I did not train you to be a demon or a human. I showed you how to be an artist. to be an artist is to do one thing only.
negli ultimi giorni ho visto quella che è sicuramente la serie più bella, per me, di questo 2023 e che, in generale, finisce dritta dritta tra le mie serie preferite di sempre, e cioè blue eye samurai.
l'ho scoperta assolutamente per caso e l'ho iniziata senza nessuna aspettativa, pensando anzi che probabilmente non l'avrei mai finita, e invece l'ho divorata in pochi giorni, staccandomi dal pc solo se a) mi facevano troppo male gli occhi e b) quello che avevo appena visto era troppo (ma in senso positivo!) e avevo bisogno di digerirlo e riprendermi.
il fulcro della storia non è il massimo dell'originalità: tutto gira intorno a mizu, unə samurai in cerca di vendetta. la bravura dellə due creatorə della serie -
michael green (sceneggiatore di
logan e
blade runner 2049) e
amber noizumi, coppia sul lavoro e nella vita - sta nel prendere alcuni topoi del genere (per citare due esempi famosissimi:
kill bill e
lady snowblood) e trasformarli da stereotipi in colonne portanti per una narrazione nuova, appassionante e densa di nuovi significati.
l'ambientazione
la serie è ambientata in giappone nel periodo edo - che inizia nel 1603 con l'ascesa al potere del primo shogun (titolo che inizialmente designava i generali e i capi dell'esercito ma che, col tempo, si trasformò in qualcosa di simile allə attuali capi di governo. gli shogun erano uomini che avevano effettivamente il potere e che governavano in una sorta di diarchia con l'imperatore) del clan tokugawa e termina nel 1853, anno in cui inizia formalmente la restaurazione meji, il potere degli shogun viene ridimensionato e cresce quello dell'imperatore - per la precisione dopo il 1633, anno in cui il paese chiude completamente le sue frontiere all'occidente. se da un lato questo rafforzò le tradizioni locali, evitando le contaminazioni estere, fu anche motivo di una stagnazione sociale per cui le differenze di classe si irrigidirono sempre di più, mentre tutto il paese fu tagliato fuori dallo sviluppo economico e culturale di cui l'occidente era modello.
in blue eye samurai questa chiusura è esplicitata soprattutto in due elementi, fondamentali per lo sviluppo della trama: i contatti con gli occidentali erano visti in modo estremamente negativo e, di conseguenza, lə bambinə natə da unioni tra donne asiatiche e uomini europei erano considerati impurə e mostruosə e, secondo aspetto, le tecnologie belliche erano notevolmente arretrate rispetto a quelle coeve europee, cosa che creava un divario e metteva il giappone in condizione di svantaggio nel caso di un eventuale attacco militare da parte dell'occidente.
in questo mondo ripiegato su sé stesso e ostile a ogni differenza, nasce e cresce mizu.
mizu
mizu è unə bambinə con gli occhi azzurri, cosa che l'ha sempre condannata alla violenza, al pericolo, alle piccole e grandi crudeltà di chiunque abbia avuto a che fare con ləi. nata da uno stupro, mizu viene cresciuta dalla madre che, per paura, l'ha sempre tenuta nascosta e le ha imposto di fingersi un maschio per provare a nascondere almeno in parte la sua identità. nonostante tutte le precauzioni, la madre di mizu viene uccisa e lə bambinə giura di vendicarla e di uccidere tutti e quattro gli uomini bianchi presenti in giappone nel periodo del suo concepimento.
incontriamo mizu per la prima volta quando è già adultə e in cerca della sua seconda vittima e, nel corso della serie, impariamo qualcosa in più della storia della sua vita.
togliamoci subito il sassolino dalla scarpa: non v'ho spoilerato nulla perché sulla sua identità di femmina ci pensa già netflix a rovinarvi la sorpresa già dalla descrizione del primo episodio (la guerriera solitaria mizu è alle prese con un compagno di viaggio inatteso, mentre la principessa akemi cerca di decidere il proprio destino). ma il punto è che la questione del genere di mizu è molto più complicata, profonda e importante di una roba che a prima vista sembra un po' lady oscar. mizu è effettivamente cresciuta come un maschio perché chi la cerca, chiunque sia, ha come obiettivo quello di trovare una bambina con gli occhi azzurri. la madre le rasa i capelli e le ordina di sembrare un maschio, di comportarsi come un maschio, in modo da non lasciare spazio ai dubbi. e se siamo d'accordo che il genere è una costruzione sociale e culturale, allora mizu è un maschio per quasi tutta la sua vita.
la figura che lə crescerà, dopo la morte di sua madre, è eiji, un vecchio maestro spadaio cieco, che lə accoglie quasi costretto dalla disperata testardaggine dellə bambinə, che si rifugia nella sua capanna. in poco tempo, però, il vecchio maestro inizia ad affezionarsi a mizu e ad apprezzarne la determinazione. per lui, che non può vedere, la diversità di mizu non ha alcuna importanza.
quello che eiji lə dà è molto più di un rifugio, anche più dell'arte stessa di forgiare le spade: eiji le insegna a capire chi e cosa è e quale sarà il vero scopo della sua vita.
