martedì 15 luglio 2025

quando il mondo dorme ~ storie, parole e ferite della palestina

per noi «occidentali», soprattutto per noi europei, questa è l'occasione per sciogliere i nodi del passato coloniale e cominciare a saldare il nostro debito. è tempo di schierarsi contro la devastazione di gaza e ciò che resta della palestina, e di lottare contro un sistema internazionale fondato sull'uso della forza in nome di una cosiddetta «pace», evocata sempre a vantaggio di pochi e sempre usando le parole per mistificare la realtà di ciò che viene commesso.

provo ad andare indietro con la memoria ma non riesco a ricordare quando è stata la prima volta che ho sentito parlare della questione palestinese. la madre di tutte le ingiustizie - come dicono alcunə - è una di quelle storie che mi appartengono da sempre e che hanno contribuito a formarmi come persona, a strutturare l'impalcatura etica e ideologica che sostiene tutto il resto di quello che posso riconoscere come me stessa. però negli ultimi mesi, quasi due anni ormai, inevitabilmente la mia attenzione - come quella di moltissmə altrə - sull'argomento è cresciuta esponenzialmente. ed è per questo crescere dell'interesse - e del dolore e della rabbia - che ho conosciuto francesca albanese.

relatrice speciale ONU sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato dal 2022, giurista e accademica, francesca albanese è soprattutto una delle voci più lucide e forti tra quelle che si stanno spendendo pubblicamente contro il genocidio dellə palestinesə messo in atto dallo stato di israele (che - serve ricordarlo, ancora una volta, perché moltə fanno finta che la storia del popolo palestinese sia iniziata poco meno di due anni fa - ora si trova nella sua fase più feroce, ma che è iniziato quasi ottant'anni fa).

i suoi post, i video delle sue interviste e dei suoi interventi in giro per il mondo (nonché quelli in cui le vengono rivolte accuse tanto ridicole da essere immeritevoli di una qualche menzione) girano da mesi sui social network, contribuendo a fare di questi strumenti qualcosa di finalmente utile e fondamentale: albanese è riuscita a spiegare a tuttə cosa sta realmente succedendo nella martoriata terra di palestina, e come tutto questo sia condizionato - e condiziona - gli equilibri politici ed economici mondiali.

oltre che alla sua competenza stratosferica in materia, tutto questo è dovuto alla profonda e sincera umanità che traspare ogni volta dalle sue parole e dalla capacità di arrivare al nocciolo delle cose, senza inutili giri di parole, riuscendo così a toccare il cuore - e la testa - di chiunque.

mentre iniziavo a scrivere questo post, è arrivata la notizia delle sanzioni che gli stati uniti anno imposto contro di lei, nel vergognoso silenzio della politica italiana, a cominciare dal presidente della repubblica, incapace di pronunciare due parole su una cittadina italiana che da anni viene minacciata di morte per l'incarico - non lavoro, non viene neppure pagata per questo - che ricopre per l'onu.
proprio come dice albanese, questa è l'ammissione di colpa con cui l'occidente tutto sta dimostrando, ancora una volta, di essersi affidato a leader totalmente indifferenti al rispetto delle norme internazionali e in materia di diritti umani, interessati solo al mantenimento del potere e degli equilibri economici che li supportano.
e anche per questo, ancora più di prima, a lei va tutto il nostro supporto.

per quello che vale, io provo a raccontarvi il suo libro e a invitarvi a leggerlo.

