giovedì 30 maggio 2024

quando muori resta a me

era la prima volta in vita mia che mi sentivo così. ci ho messo qualche anno a dare un nome a quella sensazione. pure a scuola mortacciloro ti insegnano a distinguere felice - triste - arrabbiato.
il senso di colpa non te lo spiega nessuno.

a ogni uscita di un fumetto di zerocalcare c'è un preciso copione che si ripropone sempre uguale: avere il libro prima possibile, mettere da parte tutto il resto, respirare profondamente, iniziare a leggere, sapere che in qualche modo ti farà affrontare qualcosa di te che non avevi ancora tradotto in parole e pensieri compiuti. incassare colpo su colpo e arrivare alla fine, prenderti un po' di tempo e poi ricominciare con tutto il resto.

questa volta però per me è stato un po' meno traumatico perché, per la prima volta, c'ho trovato meno me in questo libro di quanto non mi sia mai successo con gli altri. pensavo che fosse una questione di tematiche, di fatti raccontati, invece poi ho capito che era tutta una questione di prospettive.
ci metterò un po' - non so perché ma mi viene sempre difficilissimo scrivere dei libri di zerocalcare, sarà che in qualche modo gli voglio bene - ma ci arriverò a spiegarla.

in quando muori resta a me zerocalcare affronta un viaggio in auto insieme a suo padre da roma fino a un buco di culo sperduto sulle dolomiti per aggiustare un guasto alla vecchia casa di famiglia paterna. ma tornare, dopo tanti anni, a merìn significa fare i conti con antichi rancori e ostilità mai sopite che restano generazione dopo generazione e, ancor di più, provare a svelare un mistero vecchio di trentacinque anni: cosa successe davvero in quello che nella memoria di zerocalcare è rimasto come il giorno di merman?


in questo paesino sperduto - dove il cellulare non prende, dove non esiste traccia del tranquillizzante traffico romano e dove non ci sono accolli di sorta - zerocalcare ripercorre la storia della sua famiglia, dalle vicende che risalgono fino all'epoca della seconda guerra mondiale e che ancora oggi continuano a impattare sulla vita di quel paesino ai piedi di una montagna che non dimentica, a quelle che riguardano la giovinezza di suo padre, di cui non aveva mai sospettato nulla.
ma, soprattutto, è un viaggio indietro nel tempo che parte dalla sua infanzia, quando riusciva a immaginare suo padre come un eroe capace di imprese straordinarie, e ripercorre uno sgretolarsi traumatico e inesorabile del loro rapporto, un po' per via dei divorzio dei suoi genitori, un po' perché durante l'adolescenza viene facile a tuttə essere delle merde.

dai primi sensi di colpa all'ispessirsi di quei muri che formano labirinti in cui è facile perdersi e impossibile ritrovarsi, zerocalcare mette nero su bianco la difficoltà che i padri hanno avuto nel rapportarsi con i figli (maschi, sicuramente, ma anche con le figlie femmine, seppur in modo diverso), i tentativi di recuperare poi in età adulta, l'incolmabile divario generazionale, i frutti di decenni di silenzi e bugie e sensi di colpa che si sedimentano sempre di più, soffocando un amore enorme che non sa più come esprimersi.

anche in questo libro abbiamo uno zerocalcare-personaggio i cui turbamenti interiori seguono il corso degli eventi: le cose succedono, risvegliano memorie sepolte, aprono interrogativi, portano a riflessioni. ma se fino ad adesso tutto questo processo di autoconsapevolezza era in qualche modo guidato dall'armadillo, ora la sua coscienza è sparita per lasciare il posto a qualcun altro...
nel frattempo, si fa inevitabile il confronto con lo zerocalcare-autore che non può più usare le emozioni del suo alter-ego soltanto per gestire i ritmi della narrazione, ma che si ritrova a doverci fare i conti in una scena memorabile, la prima in cui li vediamo così esplicitamente uno di fronte all'altro, uno riflesso dell'altro.
sono storie quelle che ci ha raccontato negli ultimi quindici anni ma sono anche pezzi della sua vita, pezzi importanti che quella vita l'hanno plasmata e condotta su un percorso ben preciso, diminuendo sempre di più la distanza tra personaggio e autore.

se di quando muori resta a me si dice che sia il suo libro più personale non si deve soltanto alla natura molto intima e biografica delle vicende narrate ma anche, e soprattutto, al fatto che questo libro più degli altri sembra tirare le somme di tutto quello che è stato dal successo de la profezia dell'armadillo in poi. la carriera di zerocalcare ha inevitabilmente influito sulla sua vita, sulle sue scelte e, in qualche modo, anche sul rapporto con chi lo circonda. e se fino ad adesso il lavoro di fumettista è stata un po' la scusa per sottrarsi ad alcune dinamiche tipiche dell'età adulta, ora non funziona più.

zerocalcare ci ha abituati a leggere, nelle sue storie, il ritratto della nostra generazione, di quelli nati tra gli anni 80 e 90, oltre che, ovviamente, tematiche più grandi, come ad esempio la questione curda o recentemente la storia di ilaria salis.
ha sempre affrontato questi temi - tipo la difficoltà a trovare lavoro, ad avere quindi una stabilità economica e personale e a trovare il proprio posto nel mondo - in modo sì autobiografico ma anche politico e collettivo, ed è per questo che ci è sempre venuto così facile riconoscerci nelle sue storie, rispecchiarci nel suo vissuto e sentirci parte di una generazione che è stata messa da parte con un colpo di scopa sotto a un tappeto di indifferenza.
questa volta però, in questo libro in cui il tema centrale è il rapporto padre-figlio e, di conseguenza, la sua mancata paternità, nonostante il tono sia quello a cui siamo abituatə, quella sensazione di tematica collettiva viene a mancare.


