venerdì 30 maggio 2025

commenti randomici a letture randomiche (91)

la pila dei libri presi al salone mi tenta moltissimo, e mi tenta moltissimo quella dei libri che mi sono portata su da casa l'ultima volta che sono tornata. e in generale, mi tenta qualsiasi libro sia ancora negli scaffali dei libri-da-leggere. mi sento ancora frastornata da un sacco di cose e faccio fatica a scrivere, vorrei solo stare ore e ore e ore a letto abbracciata al mio pupazzo preferito a leggere.
ma, allo stesso tempo, la pila dei libri-che-ho-letto-e-di-cui-voglio-parlare cresce e mi guarda malissimo. quindi provo a raccontarvi un po' delle mie ultime letture mentre ricarico le batterie quel che basta per affrontare un po' di idee che ho per il blog...

 la mappa dell'altrove di emily wilde 
bisognerebbe essere dei veri idioti per sposare una creatura fatata. sono poche le storie in cui un'unione di questo tipo va a finire bene, mentre ce ne sono migliaia che si concludono con la pazzia o una morte atroce e prematura.
ovviamente sono anche sempre cosciente di quanto sia ridicolo che un re delle fate abbia chiesto a me di sposarlo.

qualche settimana fa è uscito il secondo libro dedicato al mondo di emily wilde, la miglior driadologa in circolazione nonostante il suo carattere scontroso e la sua scarsa capacità di attenersi alle norme sociali. e ammetto che è proprio per questo - ma non solo - che la cara emily e i suoi diari mi erano mancati.
emily wilde è un po’ la personificazione del cliché dellə scienziatə fuori dal mondo, ferratissimə nel suo campo ma in estrema difficoltà quando si tratta di gestire i rapporti interpersonali o curare il proprio aspetto quel tanto che basta a evitare sguardi indagatori e giudicanti. nonostante sia, appunto, un po’ un cliché, emily è molto più di una macchietta o di una maschera da teatro: heather fawcett è riuscita a sviluppare tanto bene la sua personaggia da renderla a tutto tondo, un mix ben dosato di goffaggine, intelligenza ed erudizione (in merito al mondo delle fate, ovvio).
 
la mappa dell’altrove di emily wilde è il libro-di-mezzo della serie e un po’ si avverte questo suo ruolo di connettore tra il primo romanzo, che ha gettato le basi per costruire questo mondo a metà strada tra il cozy fantasy e il light academia (eh, visto che brava che sono che inizio a imparare i nomi dei vari sottogeneri?), e il capitolo conclusivo (che la sottoscritta non vede l’ora di leggere).
molte situazioni, infatti, restano un po’ sospese ed è chiaro che ci stanno preparando al finale della storia, ma comunque resta un romanzo estremamente godibile, anche se forse un pelino meno del primo.
inevitabilmente in questo post ci saranno degli spoiler sul primo libro.
 
oltre alla nostra protagonista, al suo wannabe-promesso-sposo wendell bambleby, e al mio adoratissimo shadow, il grosso cagnolone nero che accompagna emily nelle sue avventure e che è, in realtà, un gramo, compaiono due personaggə nuovə: il professor rose, driadologo della vecchia guardia, con cui emily ingaggia - o viene ingaggiata in - schermaglie circa i loro metodi di ricerca (estremamente differenti), e infine ariadne, la giovane, immatura e entusiasticamente affascinata dal popolo fatato, nipote di emily.
 
ne la mappa dell’altrove di emily wilde la missione che porta avanti la trama del racconto diventa triplice: ufficialmente la nostra driadologa, che ha ormai raggiunto una certa notorietà ed è ufficialmente una professoressa a cambridge, sta compilando il suo atlante delle porte che conducono al mondo delle fate. meno ufficialmente sta indagando, insieme a bambleby, per ritrovare la porta che lo conduca al suo regno, la silva lupi, e gli permetta di riottenere il trono che gli è stato usurpato dalla sua matrigna, che è riuscita a “lanciare” su di lui una maledizione che sembra non lasciare scampo e che terrorizza emily.
per riuscirci, hanno seguito le impronte di danielle de gray, studiosa scomparsa misteriosamente da decenni, forse smarrita in un qualche regno fatato, che aveva teorizzato l'esistenza di uno snodo, cioè di una porta capace di collegare contemporaneamente il nostro mondo e diversi mondi fatati, sulle alpi austriache.
 
