mercoledì 3 dicembre 2025

le indegne

qualcuno grida nel buio. spero che sia lourdes.
le ho messo degli scarafaggi nel cuscino e poi ho cucito la federa di modo che stentino a uscire, che le zampettino sotto la testa oppure sopra la faccia (magari le si infilassero nelle orecchie per deporre le uova nei suoi timpani e sentisse le larve ferirle il cervello). ho lasciato delle piccole aperture perché possano sgusciare fuori lentamente, con fatica, come fanno quando li prendo (li catturo) tra le mani. certi mordono. hanno scheletri flessibili, si appiattiscono per passare attraverso fessure minuscole, sopravvivono senza testa per diversi giorni, resistono a lungo sott'acqua, sono affascinanti. mi piace stuzzicarli. taglio loro le antenne. le zampe. li infilzo con degli aghi. li schiaccio con un bicchiere di vetro per osservare attentamente quella struttura primitiva e brutale.
li bollo.
li brucio.
li uccido.


una donna scrive.
lo fa di nascosto, su fogli rubati, con inchiostro arrangiato. dopo piegherà per bene quelle pagine e se le legherà addosso, così che nessunə possa trovarle, perché scrivere è proibito e se la scoprissero la sua punizione sarebbe esemplare.
scrive parole cattive perché sono le uniche che possono descrivere un mondo cattivo come il suo.
all'interno della sacra sorellanza, lei è un'indegna, proprio come lo è lourdes, a cui ha promesso un disgustoso risveglio notturno.
scrive di speranze e di memorie, scrive della vita quotidiana della sorellanza.

quello che sappiamo di questa organizzazione e di tutto quello che accade tra le mura che la ospita - mura appartenute a un vecchio convento di monaci di cui non si sa più nulla, forse uccisi dalle malattie, forse assassinati - arriva proprio da questa sorta di diario, se diario si può chiamare lo scritto di una donna a cui è stato proibito tener conto del trascorrere del tempo. un diario senza date, un lungo flusso di coscienza che diventa testimonianza e insieme strumento della presa di consapevolezza della sua autrice.
senza fede, non c'è salvezza.
qui, le giornate trascorrono come una serie di sogni perversi e allucinati, fatti di pentimento, punizioni corporali, umiliazioni, paura e speranza miserabili. per l'anonima protagonista, il sogno più grande è di elevarsi dal ruolo di indegna e diventare un'illuminata per poter passare oltre quel portone sempre chiuso, lì dove solo chi è davvero pura può accedere.

la sorellanza è organizzata in una rigida gerarchia: al gradino più basso, le serve, i cui corpi sfregiati e malati impediscono di elevarsi a qualcosa di più. a loro spettano i compiti più umili e gravosi, e vengono guardate con sprezzante senso di superiorità dalle indegne, appena un gradino sopra, che possono però sperare di diventare elette o illuminate.
le elette - sante minori, diafane di spirito e auree piene - sono creature mutilate: accecate, con i timpani sfondati o con la lingua strappata, sono intermediarie tra i due mondi - terreno e spirituale - che si congiungono nella nuova, dolorosa forma dei loro corpi deturpati.
la loro è la dimensione della sofferenza e dell'obbedienza, che sono la loro missione: espiare, sacrificarsi giorno per giorno, offrire in dono il proprio dolore così da impedire altre catastrofi.
infine, ci sono le illuminate, con i loro corpi integri e perfetti, espressione di uno spirito puro che si è elevato, pur nel mondo materiale, fino al divino. vivono separate e nascoste dietro un enorme portone pesante, in un luogo altro e inaccessibile della casa. l'unica cosa che riesce a varcare la soglia è il loro canto.
sopra a tutte loro dominano due figure: la sorella superiora e ancora più in alto lui, l'unico uomo della casa della sorellanza, una figura distante, fredda e crudele.
l'uccello è morto guardando il cielo tra le foglie degli alberi. oppure guardando le stelle. è morto circondato di bellezza.
fuori dalla casa della sacra sorellanza, il mondo cade sotto i colpi di una crisi totale: il clima è al collasso e la società è completamente distrutta. privata di ogni possibile struttura, si è ridotta a un ammasso di persone che cercano di sopravvivere tra fame, caos e malattie.
chi dal mondo esterno arriva fino alle mura della sacra sorellanza può affrontare due destini: la morte immediata, se uomo, o una possibile consacrazione come indegna o come serva, se donna.
nello spazio intermedio, liminale, tra la casa e il resto del mondo, agustina bazterrica sceglie di collocare un bosco, il luogo per antonomasia di transizione e trasformazione, il luogo in cui passato, presente e futuro, causa ed effetto si ricollegano, i fatti diventano narrazione e ogni storia inizia davvero.

ne le indegne il bosco è molto più degli alberi che lo popolano, della luce che attraversa le loro foglie, della terra e dei pochi animali che ancora vi sopravvivono. dal momento in cui la narratrice-protagonista si ritrova a scriverne, il bosco si declina in qualcosa di più che uno spazio fisico.
le esperienze nel bosco - e la scrittura successiva di quelle esperienze - mettono in moto un concatenarsi di emozioni e ricordi che rivelano la storia di questa anonima cronista precedente al suo arrivo nella sacra sorellanza.
il bosco, da sepolcro degli affetti più cari, si trasforma in grembo di una ritrovata memoria e consapevolezza.

a catalizzare questo processo di metaforica morte-e-rinascita è lucía, una ragazza appena arrivata, attraverso il bosco, alla casa della sacra sorellanza.
lucía è, al contrario di chiunque altra, miracolosamente - e inspiegabilmente - incontaminata dalla crudeltà del reale che domina fuori e dentro le mura della sorellanza. tra le indegne, la sua umanità la fa apparire quasi come una creatura ultraterrena, una sorta di folle santa, o di strega, pronta a immolarsi rifiutandosi di partecipare a quel gioco mortale del tutte contro tutte che anima la casa della sorellanza.
il sudiciume che hanno assorbito dalla terra malata ha lasciato sul loro corpo stigmi permanenti, per ricordarci che la corruzione incombe su di noi e che le illuminate sono le uniche capaci di domarla. il sudiciume che si annida nella pelle delle serve, nelle loro cellule, è la rabbia del mare, la furia dell'aria, la violenza delle montagne, l'indignazione degli alberi, la tristezza del mondo.
vorrei poter analizzare pezzettino per pezzettino tutto il romanzo - che è, secondo me, incredibilmente bello e pregnante, anche più di cadavere squisito (che, chi mi conosce lo sa!, amo moltissimo) - ma non voglio spoilerare troppo la trama.
leggere questo libro è un po' come percorrere un percorso interiore di scoperta e riscoperta insieme alla protagonista, attraverso le parole, il pensiero e la scrittura. il suo diario è, da una parte, testimonianza di un'umanità post-storica, al capolinea di quel lungo processo di "progresso e sviluppo" che non ha tenuto conto dei suoi stessi effetti collaterali; dall'altra è, come dicevo, uno strumento di auto-analisi che permette alla donna che lo scrive di navigare all'interno del suo passato, di riscoprire i suoi traumi, di affrontarli e, così, superarli, riacquistando consapevolezza di sé e, di conseguenza, del sistema perverso della sorellanza.

le donne qui rinchiuse - serve, indegne, elette e illuminate che siano - sono succubi del topos (letterario e non) del fuori dalle mura è pericoloso, non si può uscire.
nel momento in cui questa negazione viene accettata totalmente da chi la subisce e, quindi, naturalizzata come unico modus vivendi possibile, chiunque la impone ottiene di poter imporre qualsiasi corollario a essa: non si esce dalle mura perché fuori è il male, e poiché vi è il male, bisogna espiare e purificarsi (nei modi raccomandati dalla legge o da dio o da qualsiasi padrone si sia accettato in quanto tale), così che il male non possa entrare.
così nasce una fede, una credenza totale e assoluta pur non supportata da alcun tipo di evidenza o di esperienza diretta della sua veridicità, così la sorella superiora e lui piegano menti già compromesse da ogni tipo di trauma, così di spezzano corpi già feriti e violati.

