuti ogni volta che posso per riuscire almeno a leggere qualcosa, ma scrivere diventa veramente difficile.
però ho letto tre libri molto belli e ci tenevo a scrivere due righe per consigliarveli. perché se togliamo pure i consigli di lettura, la vita diventa davvero troppo triste.

 sierocoinvoltə - la rivoluzione sessuale riparte dall'hiv 
conquistare la consapevolezza è la prima porta di accesso a una salute sessuale piena, e per lo stesso motivo la storia di chi ha incendiato quel desiderio di conoscenza e libertà è una favola di rivoluzione che ci riguarda tuttɜ.
vorremmo che più persone rivendicassero oggi quel movimento, e che questa storia che ci ha generato, che ha sfidato il tempo e i continenti, appartenesse anche a chi pensa di non esserne coinvoltə. sono tanti gli spunti per il futuro che le lotte e la storia dell'attivismo hiv possono insegnare: per cambiare il paradigma c'è bisogno di tuttɜ perché siamo tuttɜ sierocoinvoltɜ.

se siete della mia generazione vi sarete accortə che di hiv non se ne parla quasi più, nel bene e nel male. se siete della mia generazione probabilmente vi ricorderete dell'orribile spot dell'alone viola, una delle tante pubblicità-progresso che ci terrorizzavano in quegli anni.
e infatti quell dell'hiv è una storia che parla di terrore, per non dire di terrorismo.
quella dell'hiv è una storia di stigma sociale, di marginalizzazione, di stereotipi e di luoghi comuni, è la storia di una crudele negazione dell'umanità stessa delle persone coinvolte.
o meglio, lo è in massimo parte. scendendo un po' più a fondo nella tana del bianconiglio, scopriamo tutto quello che, mentre ci dicevano di evitare ogni tipo di contatto con lə sieropositivə, non ci è stato raccontato.
è laggiù, sotto lo strato di narrazione comune, che troviamo chi con hiv ci convive, chi ha attraversato anni, anche decenni in compagnia del virus, chi ha visto morire persone care e chi si è ritrovatə al centro di una comunità che nel tempo è cresciuta, una comunità di persone sierocoinvoltə che hanno saputo fare rete quando il resto della società aveva troppa paura di loro o quando, semplicemente, aveva dimenticato la loro esistenza.
sierocoinvoltə è un libro corale, scritto da conigli bianchi - il collettivo di artivistə contro la sierofobia che dal 2014 combatte la discriminazione verso le persone con hiv attraverso l'arte - e prep in italia - il collettivo che lavora per colmare la carenza di informazioni sulla profilassi pre esposizione per proteggersi da hiv e collabora con associazioni e istituzioni per una sessualità consapevole, libera e serena - un miscuglio di biografie e parole di rivendicazione sociale e politica, è un po' un saggio e un po' un romanzo, è il viaggio di alice che nella tana del bianconiglio - o meglio dellə bianconigliə! - scopre una realtà nascosta che non vede l'ora di venire alla luce.