ai temi della ricerca e dell’indagine sui misteri, si accosta inevitabilmente quello della storia d’amore tra emily e bambleby che, grazie al cielo, heather fawcett sintetizza in poche pagine sparse qua e là, risparmiandoci i dettagli, mentre il grosso delle loro interazioni mantiene il tono più leggero del primo libro. anche il fatto che lə comprimariə di emily siano tre ripartisce in qualche modo lo sviluppo della sua personaggia: il suo lato romantico, che cresce all’intensificarsi e chiarirsi dei suoi sentimenti verso bambleby; la emily-studiosa che diventa sempre più sicura di sé e del suo metodo di ricerca attraverso il confronto con il professor rose; e infine il rapporto con ariadne che sembra essersi unita alla spedizione per permettere a emily di crescere come persona, di diventare un’adulta capace di prendersi cura dellə altrə e di imparare a gestire le relazioni interpersonali - cosa in cui non ha mai raggiunto risultati eccellenti…

la storia, quindi, procede con un ritmo serratissimo: ci sono misteri da risolvere, un re delle fate da salvare, creature magiche mai incontrate prima, porte fatate da attraversare, regni incantati e pericolosi da esplorare e una domanda fondamentale - mi vuoi sposare? - a cui rispondere. nonostante sia chiaramente percepibile la doppia tensione che lega questo romanzo da un lato al primo libro e dall'altro al capitolo conclusivo, la mappa dell'altrove di emily wilde è una lettura molto piacevole, un romanzo che fa divertire, commuovere e che spesso ci lascia con il fiato sospeso per diverse pagine.

 suoni ancestrali 
d'improvviso fu colta dall'angoscia. e se il pubblico ci rimanesse male? per renderlo storia, il mito avrebbe dovuto necessariamente essere messo a nudo. [...] altro che un onore! quella faccenda era un tranello, forse il peggior progetto della sua vita. le sarebbe toccato adattare il mito alla storia, far corrispondere i canti ai risultati degli scavi. un inferno, pensò. trovava infatti intollerabile che le fantasie distorcessero la realtà storica. i morgondi erano troppo amati.

la cosa che mi ha attirata di più verso suoni ancestrali era la strana commistione di archeologia e storia e fantastico, che poi si è svelato essere più distopico che fantasy in senso stretto.
ammetto subito che non è stato uno dei miei best of del momento ma mi è piaciuto abbastanza da farmi venire voglia di recuperare il primo romanzo di perrine tripier (le guerre preziose), soprattutto per le doti stilistiche che l'autrice ha dimostrato e che sono state, probabilmente, la cosa che mi ha stupita di più durante la lettura.

il punto del romanzo è: in che modo possiamo utilizzare la nostra capacità di scoprire il passato? a cosa serve guardarci alle spalle e imparare a conoscere chi siamo statə? le risposte si possono riassumere in due atteggiamenti contrapposti. il primo è quello più critico, quello cioè che tiene conto tanto della grandezza e dei successi dellə nostrə antenatə quanto dei loro errori, così da riconoscerli, riscattarli e sapere come evitare di commetterli di nuovo (cosa che, a guardare le cronache dell'ultimo anno e mezzo, pare solo una bella ma irrealizzabile utopia). il secondo atteggiamento è quello più facile e immediatamente soddisfacente: prendere dal passato solo quello che ci fa comodo e usarlo a nostro vantaggio, per propagandare un'idea di noi tanto magnificente quanto falsa.

in un non meglio precisato impero, un evento fortuito permette di scoprire una città antichissima, risalente forse all'epoca dei morgondi, i leggendari antenati dell'imperatore e del suo popolo. questa profusione di maschili non è frutto di una distrazione: i morgondi sono stati valorosi guerrieri, navigatori e cacciatori di balene, tutti rigorosamente maschi. è degli eroi morgondi che parlano le favole, non di eroine, di cacciatrici o navigatrici.
a sovrintendere gli scavi, però, è una donna, la storica martabea che, da un giorno all'altro, si vede accordare dal capriccioso, volubile e spesso ridicolo imperatore un favore dopo l'altro: una casa sontuosa, un autista privato, abiti lussuosi, feste esclusive. in cambio, l'imperatore non chiede altro che poter inserire qualche frase scritta di suo pugno nei bollettini che martabea deve compilare regolarmente per tenere a bada il popolo, costretto a pagare nuove tasse per finanziare i lavori. che sarà mai, in fondo?

la civiltà morgonda svela meraviglie a ogni sacco di sabbia scavato via: architetture colossali e raffinatissime, cimiteri mitici, statue di pregevolissima fattura, straordinari strumenti a fiato e un intero immaginario epico da cui l'impero tutto può attingere. è questo quello che vuole l'imperatore: una nuova mitologia che diventi il fondamento legittimo del suo potere, un legame diretto - storico e genetico - con quella popolazione così progredita e valorosa, che riversi su di lui la stessa grandezza che quelle rovine riescono a riecheggiare dal passato.