quando il mondo dorme, il libro che ha scritto per raccontare il genocidio palestinese, è esattamente quello che mi aspettavo che fosse: bellissimo, semplice, profondo e toccante. dieci domande, dieci incontri, dieci persone che si raccontano per mostrarci cos'è la palestina, cos'è stata negli ultimi decenni e cosa è diventata adesso. tra le tante frasi che ho sottolineato in questo libro, ce n'è una che forse da sola basta a spiegarne l'esistenza: davanti alla connivenza dei poteri occidentali con gli abusi e i crimini di israele, davanti alle mistificazioni dei media e alle indecenti bugie che provano a continuare a propinarci
dobbiamo rispondere con consapevolezza e azione. il sapere è un'arma fondamentale, perché la conoscenza rappresenta la migliore difesa contro la manipolazione, lo sfruttamento e l'inganno; e l'azione dovrebbe scaturirne in maniera naturale.
ecco perché dare voce a chi vive la palestina e il genocidio. per comprendere e, quindi, resistere e agire insieme contro lo sgretolarsi del diritto che dovrebbe andare oltre ogni legge nazionale e dovrebbe proteggere tuttə noi, non solo come nuda esistenza ma come individui e popoli. e se permettiamo questa volta di distruggere il popolo palestinese, stiamo permettendo di distruggere quello che resta a dirci esseri umani. e stiamo anche permettendo che questo possa succedere poi in qualsiasi momento a chiunque.

francesca albanese mischia i ricordi dei soggiorni e degli incontri in terra di palestina e altrove, avvenuti nel corso della sua lunga carriera all'onu, insieme a quello che in quei luoghi è accaduto dal 1948 a oggi. racconta cos'è l'infanzia in palestina, con un primo, devastante capitolo che mi ha costretta a mettere giù questo libro più e più volte, perché nonostante tutto quello che abbiamo visto negli ultimi mesi, a volte il dolore è davvero insopportabile.
la storia è quella di hind, la bambina massacrata dai soldati dell'iof da centinaia di proiettili mentre chiedeva aiuto per telefono, nascosta nella macchina dei suoi zii, accanto ai loro cadaveri. la sua voce è una delle poche che abbiamo sentito, pochi minuti prima di essere assassinata dai peggiori criminali di questo mondo. quelle che non abbiamo potuto ascoltare sono le centinaia di migliaia di voci dellə bambinə che israele ha ucciso, imprigionato, torturato, picchiato, bruciato, mutilato e reso orfanə negli ultimi due anni di genocidio e nei quasi ottant'anni di occupazione. l'infanzia in palestina è qualcosa che infanzia non è: è paura, è lutto ed è dolore. israele, tra i tanti crimini che costituiscono l'impalcatura di apartheid su cui la sua esistenza stessa si fonda, nega allə bambinə palestinesi la possibilità di crescere, di studiare, giocare, imparare, curarsi, sognare.

attraverso la storia di abu hassan, un uomo palestinese conosciuto alla sua prima visita in palestina, francesca albanese racconta come si vive sotto l'occupazione israeliana: negazione di ogni diritto, incarcerazioni arbitrarie e senza processo, torture. una totale e continua sottrazione della libertà e del futuro in un regime di colonizzazione totale e deumanizzante. tutto questo si fa chiaro proprio attraverso lo sguardo di abu hassan, che si improvvisa guida di quei territori e che racconta storie quotidiane che si intrecciano con la storia - quella della cronaca e dei libri - degli accordi di oslo e del ruolo imbarazzante dell'anp. insieme a lui ci sono george e ibrahim, che permettono ad albanese e a suo marito di vedere gerusalemme con occhi inediti. guide alternative alle guide israeliane che non riescono a lasciare fuori la loro ideologia colonizzatrice e le loro bugie neppure davanti allə turistə. la divisione di gerusalemme tra il 1947 e il 1948 è il processo che dà l'avvio alla nakba e alla subalternità politica, civile e culturale a cui da allora sono costrettə lə palestinesə.
«welcome to israel!».
«palestina occupata. è palestina occupata, questa parte qua» gli ho detto con un sorriso piccolo piccolo.
lui ha ribattuto piccato: «la palestina non esiste, questo è israele».
a quel punto ibrahim, che mi camminava accanto, gli ha chiesto animatamente: «e se la palestina non esiste, io cosa sono?»
«tu non esisti»
a tutto questo, si aggiunge una cancellazione dolorosa del passato: francesca albanese parla del diritto negato al ritorno dopo l'occupazione del 1948, della distruzione delle vecchie case e dei vecchi villaggi palestinesi, rimpiazzati da nuove costruzioni o - ed è forse peggio - ancora esistenti ma abitate dai nuovi coloni, autorizzati a rubare case, terreni e memorie dalle leggi israeliane. israele ruba tutto, persino il cibo, affibbiando l'etichetta di tradizione israeliana alle ricette locali, uno dei tanti modi di normalizzare l'oppressione e il desiderio di annientamento della popolazione palestinese.