per spiegare la sua teoria sul funzionamento del potere (dello stato) foucault utilizza l'immagine del panopticon, la prigione progettata da jeremy bentham alla fine del '700: un unico guardiano, posto in cima a una torre, ha modo di osservare tutti i prigionieri - le cui celle sono disposte più in basso, in cerchio attorno alla torre - senza che questi sappiano con certezza se sono controllati oppure no. è questo controllo potenziale che instilla in loro la necessità di autocontrollarsi.
allo stesso modo, secondo foucault, il potere mantiene il controllo con pochi mezzi e poche energie semplicemente per il fatto di essere, almeno in potenza, pronto a punire o a premiare.
così, nella casa della sacra sorellanza, le consorelle - serve, indegne o elette che siano - vivono nel perpetuo controllo agito, se non dalla sorella superiora, da una qualche entità spirituale superiore: nessuna delle loro azioni sfugge al controllo, l'espiazione deve essere costante perché costantemente esposta a giudizio. e ogni fallimento altrui diventa uno scalino verso la propria elevazione.
nella casa della sacra sorellanza non ci sono rondini. non distinguiamo le stagioni, in una settimana possiamo viverle tutte e quattro fuse insieme, le une si compenetrano con le altre, si distruggono, il freddo dell'inverno congela una giornata primaverile, il caldo scioglie la pace autunnale, e tutte sono avvolte da un silenzio pungente che dilaga a un ritmo sempre più incalzante. il silenzio degli uccelli che ormai non cantano quasi più.
se nel primo romanzo arrivato in italia, cadavere squisito, la metafora cannibalismo/capitalismo era immediata e sconcertante, qui bazterrica costruisce il suo mondo distopico in modo più sottile, andando avanti e indietro nel tempo e nei ricordi e affidandosi a una sola voce (muta, senza filtri, senza paure che le impediscano di dire).
l'aspetto forse più incredibile di questo romanzo è proprio il modo in cui, man mano la protagonista-narratrice va avanti, cambia il suo modo di scrivere e quindi di pensare, di guardare a quello che la circonda, alle altre e a sé stessa.
la presa di coscienza c'è ed è pienamente visibile per noi che leggiamo, ma forse non lo è altrettanto per lei che scrive. e la traduzione di francesca signorello è riuscita a rendere perfettamente questo cambio di registro.

le indegne è un romanzo piccolino e si fa leggere in poche ore, ma spalanca voragini di riflessioni sul nostro mondo e sui collegamenti tra le tante crisi che stiamo affrontando: quella ecologica, quella sociale, quella economica. guerre, inquinamento, genocidi, distruzione dei diritti umani, misoginia e odio del diverso, chiunque egli sia, tutto partecipa al collasso prossimo, tutto minaccia un'umanità sconfitta da sé stessa, violata, impaurita da un mondo che se la gratta via di dosso.
e, in un futuro così, perdere sé stessə e riconoscersi come prede, non è poi così facile come credere a una nuova fede, a una nuova speranza addestrata con l'inganno e la sofferenza.

lunedì 1 dicembre 2025

gomìtolo 1 ~ novembre 2025


gomìtolo nasce da un insieme di ragioni che, nomen omen, si ingarbugliano tra loro fino a formare un unico malloppo di cose che, così come sono adesso, aggiungono alle mie giornate una punta d'amaro affatto necessaria.

la prima è che a me l'internet di adesso non piace. non mi piacciono i social e più passa il tempo e meno mi piacciono. ormai uso solo instagram e qui non vedo quasi mai quello che voglio vedere, solo un mucchio di pubblicità, video scicquacervello e inutilità varie. il proliferare di spazzatura fatta con l'ai ha peggiorato tutto ulteriormente, e mi passa la voglia di condividere cose su questa che però vorrei condividere. inoltre, so benissimo che quello che fotografo e scrivo viene penalizzato da un algoritmo che predilige contenuti che - in un modo o nell'altro - monetizzano, quindi ogni volta so che sto parlando contro un muro. un muro peraltro molto brutto.

la seconda è che ho poco tempo libero e quel poco lo passo più a leggere/guardare cose che a scrivere (anche perché scrivo già per lavoro, quando stacco vorrei staccare davvero) e così mi ritrovo con un sacco di libri e fumetti (e altre cose) di cui vorrei parlare, ma poche energie per fare delle recensioni soddisfacenti. accumulo pile di volumi che lo-lascio-qui-così-mi-ricordo-di-scriverne e post-it di promemoria attaccati allo specchio, e insieme crescono vaghi sensi di colpa perché non riesco a tenere il passo neppure con me stessa.

la terza ragione è che quando avevo sperimentato la newsletter mi era piaciuta l'idea di raccogliere le cose di un intero mese in un post, però anche substack non riesco a mandarlo giù, mi fa sentire in gabbia e in dovere di dimostrare qualcosa tanto quanto - se non di più di - instagram. avevo iniziato - ormai quasi vent'anni fa - a scrivere di quello che leggevo perché mi piaceva farlo e mi piaceva poi raggiungere qualcunə con cui parlarne.
adesso è tutto un ma quanti mi seguono? quanti like? quanti hanno cliccato il link nella storia? e quanti si sono iscritti? e quanti hanno ricondiviso? numeri su numeri, che diventano ancora più squallidi se inseriti in un certo tipo di dinamiche proprie dei social per cui ci si rimpallano i contenuti sempre e solo tra le solite persone "amiche" che lo fanno per un'"amicizia" che spesso e volentieri si traduce in un do ut des volto a far aumentare i (propri) numeri di cui sopra.
dinamiche di cui sono stufa marcia.

e siccome si torna sempre dove si è stati bene, "tornare" su claccalegge mi è sembrata l'idea migliore. ritagliarmi qui, in questo posto solo mio senza algoritmi e stronzate varie, un post al mese dove cianciare di tutto quello che non trova spazio nei post più classici di questo blog, che ovviamente continueranno a esserci.

quindi gomìtolo sarà l'erede di commenti randomici a letture randomiche, ma con dentro qualcosa di più. non so nemmeno io bene cosa. e andrà online più o meno una volta al mese, ma senza scocciare nessunə via mail, senza chiedere like, condivisioni eccetera.
i commenti, invece, quelli qui sul blog alla vecchia maniera, mi fanno sempre molto piacere. quindi se vi va...

ammetto di non essermi arresa, di sognare che spazi così siano, e saranno, l'ultimo baluardo dell'internet come spazio di condivisione - quella vera - e scoperta lontano dalla melma social e dall'infimo livello dei contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
se succederà, io sarò pronta. altrimenti, questo rimarrà un piccolo, minuscolo frammento di resistenza a tutto quello che sta avvelenando sempre di più uno strumento che avrebbe potuto aprire la strada all'utopia e invece è diventato la discarica del peggio dell'espressione umana.

e quindi, iniziamo a sgomitolare un po' di cose di questo novembre grigio, freddo e sfiancante.

ah, non ve l'ho detto ancora: gomìtolo si fa con le foto.
perché è vero che non mi piace instagram, ma è anche vero che mi piace un sacco fare le fotografie.
i due uccellini quasi-uguali-ma-non-troppo sono una fortunata coincidenza per questo libro.

parliamo di libri ~ tra le ultime letture notevoli (che in realtà risale a ottobre ma visto che questa rubrica nasce oggi, va bene ripescare un po' più indietro nel tempo) c'è sicuramente lizzie della cara shirley jackson (e mi sono appena resa conto, con orrore, che qui sul blog non ho mai scritto niente sui suoi libri! argh!).
credo che, insieme a ubik, sia stato il libro più divertente che abbia letto quest'anno. in lizzie shirley jackson più che raccontare una storia, ci invita a prendere posto davanti a un palcoscenico: qui un'anima si infila in un prisma e, tra mal di testa e insonnia, si scompone e diventa una serie di personnagge che si contendono il corpo, il ruolo, lo status e persino le amicizie della povera, originaria, elisabeth.
non credo che esista un romanzo in cui il sono in lotta con me stessə sia mai stato espresso meglio.
e poi, shirley jackson scrive da dio.

