per noi «occidentali», soprattutto per noi europei, questa è l'occasione per sciogliere i nodi del passato coloniale e cominciare a saldare il nostro debito. è tempo di schierarsi contro la devastazione di gaza e ciò che resta della palestina, e di lottare contro un sistema internazionale fondato sull'uso della forza in nome di una cosiddetta «pace», evocata sempre a vantaggio di pochi e sempre usando le parole per mistificare la realtà di ciò che viene commesso.
provo ad andare indietro con la memoria ma non riesco a ricordare quando è stata la prima volta che ho sentito parlare della questione palestinese. la madre di tutte le ingiustizie - come dicono alcunə - è una di quelle storie che mi appartengono da sempre e che hanno contribuito a formarmi come persona, a strutturare l'impalcatura etica e ideologica che sostiene tutto il resto di quello che posso riconoscere come me stessa. però negli ultimi mesi, quasi due anni ormai, inevitabilmente la mia attenzione - come quella di moltissmə altrə - sull'argomento è cresciuta esponenzialmente. ed è per questo crescere dell'interesse - e del dolore e della rabbia - che ho conosciuto francesca albanese.
relatrice speciale ONU sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato dal 2022, giurista e accademica, francesca albanese è soprattutto una delle voci più lucide e forti tra quelle che si stanno spendendo pubblicamente contro il genocidio dellə palestinesə messo in atto dallo stato di israele (che - serve ricordarlo, ancora una volta, perché moltə fanno finta che la storia del popolo palestinese sia iniziata poco meno di due anni fa - ora si trova nella sua fase più feroce, ma che è iniziato quasi ottant'anni fa).
i suoi post, i video delle sue interviste e dei suoi interventi in giro per il mondo (nonché quelli in cui le vengono rivolte accuse tanto ridicole da essere immeritevoli di una qualche menzione) girano da mesi sui social network, contribuendo a fare di questi strumenti qualcosa di finalmente utile e fondamentale: albanese è riuscita a spiegare a tuttə cosa sta realmente succedendo nella martoriata terra di palestina, e come tutto questo sia condizionato - e condiziona - gli equilibri politici ed economici mondiali.
oltre che alla sua competenza stratosferica in materia, tutto questo è dovuto alla profonda e sincera umanità che traspare ogni volta dalle sue parole e dalla capacità di arrivare al nocciolo delle cose, senza inutili giri di parole, riuscendo così a toccare il cuore - e la testa - di chiunque.
mentre iniziavo a scrivere questo post, è arrivata la notizia delle sanzioni che gli stati uniti anno imposto contro di lei, nel vergognoso silenzio della politica italiana, a cominciare dal presidente della repubblica, incapace di pronunciare due parole su una cittadina italiana che da anni viene minacciata di morte per l'incarico - non lavoro, non viene neppure pagata per questo - che ricopre per l'onu.
proprio come dice albanese, questa è l'ammissione di colpa con cui l'occidente tutto sta dimostrando, ancora una volta, di essersi affidato a leader totalmente indifferenti al rispetto delle norme internazionali e in materia di diritti umani, interessati solo al mantenimento del potere e degli equilibri economici che li supportano.
e anche per questo, ancora più di prima, a lei va tutto il nostro supporto.
per quello che vale, io provo a raccontarvi il suo libro e a invitarvi a leggerlo.
quando il mondo dorme, il libro che ha scritto per raccontare il genocidio palestinese, è esattamente quello che mi aspettavo che fosse: bellissimo, semplice, profondo e toccante. dieci domande, dieci incontri, dieci persone che si raccontano per mostrarci cos'è la palestina, cos'è stata negli ultimi decenni e cosa è diventata adesso. tra le tante frasi che ho sottolineato in questo libro, ce n'è una che forse da sola basta a spiegarne l'esistenza: davanti alla connivenza dei poteri occidentali con gli abusi e i crimini di israele, davanti alle mistificazioni dei media e alle indecenti bugie che provano a continuare a propinarci
dobbiamo rispondere con consapevolezza e azione. il sapere è un'arma fondamentale, perché la conoscenza rappresenta la migliore difesa contro la manipolazione, lo sfruttamento e l'inganno; e l'azione dovrebbe scaturirne in maniera naturale.
ecco perché dare voce a chi vive la palestina e il genocidio. per comprendere e, quindi, resistere e agire insieme contro lo sgretolarsi del diritto che dovrebbe andare oltre ogni legge nazionale e dovrebbe proteggere tuttə noi, non solo come nuda esistenza ma come individui e popoli. e se permettiamo questa volta di distruggere il popolo palestinese, stiamo permettendo di distruggere quello che resta a dirci esseri umani. e stiamo anche permettendo che questo possa succedere poi in qualsiasi momento a chiunque.