il suo mandato, che è iniziato nel 2022 e - per nostra fortuna - è stato confermato fino al 2028, è stato costellato di critiche e persino minacce (e, l'ho detto ma è importante sottolinearlo ancora, anche in questi giorni, dopo gli ultimi gravissimi fatti che riguardano albanese, il governo e lo stato italiano non hanno speso mezza parola di solidarietà per lei, posizionandosi dove ci aspettavamo che volessero rimanere). le accuse ricevute sono quelle di antisemitismo, giustificate - come spiega nel libro quando racconta della sua amicizia con alon confino, professore italo-israeliano negli stati uniti - da definizioni di "antisemitismo" che esulano dal suo reale significato e la trasformano in uno scudo dietro cui nascondersi per non rispondere alle critiche verso lo stato di israele e il suo regime di apartheid. quello che stiamo vedendo e vivendo in questi mesi è chiaro: qualsiasi simbolo riconduca all'esistenza della palestina e all'identità palestinese viene immediatamente accusato di essere espressione della minaccia contro l'esistenza stessa di israele e punito in quanto tale. come dice albanese
siamo arrivati a un livello di oppressione e rifiuto della ragione senza precedenti.
se israele è inattaccabile pure nel suo mettere in atto un'occupazione e un'oppressione sistematica e totalizzante sulla popolazione palestinese, con il consenso e il sostegno attivo dell'occidente. quella palestinese diventa nella narrazione globale una crisi umanitaria, spiega albanese, e non una questione politica che dovrebbe essere discussa e risolta attraverso le norme del diritto internazionale.
persino il 7 ottobre è stato visto come un attacco antisemita e non come la reazione a decenni di oppressione inumana.

normalizzare uno stato di emergenza, sistematizzando la fornitura di aiuti umanitari per proteggere nulla di più che la mera esistenza biologica di un popolo privato di ogni diritto, è il primo e fondamentale step per far sì che nulla possa cambiare. e che il cambiamento non debba avvenire per puro interesse economico è ormai un dato di fatto, confermato proprio dall'ultimo rapporto di francesca albanese.

ci sono altre storie in questo libro, e continuano a raccontare la storia di palestina, l'apartheid messo in atto con la complicità dei governi più potenti del mondo e il modo in cui è stato combattuto dal basso, per esempio attraverso il movimento bds - boycott, divestment and sanctions - che si è ispirato alle battaglie contro il regime di apartheid in sudafrica, fondamentali per la sua caduta, e che colpisce proprio "al cuore" di questo sistema, cioè la sua economica che, per usare le parole di albanese, si è trasformata da economica di occupazione e economica del genocidio.

c'è poi l'aspetto più immediato e violento del genocidio, quello che stiamo letteralmente vedendo ogni giorno dagli schermi dei nostri cellulari e - molto più raramente, in strettissima dipendenza al coraggio di alcunə giornalistə che si sottraggono alla scorta mediatica che sostiene israele - in tv: il massacro mirato verso lə civili, la distruzione di ogni struttura sanitaria, l'uccisione dellə operatorə sanitari e dellə giornalistə, il blocco degli aiuti umanitari, eccetera. ogni azione di israele va nella direzione in cui non soltanto debbano esserci più vittime possibili nel minor tempo possibile, ma anche in quella in cui nessunə possa testimoniare quanto succede.

