venerdì 19 settembre 2025
torna flush festival!
lunedì 15 settembre 2025
il fuso scheggiato - lo specchio rammendato
qualunque sia la nostra storia, dobbiamo trarne il meglio: e se quella storia fa schifo, be', allora possiamo provare a fare del bene prima di andarcene.e se questo non basta, se in fondo al nostro cuore avido ed egoista bramiamo di più, io ho un solo consiglio: scappare, e non fermarsi mai.
alle ragazze romantiche piace la bella e la bestia; a quelle tradizionaliste piace cenerentola; a quelle dallo stile gotico piace biancaneve.
solo alle ragazze destinate a morire presto piace la bella addormentata.
se ti piacciono i post di questo blog puoi sostenermi su ko-fi ♥
lunedì 1 settembre 2025
abilisti fantastici e dove trovarli ~ intervista a marina cuollo
in quel settore del dizionario dove ci sono tutte le parole che finiscono in -ismo – ovvero dove gravitano una quantità spropositata di merde – ce n’è anche una che riguarda noi persone disabili: l’abilismo. l’abilismo, per chi non lo sapesse, è quella sottile e squisita pratica sociale che trasforma la vita delle persone con disabilità in una gita all’inferno. non è che qualcuno si svegli la mattina e decida di farlo apposta, per carità. è più un riflesso pavloviano, un’abitudine culturale che si perpetua con la stessa naturalezza con cui ci si sciacqua la faccia appena svegli. dalla notte dei tempi, per qualche strana ragione, la società ha stabilito che chi si muove, vede, sente o funziona in modo diverso dalla maggioranza non è proprio in cima alla lista delle priorità. anzi, a volte pare non sia nemmeno sulla lista.
► Questo libro nasce principalmente da un’esigenza: mettere un punto al mio percorso di consapevolezza sull’abilismo. Dopo circa un decennio di scrittura e confronto, ho sentito il bisogno di tornare alla non-fiction umoristica – il genere da cui sono partita – portandomi dietro tutto ciò che l’esperienza e lo studio mi hanno insegnato. Questa non è una conclusione: credo che non si smetta mai di imparare, soprattutto riguardo all’abilismo. Ciò che però resta una certezza è che oggi, rispetto a quando ho cominciato a scrivere, ho una visione più politica della disabilità. E ne sono felice.
► In generale ho sempre sentito una grande affinità con l’umorismo, anche se è esploso nel mio modo di comunicare dopo l’adolescenza. Probabilmente, come molte persone appartenenti a gruppi marginalizzati, all’inizio l’ho usato come una “salvezza personale”. Quando il tuo corpo destabilizza e mette a disagio chi ti circonda, impari presto a far sentire gli altri a loro agio attraverso l’umorismo. Con il tempo ho capito che questa modalità funzionava molto bene per veicolare temi spesso percepiti come seri, tragici o molto tecnici. Da lì mi è venuto naturale scrivere di disabilità con umorismo: per me è anche molto terapeutico.
► Spesso non è semplice riconoscere l’abilismo. Io ci ho messo anni a rendermi conto che molti comportamenti nei miei confronti lo erano. L’abilismo benevolo, infatti, è il più subdolo, perché si maschera appunto da gentilezza. Ho imparato a individuarlo perché certe persone adottano quella modalità solo con le persone disabili; nelle stesse situazioni, con chi non è disabile, mantengono un approccio neutro. Quando glielo fai notare però, scatta subito la difensiva. Personalmente, ormai scelgo di spendere parole solo quando dall’altra parte vedo apertura, disponibilità all’ascolto e volontà di rivedere il proprio modo di fare. Altrimenti… ci sono i vari rimedi del libro. (Scherzo!)
► In genere, le narrazioni più persistenti e pervasive sono ancorate a due specifiche cornici.Da una parte resiste il registro tragico-pietistico, dove la disabilità è trattata come una condanna o come il principale impedimento alla “realizzazione” personale. È un immaginario che discende da un antico accostamento tra disabilità e mostruoso: il corpo non conforme viene mostrato come qualcosa di disturbante, innaturale, fuori norma, da temere o da occultare. Questa eredità culturale finisce per trasformare i corpi disabili in corpi “altri”, percepiti come scarti o eccezioni rispetto al modello dominante.Dall’altra, si impone il racconto eroico-motivazionale, in cui la persona con disabilità diventa un simbolo edificante di forza e superamento, spesso costruito per lo sguardo di chi guarda più che per la sua storia. In entrambi i casi la tossicità sta nella semplificazione: la disabilità viene ridotta a segno o metafora, invece di essere riconosciuta come una dimensione umana piena, complessa e quotidiana.