la cosa più bella dei minilibri è che te li puoi portare in giro facilmente

ho finalmente trovato il coraggio di iniziare a leggere sempre la valle di nostra signora ursula k. le guin, libro che mi spaventa non tanto per la sua mole ma per il contenuto. ne parlerò più avanti, quando l'avrò finito, ma intanto vi dico qualcosa di questi due minilibri qui.
la mole di sempre la valle non mi spaventa ma sicuro non lo rende agevole da portarsi in giro e da leggere in autobus, e siccome non mi piegherò mai agli ebook, che aborro e continuerò ad aborrire per sempre, ho deciso di alternare la lettura con qualcosa di più maneggevole.

così, in questi giorni ho letto questi due minilibri che aspettavano da millenni sul mio scaffale.
il castello di crowley di elisabeth gaskell mi è piaciuto da matti. l'autrice racconta la storia della famiglia crowley così - ci dice - come le è stata raccontata proprio dal custode di quel castello ormai in rovina, sperduto nelle campagne del sussex. la storia è quella del vecchio crowley, della sua bellissima e svenuturata figlia theresa e della sua nutrice victorine, di origini francesi come la compianta lady crowley. victorine, che ha badato a theresa fin dai suoi primi giorni, ha per la sua diletta un amore che sfocia nell'ossessione, e non c'è un suo solo desiderio che la vecchia nutrice non è disposta a esaudire. espresso o meno che sia. ed è questo amore malato il motore di tutta la vicenda, il perno attorno cui ruota una spirale destinata a sprofondare nei più oscuri recessi dell'animo umano e a trascinare con sé ogni dono del destino.

il rifugio di grazia deledda, invece, ha avuto in sorte la peggior cura possibile dall'editore che l'ha pubblicato. semplicemente: non c'entra quasi nulla con quello che potete leggere sulla quarta di copertina (e, in realtà, è anche più bello e più profondo di come l'hanno presentato).
è, invece, un racconto tutto incentrato sulla dicotomia inconciliabile tra l'amore egoistico, che punta al soddisfacimento di ogni proprio desiderio, e l'amore romantico, che se pure non sempre conduce a una vita felice, appaga quantomeno il bisogno umano di amare ed essere amatə davvero, fosse anche solo per un giorno.
tornando alla sinossi dell'editore, la prima cosa che ho pensato è che abbiano cercato di presentare questo racconto come qualcosa di più leggero e catchy, più vendibile insomma. ed è triste che ogni cosa, anche quella che non è necessariamente pensata per finire sul booktok (fenomeno di cui riconosco i pregi, tra i quali quello innegabile di aver fatto scoprire i libri a un sacco di ragazzə, ma anche i difetti, e cioè l'aver contribuito a un appiattimento brutale dell'offerta editoriale negli ultimi anni) debba essere banalizzata solo per poter acchiappare qualche lettorə distrattə in più.
almeno chi li fa, i libri, dovrebbe trattarli con un po' più di rispetto.

prima o poi doveva succedere - in foto solo dal volume 14 in poi perché i primi tredici al momento stanno giù a palermo
(e probabilmente ci resteranno, per ovvi motivi di spazio)

cambiando genere di letture, in queste settimane ho iniziato il recuperone di one piece. non averlo mai letto (e non aver mai visto l'anime) era una lacuna gigantesca e vergognosa nella mia seppur mediocre cultura fumettistica, ma soprattutto ammetto che ad accendere la scintilla del desiderio di leggerlo è stato vedere sventolare la bandiera con il jolly roger di monkey d. rufy in diverse manifestazioni.
non essendo una grandissima amante delle storie d'avventura e di viaggio, non avevo mai pensato che mi sarei interessata a one piece, ma allo stesso tempo ho un debole per i pirati e per quello che hanno sempre significato: la guerra dichiarata ai poteri costituiti, allo status quo, all'oppressione dei più forti sui più deboli, alle prepotenze mascherate da leggi.
e più leggevo che moltissimə fan del manga dichiaravano di apprezzarlo proprio perché incarna questi principi, più mi convincevo che dovevo recuperarlo.

pirati che ci ricordano che non esistono poteri buoni

ovviamente, parlare della storia non avrebbe senso - soprattutto adesso che sono indietro di svariati lustri rispetto a chi la segue fin dal principio - ma volevo dire due cose: la prima è che one piece è un manga divertentissimo e scritto davvero bene, uno di quelli che ha dei personaggi di cui ti innamori alla prima vignetta e un ritmo che ti cattura e ti tiene incollatə alle pagine volumetto dopo volumetto (infatti ne ho circa altri venti da leggere oltre questi qui in foto, bisogna tenere una buona scorta in casa).
e la seconda è che davvero c'è tanta bella roba dentro: non soltanto l'accettazione entusiastica dellə diversə e dellə emarginatə, ma soprattutto c'è l'idea che si possa lottare con ogni mezzo per i propri sogni e i proprio ideali contro l'autorità, l'ingiustizia, la corruzione, la prepotenza, il potere in ogni sua declinazione.

fino ad adesso mi hai convinta, caro eiichiro oda. non vedo l'ora di andare avanti.

un po' di ultime letture e i miei pupazzi bellissimi

non parlo quasi mai delle serie che seguo, però in questo spazio c'è modo di rimediare. qui, in realtà, c'è anche un primo numero, the fragrant flower blooms with dignity (che è un titolo un po' di merda, diciamolo), e comincio proprio da questo qui. mi sono sciroppata tutta la prima stagione dell'anime con un entusiasmo che si è andato sempre più afflosciando man mano che andavo avanti. mi sono detta che era colpa dei ritmi propri di una trasposizione animata - francamente lentissima - e che però la storia di fondo meritava una seconda possibilità. the fragrant flower blooms with dignity inizia un po' come una versione più tenerina di toradora (mammamia quanto mi piace toradora!), lui, rintaro, è praticamente uguale a ryuji, stessa aria da cattivone e stesso cuore d'oro. lei, kaoruku, è una taiga bruna a cui manca tutto quello che rende taiga adorabile, ma resta comunque carina. bonus: si piacciono da subito e non cercano di nasconderlo troppo. almeno, ci siamo evitatə tutta l'odiosa manfrina del non posso accettare i miei sentimenti nemmeno davanti a me stessə. mi era piaciuta moltissimo anche l'attenzione allə personaggə secondariə, non fosse per subaru e il suo mega trauma, in realtà del tutto inconsistente, buono solo a dimostrarsi odiosa per buona parte della prima stagione dell'anime.
insomma, pregi e difetti che, nel momento in cui ci si libera dall'obbligo di dover seguire i tempi insopportabilmente lunghi dell'anime, si tengono abbastanza in equilibrio da voler dare una possibilità al manga. vedremo come va avanti.

pensavo che non avrei mai visto il numero 9 di hirayasumi e invece, eccolo qui. non so perché, ero convinta che la serie fosse in hiatus... hirayasumi è uno di quei manga in cui grossomodo non succede nulla, ma la quotidianità dellə personaggə è raccontata così bene che ti fa pensare a quante cose memorabili ci accadano continuamente senza che ce ne rendiamo conto. e a me, che sotto sotto sono un cuoricino di burro, questo genere di storie mi emoziona.
a volte penso che gli slice of life siano il tipo di storie perfette per chi vuole scappare dalla solitudine, perché aprono a un mondo in cui ci si può immergere completamente, un mondo fatto di vite semplici e tremendamente vere. forse è un po' triste o forse è soltanto straordinariamente bello. decidete voi.