è qui, nella capanna del vecchio spadaio, osservando i guerrieri che chiedono al maestro eiji di realizzare le spade per loro, che mizu impara a combattere. quello degli allenamenti estenuanti, continui, intensissimi, mossi solo dal desiderio di vendetta è un topos un po' abusato ma profondamente caratteristico in questo genere di narrazioni. anche la creazione della sua spada è una metafora molto ben riuscita sulla sua capacità di apprendimento e sulla sua tenacia.
la forza di mizu non è frutto del solo talento ma delle lunghissime ore di dedizione e sacrificio e, nonostante tutto, impareremo che non è invincibile. ma la sua è, effettivamente, una forza fuori dall'ordinario, qualcosa che la rende - insieme alla sua determinazione, oltre che al suo aspetto - un vero e proprio mostro.
l'onryo
l'episodio 5 di questa stagione (a proposito, mi sono dimenticata di dire che la serie è stata rinnovata per una seconda stagione che uscirà - spero di non aver capito male - nel 2024) è di una bellezza e tristezza devastanti, uno di quelli che mi hanno lasciata a fissare il vuoto per un buon quarto d'ora prima di riuscire a fare altro. nell'episodio si alternano tre linee narrative: una rappresentazione del teatro kabuki, flashback della storia di mizu e il lungo scontro tra le stanze e i corridoi di un bordello in cui mizu affronta il piccolo esercito di un prepotente signorotto locale.
un onryo è un fantasma proprio della tradizione giapponese, che anima molti drammi teatrali. la maggior parte degli onryo sono - erano - donne: maltrattate, offese, violate, picchiate e spesso uccise dal loro marito o dal loro amante, indifese in vita, tornano dopo la morte in cerca di vendetta, dotate adesso di forza e potere. gli onryo però sono posseduti da una furia cieca, non sanno indirizzare la loro rabbia solo su chi li ha fatti soffrire in vita, anzi, colpiscono indiscriminatamente chiunque incontrino sulla loro strada di rivendicazione.
l'alternarsi delle tre narrazioni - teatro-passato-combattimento - riesce a raccontare non solo la storia di mizu ma anche il senso profondo del suo essere (come guerrierə e come persona genderless) più di quanto non sarebbe stato in grado di fare un intero romanzo, in un parallelismo tra i tre piani narrativi continuo che crea un crescendo emotivo davvero sconvolgente (un paio di lacrimucce mi sono scappate, sì).
akemi
la storia di blue eye samurai si focalizza principalmente su mizu e su akemi, la cui storia corre parallela a quella dellə nostrə protagonista fino a legarvisi strettamente e indissolubilmente nella seconda parte.
akemi viene chiamata principessa, è figlia di un nobile samurai, cresciuta tra gli agi e i lussi. la sua bellezza elegante e tradizionale è un validissimo aiuto per fingersi la rispettosa, obbediente, pura e casta figlia di buona famiglia che, in realtà, akemi non vuole essere. innamorata di un samurai di nome taigen - il cui passato, così come il presente, è collegato alla storia di mizu, di cui è un personaggio importante - akemi rifiuta il matrimonio organizzato dal padre con ogni mezzo, arrivando persino a scappare e mettersi a lavorare in un bordello quando perde ogni notizia dell'uomo che ama.
se mizu lotta per la sua vendetta, akemi lo fa - a modo suo - per essere libera e padrona di sé stessa. il suo personaggio è sicuramente meno spettacolare di quello di mizu - va da sé che in una storia del genere le scene di azione e di combattimento siano la parte fondamentale dello show - e ci mette un po' a farsi amare dal pubblico, conquistandolo poi definitivamente con il suo carattere brillante e risoluto.
akemi è la risposta a un sistema strutturalmente oppressivo nei confronti delle donne, un sistema che permette loro solo di passare da un padrone all'altro: dal controllo paterno a quello del marito o di qualche tenutaria di bordello. la ribellione di akemi, per quanto possa sembrare fuori dalle righe in un contesto che non prevede alcuna iniziativa da parte delle donne, è sostenuta da due enormi privilegi, ovvero dal suo rango e dalla sua ricchezza. in blue eye samurai ci si evita volentieri inutili sbrodolamenti del tipo se vuoi puoi e si dice chiaro e tondo che la libertà passa dal denaro.