in questo libretto, che smonta pezzo per pezzo i vecchi stereotipi come quello per cui l'aids è qualcosa che riguarda solo i gay cis (soprattutto bianchi), ho trovato tantissime informazioni che non conoscevo: ad esempio, ho scoperto che chi convive con hiv può avere una normalissima vita relazionale, romantica e sessuale come vuole e con chi vuole e senza mettere lə propriə partner in pericolo semplicemente seguendo una terapia. che i test sono gratuiti e veloci, che, nei casi in cui siamo in dubbio sulla nostra salute o su quella dellə nostrə partner, è possibile prevenire il contagio e che chi vuole avere figlə può, sempre grazie alle nuove medicine a disposizione, farlo senza rischi.
ho scoperto una formula bellissima che è u=u, undetectable = untrasmittable, cioè non rilevabile = non trasmissibile, che vuol dire che le persone con hiv possono curarsi e abbassare fino a zero il rischio di trasmissione del virus.
insomma, la storia dell'hiv e dell'aids è cambiata tantissimo degli ultimi anni eppure le informazioni disponibili sui canali non-specifici sono poche, e leggere questo libretto è un ottimo modo per aggiornarsi, oltre che per capire meglio com'è la vita con hiv dalle parole di chi con hiv ci vive.
perché, adesso che l'infezione può essere tenuta a bada, adesso che si può - grazie alla prevenzione e alla profilassi - concretamente pensare di debellare l'hiv completamente dalle nostre vite, si parla così poco di hiv, di cura e di prevenzione? perché, dopo anni di terrore psicologico che hanno marginalizzato centinaia di persone, non si racconta quanto sia facile oggi coinvivere con hiv? e, soprattutto, perché nessunə ci racconta mai che l'hiv non è qualcosa che accade allə altrə, a chi mette in atto comportamenti a rischio (come se questo, poi, fosse una giustificazione, come se l'infezione fosse una "punizione" per i propri errori), ma che ci riguarda tuttə? perché è così.
l'hiv è, come ogni altro virus, presente nelle nostre città, nelle persone che ci circondano. come ogni altro virus sa essere silenzioso ed è bravo a nascondersi, a volte anche per anni.
eppure scovarlo e conviverci adesso è facile! e se impariamo a farlo, impariamo a proteggere noi stessə, chi amiamo e chi non conosciamo neppure. e dobbiamo saperlo tuttə perché siamo tuttə sierocoinvoltə!
la rivoluzione sessuale, dice il sottotitolo, riparte dall'hiv perché, messo (si spera!) definitivamente da parte il bigottismo e il moralismo, quello che conta davvero è la consapevolezza di cosa ci piace e di cosa piace alle persone con cui facciamo sesso, dei modi che abbiamo per raggiungere quel piacere e la cura - gratuita, accessibile e informata - di noi stessə e dellə nostrə partner.
se lə bianconigliə passano a leggere queste poche righe, voglio ringraziarlə ancora una volta per le storie e le parole di lotta e resistenza che hanno tirato fuori dal cilindro e che ci hanno donato alla presentazione di maggio a torino