natsume degli spiriti è ormai incagliato da secoli lontano dalla sua trama verticale, quella legata al libro dei nomi, alla nonna reiko, al rapporto tra natsume e madara/nyanko-sensei, e continua a riavvolgersi su sé stesso in una sfilza di episodi sempre molto carini e sempre molto dimenticabili, tra mille personaggə che continuano a recitare il loro ruolo ma che non approfondiamo mai davvero. in ogni caso, nonostante io sia perfettamente consapevole di tutti i suoi difetti, resta una delle mie serie preferite, soprattutto negli episodi che mettono in scena il difficile rapporto che si viene a creare tra yokai e esseri umani, creature diverse nel profondo, che vivono in due mondi paralleli che solo in alcuni punti si sfiorano e che, comunque, riescono a creare dei legami così profondi da essere struggenti - per chi li vive e per chi li legge.
da un certo punto di vista, spero che la sua serializzazione continui ancora a lungo, da un altro vorrei proprio che yuki midorikawa la smettesse di divagare e tornasse a focalizzarsi su quello che era il nucleo principale della storia.

scattino in alto per kaiju girl caramelise che con questo ottavo volume, invece, riesce a portare avanti la storia in un modo che, all'inizio, non mi sarei mai aspettata. spica aoki è riuscita a presentarci una storia in cui una ragazza molto carina si trasformava in un grosso lucertolone in stile gozilla quando non riusciva a tenere a bada le emozioni, ed è finita per mettere in scena una storia fantasy fatta di isole sconosciute e creature sovrumane accanto a dellə personaggə che scardinano completamente quella rigida gerarchia di sentimenti a cui lo shoujo manga ci aveva abituatə - amore romantico uber alles!
il tono leggero e lə personaggə a volte un po' assurdə - un circo di non conformità assolutamente meraviglioso! - non riescono a smorzare la sensazione di vedere cuoricini rosa luminosi tra le pagine e a me tutto questo piace da impazzire. e mi piace anche non riuscire assolutamente a immaginare cosa succederà nei prossimi capitoli.

si torna sempre dove si è stati bene (cioè nei libri di turconi&radice)

per lucca c&g è uscito ávila, il nuovo fumetto della coppia di autorə del mio cuore, teresa radice e stefano turconi, e ho avuto modo di recuperarlo a una presentazione qui a bologna (a cui sono arrivata tardissimo - grazie per questi cantieri o v u n q u e che trasformano un tempo di percorrenza di 15 minuti in un viaggio di un'ora e mezza, è bellissimo, soprattutto la mattina per andare a lavoro) e di farmelo anche dedicare (segue foto).
ávila è un po' una classica storia di stregoneria: donne troppo colte, intelligenti e meravigliose per essere sopportate dagli uomini (soprattutto quelli di chiesa, strana coincidenza che torna spesso in racconti anche diversi) che si ritrovano a lottare tutta la vita semplicemente per poter essere sé stesse e per stare accanto a chi amano. separata da piccolissima da sua madre, ávila passa tutta l'adolescenza a cercarla, in compagnia di un personaggio decisamente bizzarro che è (quasi) sempre con lei.
viaggi, incontri, coincidenze, racconti nel racconto, il meglio e il peggio di quello che gli esseri umani possono essere e, per non farci mancare nulla, anche qualche meraviglioso riferimento visivo a opere d'arte dello stesso periodo storico (alzi la mano chi, a un certo punto, ha urlato "la lattaia!").

come ho detto, io ho un debole per turconi&radice (sul blog trovate degli articoli su viola giramondo, il porto proibito, orlando curioso vol. 1 e 2, non stancarti di andare, pippo reporter, tosca dei boschi, la terra, il cielo, i corvi, le ragazze del pillar vol. 1 e 2) e per il modo in cui raccontano e disegnano le loro storie, per lə personaggə che creano - che hanno sempre un po' quel retrogusto "disney" che non saprei definire in altro modo. sono storie che mi danno emozioni simili a quelle che si provano a guardare le foglie illuminate dal sole, per intenderci.
unica cosa che mi ha un po' fatto storcere il naso con ávila è stato il finale (spoiler - se volete leggere tocca evidenziare il testo - ma perché le mamme più buone e belle e dolci e affettuose devono morire? e perché devono farlo proprio quando riescono a trovare la felicità e a tornare con chi amano? va bene l'influsso disney, però a volte anche meno, un lieto fine totale qui sarebbe stato perfetto)

mi emoziona sempre un sacco guardare la gente - brava - che disegna e che con qualche movimento di penna, così preciso e sicuro, riesce a
far nascere dal nulla una cosa così bella (sì, ovvio che è anche invidia)

tra le ultime letture, poi, c'è stato l'ultimo numero di fangirl. non mi voglio dilungare troppo perché il finale mi è piaciuto ma avrei voluto che fosse un po' meno aperto, che andasse un pelino più avanti. perché immagino che poi tutto vada per il meglio, però oltre che immaginarlo, avrei voluto leggerlo. adesso mi tocca assolutamente leggere il libro, che mi aspetta pazientemente da quando ho letto il primo volume dell'adattamento a fumetti...


sono riuscita finalmente a recuperare paperino e la regina fuori tempo, una raccolta con le storie più recenti - scritte da bruno enna e disegnate da giada perissinotto - dedicate a paperino e reginella, credo l'unica ship per me davvero importante, che mi porto dentro da sempre (sì, mi spiace, a me paperina sta antipatica, ho sempre fatto il tifo per la sovrana di pacificus). in questa storia paperino e reginella sembrano incontrarsi per l'ultima volta - oddio, spero di no! - e tagliare definitivamente il legame che lega l'uno all'altra, sopravvissuto ad avventure, viaggi nello spazio e nel tempo e a ogni sorta di condizionamento psichico e cancellazione della memoria.
i disegni di giada perissimotto sono meravigliosi e reginella rivisitata in questo stile a metà strada tra disney e manga è, se possibile, ancora più adorabile del solito. l'unica critica è che si parla del legame tra lei e paperino come di "amicizia" e "affetto", quando è chiaro pure alle pietre che la loro è la storia d'amore più bella e drammatica di tutte quelle mai apparse su topolino e altre testate affini.
odierò sempre e per sempre la politica del per carità di dio, non turbiamo lə bambinə con la storia di unə personaggiə che si innamora di qualcunə che non è lə suə fidanzatə di sempre.
sigh. .

ho bisogno di un poster con questa illustrazione, è troppo bella ♥

e, per chiudere con i fumetti, vi segnalo l'intervista a štěpánka jislová che ho fatto per gli audaci. vi consiglio di leggerla perché stretta al cuore è un fumetto davvero bellissimo e profondo. mentre lo leggevo, mi sono ritrovata così tante volte in tante frasi che mi è venuto voglia di abbracciarlo. o lanciarlo contro un muro e poi raccoglierlo a abbracciarlo.


intanto, continuo il mio rewatch - che va un po' a rilento perché il tempo libero è sempre meno di quello che vorrei - di my little pony ~ friendship is magic. sono arrivata all'inizio della terza stagione e lo amo esattamente tanto quanto l'ho amato la prima volta che l'ho visto.
in realtà non sono mai riuscita ad arrivare alla fine, mi sono fermata (non ricordo neppure perché) da qualche parte durante la sesta stagione.

e sto continuando a guardare la seconda stagione di fionna and cake, che adoro al punto tale che ho messo la sigla come suoneria del telefono (se mi chiamate e non rispondo subito è perché mi piace troppo per interromperla per rispondere). e mi piace un sacco anche non poter bingewatcharla, che si traduce in un non dover bingewatcharla. come siamo riusciti a iniziare a pensare persino il guardare le serie tv come qualcosa che deve essere performativo?

l'inizio di uno dei momenti più felici della settimana

altre due cose, forse molto banali, ma ci tenevo a scriverle, perché per quanto piccolo sia lo spazio a cui affidiamo le nostre parole, e per quanto piccolə sia chi le scrive, è importante evitare che quello che pensiamo venga fagocitato da una realtà sempre più incattivita e distopica (e penso anche che sia meglio scriverlo dove gli algoritmi e le censure dei social possano fare poco).