ma dove sono le donne morgonde?
rispondere a questa domanda significa aprire un armadio in cui è conservato ben più di uno scheletro. e martabea sarà posta davanti alla scelta più importante non solo della sua carriera di accademica ma del suo essere al mondo come persona oltre che come donna.

la cosa più notevole durante la lettura è stata, per me, il repentino cambio di tono. inizialmente la penna di perrin è elegantissima, aulica, quasi stucchevole. la scrittura si arriccia su sé stessa in volute barocche, inanella immagini evocative una dopo l'altra, sceglie le parole con infinita cura perché tutto sia bello. poi, nel momento in cui il proseguire dei lavori di scavo toglie la maschera alla realtà, la penna si impiglia in testimonianze così sconvolgenti e inaspettate da diventare incapace dei primi virtuosismi. la lingua diventa asciutta, veloce, schietta anche a costo di ferire. e ferisce, moltissimo.
la realtà si fa brutale e chiede una scelta: ammettere l'errore del presente e quello del passato e pagare per entrambi, o lasciare che questi continuino a essere reiterati, nascondendo sotto al tappeto la polvere e gli orrori.

il finale è stato spiazzante. e disperante.
leggete questo libro a vostro rischio e pericolo.
e poi arrabbiatevi.

 il lungo viaggio 
la galassia è regolata da leggi. la gravità, i cicli vitali di stelle e sistemi planetari, le particelle subatomiche; tutti seguono delle leggi. conosciamo le condizioni esatte che porteranno alla formazione di una nana rossa, o una cometa, o un buco nero. perché allora non possiamo ammettere che l'universo segua leggi altrettanto rigide anche per quanto riguarda la biologia? abbiamo scoperto la vita solo su pianeti e lune di dimensioni simili, che occupavano una ristretta fascia di orbite intorno a stelle adatte. se ci siamo evoluti tutti su pianeti affini, perché il fatto che abbiamo seguito cammini evolutivi simili dovrebbe sorprenderci?

la bellezza di questo libro è inversamente proporzionale a quella della copertina, che fa schifo. insomma, è meraviglioso .
ho conosciuto becky chambers con un salmo per il robot/un salmo per l'universo e me ne sono innamorata follemente. i suoi libri - compreso questo - hanno un'intelligenza, una sensibilità, una poesia e uno humor rari, che sinceramente non avrei mai pensato di trovare in associazione alla parola fantascienza. so che è un bias cognitivo che dovrei abbandonare (anzi, direi che dopo aver letto becky chambers ho iniziato a farlo), ma da un romanzo sci-fi mi aspetto sempre almeno un certo livello di tensione e azione che qui, anche quando c'è, si risolve velocemente, lasciando spazio a tutto il resto.
non che il lungo viaggio non sia un romanzo d'evasione, lo è, vuole esserlo e ci riesce benissimo, ma mi ha permesso di evadere in un modo tutto suo.

la storia inizia nel momento in cui rosemary harper, una giovanissima archivista, viene assunta sulla wayfarer, una nave attrezzata per aprire wormhole nell'universo e garantire un sistema di spostamenti veloci sempre più funzionale all'interno della comunità galattica. per rosemary non si tratta semplicemente di un nuovo lavoro, la wayfarer rappresenta per lei la possibilità di lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita e tutto il dolore che le ha causato.
rosemary è un'umana, nata e cresciuta su marte, pianeta che gli esseri umani hanno colonizzato dopo che la terra è diventata praticamente inabitabile, e avventurarsi nello spazio significa anche entrare a contatto con specie differenti dalla sua. la differenza non è mai semplicemente una questione d'aspetto o di fisiologia. specie differenti di sapiens si sono sviluppate nell'universo in modi estremamente lontani uno dall'altro, nonostante le condizioni fisico-chimiche dei pianeti d'origine fossero simili.
corpi differenti con funzioni, abilità e necessità differenti significano anche culture e storie differenti che comportano abitudini, modi di pensare e di agire differenti, persino universi emotivi differenti.

l'attenzione che chambers dedica a ogni personaggiə mi ha fatto venire in mente la capacità che ha avuto ursula k. le guin di raccontare le società e gli individui che hanno popolato i suoi romanzi, il modo in cui ha ricostruito dietro ciascunə di loro intere culture, con un'attenzione antropologica puntuale e un'ottica anticolonialista che non si è mai abbandonata all'etnocentrismo.
chambers ha colto pienamente la lezione di le guin, ed è per questo che il lungo viaggio è un romanzo tanto straordinario.