 il bambino e il cane 
yaichi sapeva che i cani capivano le persone: erano delle creature speciali donate da dio, o da buddha, a quelle creature folli che erano gli uomini.

ci sono due tipi di persone: quelle che davanti a una storia (un libro, un film, un fumetto eccetera) in cui muore un animale piangono, e quelli che hanno un sasso al posto del cuore. se fate parte della prima categoria, vi spoilero che sì, qui il cane muore. così lo sapete e potete scegliere se reggete la lettura oppure no.
questo romanzo mi ha sorpresa perché non avevo idea di cosa aspettarmi e un po' temevo fosse una storia smielosa e strappalacrime. piangere si piange, eh, ma i miei timori erano infondati. il romanzo si divide in sei capitoli: l'uomo e il cane, il ladro e il cane, la coppia e il cane, la prostituta e il cane, il vecchio e il cane, il bambino e il cane.
il cane, va da sé, è sempre lo stesso, tamon, un incrocio di pastore tedesco e una qualche razza giapponese non meglio identificata, un mamori-gami, un angelo custode che infonde coraggio, fiducia e amore a chi ha la fortuna di incrociare il suo cammino.
lə altrə personaggə, invece, cambiano di volta in volta, rappresentando le tappe fondamentali di un viaggio che dura quasi cinque anni, dallo tsunami dell'isola di honshū del 2011 fino... beh, lo scoprirete. tamon è un cane eccezionale, dotato di un fisico incredibilmente robusto, di una volontà incrollabile e di un senso di attaccamento che fa quasi pensare a una leggenda.
il suo nome rimanda a tamonten, uno dei quattro guardiani celesti del buddismo, e in effetti sia a noi lettorə che allə personaggə che condividono il suo cammino, tamon sembra una creatura soprannaturale, mandata dal cielo ad aiutare gli esseri umani che attraversano un momento difficile della loro vita. anche una certa ricorsività degli elementi nei vari capitoli rimandano alla struttura dei miti, di storie che si declinano in modo differente spostandosi tra la gente e nel tempo, rimanendo sempre uguali a loro stesse.
tamon sembra capace di odorare la solitudine e indica la via, in senso metaforico e non: chi se lo ritrova accanto, osservando i suoi profondi e dolci occhi neri, riesce a trovare la direzione da dare alle proprie azioni, a rimediare a vecchi errori e a guardare al futuro con speranza e tranquillità.
in modo più o meno letterale, tamon è una guida, una sorta di psicopompo capace di condurre le anime da uno stato all'altro dell'esistenza. aiuta a passare attraverso i mondi, quali che questi siano, aiuta a superare il trauma della trasformazione, del distacco da ciò che si conosce e la paura di quello che non si conosce ancora.
e chi meglio di un cane, una creatura che non parla ma che sa leggere nei cuori ed entrare in empatia profonda con chi ha accanto, poteva comunicare l'indicibile? chi poteva mostrare quello che non si può vedere, far sentire quello che non si sa come riconoscere?
il bambino e il cane è un romanzo che gioca sul piano del simbolismo ma soprattutto con le emozioni dellə lettorə, ci mette davanti degli umani-tipo con cui entrare in sintonia e delle situazioni-tipo in cui ritrovarci. hase seishū estremizza gli uni e le altre e però, anziché creare un effetto respingente, aumenta la nostra capacità di immedesimazione mostrandoci la plausibilità di quelle vite sgangherate. tamon sa ignorare le colpe, sa trovare il lato buono in chiunque, guardando oltre la rabbia, gli errori e le paure. lui resta lì a dare il suo amore dove qualcuno ha bisogno di un supporto, senza giudicare e senza pretendere nulla. e nel farlo, ci insegna la più grande delle lezioni.

 un salmo per il robot 
lode ad allalae per la compagnia.

evviva! che bello! sono tornati sibling dex e mosscap! in un salmo per l'universo, monaco del tè e robot di nuovo fianco a fianco su panga, la luna su cui l'umanità ha imparato dai propri errori ed è riuscita a coniugare prosperità e rispetto degli ecosistemi e delle risorse. armonia con la natura, rispetto dell'altrə, liberazione dalle catene delle imposizioni sociali: panga è una sorta di paradiso di bellezza ed equilibrio, abitato dalla versione migliore dell'umanità che hanno abbandonato capitalismo, sopraffazione e consumismo per il bene collettivo.
dopo la prima parte del viaggio, in cui mosscap aveva condotto sibling dex a indagare la parte più selvaggia di panga, lə due si trovano adesso a confrontarsi con lə altrə abitanti di città e villaggi, portando avanti la ricerca di mosscap: di cosa hanno bisogno gli esseri umani?
lo stupore per una creatura che rimanda a un'epoca lontanissima, l'era delle fabbriche, suscita curiosità ed entusiasmo ovunque e tra chiunque, ma becky chambers approfitta del vagare dell'improbabile coppia per riflettere non solo su quello che ci serve per vivere bene, ma anche su quello che fa di un essere umano - o di un robot - una creatura vivente.
l'atmosfera è sempre quella di una pacata serenità che si fa base per una meditazione sul significato dello stare al mondo, sulla necessità della morte come elemento fondamentale per poter definire la vita e renderla preziosa, su quello che scegliamo di accogliere nel nostro tempo o di rigettare per poterlo vivere pienamente e al meglio.
mi spiace che questo libro stupendo - incluso un salmo per il robot, già pubblicato l'anno scorso - sia uscito solo nell'edizione urania, che non sia sempre disponibile in libreria (e che non abbia una traduzione e una cura adeguate) ma mai dire mai.
intanto, se ne avete l'occasione, setacciate edicole e mercatini dell'usato e recuperateli entrambi!

giovedì 19 settembre 2024

la parabola del seminatore

il seme della terra.
io sono il seme della terra. chiunque lo può essere. un giorno, penso che lo saremo in tanti. e penso che dovremmo andarci a disseminare sempre più lontani da questo posto morente.