l'8 ottobre scorso israele ha accettato formalmente la richiesta di cessate il fuoco ma da allora a oggi ha attaccato quasi 500 volte, tra bombardamenti, droni e cecchini (a gaza, ma anche in cisgiordania e in libano), ha ucciso più di trecento persone - tra cui, come sempre, moltissimə bambinə - ma è riuscito nel suo intento di silenziare ancora di più il genocidio in atto ormai da più di due anni. i conteggi peggiori - e probabilmente più verosimili - parlano di centinaia di migliaia di morti, mentre migliaia di persone sono scomparse, anche perché intere famiglie sono state letteralmente cancellate e non resta neppure a denunciare le uccisioni.
e allora, almeno questo no. se non possiamo fare altro, almeno scriviamo ovunque quello che sta succedendo. non restiamo in silenzio mentre ci chiedono di far finta di nulla, mentre anzi costringono una città a vivere una giornata di assedio militare - come è successo qui a bologna per una partita di basket (!) - per compiacere questi assassini maledetti, mentre fanno di tutto perché i loro uffici stampa facciano girare notizie inutili solo per distrarci.
non distraiamoci. non giriamoci dall'altra parte.

foto di qualche manifestazione fa

la seconda cosa è che il 25 novembre è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, tutto un fiorire di scarpe e sciarpe e altra roba rossa, e bei (spesso anche bruttissimi) discorsi. sappiamo come il governo sta gestendo questo problema epocale - cioè, non sta gestendo niente, perché ai fascisti la violenza piace troppo per poterla arginare - ma volevo concentrarmi su una cosa: le donne disabili non esistono nemmeno simbolicamente in queste iniziative. tacchi alti (rossi) e scale (rosse) raccontano solo un tipo di corpo, mentre tutti gli altri vengono ancora una volta cancellati, rimossi, invisibilizzati. eppure, le donne disabili sono più esposte al rischio di violenza - e sono più spesso vittime di violenza nei fatti. sono meno libere di denunciare e meno credute quando lo fanno.
non facciamoci insegnare dagli spazi istituzionali come dobbiamo raccontare le lotte perché a loro non importa nulla. lasciamo in pace quella povera vernice scarlatta e iniziamo a sensibilizzare davvero sulla violenza che tutte (questa volta sì, ha senso scriverlo) le donne subiscono.

olivia e ruffola insieme

e per chiudere con un tono un po' meno cupo, vi lascio una foto arrivata da casa per immortalare un momento agognato da più di due anni: i miei amori finalmente una accanto all'altra! ♥ ♥ ♥ è una fotografia così bella che non potevo non pubblicarla anche qui!

è venuto fuori un papiro ma non mi sento di dovermi scusare, anzi. novembre è sempre un mese infinito, quest'anno mi è sembrato ancora più lungo e pesante (e, ancora, non riesco ad abituarmi all'inverno qui a bologna. il freddo mi uccide e, dopo un po', non vedere il mare neppure per un momento né da lontano, fa mancare l'aria). e quindi avevo bisogno di mettere giù da qualche parte almeno le cose più belle (e quelle più importanti, almeno un po').

se siete arrivatə fino a qui - anche saltellando da un paragrafo all'altro - grazie! avete passato del tempo su internet e non su una piattaforma social, l'universo è un po' migliore anche per merito vostro (e io sono molto felice). se vogliamo alzare ancora un po' di più l'asticella, lasciatemi un commento qui sotto, anche solo una domanda, un consiglio, un "ciao clacca!", un cuoricino, quello che vi pare.
tiriamoci fuori tuttə dalla prigione social, ricominciamo a chiacchierare delle cose che ci piacciono - e se non possiamo farlo insieme davanti a un tè, facciamolo fuori dal peggio dell'online.

ciao, ci si rilegge alla prossima recensione e al prossimo gomìtolo!

mercoledì 19 novembre 2025

organica

perché dovevamo occupare il tempo parlando di cose brutte, se non ci riguardavano?


vivere da sola, per una giovane donna con un figlio piccolo, è difficile. ma è ancora più difficile se la città in cui questa giovane donna vive è una di quelle tenute sotto controllo dal go e dalla jester.
il go è l'ente governativo - ente non a caso: non ci sono facce né nomi, nessuna parvenza di umanità, solo un' informe entità lontana dalla gente comune che osserva, controlla, stabilisce norme e punisce chi le vìola. la jester, invece, è nulla più che un'agenzia di marketing.
il go ordina di produrre e consumare, e controlla cosaquantocome viene prodotto e consumato. la jester instilla desideri e bisogni.

la giovane donna con il figlio piccolo, invece, si chiama ruth.
si è emancipata da poco più di un anno, vive da sola e deve riuscire a mantenere sé stessa e suo figlio, il piccolo sweet. perché qui, nella città senza nome, nessunə deve contare sull'aiuto dellə altrə una volta superati i sedici anni. bisogna seguire il percorso che il go ha deciso per ognunə - quali studi, quale carriera - sposarsi, magari, e mettere al mondo lə figliə, assicurandosi di poterlə mantenere fino a che, a loro volta, non possano emanciparsi.
non sono ammessi fallimenti, non è tollerata l'incapacità: lavorare-produrre-acquistare-consumare. fino alla pensione.

la metafora è così chiara che è superfluo ogni commento, ma in organica il concetto di se usi gratis un prodotto è perché il prodotto sei tu si fa drasticamente estremo: il prodotto da usare gratis, qui, non è altro che il semplice fatto di essere al mondo. e l'essere trasformatə in prodotto non è un'iperbole ma la reale sostanza delle cose. in organica, i corpi diventano letteralmente moneta.

la lunga scena in cui ruth si procura il materiale organico che venderà per acquistare il latte in polvere per il piccolo sweet - scena su cui si innestano i racconti collaterali di questa storia, che ampliano il nostro orizzonte sulla città senza nome - è ansiogena e disperata, resa ancora più atroce dal latte che sgorga più e più volte dai suoi seni e che lei si rifiuta di fare bere al figlio perché considerato poco più che un'insignificante brodaglia, il succo marcio di un corpo ammalato da una vita orrenda, che si trascina nella vergogna e nell'avvilimento.
ma, forse, l'unica scintilla di speranza che marinelli ci concede si accende all'ombra dei nomi dellə personaggə: ruth, diminutivo di ruthless, spietata, riversa invece tutta la sua pietà, la sua compassione e il suo amore sul piccolo sweet, l'unico nel libro ad avere un nome in cui riecheggia uno di quei sentimenti ormai persi dal mondo in cui è nato.

l'ipercapitalismo nella visione di marinelli è portato alle sue estreme conseguenze fino a far diventare la solidarietà, l'improduttività e il fallimento - anche solo momentaneo - crimini da punire con la più alta delle pene. e se sembra assurdo, basta dare uno sguardo alla cronaca per rendersi conto di quanto poco tutto ciò si discosti da quello che abbiamo imparato ad accettare.

non è un caso se il genere distopico è quello attraverso il quale riusciamo più facilmente a immaginare il nostro futuro. non è un caso e non è affatto rincuorante che le distopie degli ultimi decenni sono sempre così tanto plausibili, sempre così tanto simili alla realtà che viviamo da essere poco più che metafore crudeli della vita di ogni giorno. non si tratta più di dar forma a paure lontane ma di lucidare lo specchio su cui si riflette l'orrore quotidiano che - inspiegabilmente - moltə non riescono a vedere.

e se organica non sconvolge come dovrebbe, è solo perché abbiamo ormai fatto esperienza di così tante distopie in cui l'umanità è completamente piegata al potere fino al punto di annullarsi, che poco resta ormai a sorprenderci. e la stessa ruth sembra poco sorpresa, o meglio, fin troppo rassegnata: non c'è alcun processo di presa di consapevolezza né di lotta contro il sistema perverso in cui è imprigionata, se non un brevissimo sfogo in cui emerge la sua convinzione che non lei ma solo qualcuno con più potere di lei avrebbe potuto cambiare le cose. in lei non rimane nessun accenno all'umanità perduta, neppure un confuso sospetto di come le cose avrebbero dovuto essere. né arriva un pietoso proiettile alla schiena a salvarla dall'ineluttabilità della sua condizione.

