venerdì 19 novembre 2021

la mano sinistra del buio

farò rapporto come se raccontassi una storia, perché mi è stato insegnato da bambino, sulla mia terra natia, che la verità è una questione dell'immaginazione. a seconda di come viene raccontato, il più solido dei fatti può farsi fiasco o conquista: come l'ineffabile gioiello organico dei nostri mari, che si fa tanto più luminoso quanto più una donna lo indossa e, portato da un'altra, si offusca e si fa polvere. i fatti non sono più solidi, coerenti, rotondi e reali delle perle. ma entrambi sono delicati.

torna finalmente disponibile la mano sinistra del buio (sì, del buio, non delle tenebre, ha fatto strano per un po' ma alla fine va bene così) a cinquant'anni dalla prima pubblicazione italiana e finalmente sono riuscita a leggerlo, anche se nell'ultimo anno ero già riuscita ad approcciarmi a ursula k. le guin e all'ecumene con i reietti dell'altro pianeta e con il pianeta dell'esilio. ed è stato amore totale!
quindi l'uscita di questa nuova edizione è stata per me grandissima gioia, volevo leggere la mano sinistra del buio sopratutto perché è stato sempre il titolo di le guin più citato nelle lezioni di antropologia e mi aveva incuriosito capire come si poteva collegare la fantascienza all'antropologia, per definizione una così lontana dalla realtà e l'altra la più "umana" e terrestre delle scienze umane.

la mano sinistra del buio è un romanzo che in effetti non solo si presta a moltissime riflessioni, come dice nicoletta vallorani nella sua postfazione "è questo che insegna la creazione immaginaria, ipotizzare modi che potrebbero insegnarci qualcosa sul nostro", se proprio non insegna dà ottimi spunti per analizzare criticamente le nostre costruzioni sociali che si fondano sul più naturale dei dati di fatto - che nel romanzo invece non esiste, ovvero la distinzione in due sessi biologici (cosa su cui vorrei tornare più avanti). ma oltre a questo il racconto di genly ai, protagonista e voce narrante, spesso e volentieri prende il tono di una vera e propria etnografia del mondo alieno in cui si trova e che lui descrive dal punto di vista di un osservatore partecipante, attento a ogni aspetto della vita dei suoi ospiti, dal paesaggio naturale che li circonda alle loro abitudini di vita, dai cibi che consumano alle case che abitano, dalle città in cui vivono ai loro sistemi politici e alle loro pratiche rituali e religiose.
non so perché vallorani nella postfazione dica che le guin figlia è di un archeologo, alfred kroeber era in realtà un antropologo, allievo di quel franz boas che a cavallo tra '800 e '900 fu uno dei fautori della rivoluzione della disciplina, e anche sua madre, theodora kroeber, sbrigativamente segnalata come scrittrice, era psicologa e antropologa anche lei, autrice della biografia di ishi. sicuramente tutto questo ha influito sulla formazione e sulla sensibilità di le guin, e in questo libro è facilissimo coglierlo.
questo romanzo non è estrapolativo. se vi aggrada potete leggerlo, allo stesso modo di tanta altra fantascienza, come un esperimento di pensiero. [...] lo scopo di un esperimento di pensiero nel senso in cui questo concetto è stato usato da schröedinger e da altri fisici, non è quello di prevedere il futuro - addirittura il famoso esperimento di schröedinger dimostra che il "futuro", sul piano della fisica quantistica, non può essere previsto - ma su quello di descrivere la realtà, il mondo presente.
la fantascienza non prevede; descrive.
[...] le previsioni sono compito di profeti, chiaroveggenti e futurologi. non sono compito dei romanzieri. il compito dei romanzieri è mentire.
 dalla prefazione dell'autrice