"è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo", e in effetti la parabola del seminatore di octavia e. butler racconta di un futuro prossimo in cui il nostro pianeta sta collassando, dirigendosi lentamente ma inesorabilmente verso la fine, ed è più semplice trovare droga, programmi tv spazzatura, politici incapaci, lavori sottopagati, multinazionali senza scrupoli e polizia corrotta e violenta che una mela.
bravissima octavia, ti sei sbagliata giusto di qualche anno, ma ci manca poco. quello che nei primi anni '90 del secolo scorso - quando è stato pubblicato per la prima volta questo romanzo - era il "futuro prossimo", oggi è il nostro presente.
il diario di lauren olamina - protagonista e voce narrante della storia - inizia, infatti, il 20 luglio 2024. leggere quella data è stato agghiacciante, perché anche se il mondo di lauren non è il nostro, è probabile che, da qualche parte, quel mondo lì stia cominciando ad esistere.

lauren e la sua famiglia vivono all'interno delle mura, in un agglomerato di abitazioni che potremmo chiamare cittadina nonostante non esista una vera e propria amministrazione riconoscibile come tale, né lì né in molti altri posti. pastore battista, suo padre è la guida spirituale della comunità e, allo stesso tempo, anche una sorta di leader. gli equilibri all'interno delle mura sono fragili e costantemente minacciati da quello che si trova al di fuori. spesso si sta insieme solo per guardarsi le spalle, perché se aiuti lə altrə, allora lə altrə aiuteranno te, anche se poi in realtà non vi piacete troppo a vicenda. si va in giro in gruppo, sempre, e fuori dalle mura si esce solo se armatə. fuori è la desolazione: non è raro vedere accasciati sui marciapiedi corpi morti e feriti, stuprati, derubati di ogni bene. lontano dalla propria comunità, chiunque è potenzialmente una minaccia e chiunque è probabilmente in pericolo. ma non ci si aiuta fuori dalle mura, ci si guarda le spalle e si spera solo di sopravvivere. ogni forma di pietà, generosità e gentilezza sono vietate perché anche unə bambinə che chiede aiuto può essere in realtà solo una trappola.

la realtà è cupa e brutale ma lə più grandi (e a volte anche il paesaggio stesso, con i suoi resti di autostrade e ferrovie) raccontano un passato non troppo lontano più sicuro, in cui si poteva ancora studiare, lavorare, viaggiare in auto o in treno, persino volare! lauren è troppo giovane per avere ricordi del mondo-come-era-prima, ma lo conosce attraverso i ricordi di suo padre e della sua seconda moglie, la madre dei suoi fratelli. il mondo-com'è-adesso, invece, lo conosce fin troppo bene, anche per via di una strana condizione che sua mamma - che abusava di farmaci/allucinogeni durante la gravidanza - le ha lasciato in eredità: lauren è iperempatica, cioè percepisce le sensazioni dellə altrə come se fossero sue. visto lo stato delle cose, l'iperempatia può diventare fortemente invalidante perché a lauren basta guardare una persona in agonia per sentirsi letteralmente morire. e incontrare moribondə non è la cosa meno probabile che le possa capitare: quel certo livello di sicurezza che si può respirare dentro le mura non è poi assoluto, e sono molte le comunità che vengono spazzate da gente disperata, pronta a ogni cosa per prendersi quello che non ha mai potuto avere.