a un certo punto zerocalcare dice che negli ultimi anni c'è stata un'esplosione nella narrativa pop - romanzi, fumetti, serie TV, eccetera - di personaggi femminili che hanno posto la riflessione sul ruolo sociale delle donne, toccando diversi aspetti in cui questo ruolo si può declinare tra cui, ovviamente, quello della maternità. quindi, io personalmente mi sarei aspettata un ragionamento che decostruisse la logica del i figli si fanno perché li fanno tutti da sempre e ci fosse una riflessione sul desiderio di essere padre, sul ruolo di padre - quello stereotipato del padre-padrone o del padre-assente, o quello auspicabile di un nuovo tipo di padre più consapevole e presente - anche in relazione alle politiche in merito alla genitorialità in italia (che detto da me è un pippone odioso ma lui sarebbe in grado di uscirsene con un paio di tavole brillanti, come fa di solito).
però tutto questo non c'è.
quella versione frignona di zerocalcare che solitamente è premessa a una riflessione più ampia e profonda che finisce sempre per farci piangere, si riduce qui a un fissarsi l'ombelico, focalizzandosi sul proprio personalissimo vissuto, ovvero: mio padre, suo padre, il padre di suo padre eccetera da una parte e, dall'altra, gli altri uomini che conosco che hanno fatto figli, in un modo o nell'altro.
quando muoio resta a te è la frase che il padre di zerocalcare ripete più spesso e che in questo contesto assume un significato del tutto diverso: resta a te dover gestire un rapporto complesso a cui nessunə ti ha preparato, dover incarnare un ruolo di cui non hai modelli o, se ce li hai, non sono poi il massimo, doverti inventare un modo nuovo per crescere qualcunə che un giorno smetterà di vederti come un eroe.


se proprio vogliamo trovare la voce della riflessione collettiva e politica, questa è affidata a una donna, lesbica - là dove il suo essere lesbica non è solo un descrivere il suo orientamento sessuale ma definire il suo posizionamento politico all'interno di una società eteronormata ed eteronormativa - che è sara. 
sara pone la questione dell'avere o no i figli proprio da un punto di vista politico:  i figli come privilegio delle persone etero, fertili e monogame, con una posizione economica e sociale stabile e, aggiungerei, non-disabili. privilegio inaccessibile, ad oggi in italia, a ogni altra realtà. sara riporta zerocalcare nella sua dimensione narrativa sì, ma impegnata e di denuncia, lo schioda da quel rimirarsi nello specchio che va bene se è autoanalisi ma non se si trasforma in vittimizzazione e egocentrismo all'ennesima potenza.
quello che manca è, a questo punto, una prospettiva maschile - e per la precisione maschile cis-etero - sulla questione che poteva essere un punto di svolta e magari anche di avvio di una riflessione e di un dialogo.

da questo punto di vista quando muori resta a me mi ha un po' delusa anche se, tocca ammetterlo, alla fine è riuscito a commuovermi come sempre, con una tavola finale che è un colpo al cuore, una di quelle immagini che ti costringono a mettere sul piatto della bilancia tutta la tua vita, le tue idee, i tuoi comportamenti. una scena che ti porta a chiederti quanti stanzini segreti ci sono, in realtà, quanti amori incapaci di tradursi in parole e che non sappiamo riconoscere e che perdiamo per via dell'abitudine, dei silenzi, del senso di colpa, della rabbia.

mi spiace che non sia riuscito a osare quel tanto in più che avrebbe reso questo libro molto più che una storia, l'avrebbe potuto far diventare uno dei punti di partenza pop e alla portata di tuttə sulla genitorialità vista, pensata e vissuta anche da quelle figure - i padri - che sembrano così assenti nell'immaginario comune (e nelle politiche sociali così come in un certo tipo di narrazioni) del nostro paese.

giovedì 23 maggio 2024

commenti randomici a letture randomiche (84)

sono settimane complicate, incasinate, sfiancanti, settimane in cui sono anche riuscita a leggere tanto ma ho scritto meno di quanto avrei voluto. però consigliarvi libri belli è una cosa che mi piace e che in qualche modo mi fa sembrare che tutto torni alla solita, rassicurante normalità, quindi a questo giro vi parli di quattro libri molto diversi tra loro che mi sono piaciuti molto e che vi consiglio di recuperare!

 la ragazza che cadde in fondo al mare 
i miti del mio popolo dicono che solo una vera sposa del dio del mare può mettere fine alla sua incontenibile collera divina. quando dal mare d'oriente si alzano le tempeste ultraterrene, quando i fulmini squarciano il cielo e le acque devastano la costa, viene scelta una sposa da offrire in dono al dio del mare.
o in sacrificio, a seconda di quanta fede si abbia.