► Difficile sceglierne uno, sono tutti abbastanza irritanti. Se proprio devo, il “Ti Stimo&Ammiro” è quello che sopporto meno; forse perché nella mia esperienza è tra i più refrattari all’ascolto. Del resto, se non fosse così diffuso, non avremmo coniato un termine preciso per i loro comportamenti. Grazie per averci “regalato” l’inspiration porn: ne sentivamo davvero il bisogno…
► Quando ho cominciato a scrivere avevo molta difficoltà ad attingere alla mia esperienza personale per parlare di disabilità. Oggi riesco a farlo di più, ma sempre con grande moderazione e scegliendo con cura le parole e le modalità. Ho sempre il timore che le persone non colgano il messaggio sistemico centrale, ma si concentrino sui miei aspetti personali in maniera morbosa. Insomma, diciamolo: anni di spettacolarizzazione della disabilità mi hanno evidentemente segnata. In ogni caso, resto convinta che portare il personale per fini politici non solo è importante, ma fondamentale: può davvero essere un’arma potente.
► Per ora direi che i feedback sono buoni, e ne sono davvero felice. La cosa che amo di più è sapere che le persone si divertono leggendo. Da umorista, il mio terrore più grande è che la gente non rida. Potrei anche sotterrarmi!
► Ultimamente, non so, forse per le derive che sta prendendo il mondo dei social, mi sento molto più a mio agio nel contatto dal vivo. Escluse le persone che mi seguono, quando mi trovo fuori dalla mia “bolla” online trovo moltissima resistenza su disabilità e abilismo. Le persone si sentono più autorizzate a dire cose abiliste senza provare alcun rimorso. Alle presentazioni e negli incontri dal vivo, devo ammetterlo, mi succede molto più raramente. Forse lo schermo smaschera la natura delle persone; non saprei, ma il digitale sta diventando sempre più pesante.
► Male! Possiamo dirlo senza giri di parole: in questo paese la disabilità è ancora l’ultima ruota del carro. Certo, abbiamo più voce rispetto al passato, questo sì, ma facciamo ancora una fatica immane a ottenere anche solo il minimo sindacale, ed è sfiancante. Vorrei essere più ottimista e spero davvero che i miei nipoti possano vivere in un mondo meno abilista di quello in cui ho vissuto io, ma temo che serviranno molte più generazioni per arrivarci.
► Non voglio spoilerare, ma sto lavorando a un progetto a cui tengo molto e che spero veda presto la luce. Posso solo dire che sento la mia scrittura molto affine alle generazioni più giovani.
se ti piacciono i post di questo blog puoi sostenermi su ko-fi ♥
venerdì 29 agosto 2025
commenti randomici a letture randomiche (92)
le vacanze sono agli sgoccioli, il tempo scarseggia, la malinconia è pronta a esplodere (sì, io sono team estate, per quanto mi piacciano le tisane e le foglie rosse sugli alberi, non le baratterei mai con una bella giornata al mare) e la pagina del mio diario con le letture di agosto (sì, ho un diario vecchio stile) è piena di stelline e voti stratosferici (in realtà ho beccato anche dei libri che non mi hanno entusiasmata o per i quali non era arrivato il momento giusto, che sono finiti nella lista dei questo-lo-leggo-un'altra-volta), quindi devo riuscire a scrivere qualcosa qui prima di partire.
se uno viene a dirti che il tuo migliore amico, il padrino di tua figlia, l'uomo più onesto che conosci ha ucciso moglie, figli e genitori, e per di più che da anni mente su tutto, non è naturale che tu continui ad avere fiducia in lui, anche se ti mettono di fronte a prove schiaccianti? che amico saresti se ti lasciassi convincere così facilmente della sua colpevolezza?
vi trovate sulla soglia del libro. il libro di un uomo che ha visto dio? il libro di un uomo cui le droghe hanno fulminato il cervello? in ogni caso, varcare questa soglia equivale ad avventurarsi in un territorio dove non siete mai stati. non avete idea di quello che vi attende.
l'autore lascia le cose così. e però... più ci penso e più... dovrebbe essere ovvio, ma la gente nei libri si sbaglia sempre. inferni maledetti, gli autori si sbagliano. quindi forse è questo che racconta la storia con le parole che sono state scritte, e se invece si potesse guardare oltre il finale? alle parole non scritte? forse sarebbe una storia completamente diversa.