il libro continua raccontando di medicə, ricercatorə e artistə, ed è proprio verso la fine che albanese racconta la storia di malak, l'autrice del dipinto che è diventato poi la copertina di questo libro. francesca albanese racconta di averla incontrata per la prima volta quando era solo una bambina e di averla ritrovata poi per caso, proprio grazie alla sua arte, e rivista a distanza di anni, durante il genocisio. malak è una dellə tantə profughə palestinesə e la sua storia è quella di tuttə loro: costrettə a fuggire e, allo stesso tempo, a difendersi da una sfilza di accuse che tradiscono il sentimento islamofobo - questo sì, reale - che l'occidente ha smesso di nascondere dall'11 settembre.

la storia di malak e le sue parole, sono forse il punto più luminoso del libro, quello in cui l'autrice lascia esplodere la speranza che ha seminato in tutte le pagine precedenti.
racconta come, nonostante le infinite sofferenze che sono costrettə a subire, abbia sempre trovato nel popolo di palestina la voglia di resistere, lottare, sperare e portare avanti i proprio sogni.
l'arte di malak è insieme denuncia e speranza, e le sue parole sono forse tra le più forti e preziose di quelle raccolte in questo libro:
«[...]sai perché ci odiano e vogliono distruggere qualsiasi aspetto dell'arte? perché l'arte è speranza. ecco perché hanno ucciso refaat alareer, che con le sue poesie dava speranza a tanti. la realtà più sconvolgente con cui si deve scontrare l'occupazione è che noi parliamo con il linguaggio dell'arte, che è il linguaggio più potente contro tutte le forme di disumanizzazione: riuscire a raggiungere altre persone con una poesia o un dipinto è il modo migliore di spazzare via tutti gli stereotipi. per questo penso davvero che l'arte sia pericolosa.»
forse ho scritto troppo e non so ancora se sono riuscita a rendere giustizia a quello che, secondo me, è uno dei libri più importanti e necessari di questo tempo assurdo.
francesca albanese spiega e racconta con una chiarezza e una lucidità che non hanno nulla a che fare con la superficialità, ma che anzi sono il risultato di una consapevolezza estremamente profonda oltre che di una sensibilità e di una forza gigantesca.

leggete il suo libro se siete interessatə a capire cosa sta succedendo in palestina, ma leggetelo soprattutto se pensate che non vi riguarda. se anche dopo continuerete a girarvi dall'altra parte, allora vi toccherà interrogarvi sulla vostra stessa umanità.

venerdì 4 luglio 2025

tutte le volte che sono diventato grande ~ intervista a giulio macaione

mi inventerò un sacco di storie bellissime e racconterò tutto quello che voglio. le mie protagoniste potranno innamorarsi di ragazzi affascinanti e vivere storie romantiche. nei fumetti potrò dire quello che sogno e non oso dire ad alta voce.


lucio è un ragazzino come ce ne sono tanti, uno che vive una vita come ce ne sono tante. è cresciuto nella palermo degli anni '90, circondato dall'affetto della famiglia e immerso in una rivoluzione culturale che, all'epoca, non sapevamo riconoscere come tale, una rivoluzione pop fatta di musica, giocattoli e serie tv ma soprattutto di anime e manga. 
erano gli anni in cui barbie insegnava alle bambine che potevano diventare insegnanti o astronaute, surfiste o mediche o qualsiasi altra cosa desiderassero (e che tutto questo non andava in contrasto con tutto quello che associavamo - e associamo - all'idea di femminilità), gli anni in cui piangevamo per lady oscar, rimanevamo terrorizzati (anzi, rimanevate, io non ho mai avuto il coraggio di guardarlo) per la bambina de l'esorcista e idolatravamo sailor moon.
ma lucio è anche immerso in una società che cerca di tirare forte il freno su tante cose, una sorta di santa inquisizione moderna che erige muri e barricate: i maschi sono così e cosà e fanno questo e quello, le femmine, invece, sono in quest'altro modo e fanno queste altre cose. lo dicono i genitori, lo dice il prete, lo dicono lə amicə a scuola.
e se non segui le regole, caro lucio, vuol dire che in te c'è qualcosa che non va.