di questo libro mi spaventava soprattutto la mole la, fidatevi, è più lo spessore della carta e l'ampiezza dei margini a renderlo così imponente.
la ragazza che cadde in fondo al mare è un fantasy scritto per un pubblico giovane, una storia d'amore ambientata in un mondo sottomarino e fantastico che mi ha ricordato tantissimo gli scenari de la città incantata. la trama è abbastanza semplice e il finale non troppo inaspettato anche se alcune cose sono riuscite a sorprendermi.
nel villaggio di mina, la protagonista, ogni anno una ragazza viene scelta per diventare la sposa del dio del mare. la decisione ricade solitamente sulla ragazza più bella, ma ci sono state fanciulle che si sono offerte volontarie per garantire alla famiglia un futuro di prosperità e di cure.
quest'anno, il destino ha scelto shim cheong, la bellissima fidanzata di joon, fratello di mina. mina ha visto nascere l'amore tra loro, sa quanto forte sia il loro sentimento e vuole troppo bene a joon per immaginare che la sua sarà una vita di solitudine e rimpianti. così, quando shim cheong viene accompagnata in barca per essere presa dal drago del dio del mare, joon la segue e mina, a sua volta, si tuffa tra le onde per salvare entrambi, offrendosi volontaria.
da questo momento, mina inizia il suo viaggio nel regno degli spiriti, a contatto con chi un tempo viveva sulla terra, con divinità e creature leggendarie, decisa a scoprire perché il dio del mare - che un tempo era buono e proteggeva la sua gente - adesso esige sacrifici tanto crudeli.
nel regno degli spiriti mina incontra tantissimə personaggə, tuttə più o meno legatə al mistero che intende svelare: alcunə saranno dalla sua parte, altrə saranno suə nemicə, dispostə a tutto pur di fermarla e impedirle di scoprire la verità.

la storia d'amore è carina ma sono due le cose che ho apprezzato in particolare: la prima è il modo in cui è resa l'ambientazione, la cura nel descrivere il regno degli spiriti che non diventa mai un noioso elenco di dettagli ma, anzi, permette allə lettorə di immaginare con una certa vividezza lo scenario in cui si svolge la storia. la seconda è la cura che è stata data alla caratterizzazione dellə personaggə, soprattutto quellə sovrannaturalə che l'autrice, axie oh, non antroporfizza mai eccessivamente, lasciando loro una sorta di alone mitico che lə colloca fuori dalle dinamiche e dalle emozioni umane.

un romanzo d'evasione carino e appassionante, nulla che possa stravolgervi la vita ma che regala ore di piacevole intrattenimento e che vi tratterrà con il naso tra le pagine fino alla fine.

 punacci - storia di una capra nera 
c'era una volta, in un villaggio, una capra femmina. nessuno sapeva dove fosse nata. che traccia può lasciare l'inizio di una vita ordinaria?

restiamo in tema mitologia ma alziamo tantissimo il livello della qualità della scrittura con punacci, storia di una capra nera di parumal murugan.
quella di punacci è la storia di un piccolo miracolo, un miracolo finito però nelle mani sbagliate.
ancora cucciola, la capretta viene affidata a un vecchio e povero pastore da un uomo gigantesco, una creatura prodigiosa che sembra uscita da una leggenda: impossibilitato a prendersi cura della piccola, l'uomo gigante chiede al vecchio di occuparsene e di trattarla con cura. non è interessato ai soldi, solo al benessere dell'animale, la settima di una cucciolata. quella che da lì a breve verrà chiamata punacci è un miracolo proprio per il suo essere parte di una cucciolata così numerosa, fatto molto più che insolito per le capre. il vecchio accetta - anche perché non può fare altrimenti - di prendere con sé la bestiola e la porta in casa dalla moglie. è lei che la battezza e che la tiene in vita tra mille difficoltà: punacci, piccolissima e indifesa, è bersagliata dai predatori e tenuta lontana dalle altre capre.

è attraverso la sua prospettiva che il narratore racconta la sua storia, dando voce ai suoi pensieri senza che questi vengano mai distorti dalla lente antroporfizzante che troppo spesso applichiamo agli animali.
punacci ci dice del giogo che costringe le capre a tenere il capo chino, della violenza con cui i maschi vengono castrati e del dolore che le femmine provano a vedersi allontanati i loro compagni prima e i loro figli poi. tutte le sofferenze vengono dagli esseri umani che però non sono mai descritti come mostruosi carnefici ma solo come creature incapaci di comprendere le capre e gli altri animali. creature strane questi esseri umani, da un lato sono la causa principale di una vita di sfruttamento, dall'altra sanno accudire uno scricciolo di capretta come se fosse una bambina.
c'è incoerenza ma c'è, soprattutto, una totale mancanza di comprensione e di empatia, una durezza dei cuori data anche - e soprattutto - dalla durezza di una vita che chiede sacrifici su sacrifici, sofferenze che poi, alla fine della giostra, vengono pagate come sempre dallə più deboli, animali in primis.

ci sono scene di delicatissima bellezza - punacci che va al pascolo per la prima volta sulle spalle del vecchio pastore, mentre i passeri le volano sul capo; punacci che si perde nel bosco e assaggia la gioia e il terrore della libertà e della vita selvaggia - e altre di straziante orrore e dolore, viste attraverso gli occhi, i pensieri e i sentimenti di una creatura così diversa eppure così simile a noi.
e, nel frattempo, c'è il racconto di un'india poverissima, oppressa da un governo prepotente e vessatorio che non si fa scrupoli a colpire donne anziane, vecchi pastori, o piccolissimi cuccioli.

e se alla fine resta l'amaro in bocca, viene da ripensare alle parole dell'uomo gigantesco che chiama miracolo la piccola punacci. viene da pensare che i miracoli, quando accadono, non basta saperli riconoscere, non basta stupirsi e ringraziare. i miracoli vanno curati, coltivati e mai sfruttati, se non si vuole perdere tutto.
non è un libro allegro ma è un libro bellissimo che ha una poetica lontana e diversa dal nostro sentire quotidiano, un tono che ci suggerisce mitologie sconosciute e equilibri sovrannaturali.
è un libro che fa un po' male ma ne vale decisamente la pena.