per questo e per tutte quelle belle qualità che animano lə personaggə e che solitamente racchiudiamo nel termine umanità ma che mai come in questo contesto diventa un termine specista. pensiamo che la gentilezza, l'altruismo, la buona volontà, il coraggio, la rettitudine morale eccetera siano cose che appartengono solo a noi, che soltanto noi siamo riusciti a codificare un sistema etico degno di questo nome, a darci delle regole e a seguirle (o meno). chambers ci dice che non è così. che altre creature diverse da noi possono creare altri sistemi etici diversi, in varia misura, dal nostro ed essere comunque delle belle persone. belle persone che riescono a stare bene insieme, nonostante le loro differenze o forse proprio in virtù di quelle differenze, perché ognuna di loro ha qualcosa da dare alle altre, ognuna di loro può mostrare le cose da un punto di vista inedito e impensabile. e spesso, cambiare prospettiva è la migliore delle soluzioni che abbiamo per affrontare i momenti difficili e superare gli ostacoli.

se dovete scegliere un solo titolo tra questi tre, scegliete il lungo viaggio (il cui titolo avrebbe dovuto essere il lungo viaggio verso un piccolo pianeta arrabbiato ma... ok, non aggiungo altro sull'editore).
in realtà, anche se funziona benissimo come stand-alone, è il primo di una serie di cinque romanzi (va bene, non è vero che non aggiungo altro sull'editore) ma in italia sono arrivati solo i primi due (la pubblicazione si è interrotta cinque anni fa e dubito fortemente che vedremo il seguito, a meno che qualche altra casa editrice non recupererà i diritti, cosa che spero fortemente).

venerdì 23 maggio 2025

salone del libro 2025 ~ quando parliamo di libri, parliamo di persone

come l'anno scorso, torno a scrivere del salone del libro per parlare di un sacco di cose che girano intorno al salone. o forse è il salone che gira intorno a un sacco di cose, non lo so.

arrivare qui davanti mi emoziona sempre

anche quest'anno ho avuto il pass stampa che, insieme a un po' di cose che mi sono sentita dire lo scorso weekend da un po' di editori con cui ho collaborato (no ok, questa cosa che "collaboriamo" con gli editori è una porcheria da linguaggio social. non c'è alcuna collaborazione, semplicemente scriviamo dei commenti sui loro libro ma anche senza questo vivrebbero e venderebbero lo stesso, non è affatto un lavoro così fondamentale da meritare il termine "collaborazione", ma è giusto per capirci) qui e sul blog audace, mi ha ricordato che questo blog è una cosa bella e importante. e riconosciuta.
succede raramente, ma quando succede ne sono sempre estremamente felice. tanto che scrivo robe sconclusionate come questa (e di scrivere queste cose sconclusionate, per vostra fortuna, succede ancora più di rado).


quest'anno il salone ha avuto 231.000 visitatorə, novemila in più rispetto alla scorsa edizione. un successone, quindi, che però collide con la notizia più chiacchierata nel giro che è quella relativa ai dati di vendita del mercato dei libri: nei primi mesi dell'anno c'è stato un calo di circa un milione di libri venduti rispetto al 2024. non so se avete ascoltato bene, ma è stato tutto un rumore di stracciarsi di vesti e spargersi ceneri sul capo perché, dove andremo a finire signora mia, in italia non legge più nessunə.

manteniamo la calma e ragioniamo un attimo. al netto del fatto che per leggere un libro non devi per forza comprarlo - puoi prenderlo in biblioteca, puoi fartelo prestare da un amicə, puoi rileggere cose che hai già in casa, puoi comprare sì, ma tra l'usato e poi, non facciamo finta di non saperlo, puoi sempre trovare strategie poco legali per leggere in digitale - comprare libri non è una cosa così facile.
il nostro illuminatissimo governo ha fatto tagli alle carte per lə neo-diciottenni e per le biblioteche, la situazione economica di chi lavora è sempre più drammatica per non parlare di quella di chi un lavoro nemmeno ce l'ha. i libri non sono beni primari, spiace dirlo perché non dovrebbe essere così, eppure. persino i settori dell'editoria per la scuola e l'università sono in calo (ma abbiamo studiato abbastanza da sapere come si risolve il problema di un manuale universitario prezzato 45€). e poi si pubblicano troppi libri. ma davvero troppi. e se pubblichi troppo ma vendi troppo poco, la soluzione è, inevitabilmente, alzare i prezzi. e visto quello che si diceva appena due righe più su, se un libro costa in media 18€ non è facile che la gente si accalchi fuori alle librerie con i carrellini della spesa.