francesca albanese mischia i ricordi dei soggiorni e degli incontri in terra di palestina e altrove, avvenuti nel corso della sua lunga carriera all'onu, insieme a quello che in quei luoghi è accaduto dal 1948 a oggi. racconta cos'è l'infanzia in palestina, con un primo, devastante capitolo che mi ha costretta a mettere giù questo libro più e più volte, perché nonostante tutto quello che abbiamo visto negli ultimi mesi, a volte il dolore è davvero insopportabile.
la storia è quella di hind, la bambina massacrata dai soldati dell'iof da centinaia di proiettili mentre chiedeva aiuto per telefono, nascosta nella macchina dei suoi zii, accanto ai loro cadaveri. la sua voce è una delle poche che abbiamo sentito, pochi minuti prima di essere assassinata dai peggiori criminali di questo mondo. quelle che non abbiamo potuto ascoltare sono le centinaia di migliaia di voci dellə bambinə che israele ha ucciso, imprigionato, torturato, picchiato, bruciato, mutilato e reso orfanə negli ultimi due anni di genocidio e nei quasi ottant'anni di occupazione. l'infanzia in palestina è qualcosa che infanzia non è: è paura, è lutto ed è dolore. israele, tra i tanti crimini che costituiscono l'impalcatura di apartheid su cui la sua esistenza stessa si fonda, nega allə bambinə palestinesi la possibilità di crescere, di studiare, giocare, imparare, curarsi, sognare.
attraverso la storia di abu hassan, un uomo palestinese conosciuto alla sua prima visita in palestina, francesca albanese racconta come si vive sotto l'occupazione israeliana: negazione di ogni diritto, incarcerazioni arbitrarie e senza processo, torture. una totale e continua sottrazione della libertà e del futuro in un regime di colonizzazione totale e deumanizzante. tutto questo si fa chiaro proprio attraverso lo sguardo di abu hassan, che si improvvisa guida di quei territori e che racconta storie quotidiane che si intrecciano con la storia - quella della cronaca e dei libri - degli accordi di oslo e del ruolo imbarazzante dell'anp. insieme a lui ci sono george e ibrahim, che permettono ad albanese e a suo marito di vedere gerusalemme con occhi inediti. guide alternative alle guide israeliane che non riescono a lasciare fuori la loro ideologia colonizzatrice e le loro bugie neppure davanti allə turistə. la divisione di gerusalemme tra il 1947 e il 1948 è il processo che dà l'avvio alla nakba e alla subalternità politica, civile e culturale a cui da allora sono costrettə lə palestinesə.
«welcome to israel!».«palestina occupata. è palestina occupata, questa parte qua» gli ho detto con un sorriso piccolo piccolo.lui ha ribattuto piccato: «la palestina non esiste, questo è israele».a quel punto ibrahim, che mi camminava accanto, gli ha chiesto animatamente: «e se la palestina non esiste, io cosa sono?»«tu non esisti»
a tutto questo, si aggiunge una cancellazione dolorosa del passato: francesca albanese parla del diritto negato al ritorno dopo l'occupazione del 1948, della distruzione delle vecchie case e dei vecchi villaggi palestinesi, rimpiazzati da nuove costruzioni o - ed è forse peggio - ancora esistenti ma abitate dai nuovi coloni, autorizzati a rubare case, terreni e memorie dalle leggi israeliane. israele ruba tutto, persino il cibo, affibbiando l'etichetta di tradizione israeliana alle ricette locali, uno dei tanti modi di normalizzare l'oppressione e il desiderio di annientamento della popolazione palestinese.
il suo mandato, che è iniziato nel 2022 e - per nostra fortuna - è stato confermato fino al 2028, è stato costellato di critiche e persino minacce (e, l'ho detto ma è importante sottolinearlo ancora, anche in questi giorni, dopo gli ultimi gravissimi fatti che riguardano albanese, il governo e lo stato italiano non hanno speso mezza parola di solidarietà per lei, posizionandosi dove ci aspettavamo che volessero rimanere). le accuse ricevute sono quelle di antisemitismo, giustificate - come spiega nel libro quando racconta della sua amicizia con alon confino, professore italo-israeliano negli stati uniti - da definizioni di "antisemitismo" che esulano dal suo reale significato e la trasformano in uno scudo dietro cui nascondersi per non rispondere alle critiche verso lo stato di israele e il suo regime di apartheid. quello che stiamo vedendo e vivendo in questi mesi è chiaro: qualsiasi simbolo riconduca all'esistenza della palestina e all'identità palestinese viene immediatamente accusato di essere espressione della minaccia contro l'esistenza stessa di israele e punito in quanto tale. come dice albanese
siamo arrivati a un livello di oppressione e rifiuto della ragione senza precedenti.