 un mondo di meraviglie - elogio di lucciole, squali bianchi e altri prodigi 
e se il celebre verso del casuario fosse anche il modo con cui il mondo naturale ci chiede di fare attenzione a quella creatura in maniera diversa? e cioè di non limitarci a notarla e ammirarla per l'aspetto singolare e gli artigli assassini, ma percepire invece la sua presenza su questo pianeta? immaginate che l'onda sonora che vi scuote il petto possa essere un monito concreto a ricordare che siamo tutti interconnessi - che se la popolazione dei casuari viene decimata, lo sarà in proporzione anche la crescita degli alberi da frutto, e di conseguenza, centinaia di specie rischieranno l'estinzione. [...] non lo vedete? siamo tutti interconnessi.

ammetto che la prima cosa che mi aveva colpita di questo libro era stata la copertina. come si fa a non rimanere incantatə da questo disegno di piante e animali e foglie e fiori e squame e piume e occhi e forme e colori che si intrecciano in un caleidoscopio di modi diversi di tradurre la parola vita così perfetto ed equilibrato? però ammetto anche che l'idea di lanciarmi su un saggio di biologia mi ispirava davvero poco, io che sono sempre stata pessima nelle materie scientifiche dai tempi del liceo, che bellissimo tutto ma non so andare oltre la poesia dei colori e dei movimenti e.
insomma, alla fine ho ceduto. e ho fatto bene perché non è un saggio di biologia, o almeno non lo è nel senso più spaventoso del termine.

un mondo di meraviglie è un libro strano, una sorta di ibrido tra autobiografia, saggio naturalistico, e diario intimo. aimee nezhukumatathil racconta la sua vita attraverso alcuni degli episodi più significativi - la sua infanzia, segnata da tanti trasferimenti per via del lavoro dei suoi genitori; il rapporto con la scuola e con lə compagnə; l'incontro con il marito e poi la nascita e la crescita dei suoi due figli - mettendoli in relazione con momenti di incontro con il mondo naturale. piante, uccelli, animali marini, anfibi, insetti: quella cosa che chiamiamo natura e che, in modo sciocco e arrogante, riteniamo cosa separata da noi, creature della civilizzazione, è in realtà costantemente presente nella nostra vita. nezhukumatathil mette da parte questa insensata dicotomia e osserva l'eterna interconnessione tra la sua vita e quella delle altre forme di vita che attraversano il suo percorso, lo fa con gli occhi della scienziata e con quelli della poetessa senza che lo sguardo di una possa intralciare i pensieri dell'altra. il risultato è un libro che sa comunicare la sensazione di meraviglia che provoca la vicinanza con l'altro da sé e sa fare meravigliare. ma è anche un libro che ricorda, sempre e puntualmente, la necessità di guardare al mondo non-umano non con superficiale curiosità ma con la consapevolezza delle diversità che non devono necessariamente sottintendere gerarchie e della necessità del rispetto degli equilibri che, in quanto esseri umani, siamo così bravə a distruggere.

per me è stata una lettura sorprendente. se avete ancora gli stessi timori che mi avevano tenuta lontana da questo libro, metteteli da parte e lasciatevi stupire.

 lavinia 
chi era il mio vero amore, allora, l'eroe o il poeta? non intendo chi dei due mi abbia amata di più; nessuno dei due mi ha amata a lungo. appena a sufficienza. quel tanto che bastava. la mia domanda è: chi di loro ho amato più sinceramente? e non so rispondere.

nel poema di virgilio, l'eneide, lavinia è poco più che un'ombra, è una presenza muta, un personaggio di cui conosciamo appena qualche tratto ma di cui non udiamo mai neppure una parola.
l'ultima delle mogli di enea che, come elena prima di lei è la causa di una guerra sanguinosa, prende finalmente voce qui grazie a ursula k. le guin che rilegge gli ultimi sei libri dell'eneide rendendo lavinia protagonista totale e voce narrante della vicenda.

lavinia è una giovane donna segnata da una vicenda familiare infelice - la prematura morte dei fratelli che ha condotto la madre a perdere la ragione - che porta avanti con amore e dedizione le tradizioni familiari, seguendo spesso il padre nei riti sacri, soprattutto nella selva albunea.
qui, in questo bosco sacro dellə antenatə, lavinia scopre il suo destino - ovvero quello di diventare la moglie di enea - e incontra virgilio, il poeta che l'ha creata, che le ha dato vita, seppur una vita piccola e silenziosa.
lavinia è, consapevolmente, vera persona e insieme vera personaggia, creatura in carne ed ossa e invenzione letteraria e, nonostante questa sua doppia natura, è forte e determinata nel seguire non soltanto il suo destino ma anche le sue scelte, ponendosi come soggetto attivo, come artefice della sua storia.

parlare di una scrittrice immensa come ursula k. le guin è un'impresa difficilissima e non credo di potermi arrogare la capacità di farlo. però, che vi piacciano o no i retelling, che siate o meno appassionatə di epica classica, che conosciate o meno l'autrice, leggete questo libro.

lunedì 20 maggio 2024

scuola di butch - l'inizio della rivoluzione

"tremendo attacco terroristico alla prestigiosa scuola di polizia [...]
gruppo di pericolose attiviste lesbicone distrugge l'istituto e lo trasforma in una depravata scuola elementare per bambine deviate"
copertina di scuola di butch di percy bertolini

c'era una volta una scuola di polizia.
e adesso non c'è più.
sarebbe già una storia a lieto fine così ma percy bertolini vuole strafare e in quella vecchia scuola di polizia fa creare una scuola transfemminista per bambine lesbiche butch e identità non-binarie (e comunque, niente maschi cis etero!) alla quale si iscrivono con enorme entusiasmo lə due personaggə che conosciamo già dalle sue storie pubblicate su instagram, casper e buio.


