lunedì 30 marzo 2020

i gatti dei louvre

oggi mi è successa una cosa strana. ho visto un gatto.
stavo parlando della monna lisa e tra i visitatori c'era anche un gatto bianco. non saltellava in giro e non sembrava nemmeno intimorito. mi guardava attentamente, proprio come se stesse ascoltando...
probabilmente era rimasto affascinato dal dipinto.

cécile fa la guida al louvre, tempio della cultura occidentale, conosciuto in tutto il mondo, simbolo stesso dell'arte e della storia umana. un bel lavoro, certo, non quello che sognava ma, sì sa, a volte bisogna scendere a patti con i sogni, ovvio.
un bel lavoro ma monotono, ripetitivo, tutta quella massa di gente sempre diversa e sempre uguale che ogni giorno ti scivola sotto gli occhi, che ogni giorno si accalca davanti alla gioconda e ignora quasi del tutto il resto delle opere presenti nel museo. cécile è stanca di questa monotonia in realtà, è quasi sul punto di mollare tutto quando un giorno, durante una delle innumerevoli spiegazioni del dipinto di leonardo, tra la folla nota un gatto.
piccolo, bianco, per nulla impaurito dalla confusione, completamente a suo agio, attento e affascinato anche lui dalle sue parole, dall'immagine di cui lei sta parlando. è una visione quasi immediata, sfuggente, ma certa.


il gatto bianco è solo uno dei tanti che in segreto abitano il louvre: dopo aver conosciuto patrick, il nuovo custode, cécile fa la conoscenza di marcel, il più anziano dei custodi, figlio e nipote di altri custodi prima di lui. marcel custodisce il segreto dei gatti del louvre e si prende cura di loro.
non solo i gatti, c'è qualcos'altro che lega marcel al museo: quando era bambino, giocava per le sue immense stanze, tra le statue e i quadri con la sorellina, almeno fino al giorno in cui la bambina non scomparve misteriosamente. lui ha sempre creduto e sempre sostenuto che arietta fosse sparita dentro un quadro ma nessuno gli ha mai creduto. nessuno tranne cécile, che ora ha deciso di aiutare il vecchio custode a ritrovare la sorella perduta.

matsumoto aggiunge incanto a questa storia che sembra già una favola gotica, affascinante e spaventosa, con la scelta di rappresentare i gatti a volte con il loro aspetto di felini, altre volte, quando sono lontani da sguardi indiscreti, con forme antropomorfe. c'è il vecchio capo, anziano e malaticcio che non si alza mai da sotto la sua coperta, il cupo saracco, che non sopporta fiocco di neve e vuole ucciderlo, fiocco di neve, il gatto bianco apparso a cécile, che rimane sempre un cucciolo a dispetto del tempo, e il buon pertica, un gatto senza nemmeno un pelo, che fa da mamma a fiocco di neve e cerca di proteggerlo da saracco e dagli umani, sicuro come tutti che verrebbero cacciati all'istante se si scoprisse che vivono dentro il museo, proprio loro che al louvre ci vivono da generazioni e generazioni, da prima che diventasse un museo, da prima che fossero costretti a nascondersi.


taiyo matsumoto, dopo sunny, ci riporta in quei luoghi a metà tra realtà e sogno che ci hanno tanto fatto amare le sue opere, quei suoi mondi dove la più crudele delle realtà viene tinta con i colori tenui della poesia, e qui, più che nelle altre opere, si comporta più da autore occidentale che da mangaka, sopratutto grazie ai colori di isabelle merlet, riportandoci più alle atmosfere oniriche, allucinate e malinconiche di de crécy che a quelle cui gli autori nipponici ci hanno abituato.
mentre una bambina viaggia dentro i dipinti, i gatti discutono di vita e morte sui tetti di parigi e gli uomini scivolano lentamente in una realtà che non sono del tutto capaci di accettare e riconoscere, i capolavori del louvre - un po' come spettatori, un po' come protagonisti silenziosi - rendono ancora più magica e irreale questa storia.

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