il mondo descritto da laura marinelli in organica non è soltanto una cupa fantasia, ma un'increspatura attraverso cui osservare la deriva delle nostre strutture culturali, barcollanti sotto il peso dei nostri errori. un mondo orrorifico in cui materia ed essenza umane sono pervertite oltre i limiti che, ad oggi, abbiamo imparato ad accettare.

venerdì 14 novembre 2025

luna fredda su babylon

il fiume styx, per la lentezza della corrente e la frequenza di banchi di sabbia, pozze stagnanti lungo le sponde e rami morti, è infestato dalle zanzare, sanguisughe e serpenti. tutta quest'area della contea di escambia è scarsamente popolata, a maggior ragione lungo i fiumi, dove non vive quasi nessuno. per costruire, la gente si sposta sui terreni più elevati, lontano dagli insetti e dalle frequenti esondazioni primaverili. sebbene lo styx si snodi per oltre quattro chilometri, soltanto quattro persone abitano sulle sue sponde. una di queste è un'anziana nera la cui baracca si trova pericolosamente vicina alla confluenza del perdido. la donna è sorda e pazza.
gli altri tre stanno appena oltre l'unico ponte sul fiume. la vecchia evelyn larkin e i suoi nipoti, jerry e margaret, che vivono lì per i mirtilli.

dopo la saga di blackwater, gli aghi d'oro e katie, era ovvio che il mio hype per un nuovo romanzo di michael mcdowell sarebbe stato enorme.
ed è per tutto questo hype che mi duole ammettere che se con blackwater mi ero innamorata e se gli aghi d'oro mi aveva convinta tantissimo, già kate mi aveva entusiasmata un puntino di meno e luna fredda su babylon non ha fatto rialzare l'asticella.

quella di luna fredda su babylon è una storia di omicidi brutali, di avidità e di vendetta - e in questo ricorda un po' katie - e di fantasmi, mentre l'ambientazione riporta alla mente blackwater: le sponde di un fiume - lo styx, nome decisamente evocativo - il suo letto fangoso e le sue acque a tratti tumultuose e inquietanti.
ad aggrapparsi agli argini del fiume è una cittadina di nome babylon, molto meno gloriosa della sua omonima di biblica memoria. una cittadina di periferia come tante altre, dove sotto l'apparente tranquillità quotidiana, serpeggiano odi, invidie e risentimenti.

siamo all'inizio degli anni '80 e la quiete di babylon viene squarciata dalla scomparsa di una ragazzina, ritrovata cadavere dopo pochi giorni. un omicidio brutale e insensato che è solo il primo di un crescendo di violenza. attorno a cui si muovono, da un lato, la famiglia larkin - proprietari di una piantagione di mirtilli il cui sfruttamento riesce a malapena a garantirgli una vita dignitosa - e dall'altro i redfield, il vecchio padre, ormai disabile, tanto bisognoso di attenzioni quanto severo, e i suoi due figli, due poco di buono arroganti e desiderosi di mettere le mani sul patrimonio di famiglia.

senza spoilerarvi nulla della trama, la storia prende una piega più che auspicabile e le identità di vittime e carnefice sono rivelate più o meno immediatamente - ma si capisce tutto molto prima - così come il movente. insomma, quello di mcdowell non è un giallo in cui bisogna collegare i fili tra i diversi indizi e arrivare a una qualche soluzione, è a pieno titolo un horror in cui a farla da padrone è la brutalità dei fatti, la miseria dietro le motivazioni che portano a quei fatti e, soprattutto, l'atmosfera sovrannaturale che avvolge ogni cosa. perché - a differenza di quanto succedeva ne gli aghi d'oro o in katie - a cercare vendetta non sono più lə familiarə offesi dalle uccisioni dellə loro carə ma le vittime stesse, o meglio, i loro fantasmi.

sono proprio loro a mettere effettivamente in moto gli eventi e noi lettorə ci troviamo a osservarli da una prospettiva privilegiata rispetto allə personaggə umanə del racconto ma solo fino a un certo punto: sappiamo che, nella babylon di mcdowell, i fantasmi esistono e che partecipano attivamente ai meccanismi della realtà, che sono causa di svariati effetti (ed effetto di una causa sola: la violenza efferata che da persone li ha fatti diventare fantasmi, appunto) e che sono mossi dal desiderio di vendicarsi, ma il loro mondo interiore - ammesso che ce ne sia uno - ci è completamente precluso.
sappiamo, insomma, che esiste una dimensione sovrannaturale, ma non riusciamo a conoscerla veramente. come vivi, per quanto onniscienti, noi lettorə rimaniamo tagliati fuori dalle verità che vanno oltre l'orizzonte delle nostre esperienze.

le figure spettrali e vendicative di babylon sembrano avere una volontà ferrea e degli obiettivi molto ben definiti ma non parlano e, per quello che ne sappiamo, non pensano. soffrono ancora? sono consapevoli? impossibile dare una risposta, restano per noi inconoscibili. il loro aspetto tradisce il destino della parte materiale di ciò che erano ma sono, allo stesso tempo, incorporei e scollegati dalle leggi della fisica.
ed è questa loro natura ambivalente, muta e impossibile da comprendere che li rende (almeno un po') terrificanti, tanto per chi li incontra tra le pagine del racconto, quanto per noi.

se però in blackwater l'aspetto sovrannaturale della storia mi aveva colpita, qui mi ha lasciata poco convinta, come se mancasse qualcosa. più che paura mi hanno fatto provare repulsione e pena e qualsiasi vendetta riescano a ottenere alla fine non riesce a riequilibrare nulla. erano, e restano per tutto il tempo, vittime, quasi che non ci fosse davvero nessuna possibilità di riscatto né di giustizia per loro, quasi che ogni traccia del sé che erano fosse stata annientata lasciando spazio solo al bisogno di vendicarsi.

insomma, luna fredda su babylon è un libro sicuramente unputdownable, come tutti quelli di michael mcdowell, eppure tra tutti quelli pubblicati fino ad adesso, è quello più tiepidino, che (imho) convince ed emoziona di meno. 

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mercoledì 5 novembre 2025

fionna & cake ~ la prima stagione (e un pezzettino della seconda)

♪ i'm not really feeling like myself today ♪ hated every job i've had ♪ what's wrong with me? ♪ everyday's the same ♪ painfully mundane ♪ 'cause i'm running from my feelings ♪ and my fear of sudden change ♪ every time i leave my room i wanna die ♪ even when i'm with my friends ♪ i'm alone inside ♪ 'cause nothing really matters ♪ and i don't know what's sadder ♪ the fact i even try ♪ or that my hopes and dreams are shattered ♪
♪ i'm not really feeling like myself today ♪


è uscita la seconda stagione di fionna and cake, serie bellerrima, e io - che ho la memoria di un pesce rosso - ho avuto mega bisogno di fare rewatch della prima (mentre raccolgo le forze e mi dico che, prima o poi, dovrò fare anche un rewatch di adventure time. se qualcunə vuole unirsi mi faccia sapere, così ne parliamo!).

ora sono così in fissa che potrei andare a farmi tatuare fionna e cake (e finn e jake e bmo e bubblegum e marceline e simon e prismo eccetera) ma, ragionandoci un po' su, un post sul blog è meno drastico, e spero che sia un po' più utile a fare conoscere in giro questa meraviglia che, non so perché, nella mia bolla è praticamente inesistente.

fionna e cake nascono, in adventure time, come fanfiction scritta da re ghiaccio, sono la versione genderswapped di finn e jake, e "vivono" le loro avventure in una dimensione alternativa insieme alla regina ghiaccio, marshall lee, il principe gommarosa eccetera. un mondo fittizio, reale soltanto nella mente del fu simon petrikov e nel cuore di tuttə lə fan che, ormai un paio di anni fa, ha trovato finalmente un suo spazio autonomo - per quanto, ovviamente, sempre collegato all'universo di adventure time.