alla scuola di butch l'appello si fa chiamando i nomi che ognunə ha scelto per sé, non ci si interessa dei cognomi altisonanti, non si usa la penna rossa, si insegna lesbichezza moderna e arte butch. non si usa mai la gomma perché gli errori servono a imparare a fare meglio, i lavoretti si fanno con il saldatore ed è lecito vendere biscotti a forma di mulinobianco in fiamme perché è fondamentale imparare da subito che l'indipendenza economica è il primo passo per l'autodeterminazione.
non ci sono cattedre in questa scuola, si può fare lezione da sopra il sellino di una moto e, soprattutto, si impara ad aggiustarla quella moto, perché non ci si ritrovi nella condizione spiacevole di dover dipendere da un veromaschio per risolvere un problema al motore, gonfiando il suo ego e sprofondando nel più basso dei livelli sociali istituiti dal male gaze.

la scuola di butch è un posto dove le bambine imparano cosa vuol dire essere oggettificate e come evitarlo, dove fanno a pezzi gli stereotipi di genere e trovano gli strumenti per guardare al mondo in cui vivono e al loro futuro con occhi liberi da condizionamenti.

e poi c'è anche un gatto bianco e nero di nome ambrogio.

la resa grafica potrebbe sembrare, a una prima occhiata veloce, eccessivamente semplificata, ma in realtà percy dosa perfettamente gli spazi pieni e i vuoti, i bianchi e i neri assoluti in relazione al piccolo formato del volumetto (10,5x14,8 cm), usa i dettagli solo per conferire significato alle scene e non semplicemente per impreziosirle a vuoto, facendo di questo primo capitolo di scuola di butch ben più di un fumetto da leggere in pochi minuti: fermatevi a osservare ogni tavola, ogni vignetta, le espressioni dei volti e tutto quello che i piccoli corpi delle alunne riescono a trasmettere, ne rimarrete stupitə.

scuola di butch - l'inizio della rivoluzione è il primo di tre volumetti che verranno ospitati nella collana gatti sciolti di eris edizioni (di cui avevamo parlato qui insieme a matilde sali), una storia fantastica - scegliete voi come intendere questo aggettivo - in cui percy bertolini torna ai ricordi della sua infanzia per immaginare un futuro in cui chiunque - soprattutto le bambine butch e trans di oggi, di ieri e di domani, a cui questo libro è dedicato - può liberarsi della gabbia delle identità imposte e trovare liberamente la propria.

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sabato 18 maggio 2024

commenti randomici a letture randomiche (83)

tra i modi più inoffensivi di declinare il mio essere totalmente irresponsabile c'è la mia capacità di lanciarmi su nuove serie nonostante ne stia già seguendo in numero spropositato (a mia discolpa posso dire che alcune sono quasi alla fine!) e così negli ultimi tempi ho letto tre nuovi numeri uno che mi sono piaciuti molto e che vi consiglio (così diventate irresponsabili pure voi e mi sento meno sola e meno in colpa).

 kaiju girl caramelise 


uno shoujo manca tutto cuoricini e lucine + i kaiju (ovvero i giganteschi mostri teriomorfi della fantascienza giapponese, tipo godzilla) sembrerebbe un'accoppiata implausibile ma invece funziona!
kuroe, la protagonista di kaiju girl caramelise, oltre a essere un'adorabile studentessa del liceo in divisa da marinaretta e occhioni luccicosi, convive da sempre con una strana sindrome che la fa trasformare in kaiju ogni volta che prova delle forti emozioni.
a volte una mano che si trasforma in artiglio, altre volte delle grosse scaglie che appaiono sulla sua schiena o una coda che spunta a tradimento da sotto la gonna, il corpo di kuroe esprime i suoi sentimenti in modo tanto sincero quanto bizzarro.
ovviamente, nel corso degli anni kuroe si è trovata più e più volte a essere additata come mostro dallə amicə e compagnə di classe, ragion per cui cerca di passare più tempo possibile da sola e di non dare troppo nell'occhio per tenere al sicuro il suo segreto.
un piano ineccepibile nella sua semplicità, non fosse che arata, il classico compagno di classe bello, dolce e gentile che piace a tutte, decide di diventare suo amico, scatenando inevitabilmente un turbinio di emozioni che farà trasformare kuroe, per la prima volta, in un gigantesco kaiju, scatenando il panico in tutta la città.
ora, se questo fosse uno shoujo un po' più standard, kuroe dovrebbe riuscire a conquistare il cuore di arata nonostante la sua strana condizione di ragazza-kaiju e magari dover affrontare una rivale carinissima... ma qui tutto è abbastanza assurdo che, invece della rivale in amore, c'è una carinissima ragazza di nome manatsu che ha una passione smodata - e anche abbastanza cringe - per i kaiju, convinta che kuroe sia una sorta di miko del lucertolone...
insomma, c'è un po' tutto l'immaginario rosa e mieloso da shoujo scolastico rimescolato insieme a un po' di fantascienza e di commedia umoristica.
un ottimo primo volume che fa venire voglia di continuare la lettura, assolutamente promosso! grazie mille ad angela e a silvia per avermelo consigliato!