diventare grandi è un casino, soprattutto quando dietro la facciata di famiglia perfetta si nascondono traumi, paure e difficoltà, e ancor di più quando non riesci a incastrarti perfettamente nelle caselline in cui tuttə intorno a te sembra riescano a trovare il proprio posto.
e se il tuo, di posto, sembra non esserci? se qualsiasi possibilità ti sta stretta e ti chiede di rinunciare a parti di te fondamentali e insostituibili?

allora bisogna creare la propria casellina, modellarla seguendo la propria forma, quale che questa sia.
l'arrivo di sailor moon in tv - è una femmina che si trasforma come le maghette ma combatte il male come i guerrieri maschi! wow! - spalanca a lucio un universo di possibilità, un universo fatto di carta, matite, storie e personaggi: diventerà un fumettista e nei suoi fumetti ci sarà tutto quello che, proprio come sta succedendo a lui, non trova spazio in questo mondo che si finge tanto grande ma che in realtà è piccolo e opprimente.


dunque, tutte le volte che sono diventato grande è la storia di un ragazzino come ce ne sono tanti, travolto dalle domande sulla sua identità, dai problemi della sua famiglia, dal rifiuto del mondo. ma è anche la storia di chi è riuscito a trovare la sua unica, personalissima via d'uscita da quel labirinto che sembrava irrisolvibile e ha trovato il modo di raggiungere il suo futuro.

giulio macaione c'ha fatto emozionare tante volte, ma forse tlvcsdg è il fumetto più coinvolgente di tutta la sua produzione. almeno per me.
sarà che la palermo degli anni '90 è la stessa in cui sono cresciuta io, che le pagine del suo fumetto sono piene di personaggi, giochi e citazioni di quel periodo così bello e così complicato, ed è un attimo che la mucca del fruttolo - come fosse la versione iper-pop della madeleine di proustiana memoria - ti riporti a quella sensazione di sprofondare dentro un sé che non riesci a comprendere del tutto e che vedi rifiutare da chiunque altrə. sarà anche che è facilissimo vedere in trasparenza attraverso lucio e trovare giulio, e pensare che quel bambino che desiderava diventare un fumettista e disegnare le sue storie è riuscito a realizzare il suo sogno.

di tutte le volte che sono diventato grande ne ho parlato con giulio (che ringrazio tantissimo sia per l'intervista e le immagini che trovate in questo post, sia per aver assecondato le mie manie strane e aver litigato con il correttore automatico di word per togliere tutte le maiuscole )
buona lettura!


