«come rifiuto la violenza, così rifiuto di servire i violenti»
l’occhio dell’airone sembra quasi un allenamento prima della stesura del ben più famoso - a ragione - i reietti dell’altro pianeta ma, in realtà, questo breve romanzo è stato pubblicato per la prima volta un paio d’anni dopo la storia di urras e anarres.
il tema di fondo, se pur non perfettamente uguale, è molto simile in entrambi i romanzi: lo scontro di due comunità guidate da principi diametralmente opposti.
questa volta, però, le due comunità si ritrovano sullo stesso mondo, victoria (nome che ha echi politicamente probabilmente non casuali), colonizzato in principio per diventare un pianeta-prigione dove i terrestri avrebbero potuto scaricare gli elementi più indesiderabili della società umana.
dopo questa prima ondata di coloni-prigionieri, su victoria arriva un altro gruppo formato da quellə che potremmo definire auto-esiliati politici o migrantə ideologicə, allontanatə dalla terra non per aver commesso un qualche tipo di crimine ma per il loro desiderio di fondare una comunità basata sulla non-violenza, sulla mancanza di gerarchie e sulla libertà di autodeterminazione.
nel corso dei secoli, le due comunità, anche se geograficamente prossime e in contatto tra loro, si sono sviluppate rimanendo ben separate e riconoscibili: la prima - che vive in quella che è semplicemente denominata “la città”, autoconferendosi così lo status di società progredita e organizzata, ha replicato le più stringenti strutture culturali di stampo patriarcale che ben conosciamo e l’altra, che invece si è organizzata nella cittadina rurale di shantih, ha continuato a portare avanti le idee della generazione pioniera, finendo ben presto per essere fortemente subordinata alla dominazione dei cittadini.
in questo scenario - popolato da una varietà di specie animali aliene che, pur diverse tra loro, condividono il rifiuto totale della domesticazione, e da boschi, foreste e montagne selvagge e ancora libere dalla catastrofe di stampo antropico - ursula k. le guin mette in piedi una tragedia annunciata già nella sua stessa premessa: quando lə abitantə di shantih decidono autonomamente di creare una nuova colonia indipendente per poter meglio provvedere all’autosostentamento di tutta la popolazione, la città prova a bloccare ogni tentativo di scelta e impone con la forza il proprio controllo.
persanaggia fondamentale è luz marina, figlia del consigliere falco - di fatto il capo della comunità cittadina - che non soltanto rinnega il suo ruolo di donna, confinata nell’ambiente domestico, soggetta al volere paterno e costantemente minacciata dal giudizio (e dalla violenza) maschile, ma che pure deciderà di mettere in discussione il suo ruolo di privilegiata, sfidando l’ordine costituito e schierandosi letteralmente dalla parte dei reietti.
come in tutti i romanzi che ho letto di le guin, l'autrice non propaganda mai le sue idee, anzi, le mette in discussione in modo intelligente, ne mostra le fragilità pur lasciando intendere chiaramente quali sono le bussole etiche e morali che guidano il suo pensiero.
le guin non dà mai risposte facili né soluzioni a poco prezzo, anzi, ma suggerisce sempre quali devono essere le domande giuste da porsi e quali gli strumenti per risolverle.
l’occhio dell’airone suona a volte quasi come un incompiuto e molto del racconto chiede approfondimenti e deviazioni dalla trama principale, eppure - se anche non si avvicina alla grandezza dei grandi capolavori dell’autrice - rimane un tassello interessante nel mosaico narrativo e ideologico di le guin, per cui mi auguro che possa tornare a breve nel catalogo di qualche editore.
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