 tales of reincarnation in maydare 


prendi una mattina qualsiasi, in una scuola qualsiasi. prendi una ragazza di nome kazuha, una protagonista qualsiasi da shoujo manga; airi, la sua migliore amica e tooru, il ragazzo che piace a entrambe. prendi la scena di una dichiarazione sul terrazzo della scuola. sembra l'inizio di una delle millemila commedie scolastiche che hai già letto centinaia di volte. però, dopo appena qualche pagina, ti ritrovi ad assistere al brutale assassinio di tuttə e tre lə personaggə. dunque, la storia è finita?
no, perché subito dopo ti ritrovi in un mondo fantastico, a maydare, terra di magia e incanto dove streghe e maghi controllano la realtà e il loro potere domina ogni cosa. makia, la protagonista, ha esattamente lo stesso aspetto della ragazza che avevi visto correre sul tetto verso la morte qualche pagina prima, e così thor, un ex schiavo capace di usare la magia, somiglia in tutto e per tutto al ragazzo di cui lei era innamorata.
la loro storia, nonostante l'ambientazione sia stata stravolta, sembra essere legata indissolubilmente a quella di kazuha e tooru e a quella di un'antica strega leggendaria che un tempo governava con crudeltà maydare...
questo primo volumetto di tales of reincarination in maydare è fortemente introduttivo, ci presenta lə personaggə e il loro mondo, a volte in modo troppo didascalico, eppure l'idea di questi piani di esistenza collegati è parecchio interessante e sono davvero curiosa di andare avanti con la lettura!

 jinbocho sisters 


fantascienza, fantasy e adesso un bello slice of life ambientato nel quartiere delle librerie di tokyo e disegnato (e scritto) niente poco di meno che da kei toume (grazie al cielo, almeno per questa volta scampata dalle grinfie di rw) jinbocho sisters è uno di quei fumetti di cui basta la copertina a convincermi.
potremmo dire che è semplicemente la storia di tre sorelle - ichika, tsugumi e minoru karakida - che si ritrovano a ereditare una vecchia libreria di libri usati e che decidono di proseguire l'attività di famiglia, portando avanti la loro vita quotidiana. ma gli slice of life non sono mai semplicemente qualcosa: ogni volta si tratta di entrare nelle vite dellə personaggə, scoprire un po' alla volta il loro passato, i loro sogni, le relazioni che lə legano, seguire il corso degli eventi in cui ogni piccola azione ha il suo enorme significato.
l'inizio forse si dilunga in qualche spiegone di troppo ma a kei toume posso perdonare ogni cosa, soprattutto perché quella tranquilla vecchia libreria - una piccola, affollatissima libreria piena di testi antichi, più o meno rari, praticamente il sogno di ogni appassionatə lettorə! - di famiglia sembra nascondere qualcosa di prezioso, qualcosa su cui il bel vicino di casa delle tre sorelle sembra aver messo gli occhi...
anche questo ve lo straconsiglio

giovedì 16 maggio 2024

salone del libro 2024 ~ un resoconto parziale di giorni devastanti e bellissimi

ammetto di non essere affatto brava a fare questa cosa dei resoconti delle fiere, quindi perdonatemi se questo post sarà un po' sconclusionato.

però due righe voglio scriverle comunque, anche per festeggiare il fatto che questo è stato il mio primo salone con un pass "stampa" al collo, un cartellino che ho vissuto un po' come un riconoscimento del valore di questo spazietto qui, uno spazio che esiste da quasi tredici anni, che resiste ai video, ai reel, alle storie, a tutta quella comunicazione velocissima e che, invece, si prende tutto il tempo che gli va. quel pass "stampa" per me è stato bello tanto quando quello da autrice che avevo l'anno scorso, per il mio primo salone, che mi ha regalato un sacco di bellissimi momenti e incontri con persone che danno un senso a questi spazi online che attraversiamo e abitiamo nonostante, spesso, siano così inospitali.


il resoconto ufficiale del salone dice che ci sono state 222.000 presenze quest'anno, presentazioni mega affollate, record di ogni tipo. ma a parte i numeri e le statistiche è proprio vero che la cosa più bella del salone sono le persone che ci incontri, migliaia di persone che non conosci ma con cui sai di condividere idee e passioni, persone che ti fanno sentire parte di qualcosa, un qualcosa forse un po' troppo indefinito ma comunque reale.

tra quelle migliaia di persone ci sono poi quelle speciali, le facce amiche che incontri alle fiere e che sono il vero motivo per cui vale la pena prenotare un biglietto d'aereo due mesi prima e viaggiare fino all'altra parte d'italia per rivederle. per me, sono soprattutto le persone che ruotano attorno a quella che l'anno scorso è stata ribattezzata la eris-family, ovviamente, e quelle per cui non ho ancora abbandonato i social. passo quasi tutto l'anno sentendole solo in chat, sbirciando tra le loro foto e video, quando poi arriva il momento in cui ci si può riabbracciare e andare in giro insieme tra stand strapieni di libri, o incontrare dal vivo per la prima volta, superare la timidezza, rompere il ghiaccio e sorridersi senza mediazione di uno schermo è sempre una gioia immensa.