mentre i giorni dentro le mura trascorrono quasi sempre uno uguale all'altro, con l'ansia e la paura che tutto quello che conosce e che le dà un briciolo di sicurezza in mezzo al caos e alla disfatta sociale, lauren pensa, riflette, scrive e riscrive quello che un giorno sarà il seme della terra, il suo credo personale, il modo in cui - negli anni - ha plasmato la sua idea di dio e di comunità. in un mondo che cambia violentemente e costantemente, dio è il cambiamento stesso. e allora, agli esseri umani tocca smettere di provare a contrastarlo, anzi accettarlo e accompagnarlo nella giusta direzione, sforzandosi di creare comunità non soltanto basate sul mutuo aiuto e sulla reciproca fiducia, ma che sappiano anche rispondere prontamente e con efficienza a quel mutamento continuo e spesso distruttivo.
ma lauren è troppo giovane ed è una donna e, come sempre, il potere di decidere non spetta a quelle come lei. suo padre è il primo a fraintendere la sua lungimiranza e prudenza, più preoccupato di non scatenare il panico che di rendere davvero la comunità capace di proteggersi. così, quando le previsioni si lauren si avverano, solo un paio di persone sopravvivono e si uniscono a lei in un viaggio attraverso il paese, verso un indefinito nord forse più sicuro.
il viaggio si compie per strada - ed è facile rileggere in questa storia la strada di cormac mccarthy, che pure è stato pubblicato circa quarant'anni dopo la prima edizione della parabola - ma soprattutto in mezzo alla gente, buona o cattiva, comunque sempre spaventata, affamata e impoverita, a volte trasformata dalla piro, la droga diffusissima che spinge ad appiccare incendi e godere della danza delle fiamme, poco importa che ad alimentarle siano altri esseri umani.
lauren continua a essere prudente senza chiudersi a nessunə. si finge uomo sapendo bene quanto essere donna la esponga maggiormente ai pericoli, ma non esita a rivelarsi allə compagnə che incontra e raduna durante il viaggio.

il suo obiettivo non è la semplice sopravvivenza, ma la creazione di una nuova comunità guidata da regole etiche e morali e non soltanto dal semplice bisogno di fare gruppo per proteggersi. un unico dio-principio in cui credere, che possa indicare la via da seguire, al singolo individuo e alla collettività. un dio-principio che sia la base per un mondo nuovo, diverso dall'orrore del presente e comunque lontano e altro rispetto alla grandezza dei racconti del passato.

la parabola del seminatore è un romanzo densissimo e fortemente politico. octavia e. butler parla di religione e di fede, di come la crisi ambientale si rispecchia in quella sociale e culturale, in un continuo alimentarsi a vicenda. attraverso le esperienze di lauren - una protagonista nera, giovane e donna - sottolinea come razzismo, ageismo e misoginia siano sempre e comunque intrinsecamente presenti, e come essere parte di una - o più! - categorie discriminate possa rendere la sopravvivenza in situazioni estreme sempre più difficile e incerta. ma c'è anche tanta consapevolezza di classe, della lotta tra chi ha e chi no, che non si polarizza mai completamente e in maniera efficace, ma si spezzetta tra chi non ha nulla e chi ha pochissimo, tra chi ha pochissimo e chi ha poco, lasciando al sicuro chi invece stringe troppo tra le sue mani.

il seme della terra è da intendersi quindi non come una setta tra tante, non un semplice nuovo culto religioso, ma un programma politico che prende le sue mosse da un auspicato cambiamento morale ed etico. il mutamento che lauren sogna non è e non può essere imposto dall'alto e normato da leggi e regole, deve nascere spontaneamente nel cuore della gente, proprio come spontanea è la fede e l'amore per dio, deve essere diffuso orizzontalmente e, proprio perché non può che essere il frutto di una collettività, deve poter essere malleabile e adattarsi a chi vorrà farne parte.

la parabola del seminatore ha praticamente tutto quello che mi piace in un romanzo: l'ambientazione distopico-apocalittica, una protagonista intelligente e determinata, l'attenzione alla crisi ecologica e a quella sociale, una trama appassionante, una forte critica al sistema capitalista e alle marginalizzazioni dei gruppi sociali svantaggiati, e tanti riferimenti alla questione dell'intersezionalità.
terzo libro che leggo di butler, terzo capolavoro di fila. aspetto che arrivi l'opera omnia.