*ci sarà qualche inevitabile spoiler sulla prima stagione (vi avviso, anche se ormai sono passati due anni!)*

il mondo di fionna prende forma grazie a uno - nonché l'unico che avrebbe potuto farlo - dei più insospettabili fan delle opere di re ghiaccio, prismo the wishmaster. il loro è un universo scollegato da tutte le possibili realtà del multiverso, nascosto e lontano e... non-canonico.
nella loro realtà non c'è alcuna magia e tutto è tristemente simile a quella fatta di lavori orribili, affitti da pagare e crisi depressive che conosciamo molto bene. fionna è una ragazza come tante altre: saltella da un lavoro orribile all'altro per arrivare a fine mese, casa sua sembra essere stata sconvolta da un tornado, ha una gatta di nome cake, dellə amicə affettuosə e una voglia matta che la sua vita diventi qualcosa di meno noioso, magari più... magico.
a ooo, intanto, simon petrikov - una volta re ghiaccio, ora soltanto un umano pieno di ricordi e nostalgia - conduce una vita che magari a fionna sembrerebbe più magica ma che in fondo è altrettanto noiosa e deprimente, struggendosi nella mancanza della sua betty. quando cerca di aprire un portale per poterla finalmente incontrare almeno un'ultima volta... beh, le cose non vanno come sperate e cake lo attraversa.


attenzione a cosa desideri perché potresti ottenerlo e infatti la vita di fionna e di cake - ora finalmente (ora di nuovo?) un gatto magico parlante e mutaforma - prende una svolta inaspettata: devono salvare la loro realtà da scarab, che vuole cancellarla perché non-canonica e illegale, saltando da una dimensione all'altra, incontrando nuove versioni di vecchiə personaggiə di adventure time, alla ricerca della corona di re ghiaccio, così che simon possa canonizzare il loro mondo e renderlo (finalmente!) magico e avventuroso.

la serie è composta soltanto da dieci episodi quindi, per forza di cose, la narrazione è sempre spedita e non ci sono filler o momenti in cui l'attenzione cala. ad essere più precisi: fionna and cake è una di quelle serie che si fa divorare un episodio dietro l'altro mentre - ok, per chi ha amato adventure time vale di più, ma è così per tuttə - si piange, si ride e si abbracciano cuscini.

il merito è soprattutto quello di aver dato spazio allə personaggə secondariə più amatə della vecchia serie - fionna e cake, innanzitutto, ma non solo - e di aver espresso al meglio quellə principalə come finn, prismo e simon. e poi c'è da dire che fionna and cake può essere vista come serie autonoma, per quanto sicuramente aver visto adventure time regali un'esperienza più emozionante.


rispetto ad adventure time, soprattutto nelle prime stagioni, fionna and cake è un prodotto più adulto, che dietro alle rocambolesche avventure multidimensionali - che hanno più che qualche momento di amarezza - racconta di una ragazza in piena crisi che impara ad amare la sua vita di ogni giorno, a proteggere quanto di bello c'è e a fare qualcosa per migliorare il resto solo nel momento in cui rischia di perdere letteralmente tutto. fionna combatte per lə suə amicə e per quel mondo imperfetto, a volte lontano dai suoi desideri che però è casa.

lə fan hanno seguito adventure time e adesso adventure time segue lə suə fan, crescendo insieme a loro, adattandosi alla necessità di affrontare tematiche meno infantili - dalle relazioni lgbtqia+ al rapporto difficile che si può avere a volte con la propria famiglia alle nuove sfide che chi era bambinə ai tempi delle prima prima messa in onda sta affrontando oggi, ma anche a un modo nuovo e diverso di intendere le serie televisive, con una stagione breve ma densissima.


ma la notizia è che è iniziata finalmente la seconda stagione, di cui al momento sono usciti i primi due episodi. poco per poterne parlare approfonditamente ma.
ricollegandosi a uno dei primi episodi della prima stagione, vediamo finn - quello "originale" di ooo, adesso adulto e senza jake - ferito e bisognoso di qualcunə che vada a salvarlo. oltre a fionna e cake, protagonista di questa stagione sembra essere huntress wizard, personaggia secondaria in adventure time, di cui scopriamo il passato e, attraverso questo, qualcosa in più sulla terra di ooo...


le premesse sono ottime e le mie aspettative altissime! (e, chi lo sa, magari potrei tornare a parlarne a fine stagione).

lunedì 3 novembre 2025

viola

l'amore. l'amore è la ragione di tutto, dicono.
uhm, detta così è un po' esagerato, sembra una di quelle frasi fatte che mettono dei baci perugina. il fatto è che io all'amore ci credo, ci ho sempre creduto, anche se non nella modalità confettata che ci propinano. quella è solo una versione pezzotta, buona per vendere cioccolatini il giorno di san valentino, una roba inventata da scrittori e cineasti senza fantasia per sbarcare il lunario. [...]
solo che [...] il mondo ci tiene a farmi sapere che quella non è roba per me, e con la stessa insistenza di un rappresentante della folletto.

ve lo dico subito: io ho a-d-o-r-a-t-o questo libro, dalla prima all'ultima pagina, mi ha fatta sghignazzare senza ritegno in autobus e mi ha fatto piangere girando coltelli in piaghe mai chiuse e che forse non si chiuderanno mai ma-va-bene-così. e l'ho adorato non soltanto perché marina è un'amica ed è anche una delle persone più divertenti che conosca, ma perché quello che succede a viola, in questo libro, è un po' quello che è successo a me, tante volte.
quando trovi un libro che ti parla così, con tutto il cuore e sembra sapere chi sei, non puoi non adorarlo. e quindi, tutto quello che leggerete da adesso in poi è meno che mai un commento freddo e oggettivo (e dovreste esserne contentə perché quelli freddi e oggettivi sono i peggiori commenti ai libri che vi è capitato/capita/capiterà di leggere).

viola fa la biologa, lavora in un laboratorio con personaggi di simpatia discutibile, ha una migliore amica con cui condivide i suoi più “torbidi segreti” e che l’aiuta ad aggirare il soffocante sistema di sicurezza dei suoi genitori, adorabili ma ipermega protettivi nei suoi confronti. si definisce una “diversamente socievole” e la sua vita amorosa - fino ad adesso! - non è stata esattamente una roba da montagne russe.
ma - benedette siano le app di incontri! - sembra proprio che sia riuscita a incontrare un ragazzo per cui vale la pena stravolgere la sua quotidianità… o no?

grossomodo, eccovi la premessa a questo romanzo divertentissimo.
l’unica cosa che non ho scritto è che viola è una ragazza disabile, e così, quella che sarebbe una storia quasi banale, simile ad altre mille storie, diventa qualcosa di più unico che raro.
non perché viola sia un’eroina o una “persona speciale” o qualsiasi altra cazzata abilista vi stia venendo in mente leggendo queste righe ma perché, appunto, viola vive in un mondo in cui l’abilismo è talmente diffuso da permeare pensieri, giudizi e abitudini di chiunque, e così, vivere una vita normale - quasi banale! - diventa un’impresa davvero eroica: il mostro da combattere qui non è una qualche limitazione fisica ma l’imperante pietismo, infantilizzazione e l’inspiration porn che tuttə intorno a viola si sentono in dovere di esternare, quasi fosse una missione per conto di dio.

viola racconta una storia d’amore, ma soprattutto racconta cosa vuol dire crescere e diventare persone adulte in un mondo che annega nel suo pregiudizio qualsiasi identità non conforme. per viola la storia con marco è, in quest’ottica, una sorta di rivalsa, un modo per dimostrare quello che moltə non riescono (e non vogliono!) ad accettare, e cioè che anche le donne disabili sono adulte e hanno una vita sentimentale, relazionale e sessuale.

marina cuollo fa quello che quasi nessun altrə autorə fa: mette in scena una personaggia disabile senza ammorbarci con toni tragici e vittimistici, anzi! questo romanzo è un capolavoro di umorismo e tagliente ironia con cui viola e marina smontano pezzettino per pezzettino la mentalità chiusa, violenta e stigmatizzante delle persone cresciute a pane e abilismo, mostrandoci come l’idea che “la vita su una carrozzina non valga la pena di essere vissuta” nasce soltanto dalla paura meschina che la gente ha di perdere il suo privilegio di persona conforme.