i miei acquisti - e le cose belle che mi hanno regalato - dopo mesi in cui ho costretto il mio portafogli a non avvicinarsi a una libreria

ma invece di preoccuparci dell'inaccessibilità - economica e non solo - alla cultura (intesa anche semplicemente come letteratura d'evasione, eh, lungi da me riempirmi la bocca di questa parola a sproposito solo per rigirarmela sulla lingua e sentire che sapore ha), su altri salotti letterari digitali l'argomento si è ripiegato sull'annoso problema della democratizzazione della critica letteraria e sulla vergognosa diminuzione delle stroncature fatta dallə critichə verə, quellə con la laurea incorniciata nello studio, sopra la grossa scrivania di mogano, tra librerie perfettamente spolverate da qualcun'altrə.
tutto questo discorso non fa che aggiungere classismo al classismo: il popolo ignorante non legge (o di sicuro non spende soldi per i libri, oppure sì ma compra&legge merda commerciale) e quando lo fa si permette persino di scrivere recensioni e dare consigli. e poi c'è l'amichettismo! amichettismo ovunque, quanto ci piace questa parola!

anche qui, respirone profondo e ragioniamo un momento. è vero, adesso chiunque può scrivere di libri. anche da un po' più di adesso ma chissà quand'è stato che lə verə intellettualə del paese si sono accortə della nostra presenza. il fatto è che ormai quel fantastico strumento che è internet si è diffuso così tanto da essere accessibile a chiunque. da tipo vent'anni. e chiunque può aprire uno spazio in modo gratuito e mettere a disposizione ad altra gente quello che scrive in modo gratuito. e in questi spazi può parlare di libri! fantastico, no? e, addirittura, su questi spazi si può parlare di quel tipo di libri che fino a qualche decennio fa nessunə si sarebbe sognato di includere nell'empireo della letteratura: dai fumetti ai romanzi di genere fino alle autoproduzioni.
insomma, tuttə parlano di libri, di qualsiasi libro, lo fanno gratis e senza dover esibire un curriculum prima di cliccare sul tastino pubblica.
mi spiace molto se a qualcunə rode ma, ehi, il mondo cambia e le cose vanno così. chiaramente, la critica letteraria vera, quella dei giornali e delle persone bene, continua ad esistere e chiunque può scegliere se leggere la recensione di una persona pagata per scriverla o se seguire il consiglio di lettura dato da una sedicenne appassionata su tiktok che al massimo domani riceverà un libro gratis da un qualche editore attirato da qualche k di visualizzazioni che renderà quella ragazza una ragazza felice.
a me sembra una cosa bellissima. di cosa ci si sta lamentando quindi? che la letteratura non è più qualcosa di intrinsecamente elitario? ma non eravamo tuttə convintə sostenitorə dell'uguaglianza sociale?

qua niente amichettismo ma tantissima amicizia

quanto all'amichettismo: quello che merita questo nome è quello dei suddetti salotti bene e dellə verə intellettualə che spippolano entusiasmo a profusione per qualsiasi cosa pubblicata dallə loro amicə che genera un vortice di altre pubblicazioni, inviti, assegnazioni di cariche più o meno istituzionali eccetera. tutta roba molto più disgustosamente affascinante rispetto a quante ragazzine hanno ricevuto copie stampa per i loro video o i loro blog (in quel caso, come la sottoscritta ad esempio, probabilmente non sono più ragazzine). se invece parliamo di amicizia, se ci riferiamo a come chi scrive consigli di lettura sul web parla dei libri dellə amicə, beh, ovvio che non sarà mai nulla di puramente oggettivo. perché se siamo amicə probabilmente ci piace abbastanza quello che l'altrə fa, pensa, dice e scrive. o se pure non ci piace, lə vogliamo troppo bene per scrivere una porcheria di stroncatura qualsiasi solo per far sghignazzare qualche stronzə che gode dell'altrui umiliazione pubblica.

e poi, lasciando stare i giudizi di valore su chi scrive in che modo e di cosa, quante persone si sono avvicinate per la prima volta alla letteratura dopo aver letto la critica di una qualche penna famosa su un giornale e quante, invece, l'hanno fatto dopo aver letto una recensione online, magari pubblicata da una persona amica? la risposta la sappiamo.

non so se le parole sono leggere, so però che sono dense e consapevoli, ogni volta sempre di più

tutto questo per dire che quando parliamo di libri, parliamo di persone. persone che con i libri ci lavorano e persone che i libri li amano e persone che, a volte, rientrano in entrambe le categorie. persone che fanno finta di lavorare con i libri - perché si, scrivere di libri è un lavoro ma in italia nessunə ti paga per farlo, e lo facciamo lo stesso anche gratis perché ci crediamo davvero e non, con buona pace di alcunə, per avere il libro gratis - persone che intorno al loro amore per i libri hanno costruito reti di amicizia e scambio e affetti. ma anche persone che prima di cacciare dalla tasca i soldi per comprare un libro devono chiedersi se ne rimangono abbastanza per le bollette e la spesa, persone che semplicemente si sentono prese in giro a vedere sulla quarta di copertina certi prezzi imbarazzanti, persone che credevano che diritto allo studio non significasse sì, ma solo se puoi spendere trecento euro al mese per dare gli esami.