ho partecipato a pochissimi incontri in questi giorni (quello che mi è dispiaciuto di più perdermi è stato quello di ne/on, tra le nuove realtà editoriali quella che mi interessa di più, non vedo l'ora di leggere i primi libri), non ero sicura di cosa scegliere in un programma strapieno di eventi interessanti ma a cui era quasi sempre impossibile assistere (visti i numeri di quest'anno, spero che il prossimo si riescano a organizzare meglio le presentazioni, in sale più grandi e senza dover stare due ore in coda, soprattutto per chi non riesce fisicamente a sostenere uno sforzo simile) e volevo soprattutto godermi l'aria di festa, ma sono stata a due presentazioni che mi sono piaciute moltissimo. la prima è stata quella dedicata a stasera faremo cadere il cielo, in cui lə autorə hanno discusso del valore aggiunto che le prospettive queer hanno saputo dare a un genere, quello fantascientifico e fantastico in generale, che era stato per decenni il luogo per antonomasia non soltanto degli autori maschi bianchi etero cis ma anche di escapismo ed evasione. il fantastico, negli ultimi tempi, spiegavano lə relatorə, è stato lo strumento attraverso il quale non soltanto raccontare il reale ma provare a decostruirlo e immaginare modi differenti di vivere e di relazionarsi tra noi animali umani, con le altre creature e con l'ambiente. le autrici e lə autorə queer e non bianchə hanno saputo usare la letteratura come qualcosa di molto più potente di ciò che un certo pubblico si aspettava da loro, ne hanno fatto uno spazio di riflessione e di costruzione di realtà e di relazioni. ed è per questo che immaginare mondi diversi non è fuga dalla realtà ma realizzazione di alternative possibili.


il secondo, meraviglioso incontro, è stato quello con i conigli bianchi e prep italia, che hanno presentato sierocoinvoltə, uno degli ultimi bookblock di eris che fa luce su un argomento - hiv e aids - che negli ultimi decenni sembrava essere scomparso dalla zona di interesse dell'opinione pubblica, dopo le campagne di terrore degli anni '80 e '90. lə autorə hanno parlato dello stato attuale della prevenzione e della cura di quella che non è più la malattia terrificante che è stata qualche decennio fa. ma soprattutto hanno posto l'attenzione sul mondo relazionale delle persone che vivono con hiv, un mondo molto più vasto di quello che i pregiudizi e la scarsa informazione ci lascerebbero immaginare.
ma, soprattutto, mentre si parlava di sierocoinvoltə, lə autorə hanno lanciato più volte messaggi di supporto alla causa palestinese e non sono statə lə solə.


sabato è stato il giorno in cui alcuni spazi del salone hanno fatto eco alle proteste, vergognosamente silenziate e represse, pro-palestina ai cancelli. se pure non ci sono stati momenti istituzionali dedicati a focalizzare l'attenzione sul genocidio in corso, se pure di facciata si preferisce fingere che la cultura non abbia niente a che vedere con la politica - falso! - dal basso si è sentito che nessunə di noi ha dimenticato la questione di palestinese pure in un momento così festoso e - passatemi il termine, lo uso in senso positivo - leggero. dagli stand chiusi al più semplice "hai visto le notizie di oggi?", passando per magliette, spillette, disegni, slogan eccetera, moltissime persone hanno portato anche solo una piccola goccia d'attenzione verso l'orrore che non accettiamo e non perdoniamo.
perché il salone, come ogni altro spazio pubblico, è di chi lo attraversa, di chi lo anima, non solo di chi organizza o sponsorizza o parla da un palco. e questa cosa è stata una tra le più potenti, belle e significative di quest'anno.


e poi, vabbè, ho comprato un botto di libri bellissimi di cui non vedo l'ora di parlarvi!
ci si rivede qui a breve!

mercoledì 8 maggio 2024

donne che parlano

la libertà è una buona cosa, dice. meglio della schiavitù. e il perdono è una buona cosa, meglio della vendetta. e la speranza nell'ignoto è una buona cosa, meglio dell'odio per quel che conosciamo.
mariche resta stranamente calma. sincera e senza sarcasmo chiede a ona, ma e la tranquillità, la sicurezza, la casa e la famiglia? e la sacralità del matrimonio, dell'obbedienza, dell'amore?
non so niente di queste cose, di nessuna di queste cose, dice ona. se non l'amore. e anche l'amore, dice, per me è un mistero.

TW: stupro.

copertina di "donne che parlano" di miriam toews. su uno sfondo scuro si vedono le sagome di due ragazze, ritratte di spalle, che si abbracciano. i loro capelli - rossi e biondi - sono legati in un'unica treccia.

sono i primi giorni di giugno del 2009, siamo nella colonia mennonita di molotschna e otto donne, insieme a un uomo di nome august epp, si sono riunite in un fienile. hanno poco tempo per prendere una decisione importantissima e questa è una cosa che non hanno mai fatto. hanno sempre obbedito ai loro padri, ai loro mariti, ai loro fratelli, persino ai loro figli e, ovviamente, al loro pastore, ma non hanno mai deciso per loro stesse.
adesso, però, devono scegliere cosa fare per rispondere alla violenza feroce che hanno subito.
per settimane si sono svegliate doloranti e sanguinanti, coperte di lividi. alcune di loro sono rimaste incinte, hanno contratto malattie sessualmente trasmissibili. tra queste, alcune sono bambine, la più piccola ha solo tre anni. il pastore e gli uomini della colonia le hanno accusate di aver attirato satana per colpa dei loro peccati, hanno svilito il loro dolore dicendo che non cercavano che attenzioni o che volevano giustificare relazioni illecite. in realtà, erano proprio quegli uomini - mariti, fratelli, padri - che, con la complicità dell'intera colonia, ogni notte le narcotizzavano con un anestetico per animali e le violentavano.
gli uomini sono stati arrestati ma le loro cauzioni sono state pagate e ora stanno per tornare. alle donne è rimasto pochissimo tempo per decidere cosa fare: restare e, come chiede peters, il loro pastore, perdonarli? restare e, invece, rispondere alla violenza con altra violenza? oppure andare via, abbandonare la colonia e andare verso un mondo che non conoscono, libere di vivere sicure e senza doversi vendicare?