venerdì 6 settembre 2024

oceano rosso ~ il nostro presente / il nostro passato

nacqui in fondo agli abissi, lì dove viveva la specie umana. nel mondo acquatico tutto era rosso e gli strati d'acqua, più o meno profondi, risplendevano come fuochi d'artificio. [...] la prima cosa che vidi alla nascita fu il corpo nudo, giovane e bello di mia madre. questo fece sorgere in me la strana idea che l'oceano fosse di sesso femminile. con il parto, sulla sua pelle rosea erano apparsi grappoli di macchie scure e brillanti, che trasudavano un liquido giallo e denso, espellendo il sale in eccesso. urlando, mia madre propagò nel vasto oceano gioia e dolore, attraverso onde sonore a bassa frequenza. poco dopo, la situazione attorno a lei si fece movimentata.

esistere in un mondo brutale e selvaggio, in un oceano saturo di metalli e ribollente di sangue in cui l'umanità - dopo un processo di involuzione - si è adattata a (soprav)vivere, ricombinando il proprio patrimonio genetico, plasmando la sua struttura in risposta a nuove necessità.
questo è oceano rosso di han song, e questa è la storia di stellamarina, creatura fragile partorita in un mondo di pericoli e minacce insieme a decine di fratelli e sorelle da cui si differenzia per la strana consapevolezza di aver perso tanto di ciò che rendeva, una volta, umani gli esseri umani.

l'oceano di stellamarina è popolato di esseri mostruosi e feroci, animali e piante e declinazioni diverse dell'idea di essere umano per i quali ogni altro individuo è potenzialmente nemico e nutrimento allo stesso tempo. nell'oceano rosso sono due i motori che muovono ogni cosa, due necessità che spingono la vita a perpetuarsi: il cibo e il sesso. mangiare e riprodursi. nessuna etica, né morale, nessun tabù né divieto, ogni cosa è permessa pur di soddisfare questi bisogni e l'esistenza stessa è tutto un susseguirsi di vita e morte, nascita e distruzione, in un ciclo continuo in cui la materia - la carne - passa dallo stato di essere vivente a quello di nutriente senza soluzione di continuità.

come parte di questo meccanismo, stellamarina si comporta come ogni altro essere umano acquatico, uccidendo, stuprando e cannibalizzando, ma, seppur dotato di un pensiero basilare, primitivo e a tratti mistico, ha al contempo un punto di vista unico, quasi esterno, sulla vita nell'oceano. la sua è una forma di consapevolezza di un senso di umanità perduto per sempre che a tratti esplode per poi ripiegarsi di nuovo su sé stessa: il senso del tempo che scorre, l'incapacità di avere memoria, l'essere prigionierə dei propri bisogni più bassi, l'orrore del nutrirsi dellə propriə compagnə e della propria prole che si trasformano nell'impossibilità di sfuggire alla propria natura e a quella dell'oceano stesso.

l'oceano rosso, ci dice stellamarina, è femmina. è l'espressione più animalesca e selvatica del femmineo, è madre primordiale che dà la vita e che se la riprende in un continuo fluire di carne attraverso la carne. è un essere che costantemente rinasce dai propri resti, partorisce e sbrana sé stesso, unifica vita e morte, amore e disprezzo, in un circolo che ingloba il fluire del tempo fino ad annullarlo. tra le sue acque infide, stellamarina percepisce uno sguardo che lo segue e un tunnel che in qualche modo collega la sua realtà a quella di tempi altri e lontani.