ciao giulio, bentornato su claccalegge!
parliamo del tuo ultimo fumetto, tutte le volte che sono diventato grande. in un reel in cui lo presenti spieghi che si tratta di un’opera di autofiction, cioè quel genere letterario che mette insieme elementi proprio dell’autobiografia con altri di pura invenzione narrativa, in cui lə protagonista è il narratore stesso o un suo alter ego.
qual è il rapporto tra invenzione e realtà in questo fumetto?
► ciao claudia, grazie!
l’intenzione iniziale era quella di scrivere una vera e propria autobiografia in chiave manga ma mi sono reso conto ben presto che non avrebbe funzionato: intanto mi sembrava un po’ pretenzioso, alla mia età, poi per scriverla come un manga mi ci sarebbero voluti almeno 6 volumi! ma, soprattutto, mi sarei trovato con l’edulcorare molte cose, non tanto quelle che riguardavano me stesso quanto quelle che coinvolgevano altre persone. volevo essere il più sincero possibile quindi non mi avrebbe soddisfatto fare un lavoro che sarebbe riuscito a metà, sentivo il bisogno di scavare a fondo, senza pormi troppi limiti.
l’indicazione sulla via da seguire è arrivata da un libro che mi ha regalato un amico: “la bella confusione” di francesco piccolo, nel quale il noto sceneggiatore racconta i set e i processi creativi dietro a “il gattopardo” di luchino visconti e “otto e mezzo” di federico fellini e a proposito di quest’ultimo dice: “(…) come per quella che viene definita autofiction, il rapporto tra il personaggio messo in scena e l'autore reale è necessario perché dà una forma esponenziale al senso.
se esistesse il film con guido senza che chi lo ha realizzato fosse fellini, perderebbe gran parte della sua potenza espressiva. mettere insieme guido e fellini vuol dire che quello che fellini racconta di guido è vero, nel senso più profondo; non: è successo esattamente così; ma: racconta una verità profonda. se chi guarda il film non riconosce quella verità che fellini suggerisce di dare a guido, il film perde una buona percentuale della sua forza. otto e mezzo è otto e mezzo non solo per quello che racconta, ma anche per chi lo racconta - e per come le due cose coincidono.”
il protagonista della storia è lucio, un ragazzino siciliano appassionato di manga e anime che fa fatica a districarsi tra la ricerca della propria identità e il modo di pensare - spesso molto chiuso - della sua famiglia. dando vita a questo personaggio, quali elementi di te e del tuo passato sei riuscito a scoprire e a esprimere meglio?
► la volontà di scrivere questo libro è arrivata facendo un percorso di terapia. ma in realtà già dal mio romanzo precedente, “scirocco”, avevo usato i fumetti per elaborare delle cose personali, in quel caso un lutto, in questo dei traumi e degli avvenimenti della mia infanzia che non avevo mai affrontato davvero. pur utilizzando dei simboli e dei personaggi di fantasia, il fumetto mi ha consentito di esprimere le emozioni nella maniera più sincera possibile, come forse a parole non avrei saputo fare. ho attraversato un vero e proprio momento di regressione all’infanzia, ritrovandomi in alcuni momenti cruciali della mia crescita, e riviverli nella doppia veste di bambino e adulto/autore mi ha consentito di dargli una nuova forma, ridimensionandoli e spostandoli in un’altra dimensione non più traumatica.
ho capito tante cose di me, ad esempio il perché sailor moon mi abbia colpito così tanto quando lo vidi per la prima volta a 11 anni: bunny/usagi riceveva dei poteri che non avrebbe mai voluto, frignava e si lamentava ad ogni combattimento e nel monologo finale della prima stagione diceva apertamente che la vita che voleva era fatta di piccole cose quotidiane, non di battaglie tra il bene e il male, quella era una responsablità che le pesava troppo. in maniera analoga, io mi ero sentito schiacciato dalle responsabilità che mi erano state affibbiate, togliendomi la leggerezza e la spensieratezza sacrosante per un bambino.
ho capito anche il perché negli anni - e prepotentemente quando ho iniziato a lavorare a questa storia - io sia stato ossessionato da regan macneil, la bambina posseduta de “l’esorcista”: ho canalizzato in quella figura una serie di sensi di colpa dovuti alla pesante educazione cattolica, l’imbarazzo provato nella pubertà, nel momento in cui mi sono sentito più sbagliato in quanto “diverso”, la difficoltà di reprimere la mia parte femminile che reputavo sbagliata, e ovviamente la malattia mentale con la quale mi sono scontrato in famiglia.