la prima menzogna è quella che mette in piedi un futuro in cui l'umanità è capace di viaggiare nello spazio e ha colonizzato l'intera galassia. col tempo, sui diversi pianeti, gli esseri umani si sono evoluti divergendo in modo più o meno evidente dalla loro fisiologia originaria per adattarsi ai diversi ambienti. ad unire molti di questi mondi è l'ecumene, un'alleanza interplanetaria non funzionale esclusivamente al libero mercato ma votata allo sviluppo e alla cooperazione attraverso la condivisione di conoscenze (ciao globalizzazione, si poteva fare di meglio ma tu hai scelto il neoliberismo e quindi amen). in questo scenario si muove genly ai, inviato dell'ecumene sul pianeta gethen - conosciuto anche come "inverno" nella lingua di ai - per far conoscere l'ecumene ai gethiani e invitarli a farne parte. gethen è un mondo che non conosce ancora i viaggi spaziali, anzi, non sa nulla degli altri abitanti della galassia, neppure della loro esistenza. le parole di ai nascondono agli occhi dei gethiani tanto il rischio della perdita del loro potere, di diventare poco più di un feudo sotto un controllo più grande dei re e della commensalità - rispettivamente le due forme di governo dei due paesi in cui ai si trova a viaggiare - tanto quanto poco più delle farneticazioni di un pazzo pervertito. genly ai è in effetti l'unico maschio in un pianeta in cui la popolazione è, per buona parte della sua esistenza, androgina, capace di diventare maschio o femmina solo nel periodo del kemmer, i giorni in cui i gethiani sono fertili e possono riprodursi. ogni gethiano può assumere entrambi i ruoli nel corso della vita e quindi essere madre o padre dei suoi figli, o meglio può essere genitore diretto o meno della propria discendenza.

senza spoilerare troppo circa le vicissitudini di genly ai, quella che pare una bizzarria biologica fine a se stessa - che le guin spiega come una forma di adattamento a un pianeta dalle scarse risorse e con un clima rigidissimo al limite della sopravvivenza - dà luogo a una serie di conseguenze impensabili per chi è abituato alla dualità maschio/femmina. questa infatti non si può considerare solo nei termini biologici e riproduttivi, ma plasma ogni possibile forma di interazione sociale tra individui: dai ruoli sociali a quelli politici e religiosi, l'esistenza di un unico sesso - o meglio di un non-sesso se non per alcuni giorni e anche in quel caso non determinato una volta e per sempre - impedisce all'origine tutta una serie di concezioni stereotipate, coercizioni, violenze e privilegi di cui siamo saturi fino a non vederli e nei quali genly ai più volte, nelle sue osservazioni sul comportamento e sull'aspetto dei gethiani, cade. c'è un momento in cui l'inviato dell'ecumene dice che nei gethiani riesce finalmente a non vedere uomini o donne, a smettere di cercare quelle caratteristiche che gli permettono di incasellare qualcuno in una delle due categorie, ma semplicemente di trovarsi di fronte all'umanità.

se l'ecumene è espressione della visione politica dell'autrice, nella peculiarità sessuale dei gethiani credo si possa comprendere la sua concezione di femminismo, inteso come una tensione verso una parità così assoluta e naturalizzata da non dare alle differenze biologiche alcun peso.
tutto il romanzo è non solo un bellissimo racconto d'avventura e di una profonda amicizia ma - almeno dal mio personalissimo punto di vista - un manifesto politico e sociale, una descrizione di un umanità imperfetta certo, che non ha dimenticato ottusità e violenza, ma che potrebbe essere sulla strada giusta per ottenere una qualche forma di equità, cooperazione e giustizia sociale.
la fantascienza, come dice le guin nella prefazione, non prevede il futuro, però attraverso la possibilità di immaginarlo riesce a descrivere il presente soprattutto tramite le sue mancanze e i suoi bisogni. ripensare la letteratura fantascientifica, e più in generale fantastica, e tirarla fuori dalla sua nicchia da nerd, dalla definizione di escapismo di genere il cui unico obiettivo è offrire un paio di giorni di svago, potrebbe dare l'opportunità di immaginare alternative e ancor di più di imparare a trasformarle in risposte.