ed è proprio per la sua pragmaticità che akemi mi è piaciuta così tanto, lato che viene addolcito dal buon seki, il suo vecchio tutore. anche quella di seki è una figura che scardina molti stereotipi: nonostante sia un anziano ex-combattente, la cosa più importante della sua vita è stata crescere akemi. seki è il genitore perfetto, quello che ama, educa e sostiene lə figliə anche senza che vi sia un legame di sangue.
la narrazione di questi due personaggə è importantissima proprio perché decostruisce alcuni stereotipi di questo genere di storie, dando la possibilità di raccontare modi differenti di rispondere a un sistema sociale che già conosciamo da decine di storie con ambientazioni simili.
ringo
il primo dei comprimari incontrati da mizu all'inizio della serie, ringo è un giovane cuoco entusiasta della vita - e della sua soba - che vede nel giovane guerriero senza nome arrivato per caso alla sua locanda la chiave per cambiare la sua vita. prevedibilmente, all'inizio mizu non è affatto interessatə ad avere un apprendista ma ringo si rivela presto un amico oltre che un valido aiuto: nonostante non abbia le mani, è in grado di rendersi utile in un sacco di situazioni. è un po' la spalla comica della serie ma resta un personaggio molto saggio e mai, neppure una volta ridicolo.
ringo è, per parafrasare calvino, uno che prende la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore. la bontà e integrità d'animo di ringo sono una piccola, rassicurante candela accesa in una storia fatta di crudeltà, violenza e spietatezza. ringo stesso è la risposta non-violenta alle brutture della vita, agli anni di insulti e umiliazioni subite. e ringo è anche un personaggio disabile raccontato senza abilismo, senza alcuna storia strappalacrime sulla sua menomazione (risolta letteralmente in due parole), senza grandi insegnamenti morali da consegnare agli altri in virtù delle sofferenze a cui un tragico destino lo ha condannato.
la sua presenza è fondamentale non soltanto ad alleggerire i toni ma, anzi, serve a mostrare che esiste un mondo differente da quello dei rigidi codici d'onore a cui personaggə come mizu e taigen fanno costantemente riferimento, un mondo in cui i propri sentimenti e desideri sono più importanti di qualsiasi altra cosa.
fowler
due righe tocca spenderle anche per l'antagonista, l'uomo a cui mizu dà la caccia per tutta la stagione, abijah fowler, forse il più piatto di tuttə lə personaggə della serie.
fowler è cattivo, razzista, misogino, crudele, sadico, spietato, traditore, opportunista, bugiardo, perverso, blasfemo, è un concentrato di ogni possibile schifo riusciate a richiamare alla mente e non ha assolutamente niente di positivo, zero totale. di origini irlandesi, a un certo punto della storia accenna alla sua infanzia indicibilmente violenta nell'irlanda messa a ferro e fuoco dei tudor. ma tutto il male subito, per quanto aberrante sia stato, non riesce a giustificare quello che è capace di infliggere.
fowler è l'incarnazione stessa del colonialismo, il suo solo interesse è depredare la nazione che - anche se l'ha fatto per mero opportunismo - l'ha accolto. forte della supremazia tecnologica delle sue armi, fowler si impone incutendo terrore in quelli che usa come alleati finché ne ha bisogno e vede nel giappone un'immensa risorsa da cui attingere per avere sempre più potere.
a differenza di buona parte dei villains, il suo personaggio è costruito, come dicevo, senza alcuna ambiguità e, di conseguenza, il messaggio che passa, almeno in questa prima stagione, è che l'incontro con l'occidente sia stato foriero solo di disgrazia e di sofferenza (cosa che, visto che parliamo di un'europa fortemente coloniale e predatoria, non è poi troppo lontana dalla realtà dei fatti).
conclusioni
se la trama di fondo è, come dicevo all'inizio, abbastanza semplice e ricalca un topos che conosciamo bene, la grandezza di questa serie sta tutta nella riuscitissima caratterizzazione dei personaggi, nel chara design, nella qualità pazzesca delle animazioni - un mix ben riuscito di 2D e 3D che da un lato rendono le scene molto pittoriche, dall'altro permettono momenti altamente spettacolari, soprattutto durante i combattimenti - nella scrittura delle scene, in cui si riesce a enfatizzare i momenti più drammatici, quelli più adrenalinici ma anche quelli più leggeri e nella regia che non sbaglia mai un colpo e sa raccontare mondi interi in poche inquadrature.
insomma, casomai non fosse abbastanza chiaro, per me è un capolavoro che ha solo l'unica pecca di un finale indebolito dalla necessità di creare le necessarie aspettative per convincere anche lə spettatorə meno appassionatə a tornare per la seconda stagione (in realtà l'avremmo fatto comunque, ma è pur sempre netflix e certe cose sono inevitabili).
fatemi sapere se l'avete già visto o se vi ho messo abbastanza curiosità da andare a cercarlo!