le donne di molotschna, proprio come prescritto dalle norme che regolano la colonia, non sono soltanto completamente subordinate agli uomini. non sanno leggere né scrivere e così, per redigere i verbali di questi incontri fondamentali per il loro futuro, chiamano august epp, un uomo gentile e mal visto dal resto della comunità, accusato di non essere abbastanza uomo, di non saperci fare né con le bestie né con le donne. epp ha vissuto fuori da molotschna per qualche anno a seguito della scomunica dei suoi genitori, ha conosciuto un po' di mondo, nel bene e nel male, e se è tornato alla colonia è solo per amore di ona, una delle vittime degli stupri. è lei che gli chiede di redigere i verbali, che gli dà un ruolo tanto importante, forse per la prima volta nella sua vita. sembra inutile scrivere per delle donne che non sanno leggere ma il compito di epp è prezioso per la sua stessa salvezza oltre che per il futuro di molotschna. ed è un compito prezioso per noi lettorə perché donne che parlano è proprio quei verbali, tradotti in inglese e incorniciati dalle considerazioni e dal racconto di august epp.

le donne - anziane e giovani, madri e sorelle - parlano e parlano, non per piangere sulle proprie ferite ma per riflettere sulle azioni che possono compiere nel rispetto della loro fede e della loro sicurezza. queste donne incolte, fuori dal mondo, che non hanno mai visto il mare e non parlano neppure la lingua del paese in cui vivono, che conoscono solo la legge di dio così come il loro pastore gliel'ha insegnata, donne il cui pensiero, la cui opinione non hanno mai contato nulla, che sono sempre state usate come fattrici fino alla sfinimento da uomini che le considerano meno delle loro bestie, parlano e parlano e parlano. e le loro parole svelano animi affatto semplici e rozzi, anzi! discutono di cosa dio si aspetta da loro, basandosi sulla legge d'amore e di perdono su cui si fonda la loro fede, discutono di cosa gli uomini si aspettano da loro, rifacendosi al solo modo che conoscono di stare al mondo. discutono di obbedienza, di autorità, di dovere e di inganno, discutono del loro futuro e del futuro delle loro figlie, possibili vittime, e dei loro figli, possibili carnefici.
il tempo guarirà i nostri cuori afflitti, dice. la nostra libertà e la nostra sicurezza sono obiettivi fondamentali, e sono gli uomini che ci impediscono di raggiungerli.
non tutti gli uomini, però, dice mejal.
ona puntualizza: forse non gli uomini in sé, ma una perniciosa ideologia che ha potuto impadronirsi del loro cuore e della loro mente.
e se dietro le loro parole non ci sono studi, non ci sono basi teoriche né ideologiche a cui aggrapparsi, allora le donne di molotschna ci dimostrano che il bisogno di giustizia, di libertà e di rispetto sono qualcosa di innato, qualcosa che non si può solo apprendere astrattamente ma che si impara a desiderare quando ne soffriamo la mancanza. le loro parole ci illustrano cosa vuol dire davvero fare politica dal basso, senza sofismi inutili, solo ragionando sullo stato delle cose in cui viviamo e cercando insieme il modo di migliorarle.
è proprio per la spontaneità delle loro idee, per la genuina necessità che spinge quei ragionamenti a formularsi forse per la prima volta, che le donne che parlano sanno dirci così tanto, sanno mostrarci quello che le ore e ore di corsi e lezioni e dibattiti e assemblee forse non riescono a dirci davvero. che è difficile trovare una risposta e che è doloroso riconoscere qual è la soluzione migliore a un problema, che non sempre i pensieri seguono - o possono seguire - una sola direttiva perché siamo creature multiformi, complesse e sfaccettate, con le nostre storie, i nostri legami, la nostra fede, le nostre abitudini. e che però, nonostante tutto, trovare la via giusta, la soluzione ai problemi, è possibile e in qualche misura inevitabile e che, altrettanto inevitabilmente, non esiste vittoria senza perdita.

miriam toews fa raccontare alle sue donne che parlano la comunità mennonita tanto bene perché lei stessa ne ha fatto parte. non drammatizza né romanticizza il male di questo sistema patriarcale stretto e claustrofobico, solleva le protagoniste dal ruolo di vittime passive, dà loro voce, una pluralità di voci che illustrano la complessità di un sistema di pensiero che a una prima, superficiale occhiata, potrebbe sembrare semplice se non addirittura primitivo. queste donne che parlano non si arrogano mai il diritto di prendere parola per conto di tutte le donne, non immaginano assoluti né universalismi eppure sanno raccontare emozioni e desideri assoluti e universali, riprendono inconsapevolmente le voci di milioni di donne che si sono ribellate e continuano a farlo ogni giorno contro i sistemi oppressivi in cui vivono.
siamo donne senza voce, afferma ona, pacata. siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. siamo mennonite senza una patria. non abbiamo niente a cui tornare, a molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici.
donne che parlano è un libro doloroso e terrificante, pieno di una rabbia che non sempre sa prendere forma né esprimersi a parole, eppure è, a suo modo, un libro luminoso e carico di speranza. perché fino a quando ci saranno delle donne a decidere di riunirsi e parlare insieme, a scegliere per il loro futuro, a comprendere i propri desideri e a sognare una vita migliore, allora quel modo migliore di vivere sarà un centimetro più vicino al nostro presente.

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