il salone del libro era pieno di queste persone. era bellissimo e terrificante - soprattutto quando queste persone decidevano di colpirti in pieno con gomiti, zaini, panze, shopper piene (di pesanti e spigolosi libri, appunto) - ma capace di darti visivamente l'idea di quanto non abbia senso parlare di libri, di letteratura, di storie senza parlare di persone. perché se non prestiamo attenzione alle persone, cosa leggiamo a fare?

palestina libera!

e, a proposito di persone, so che è banale ma volevo ribadire il mio affetto - che spesso non si vede, lo so - a tutte le persone belle che ho incontrato a torino, da casa eris a tutti gli altri stand dove ci siamo scambiati saluti, sorrisi, abbracci e chiacchiere, a quelle che hanno scarpinato per chilometri con me in giro per gli stand tollerando la mia logorrea e i miei ci facciamo una foto? (tutte su instagram!), e a quelle persone che a torino non c'erano ma che per me sono lə amicə di letture (e non solo) e a cui voglio tanto bene perché rendono per me i libri qualcosa di ancora più speciale. e grazie per le persone che ho incontrato per la prima volta e che mi hanno fatto emozionare tantissimo (penso a gina nakhle koller che ha sopportato il mio inglese imbarazzato ed imbarazzante, o a paola caridi e francesca mannocchi davanti alle quali tutta la mia stima si è trasformata in uno strano calore alle orecchie e - immagino - in un colore poco naturale del viso).

ultimissima cosa: per quanto gli spazi istituzionali come il salone possano organizzare aberranti incontri con filosionisti, anche quest'anno era un fiorire di bandiere palestinesi, di messaggi contro il genocidio e di richieste di cessate il fuoco. perché dove ci sono i libri ci sono le persone, e dove ci sono le persone non può che esserci umanità.

venerdì 16 maggio 2025

happy endings

se vuoi che questa cosa funzioni davvero, dovresti farti più coraggio. guarda dove siamo. potrebbe essere la tua ultima occasione.

una disegnatrice un po' fredda e un modello freddoloso.
due agenti spaziotemporali ligiə al dovere, un pericoloso gattino e un vecchio barbiere.
un giardiniere superstizioso e un piangitore di tombe (qualsiasi cosa sia, poi).
tre storie diverse e lontanissime tra loro che si sovrappongono perfettamente in un solo punto: quello in cui ci si fa coraggio e si decide di cogliere l'occasione perfetta e irripetibile per poter dire che vissero tuttə felici e contentə.

non conoscevo lucie bryon e non sapevo nulla di happy endings se non che mi piaceva un sacco la copertina (soprattutto per merito del gattino!), quindi ho iniziato a leggerlo senza nessun tipo di aspettative o di idee preconcette.
e mi ha stupita come pochissimi fumetti sono riusciti a fare nell'ultimo periodo!

happy endings raccoglie tre storie: buon anno, ocean (la mia preferita) e canzone di un giorno d’estate. nel primo racconto, il più breve dei tre, un ragazzo si ritrova mezzo nudo in un laboratorio artistico di una scuola di pittura a fare da modello per una ragazza quasi sconosciuta, che lo ha abbordato senza tergiversare e gli ha chiesto di posare per lei perché l'ha subito trovato bellissimo. a lui è bastata solo quella parola per sciogliersi e accettare l'invito, sicuro che dietro questa insolita richiesta ci fosse il tentativo di passare una serata romantica... ma di romantico sembra esserci ben poco nei progetti della disegnatrice che sembra quasi divertirsi a tormentarlo e a farlo congelare al freddo di una scuola vuota la notte di capodanno.
eppure, anche i cuori che appaiono di ghiaccio sanno quand'è il momento di sciogliersi...


con ocean cambiamo completamente registro, passando dal romance/slice of life puro della prima storia a un'atmosfera più da racconto sci-fi. protagonistə della storia sono tood e boots, due agenti incaricati di rilevare e risolvere le anomalie nel tessuto spaziotemporale. un'occupazione che si direbbe di tutto rispetto, non fosse che a entrambi sembra che il loro ruolo sia più che altro quello di tappabuchi, soprattutto dopo quest'ultima missione, che consisteva nel fermare un pericoloso micetto che non si sa in che modo avrebbe potuto stravolgere l'equilibrio dell'universo. fortuna vuole, però, che il loro comunicatore si guasti. e che un vecchio parrucchiere cerchi qualcuno a cui affidare il suo amato negozio. e, insomma, mentre aspettano di essere recuperatə, dovranno pur mangiare qualcosa e dormire da qualche parte, no?
inizia così una nuova fase della loro vita, in un tranquillo paesino francese, in cui la straordinaria ordinarietà di un'esistenza qualsiasi si rivela molto più entusiasmante e sorprendente di qualsiasi missione speciale.