lunedì 25 agosto 2025
agosto è un buco nero
agosto è un mese oscuro, pieno di ombre dense e di abbagli che fanno perdere la ragione, è un mese pieno di mosche, in cui il sangue si secca in fretta e la carne dura poco tempo intatta fuori dal frigorifero.la morte ha molto da fare, corre come un cameriere di chiringuito che sta facendo la stagione e come lui non ha giorni liberi, nemmeno i lunedì.
martedì 19 agosto 2025
isabella nagg e il vaso di basilico
no, piangere era inutile. isabella lo aveva imparato dopo aver passato i primi cinque anni del suo matrimonio a struggersi perché arrivasse qualcosa di meglio, e i successivi dieci a serbare rancore perché quel qualcosa non era mai arrivato. quando sopraggiungevano i pensieri cupi, nell'ora più silenziosa del pomeriggio, isabella cercava di ricordarsi che la sua vita era meglio di quella di molti altri. non era stata abbordata da una megera che elargiva doni malvagi, né era stata trascinata in un acquitrino da un cavallo sbandato, né era stata calpestata a morte da un nuckelavee.
è vero, ha una copertina carina e un tono allegro, ma isabella nagg e il vaso di basilico parla di violenza sulle donne e di quanto il capitalismo abbia cannibalizzato il discorso sui diritti dellə lavoratorə e l'abbia rivomitato come fuffa sulla produttività. cosa c'è di cozy me lo dovete spiegare, voi che adoro l'estethic di questo romanzo, le vibes! ma a quanto pare i contenuti non vi entrano in testa a meno che non ve li spieghino con degli hashtag sulla quarta di copertina.
lunedì 11 agosto 2025
mentre il mondo guarda ~ intervista a gina nakhle koller / while the world watches ~ interview with gina nakhle koller
«A tutte le persone palestinesi del mondo: Questo libro è dedicato alla vostra resilienza, forza e incrollabile speranza di fronte a sfide inimmaginabili. Che la sofferenza finisca, che la giustizia prevalga e che il mondo agisca finalmente per portare pace e dignità nelle vostre vite.»
ciao gina, grazie mille per aver accettato il mio invito e
benvenuta su claccalegge!
► Ciao a tutti e grazie, Claudia, per avermi proposto questa intervista. Sono onorata di avere una piattaforma per parlare della Palestina.
in questi lunghissimi mesi di orrore, tutto il mondo ha
guardato alla palestina, ha pianto, manifestato, condiviso le immagini di
denuncia e testimonianza che sono state trasmesse ininterrottamente sui social,
ha cercato con ogni mezzo possibile di contrastare l’impunità dello stato di
israele. posso chiederti come ti sei sentita e come ti senti, da artista di
origine palestinese e libanese, davanti alle notizie che arrivano ogni giorno
da gaza e dalla west bank?
► Mi sento distrutta e spaventata, eppure in qualche modo più determinata che mai. Come artista libanese i cui nonni erano palestinesi, queste non sono solo delle notizie per me. È una questione personale. È una questione generazionale. Sono cresciuta con il peso della spoliazione, dell'occupazione e della cancellazione, ma nulla poteva prepararmi alla portata e alla brutalità di ciò a cui abbiamo assistito dall'ottobre 2023.
Ogni giorno porta con sé un nuovo orrore e ci sono momenti in cui mi sento completamente impotente. È un'angoscia profonda, che mi tocca l'anima. Ma anche nei momenti più bui, ho imparato che la disperazione non è la fine, è un invito ad agire. Ho molti alti e bassi. Sì, il genocidio è ancora in corso. Ma ciò che è ancora in corso è anche la solidarietà globale, il rifiuto di distogliere lo sguardo e la consapevolezza che abbiamo la responsabilità non solo di piangere, ma anche di mobilitarci.
quando e perché hai deciso di disegnare per denunciare il genocidio?
► Quando è arrivato il 7 ottobre, sapevo già cosa stava per succedere. Ho vissuto con la consapevolezza di come reagisce lo Stato israeliano: con punizioni collettive, con violenza schiacciante, senza alcun riguardo per la vita dei civili. Quindi, mentre il mondo stava ancora elaborando lo shock di quel giorno, io sentivo già il terrore insinuarsi dentro di me. Sapevo che Gaza avrebbe sofferto, ancora una volta, solo che questa volta su una scala ancora più inimmaginabile.
