voglio per lei un nome forte e audace. voglio che da grande sia una donna coraggiosa, capace e libera.
so cosa state pensando: ecco un'altra storia in cui la principessa scardina le regole sociali, si comporta da maschiaccio, rifiuta di sposarsi e vive passando le sue giornate cavalcando nei boschi fiera della sua solitudine. ammetto che l'avevo pensato anche io. e invece.
selvaggia è una favola moderna che fa quello che facevano le favole più antiche: ci insegna il valore dei nostri desideri e l'importanza di saper porre rimedio ai nostri errori.
e ci riesce meravigliosamente!
siamo nel regno di valdirosa ed è grande festa il giorno che il re e la regina annunciano la nascita della loro erede: una bella bambina, bionda come il sole, a cui viene posto il nome di selvaggia, un nome che è un augurio, quello di poter vivere appieno la sua vita, di essere forte, determinata, coraggiosa, indipendente proprio come un animale dei boschi, una creatura che non ha bisogno di essere accudita dall'uomo per sopravvivere.
e già dalla sua infanzia, selvaggia si dimostra all'altezza del suo nome e delle aspettative di sua madre: è una bimbetta scalmanata che ama correre, giocare all'aria aperta e sporcarsi i vestiti, con buona pace delle cameriere del palazzo costrette a rimediare ai suoi guai.
crescendo le cose non cambiano: selvaggia non solo non rinuncia al suo arco e alle sue gite in solitaria per i boschi, ma non ha alcuna intenzione di assumere il ruolo della timida principessina devota che mantiene lo sguardo pudicamente basso e si esprime sottovoce con garbo ed eleganza.
il giorno in cui sua madre le annuncia che dovrà sposarsi siamo tutti sicuri, insieme alla regina, che selvaggia rifiuterà categoricamente, pesterà i piedi, minaccerà di fuggire, urlerà tutto il suo disprezzo per questa imposizione e invece...
è qui che le nostre certezze di lettori si sgretolano, è qui che rosalia radosti - con uno stile grafico davvero unico, elegantissimo, personale e luminoso da cui è impossibile non lasciarsi conquistare - ci porta a riflettere su tutti i cliché di cui negli ultimi anni abbiamo abusato per non affrontare davvero tutto quello che di tossico e sbagliato sappiamo sull'amore - e che per buona parte abbiamo imparato proprio dalle favole della nostra infanzia.
selvaggia è una ragazza libera, intraprendente, attiva, determinata, coraggiosa, polemica, sensibile, intelligente e sogna l'amore. una cosa non esclude l'altra.
vuole continuare a vivere la sua vita ma con qualcuno accanto a lei, qualcuno che la ami e che condivida le sue passioni. selvaggia sogna il suo principe azzurro, come lo sogna ogni altra principessa delle favole.
all'annuncio che la principessa cerca marito, valdirosa comincia a riempirsi di pretendenti dei regni vicini, una processione infinita di duchi, marchesi, baroni e principi che si propongono a selvaggia e che vengono inevitabilmente scartati, incapaci di accettare una moglie che non sia una silenziosa, accondiscendente e obbediente compagna dedita al ricamo e a sfornare pargoli.
mentre le cameriere la additano come una capricciosa, selvaggia comincia a perdere le speranze che possa davvero incontrare qualcuno da amare e che la ami per quella che è, quando finalmente incontra nel bosco un ragazzo così perfetto da sembrare un sogno...
ma sogni e realtà non sempre si sovrappongono alla perfezione: selvaggia dovrà imparare che quel e vissero per sempre felici e contenti che segue ogni matrimonio nelle favole esiste solo nelle favole e che il più bel giorno della vita non è che l'inizio di una vita completamente nuova, di cui spesso non conosciamo altro che le pie illusioni che abbiamo coltivato negli anni ingenui della nostra giovinezza.
rosalia radosti riprendere personaggi e struttura delle favole, cliché vecchi e nuovi, mischia tutto quanto e ci regala una storia crudele, di disperazione, di lacrime e sangue, una storia che però sa mettere insieme tutto quello che nelle favole non trova posto, sa raccontarci del nostro bisogno di essere amati e di quanto sia facile lasciarsi ingannare quando non vogliamo guardare oltre la facciata delle cose, sa parlare della tossicità di certe relazioni e della sofferenza in cui ci lasciamo trascinare quando il desiderio di essere felici oscura tutto il resto.
credo che selvaggia sia la prima storia che leggo che sappia parlare tanto bene di quanto sia difficile l'amore: lo rincorriamo, lo desideriamo per tutta la vita e spesso non sappiamo quanto possa farci male, non siamo in grado neppure di immaginare che ci siano persone che nascondo un altro sé oltre quello che conosciamo e quando lo scopriamo non siamo in grado di gestire la parte di noi che è ancora legata.
selvaggia mette in scena la migliore metafora dell'amore tossico, quello che ci regala per un attimo l'illusione della felicità e poi distrugge tutto quello che abbiamo di caro, ci isola, ci rende soli, deboli e disperati.
più che le favole in cui le eroine rifiutano categoricamente ogni relazione, rinchiudendosi in una fortezza di solitudine ed egocentrismo (sì, sto parlando proprio di meridia), la storia di selvaggia sa raccontare con sincerità quanto sia complesso il rapporto che abbiamo con noi stessi e con gli altri: selvaggia non vuole perdere la sua identità, non vuole cancellarsi ma non per questo vuole rimanere sola, per lei l'amore è - e dovrebbe infatti esserlo - una condivisione continua di interessi, passioni, pensieri e idee in cui due persone sono felici insieme senza smettere di essere se stesse, senza annullarsi in una non meglio identificata entità duale che chiamiamo coppia.
ma desiderare non basta, nemmeno nelle favole.
per quanto alte siano le nostre aspirazioni, per quanta attenzione poniamo nello scegliere il nostro compagno - o la nostra compagna - possiamo comunque affidarci alla persona sbagliata.
raba, la strega gentile che selvaggia incontra alla fine della storia, è lo specchio della nostra consapevolezza. il punto non è non sbagliare mai, il punto è comprendere i nostri errori e sapervi porre rimedio, anche a costo di soffrire e, soprattutto, trovare la forza di superare quella sofferenza e andare avanti, senza renderci aridi come statue di pietra.