il problema del racconto personale - per quanto romanzato e non pedissequamente realistico - immagino sia l’inevitabile coinvolgimento di altre persone, che si ritrovano a essere personaggiə della narrazione. qui parli di una famiglia molto conservatrice su molti aspetti, che deve affrontare situazioni anche molto difficili. che tipo di reazione hai avuto da parte di chi si è rispecchiatə in questa storia?
► la reazione finora è stata molto positiva. ho cercato di essere il più possibile rispettoso e credo che leggendo la storia si possa percepire comunque l’affetto per la mia famiglia. per quanto riguarda il racconto della depressione, ho provato a raccontarlo andando un po’ in punta di piedi, proprio perché non è una cosa che ho vissuto direttamente sulla mia pelle ma alla quale ho assistito. crescere con un genitore depresso è una cosa che ti cambia per sempre ma bisogna anche sdoganare il fatto che i disturbi mentali siano malattie, non onte delle quali vergognarsi.
in “tutte le volte che sono diventato grande” ci sono tantissimi riferimenti a manga e anime degli anni ‘90: quali erano i tuoi personaggiə preferitə - e lə artistə - dell’epoca e in che modo hanno influenzato la tua crescita, come persona e come artista?
► ho già parlato di sailor moon e regan, ma ci sono statə tantə altrə personaggə, reali e non, importantissimə per me. madonna, per esempio, è stata un esempio di libertà di espressione ed emancipazione. mi sono ritrovato molto nei percorsi dei due protagonisti di x-files, mulder bisognoso di credere e scully così razionale. ma ovviamente ci sono stati i fumetti e i cartoni animati: lady oscar, gokinjo monogatari, proteggi la mia terra, maison ikkoku, slam dunk, city hunter, ranma 1/2… per poi arrivare ai fumetti di “mondo naïf” e autorə come vanna vinci e andrea accardi.

rispetto alle tue opere precedenti, si vede chiaramente il tuo lavoro di ricerca grafica in una direzione differente. sia il tuo tratto sia la struttura delle tavole si avvicinano qui molto di più a quello proprio del fumetto giapponese che allo stile più tipicamente europeo che aveva influenzato opere come sciroccobasilicò o stella di mare. cosa ti ha portato a questa scelta stilistica?
► come dicevo prima, l’intenzione iniziale era quella di realizzare questa storia come se fosse un vero e proprio manga, sia dal punto di vista narrativo che da quello grafico, perché racconto gli anni nei quali ho scoperto quella narrazione e quei fumetti, che poi sono stati i primi a farmi capire l’enorme potenziale espressivo delle storie, quando potevo rifugiarmici e sentirmi libero. per cui la scelta è stata inevitabile. in realtà non ho dovuto sforzarmi di cambiare, quelle cose ce le ho nelle vene da quando ho iniziato a disegnare, ho semplicemente assecondato un istinto. lavorare con i retini (mezzitoni e pattern tipici del manga) è stato divertentissimo, ma anche usare alcuni espedienti di impaginazione o fare delle citazioni esplicite è stato bellissimo.
nella storia, lucio non ha nessuna fretta di crescere ma si ritrova a “diventare grande” tante volte, almeno agli occhi delle persone adulte che fanno parte della sua vita. ma cosa vuol dire, secondo te oggi, “essere diventatə grande”?
► questa è una domanda difficile :) per quanto mi riguarda, credo che fare questo libro sia stato un ennesimo momento di crescita personale. forse si diventa grandi definitivamente quando si smette di considerarsi figliə e si impara a vedere i propri genitori come persone a sé stanti con tutti i loro limiti.

adesso, soprattutto dopo aver realizzato il sogno - che è anche quello di lucio - di diventare un autore di fumetti, puoi dire di “essere diventato grande”?
► macché, mi sento sempre un teenager :D con molta esperienza, un corpo che invecchia e un bel bagaglio di sofferenze, ma pur sempre un ragazzino. scherzi a parte, forse chi fa fumetti non riuscirà mai a sentirsi del tutto adulto e credo che sia una grande fortuna, allo stesso tempo ho accettato il fatto che diventare grandi abbia anche in suoi vantaggi, a cominciare dal fatto che si possono elaborare cose che ci hanno ferito in passato e imparare a vivere più serenamente. il segreto in fondo è cercare di coltivare un po’ di leggerezza e in questo chi fa un lavoro creativo può essere avvantaggiatə.
grazie mille per il tuo tempo e per averci raccontato il tuo lavoro! a presto e imboccallupo per tutti i tuoi progetti futuri!