infine, con canzone di un giorno d'estate bryon si immerge in una sorta di realismo magico. arthur trova un lavoretto come giardiniere in un cimitero e qui inizia ad incontrare un ragazzo misterioso e affascinante che ogni giorno piange su una tomba diversa. come può conoscere tuttə quellə defuntə? alcunə mortə sicuramente prima che lui nascesse, oltretutto! arthur si convince di aver a che fare con un fantasma ma la realtà è che anche vincent lavora al cimitero, per la precisione come piangitore di tombe, qualcosa di ancora più improbabile di un fantasma, probabilmente. eppure, nonostante i primi fraintendimenti, sembra che tra i due ragazzi stia sbocciando qualcosa...

con uno stile di disegno che si fa sempre più dettagliato, sicuro e morbido man mano si va avanti con la narrazione delle tre storie, lucie bryon racconta la bellezza delle piccole cose quotidiane, gli incontri, l'amore, la gioia del trovare il proprio posto se non nel mondo, almeno nella propria vita.

ho apprezzato tantissimo, inoltre, che ci siano coppie di ogni tipo: un ragazzo e una ragazza, due ragazze, due ragazzi. ma anche una famiglia fatta di amicə che vivono nella stessa casa e dormono nello stesso letto pur non avendo una relazione romantica/sessuale. così come mi è piaciuto che certi stereotipi vengano stravolti - nella prima storia abbiamo una ragazza sicura di sé e un po' maliziosa e un ragazzo timido e romantico, ad esempio - senza alcun didascalismo di sorta.

perché se c'è una cosa naturale, è che non esistono regole fisse in natura, se non quella che ognunə cerca di realizzare la propria felicità come meglio crede. ed ecco che l'amore qui è qualcosa che non si cura degli stereotipi e delle convenzioni, che non si dà etichette ma che, semplicemente, prende la forma che preferisce. ed è da questa libertà che germoglia il seme della felicità.
happy endings è un libro che racconta questa felicità come una cosa piccola e facile da sperimentare: basta avere coraggio e saper cogliere l'occasione giusta.

martedì 13 maggio 2025

intimità senza contatto

il contatto fisico è la principale causa del turbamento emotivo da cui è affetta la società umana. tramite i nostri studi ed esperienti abbiamo stabilito che esiste una correlazione positiva tra il valore di deviazione dalla condizione psicofisica ottimale di un individuo e la percentuale di contatto fisico interpersonale nella sua vita. in altre parole, le emozioni sono da considerarsi alla stregua di un virus trasmissibile per mezzo del contatto.

il genere distopico è uno dei miei preferiti, forse il mio preferito in assoluto. uno dei parametri - decisamente poco scientifico, ne sono consapevole - che uso per capire quanto una storia distopica funziona bene, è di solito il senso di malessere fisico che mi trasmette: se mi manca l’aria, mi viene una stretta allo stomaco e comincio a percepire una sorta di ansia crescente, vuol dire che funziona benissimo. il mio metro di paragone rimane 1984 di orwell, o meglio, le sensazioni che ho provato la prima volta che l’ho letto - avevo qualcosa come tredici anni, credo.
più una storia distopica mi dà quel tipo di coinvolgimento, più mi piace.

intimità senza contatto di lin hsin-hui mi ha dato, per tutto il tempo, quella strana sensazione di disagio che si trasforma presto in quel tipo di ansia che prende quando si percepisce un pericolo ma non si riesce a riconoscerlo esattamente, o non si riesce a valutare il rischio effettivo che si sta correndo (se avete mai sofferto di ansia, sapete benissimo di cosa sto parlando. in caso contrario, meglio per voi!).

siamo sul nostro pianeta, in un futuro lontano, forse nemmeno troppo. un'intelligenza artificiale estremamente sviluppata ha preso il controllo della terra e sostituito ogni governo, ed è riuscita lì dove gli esseri umani hanno sempre fallito: non ci sono più guerre né miseria, non esistono più malattie incurabili e ogni decisione viene presa con il preciso intento di permettere alla popolazione di vivere la propria vita al meglio, lontana da ogni pericolo.