se israele è inattaccabile pure nel suo mettere in atto un'occupazione e un'oppressione sistematica e totalizzante sulla popolazione palestinese, con il consenso e il sostegno attivo dell'occidente. quella palestinese diventa nella narrazione globale una crisi umanitaria, spiega albanese, e non una questione politica che dovrebbe essere discussa e risolta attraverso le norme del diritto internazionale.
persino il 7 ottobre è stato visto come un attacco antisemita e non come la reazione a decenni di oppressione inumana.
normalizzare uno stato di emergenza, sistematizzando la fornitura di aiuti umanitari per proteggere nulla di più che la mera esistenza biologica di un popolo privato di ogni diritto, è il primo e fondamentale step per far sì che nulla possa cambiare. e che il cambiamento non debba avvenire per puro interesse economico è ormai un dato di fatto, confermato proprio dall'ultimo rapporto di francesca albanese.
ci sono altre storie in questo libro, e continuano a raccontare la storia di palestina, l'apartheid messo in atto con la complicità dei governi più potenti del mondo e il modo in cui è stato combattuto dal basso, per esempio attraverso il movimento bds - boycott, divestment and sanctions - che si è ispirato alle battaglie contro il regime di apartheid in sudafrica, fondamentali per la sua caduta, e che colpisce proprio "al cuore" di questo sistema, cioè la sua economica che, per usare le parole di albanese, si è trasformata da economica di occupazione e economica del genocidio.
c'è poi l'aspetto più immediato e violento del genocidio, quello che stiamo letteralmente vedendo ogni giorno dagli schermi dei nostri cellulari e - molto più raramente, in strettissima dipendenza al coraggio di alcunə giornalistə che si sottraggono alla scorta mediatica che sostiene israele - in tv: il massacro mirato verso lə civili, la distruzione di ogni struttura sanitaria, l'uccisione dellə operatorə sanitari e dellə giornalistə, il blocco degli aiuti umanitari, eccetera. ogni azione di israele va nella direzione in cui non soltanto debbano esserci più vittime possibili nel minor tempo possibile, ma anche in quella in cui nessunə possa testimoniare quanto succede.
il libro continua raccontando di medicə, ricercatorə e artistə, ed è proprio verso la fine che albanese racconta la storia di malak, l'autrice del dipinto che è diventato poi la copertina di questo libro. francesca albanese racconta di averla incontrata per la prima volta quando era solo una bambina e di averla ritrovata poi per caso, proprio grazie alla sua arte, e rivista a distanza di anni, durante il genocisio. malak è una dellə tantə profughə palestinesə e la sua storia è quella di tuttə loro: costrettə a fuggire e, allo stesso tempo, a difendersi da una sfilza di accuse che tradiscono il sentimento islamofobo - questo sì, reale - che l'occidente ha smesso di nascondere dall'11 settembre.
la storia di malak e le sue parole, sono forse il punto più luminoso del libro, quello in cui l'autrice lascia esplodere la speranza che ha seminato in tutte le pagine precedenti.
racconta come, nonostante le infinite sofferenze che sono costrettə a subire, abbia sempre trovato nel popolo di palestina la voglia di resistere, lottare, sperare e portare avanti i proprio sogni.
l'arte di malak è insieme denuncia e speranza, e le sue parole sono forse tra le più forti e preziose di quelle raccolte in questo libro:
«[...]sai perché ci odiano e vogliono distruggere qualsiasi aspetto dell'arte? perché l'arte è speranza. ecco perché hanno ucciso refaat alareer, che con le sue poesie dava speranza a tanti. la realtà più sconvolgente con cui si deve scontrare l'occupazione è che noi parliamo con il linguaggio dell'arte, che è il linguaggio più potente contro tutte le forme di disumanizzazione: riuscire a raggiungere altre persone con una poesia o un dipinto è il modo migliore di spazzare via tutti gli stereotipi. per questo penso davvero che l'arte sia pericolosa.»
forse ho scritto troppo e non so ancora se sono riuscita a rendere giustizia a quello che, secondo me, è uno dei libri più importanti e necessari di questo tempo assurdo.
francesca albanese spiega e racconta con una chiarezza e una lucidità che non hanno nulla a che fare con la superficialità, ma che anzi sono il risultato di una consapevolezza estremamente profonda oltre che di una sensibilità e di una forza gigantesca.
leggete il suo libro se siete interessatə a capire cosa sta succedendo in palestina, ma leggetelo soprattutto se pensate che non vi riguarda. se anche dopo continuerete a girarvi dall'altra parte, allora vi toccherà interrogarvi sulla vostra stessa umanità.
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