domenica 10 dicembre 2023

la strada

quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. come l'inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo.

scrivere di un libro così è difficilissimo perché ho sempre paura di dire troppo o troppo poco, o di finire per scrivere un sacco di banalità. come questa. però un libro così merita qualche riflessione.

il mondo de la strada è un mondo vuoto, freddo, grigio, spaventoso. è un mondo che sta morendo, immerso in una lenta, dolorosa agonia, sconvolto da un'apocalisse in corso d'opera in cui la pace della fine sembra sempre troppo lontana.
in un mondo così, dove tutto, persino i colori, è stato inghiottito dalla disperazione, un padre e un figlio camminano. seguono la strada guidati dalla speranza di raggiungere l'oceano - eletto a simbolo di salvezza - di sopravvivere, nonostante tutto, e dalla paura di non vedere un altro giorno.
intorno a loro, tutto è distrutto, abbandonato. tutto è fatica: camminare spostando le loro poche cose in un vecchio carrello della spesa, trovare il cibo, ripararsi dal freddo, pulirsi, riscaldarsi davanti a un fuoco senza essere visti.
sembrano essere rimasti soli al mondo ma ci sono altre persone che, come loro, seguono la strada. persone che, come il resto della realtà, sono diventate vuote, fredde, grigie e spaventose, persone che hanno perso la loro umanità, che si sono trasformate in creature pericolose e crudeli. la fame, la paura, la solitudine, le malattie e la rassegnazione hanno trasformato lə sopravvissutə - o almeno moltə di loro - ognunə nel nemicə di tuttə lə altrə.
chi sopravvive lotta solo per sé stessə, per strappare un giorno in più all'inevitabile.

il padre e il bambino, però, sono diversi. portano il fuoco.
nel mito di prometeo, il fuoco è quello che permette all'umanità non solo di difendersi dai pericoli ma di prosperare, crescere e diventare una specie unica. il fuoco rende gli esseri umani tali, li differenzia dall'istintività delle bestie, li solleva dal peso della sopravvivenza e permette lo sviluppo di una cultura complessa, di una civiltà dotata di leggi, anche morali.
portare il fuoco, qui, vuol dire custodire la propria umanità.
ma cosa può rimanere di quello che intendiamo con la parola umanità in un mondo che non somiglia più a nulla di quello che conoscevamo? che vuol dire essere umani quanto tutto quello che è la nostra società, la nostra cultura, le nostre leggi non esistono più, in cui la memoria del passato non sarà più utile al futuro? forse vuol dire continuare, in quel mondo grigio, morente e crudele, a provare a difendere quello che ci rende più che creature dominate dagli istinti.

il padre e il bambino non hanno nomi o, almeno, non li usano. se il nome è la cinta muraria che difende e definisce la propria individualità in una società complessa, qui i nomi non servono. ogni frase del bambino è rivolta al padre e viceversa, non c'è alcun rischio di essere fraintesi. l'identità si risolve nel contrasto noi vs. loro, nella differenza netta e incolmabile tra chi è ancora un essere umano e chi non lo è più.
eppure, anche tra loro c'è una linea di confine sottile ma ben definita: il padre sa che quel mondo grigio e crudele è l'ultimo che vedrà e sa che deve adattarsi all'orrore per permettere al bambino - ancora capace di speranza - di avere la possibilità di costruire un futuro nuovo, se mai questo futuro ci sarà.

nelle parole del padre ci sono i ricordi bellissimi e dolorosi di un passato perduto, di un mondo che suo figlio non conoscerà mai, una realtà fatta di calore, luce e colori. in quelle del bambino si alternano sogni, incubi, speranze e paure. lo sguardo del padre vigila sugli spazi circostanti, pronto a intercettare ogni pericolo, quello del bambino è rivolto all'interno, concentrato nell'arduo compito di trovare un senso a tutto.

se si dovesse scegliere una sola parola per definire questo romanzo, sarebbe straziante. la strada è un racconto scritto con una prosa secca che non si concede mai nulla più del necessario, nel bene e nel male, ma che non omette nulla. al contempo, non c'è alcun indugio né autocompiacimento nelle descrizioni né nelle scene più cruente: ogni orrore, ogni crudeltà sono frutto della paura e del bisogno tanto quanto della perdita di empatia necessaria a sopravvivere quando l'unica cosa che conta è rimanere aggrappati alla vita, momento per momento.

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