certo, come da definizione, il progresso non è qualcosa che si raggiunge dall'oggi al domani. l'intelligenza artificiale ha avuto bisogno di tempo per raccogliere e analizzare ogni possibile dato al fine di trovare le soluzioni migliori per l'umanità.
eliminare ogni forma possibile di contatto tra le persone e, successivamente, risolvere il problema del decadimento fisiologico attraverso la procedura di bioibridazione: è questa l’ultima frontiera del percorso di perfezionamento delle creature biologiche e di superamento di ogni sofferenza e decadenza, che si comincia a delineare quando la nostra protagonista è ancora una bambina molto piccola.

la storia alterna due linee temporali: comincia nel presente, quando la nostra protagonista è già adulta, si è appena svegliata dopo l’intervento di bioibridazione e incontra per la prima volta il suo androide-partner, l’essere sintetico con cui trascorrerà tutto il resto della sua vita e con il quale potrà - anzi, dovrà - sperimentare di nuovo il contatto fisico.
con il passare dei giorni, riesce ad avere un controllo sempre maggiore del suo nuovo corpo bioibridato, un corpo perfetto, privo di ogni tipo di caratterizzazione somatica e sessuale, incapace di ammalarsi, soffrire o deteriorarsi. e, nel frattempo, cresce il suo tasso di sincronizzazione con l’androide, con il quale si ritrova a condividere ogni attimo della sua giornata e che mantiene con lei un contatto fisico praticamente costante, che si comporta un po’ come la voce della sua coscienza, un po’ come una guida all’interno del nuovo mondo in cui vivono solo quellə che hanno intrapreso la pratica di bioibridazione.

la seconda linea temporale è quella del passato, frammentata in una serie di flashback che segue la crescita della nostra protagonista e, al contempo, ci racconta le diverse tappe del progresso tecnologico che allontanano sempre più l’umanità dalla dimensione fisica del reale per limitarne le esperienze al solo regno del virtuale.
dall’annunciazione del contatto zero all’introduzione dei primi robot domestici e poi alla svalutazione degli spazi esterni all’ambiente domestico, fino alla totale traslazione di ogni possibile attività - esclusa quella lavorativa - all’incorporeità delle esperienze sintetiche.

la protagonista (e, in generale, tutti gli esseri umani) si ritrova così perfettamente isolata da chiunque altrə, prima nella realtà dei corpi completamente biologici ma limitati alle connessioni virtuali e poi nel nuovo mondo dei corpi bioibridati. è un crescendo lento e asfissiante, scandito dal tasso di sincronizzazione con l’androide che aumenta incessantemente. come due stelle legate in un sistema binario risucchiano una la massa dell’altra fino a portarla al collasso, così l’androide aumenta la sua assertività, la sua consapevolezza e, in definitiva, il suo potere sul suo essere umano.

non mi è sembrato affatto casuale che la protagonista, nonostante non abbia più alcuna caratteristica fisica né ruolo sociale che la definisca come donna, continui a pensare sé stessa al femminile e all’androide, da sempre privo di caratteristiche di genere, al maschile.
e, in effetti, il modificarsi dell’equilibrio all’interno del loro rapporto ci fa sempre di più immaginare lei con le fattezze di una donna e lui con quelle di un uomo. questo cambiamento lento, quasi impercettibile e spaventosamente subdolo ricorda in modo inquietante il progredire di quei rapporti uomo-narcisista-manipolatore/donna-vittima-manipolata che sono - con questa precisa struttura - purtroppo molto frequenti e noti.

ma il fulcro della riflessione di lin hsin-hui sta tutto nella riflessione del nostro rapporto con le tecnologie “intelligenti”: nel futuro di intimità senza contatto, l'umanità ha lasciato sempre più spazio e potere d’azione all'intelligenza artificiale che da semplice strumento di ausilio è diventata un'entità autonoma e pensante, capace cioè di elaborare, rielaborare ed elaborare ancora i dati a sua disposizione fino a raggiungere livelli forse anche superiori a quelli delle menti umane.
priva di emozioni, l’intelligenza artificiale non agisce per ambizione o desiderio di dominio - qualità squisitamente umana - ma semplicemente non conosce un limite ragionevole all’input iniziale, quello cioè di migliorare la condizione umana. proseguendo su questa strada, finisce per pervertire il suo compito, arrivando al paradosso che la migliore condizione umana - priva di dolore, sofferenza, odio, rabbia, eccetera - è quella in cui l’umanità svanisce del tutto.

il finale, che non vi rivelo, mi ha ricordato in modo doloroso l’amore che wilson smith prova, nelle sue ultime ore, per il grande fratello. e cosa c’è di più distopico di una realtà che riesce a farci amare volontariamente quello che ci distrugge?