Quando ho iniziato questo progetto, ero devastata. Ero sopraffatta dal dolore, dalla paura e dall'impotenza. Guardando il genocidio svolgersi giorno dopo giorno, attraverso il mio telefono, i notiziari, le voci delle persone che imploravano di essere ascoltate, ho sentito il bisogno di fare qualcosa. Disegnare è diventato il mio modo di affrontare la situazione, di non chiudermi in me stessa. È stato il mio modo di sopravvivere emotivamente.
All'inizio era un meccanismo di difesa profondamente personale. Ma man mano che i disegni hanno acquisito visibilità, sono diventati qualcosa di più: una forma di testimonianza. Un modo per umanizzare i numeri, i titoli dei giornali, l'orrore. Per dare un volto ai nomi. Per affiancare l'emozione ai fatti. E quando le persone mi hanno detto che le immagini li aiutavano a capire o a sentirsi meno soli, è stato questo che mi ha spinto ad andare avanti.
sulla copertina del tuo libro c’è un occhio che viene
spalancato a forza da due mani. come interpreti il rifiuto di molta gente di
guardare le immagini di questi massacri, di provare a capire cosa sta
succedendo?
► L'immagine sulla copertina – un occhio costretto ad aprirsi – è un simbolo doloroso di ciò che credo tutti noi dobbiamo affrontare: l'urgente necessità di vedere e non distogliere lo sguardo. Il rifiuto di molte persone di guardare queste immagini è straziante, ma purtroppo comprensibile. La brutalità è così opprimente, così devastante, che distogliere lo sguardo può sembrare un modo per proteggersi da un dolore o da un senso di colpa insopportabili.
Ma questo rifiuto permette anche alla violenza di continuare senza controllo. Quando le persone chiudono gli occhi, permettono al silenzio di diventare più forte della giustizia. L'immagine è un appello, una richiesta, a confrontarsi con la realtà, per quanto scomoda o dolorosa possa essere. Perché solo guardando, testimoniando, possiamo veramente comprendere il costo umano e iniziare a chiedere un cambiamento.
È un promemoria che l'indifferenza è complicità. E che il mondo non può più permettersi di essere uno spettatore passivo.
ogni giorno arrivano notizie terrificanti, tantissime. foto,
video, dichiarazioni, interviste, eccetera. in che modo decidi quale sarà il
soggetto della tua vignetta giornaliera?
► Seguo attentamente le notizie ogni giorno: è impossibile sfuggirvi. Il flusso costante di foto, video, dichiarazioni e testimonianze è travolgente. Scegliere un soggetto per ogni disegno quotidiano non è mai facile.
Non mi limito a scegliere ciò che è più riportato o scioccante; mi concentro su ciò che mi colpisce in modo diverso a livello personale o emotivo. A volte si tratta di un evento specifico: una famiglia presa di mira deliberatamente, l'uccisione di un giornalista o una storia particolare che rivela il costo umano dietro i titoli dei giornali.
Altre volte si tratta di catturare l'atmosfera più ampia di paura, resilienza o dolore che tanti stanno vivendo. Il mio obiettivo è tradurre ciò che mi commuove profondamente in qualcosa che gli altri possano sentire e comprendere. Ogni disegno è un modo per catturare un momento nel tempo e dire: questo è successo. Questo è importante.
il tuo lavoro va oltre la semplice idea di “pubblicare un
libro”, credo che sia un documento fondamentale per raccontare e testimoniare
questi mesi, uno di quelli che poi diventano vere e proprie fonti
storiografiche a servizio degli studiosi che proveranno in futuro a capire il
presente che siamo vivendo. quando e come hai deciso di trasformare il tuo
lavoro online in un libro di carta, capace di arrivare a molte più persone di
quelle che vedono le tue opere sui social?
► All'inizio, pubblicare un libro non era nei miei piani. Mi concentravo sul reagire al momento, sull'esprimere ciò che provavo giorno dopo giorno. Ma man mano che i disegni si accumulavano, mi sono reso conto che questo lavoro doveva andare oltre la natura dei social media.
I social media sono in rapida evoluzione: un luogo di reazioni immediate e condivisione veloce, ma anche un luogo in cui le cose possono essere dimenticate altrettanto rapidamente. Volevo creare qualcosa di più duraturo, qualcosa a cui le persone potessero aggrapparsi e a cui potessero tornare, una testimonianza tangibile di questi mesi.
Non si tratta solo di un momento nel tempo, ma di una parte di una storia molto più lunga di sofferenza, resilienza e resistenza. Trasformare il mio lavoro online in un libro cartaceo è stato un modo per preservare la memoria, per insistere affinché queste storie non vengano cancellate e per offrire una risorsa alle generazioni future e agli studiosi che cercano di capire cosa è successo.