giovedì 4 novembre 2021

tekkon kinkreet

- ma se dio ha creato gli uomini...
- dio?
- sì! perché non li ha fatti tutti uguali?
- in che senso?
- grassi, magri, alti, bassi, simpatici, antipatici, sono tutti diversi! dio ci ha provato e si è sbagliato!
- "sbagliato?"
- si! quando ha fatto shiro, dio si era pentito di avere fatto l'ippopotamo con la bocca troppo grande. perciò a shiro manca qualche rotella nella testa... e anche a kuro. anche a kuro manca qualche rotella.
- dio si è sbagliato anche con kuro?
- sì! ma le rotelle che mancano a kuro, ce le ha shiro. ce le ho tutte io.


shiro e kuro non hanno i genitori, non vanno a scuola, dormono dentro una macchina, vivono per le strade del quartiere di takaracho, il loro quartiere.
non sono affatto due poveri orfanelli, sono i gatti, protettori del quartiere, famosi per la loro capacità di volare letteralmente da un palazzo all'altro e per l'incredibile violenza da cui sanno lasciarsi travolgere quando il quartiere è in pericolo.
e il quartiere, il loro quartiere, è davvero in pericolo, minacciato da uno yakuza che vuole trasformarsi in imprenditore e cambiare takaracho per il suo personale tornaconto, a qualunque costo, poco importa se questo significa continuare a inondare le sue strade di sangue e coinvolgere le bande locali in una guerra sempre più spietata, in cui shiro e kuro non esitano a buttarsi a capofitto, una guerra che prosegue senza enormi sconvolgimenti fino al momento in cui i due ragazzi non finiscono per essere divisi e l'equilibrio si spezza, portando a conseguenze inattese.

questa è grossomodo la trama di tekkon kinkreet, opera di taiyo matsumoto dei primi anni '90 che anticipa alcune tematiche del forse più celebre sunny, uscito qualche anno fa per j-pop (e adesso di nuovo disponibile) dopo un primo, fallimentare tentativo di pubblicazione da parte di kappa edizioni per la collana manga-san nell'ormai lontano 2008.


shiro e kuro, bianco e nero. i due protagonisti sono uno l'antitesi dell'altro, opposti e complementari, inseparabili. il primo è un ragazzino solare, che esprime le sue emozioni senza riserve, a volte, nonostante la durezza della vita in strada, fin troppo ingenuo, al limite del distacco dalla realtà. shiro sa di essere il soldato in missione sulla terra, il cui compito è assicurare la pace. e dove shiro volge gli occhi al cielo per confermare a qualcuno lassù che sta facendo bene il suo dovere, kuro tiene i piedi ben piantati per terra, è freddo e duro come la roccia, quasi incapace di provare emozioni se non per shiro, disposto a tutto pur di proteggerlo, pur di non cambiare nulla della realtà che li circonda.

senza perdersi in spiegoni e didascalie, taiyo matsumoto ci lascia vagare per tarakacho e tra i pensieri dei due ragazzini - difficile dire quale sia l'ambiente più surreale - mettendo in piedi un racconto di crescita (difficile definirlo di formazione) crudo e visionario in cui convergono quei topoi che fanno di sunny un'opera tanto amata come il conflitto tra l'infanzia e l'età adulta, tra i grandi sogni dei bambini e le meschinità dei più grandi, un conflitto che qui però si esplicita narrativamente e graficamente in molto poco metaforiche sprangate in testa e calci allo stomaco.


il racconto è tutto affidato ai dialoghi e ai pensieri dei personaggi, scambi di battute essenziali, a volte anche solo allusivi, in alcune situazioni persino incomprensibili, e non c'è spazio per una qualche voce narrante e questo - insieme alla straordinaria espressività dei disegni - rende la lettura incalzante, veloce quasi quanto i voli dei gatti sui tetti del quartiere.

rispetto a sunny però tekkon kinkreet ha in più un'estetica più sporca e visionaria che sembra voler conciliare insieme le stesse contraddizioni che animano shiro e kuro: takaracho sembra un incubo a metà tra una violenza decadente e disperata e un infantilismo gioioso e ingenuo in cui si susseguono architetture insensate e personaggi ai limiti del surreale.

per quanto abusata sia quest'espressione, è davvero un piccolo capolavoro e sono stata felicissima di essere riuscita a recuperarlo.
e adesso, in attesa della pubblicazione di number 5, mi aspetta anche gogo monster, di cui spero di riuscire a parlarvi a breve!