e se non bastasse questo a farmi spellare le mani dagli applausi, da brava e coscienziosa femminista, marina cuollo racconta una storia d’amore che, finalmente!, sovverte questa benedetta gerarchia delle relazioni e dice ad alta voce che non per forza l’amore romantico e la “coppia” deve essere più importante degli altri legami e che sì, va bene pure vivere relazioni leggere e passeggere quando, come (e se) se ne ha voglia, lasciando più spazio alle amiche e alla propria crescita e realizzazione personale.

viola è un romanzo che finalmente - in un mondo di bruttine che bastano un paio di lenti a contatto e un giro dal parrucchiere per trasformarle in zooey deschanel - parla alle donne disabili e, in generale, ai corpi non-conformi, a chi si è sentitə ripetere che l’amore (o l’indipendenza, o il lavoro, o i viaggi, o quello che vi pare) “non fa per te”. è una storia che insegna che trasformarsi nella persona che sogniamo di diventare non significa passare per un restyling dell’armadio o per un matrimonio, non implica il dover piegare il proprio corpo al diktat degli standard, ma necessita - prima ancora che dell’amore per sé stessə e di altre robe motivazionali da posterino su canva - di consapevolezza politica. ed è per questo che per me viola non è soltanto un meraviglioso esempio di come la letteratura rosa possa essere molto più che roba da femmine (a proposito di pregiudizi da decostruire. che poi, sono sicura che quando i maschi inizieranno a leggere romance, il mondo diventerà un posto migliore), ma è uno dei migliori romanzi di lotta che abbia letto negli ultimi mesi.

mercoledì 22 ottobre 2025

la promessa della luna ~ genealogie di sailor moon

il 21 febbraio 1995 in italia, su canale 5, una scolaretta bionda e dagli occhi sognanti alzava per la prima volta la mano al cielo e invocava il potere del cristallo di luna. la sua sagoma si accendeva di una materia iridescente, si fasciava di nastri e fiocchi. volteggiava in un limbo di stelle e infine si stagliava contro una luna falcata, lo sguardo fiero e ancora un po' ingenuo.
quella ragazza, che non avremmo mai dimenticato, era sailor moon.

credo che tuttə quellə che sono statə bambinə/ragazzinə negli anni '90 abbiano dei ricordi legati a sailor moon. guardavamo i cartoni animati, avevamo bambole e modellini delle guerriere sailor, collezionavamo le figurine, disegnavamo le nostre eroine e sognavamo di incontrare gattine nere con un cerotto in fronte che ci stravolgesse la vita.
bunny - avremmo scoperto solo poi che si chiamava usagi - ci piaceva tantissimo perché non era perfetta, anzi! era pigra e goffa, passava un sacco di tempo in sala giochi, arrivava a scuola in ritardo e collezionava insufficienze. ci piaceva perché era infantile e buffa, perché era sincera, affettuosa, dolce e leale. ci piaceva un sacco lei e ci piacevano tantissimo le sue amiche, adoravamo le loro trasformazioni e le divise da sailor senshi (anche questo nome lo avremmo scoperto tempo dopo), il coraggio con cui combattevano il male e salvavano il mondo.

personalmente, all'epoca non avevo colto appieno la rivoluzione che sailor moon aveva innescato e meno che mai di quale rivoluzione era frutto.
ad essere sincera, il secondo punto è qualcosa che avevo ignorato fino a poco tempo fa e che ho scoperto e compreso leggendo la promessa della luna ~ genealogie di sailor moon, di angelo maria perongini e june scialpi. questo libro ha fatto felice la clacca-bambina-negli-anni-novanta che adorava sailor moon e la clacca-antropologa che adora scoprire come in ogni prodotto di una società riecheggino le trasformazioni storiche, politiche, economiche e culturali che l'hanno interessata.

l'anime degli anni '90 è meraviglioso e sailor moon crystal non esiste, è solo un brutto incubo

la promessa della luna, infatti, racconta non soltanto del manga - e poi anime - che vede protagoniste le belle guerriere che vestono alla marinara, ma anche e soprattutto il contesto in cui naoko takeuchi ha creato la storia del silver kingdom e delle guerriere che proteggono la terra e l'universo tutto.

l'analisi prende il via dal concetto di shōjo, cioè la ragazza non più bambina ma non ancora adulta (una figura che lə autorə definiscono, a ragione, liminale), che viene a crearsi dalla seconda metà dell'ottocento con la rivoluzione scolastica meiji che vede finalmente l'accesso agli studi superiori anche della parte femminile della popolazione. dalla fondazione delle prime riviste di racconti - prima in prosa e poi a fumetti - e di moda, alla nascita spontanea delle prime comunità di lettrici (da cui sarebbero emersi i primi, grandi nomi dello shōjo manga), alle prime serie majokko, ovvero quelle storie in cui le protagoniste, poco più che bambine, ottenevano poteri magici e la capacità di trasformarsi - di solito in versioni più adulte di sé: il terreno su cui mette le radici sailor moon è ricco di nuove idee e di una trasformazione sociale che vede la sua crisi - e, in qualche modo, il suo apice - negli anni '90 del secolo scorso, proprio quelli in cui usagi arriva a stravolgere tutto.

sailor moon rientra nel canone majokko e lo trasforma in qualcosa di nuovo, capace di parlare a un pubblico più vasto: non soltanto bambine che sognavano di diventare grandi e di risolvere con la magia i loro piccoli problemi quotidiani, ma giovani donne che, se pure non rinunciavano al loro lato più infantile, sapevano trasformarsi in guerriere che difendevano il mondo dal male, forti nella loro amicizia, ispirate a valori nobili di amore, lealtà, sacrificio e giustizia.

le sailor senshi al gran completo in un'illustrazione del manga

oggi icona femminista e delle rivendicazioni del mondo lgbtqia+, sailor moon è, come spiegano bene lə autorə, qualcosa di molto lontano - tanto geograficamente quanto temporalmente - dalle idee che oggi animano questi movimenti. se pure forse non si erano mai visti dei gruppi di combattenti donne così affiatate e leali - un'ottima alternativa alle dinamiche più classiche dei rapporti tra donne, spesso rivali per amore o legate da rapporti di amicizia tipicamente secondi a quelli romantici - i temi del matrimonio e della maternità tornano più e più volte durante il manga, così come una certa visione negativa della figura della donna che rinnega tali principi per perseguire i suoi obiettivi personali.

eppure, takeuchi osa lì dove nessun altrə era arrivatə: basti pensare al rapporto tra haruka/uranus e michiru/neptune - coppia lesbica che riesce a vivere la propria storia senza andarsi a schiantare contro un qualche finale tragico - o, meglio ancora, alla famiglia queer che le due costituiscono con setsuna/pluto e hotaru/saturn, appena rinata.

tra i tanti elementi oggetto di analisi di perongini e scialpi - di cui qui ho dato poco più che una rapida scorsa ma che, ovviamente, non ho esaurito per permettervi di godere pienamente del loro saggio - vale la pena accennare a quello che lega sailor moon al genere apocalittico. la magia e la dimensione extra-terrena si fanno per la prima volta (la prima per un manga di ragazzine che si trasformano grazie a dei poteri magici) strumento e scenario della lotta universale del bene contro il male.
ed è da questo momento che le maho shōjo seguiranno l'esempio di usagi e compagnia, lavorando in squadra per la salvezza del mondo.

tra le tante opere più o meno coeve che lə autorə accostano a sailor moon, l'ultima - quella forse più interessante, almeno dal punto di vista di chi scrive questo post - è puella magi madoka magica, l'ultima serie majokko (almeno nell'ambito del manga per ragazze) che disegna un punto di svolta per il canone praticamente irrisolvibile.

insomma, la promessa della luna ~ genealogie di sailor moon, è un saggio breve e agile, ma ricco di informazioni e spunti di riflessioni che cala l'opera di takeuchi in un contesto storico e culturale ben delineato, che mostra i legami con altri prodotti dell'epoca e con quelli più recenti e appartenenti allo stesso filone, e che approfondisce gli aspetti principali di una storia che rimarrà per sempre dentro di noi.