in questo mondo, in cui la pressione dell'acqua stritola corpi e menti degli acquatici, le terre emerse rimangono nell'immaginario collettivo quasi come una mitologia rimasta allo stato embrionale, forse un luogo da raggiungere dopo questa vita o forse una realtà quasi impossibile da immaginare. eppure qualcosa, in stellamarina, rimane e lo avvicina a quell'umanità ormai distrutta, una conoscenza intrappolata nelle fibre del suo corpo e della sua mente, che lo fa sussultare quando la sua mente sfiora l'idea di tempo o di civiltà. migrando nell'oceano rosso e tra i suoi orrori, alla ricerca della città sottomarina delle leggende, stellamarina cerca qualcosa di inafferrabile: una speranza per il futuro che passa attraverso la possibilità di conoscere, comprendere e ricordare il passato, seguendo quella che è una spinta verso l'evoluzione - verso ciò che fu un tempo l'umanità - impossibile da decifrare.
ma, pure quando prova a mettere in atto questo concetto astratto di civiltà - che coglie in qualche modo ma non sa come comprendere - l'unica forma di civiltà che riesce a immaginare è quella basata sulla violenza, sulla sopraffazione dellə più deboli, sulla gerarchizzazione estrema della popolazione e sulla divisione nettissima dei ruoli di genere: femmine/incubatrici, maschi/soldati.

a tratti il suo percorso rassomiglia a quello della storia umana, dalle sue espressioni più primitive verso altre più progredite e meno brutali - e dai culti femminili-ctoni (intesi, qui, come abissali) a quelli maschili-guerrieri - ma è un percorso perverso e deviato, che non riesce ad affrancarsi dalla violenza e dallo sfruttamento perché costretto in un ambiente estremamente povero di risorse in cui nulla può svilupparsi se non la capacità di soddisfare i propri bisogni, un ambiente che mette i due principali aspetti dell'essere umano - maschile e femminile - in guerra (seppur in interdipendenza) tra loro. c'è, e neppure troppo velatamente, in tutto il romanzo una forte critica al progresso e si lascia intendere più volte che è stata proprio la "crescita" smodata dei terriani a portare alla loro rapidissima estinzione e alla nascita delle popolazioni acquatiche che, come dicono le leggende, erano un tempo dieci miliardi eppure si estinsero tuttə in una sola notte.

nella seconda parte del libro han song raccoglie una serie di leggende di un passato non si sa quanto distante dal presente di stellamarina o da noi, bipedi delle terre emerse. sono storie che contengono gli stessi elementi, rimaneggiati e rimpastati come mitemi di cosmogonie primitive o versi di epopee lontane. storie che provano a spiegare l'incalcolabile arco di tempo che ci separa da stellamarina e dalle altre creature ibride del mondo sommerso, storie capaci di far immaginare un mare blu, persino più adatto alla vita umana delle terre emerse, abitato da creature pure che vivevano in armonia, come in una versione sottomarina del mito dell'età dell'oro, o storie che rimandano a quelle conoscenze tecnologiche che l'umanità aveva acquisito a fatica, nel corso dei secoli, e poi improvvisamente perso.
ma in realtà, la storia stessa di stellamarina sembra quella di un essere speciale, quasi come fosse un dio di culti antichi, consapevole di tutto, esterno al tempo eppure immanente nello spazio e nel tempo in cui si svolge la sua vita. la sua memoria - unica in una specie che ha tra le sue peculiarità quella di soffrire di frequentissime e inevitabili amnesie - arriva fino al momento della sua nascita e la sua consapevolezza è generata con lui, in quel grido che propaga gioia e dolore in tutto l'oceano.

oceano rosso è un romanzo strano e difficile, tanto nella forma del linguaggio che nella struttura della narrazione. han song non si cura troppo di rispondere alle miriadi di domande che nascono dalla lettura, ci fa sentire perdutə tra le acque salmastre proprio come lo sono lə suə personaggə fino a che non ci abbandoniamo alla corrette e rimaniamo orripilatə e insieme affascinatə dallo spettacolo della natura grandiosa e crudele a cui ha dato vita.