Il libro diventa una forma di testimonianza, qualcosa di permanente in mezzo al dolore e alla lotta continua.
che tipo di feedback hai avuto sui social da quando hai iniziato
a pubblicare i tuoi lavori? e come è stato accolto il libro?
► La risposta sui social media è stata incredibilmente commovente. Molte persone che seguono il mio lavoro erano entusiaste quando hanno saputo dell'uscita del libro: lo consideravano un passo necessario e molti mi hanno detto che stavano aspettando qualcosa del genere. Ho ricevuto molti feedback positivi, non solo sull'arte in sé, ma anche su come è stata utilizzata: condivisa con amici, familiari e soprattutto con persone che potrebbero non capire cosa sta succedendo o che scelgono di rimanere in silenzio.
Per quanto riguarda il libro, penso che sia stato accolto con un profondo senso di riconoscimento e urgenza. La gente capisce che non si tratta solo di un progetto artistico, ma di una documentazione, di una testimonianza. Credo sinceramente che fosse qualcosa che la gente aveva bisogno di vedere e sono grata che stia riscuotendo questo successo. Spero che la gente continui a parlare di ciò che sta accadendo e che il libro continui a diffondersi. Questo non può essere dimenticato. Né ora, né mai.
tantissime persone si chiedono ogni momento cosa possono
fare concretamente per fermare il genocidio, e spesso si sentono impotenti. hai
dei consigli da darci?
► È così facile sentirsi impotenti di fronte a qualcosa di così enorme e orribile come un genocidio. Lo sento dire continuamente: “Cosa posso fare? Sono solo una persona”. Ma la verità è che tutto inizia sempre da una sola persona. Ogni voce conta. Ogni azione, per quanto piccola possa sembrare, contribuisce a creare un'onda più grande di consapevolezza e resistenza.
Il primo passo è parlarne. Avvia delle conversazioni. Condividi la verità con le persone che ti circondano, specialmente con quelle che non prestano attenzione. La consapevolezza si diffonde da persona a persona.
Se potete, boicottate: la pressione economica è importante. Dove spendete i vostri soldi è un atto politico. E, naturalmente, condividere online è ancora potente. Potrebbe sembrare solo un post o una storia, ma non si sa mai chi raggiungerà o come potrebbe spingere qualcuno ad agire.
Non dobbiamo fare tutto noi. Ma se ognuno di noi fa qualcosa, il risultato è importante. È così che inizia il cambiamento.
ti ringrazio tantissimo per il tempo che ci hai dedicato e soprattutto di ringrazio per il tuo lavoro, per il tuo libro e per tutte le emozioni che ci sono dentro e che hai condiviso con noi. dal fiume al mare! ♥
► Grazie Claudia! Per tutto e per essere una voce forte in questo momento di bisogno.
la biografia di gina nakhle koller è tratta dal sito di eris edizioni
Nata nel 1982 in Libano, è illustratrice e fumettista. Il suo lavoro affonda le radici nelle sue origini libanesi e palestinesi. Cresciuta tra le difficoltà di una regione turbolenta, Gina ha scoperto che l’arte è un potente strumento di auto espressione e di storytelling, un mezzo per entrare in contatto con la sua identità e per far luce sulle storie mai raccontate del suo popolo. La Palestina rimane un tema centrale nel lavoro di questa artista, alimentando la sua passione nel creare un’arte che catturi la resilienza, le lotte e l’umanità del suo popolo. Nel 2013 ha conseguito un Master of Arts in Illustration in Svizzera dove ore vive, approfondendo il suo impegno nel raccontare attraverso le narrazioni visive. La sua arte trascende i confini, invitando il pubblico a vedere il mondo attraverso la lente dell’empatia e a dialogare con le voci di coloro che troppo spesso non vengono ascoltati.
«To all Palestinians around the world: This book is dedicated to your resilience, strength, and unwavering hope in the face of unimaginable challenges. May the suffering end, may justice prevail, and may the world finally act to bring peace and dignity to your lives.»
► Hello everyone, and thank you, Claudia, for inviting me to this interview. I’m honored to have a platform to speak about Palestine.
► I feel shattered and scared— and yet somehow more determined than ever. As a Lebanese artist whose grandparents were palestinian, this isn’t just news to me. It’s personal. It’s generational. I’ve grown up with the weight of dispossession, occupation, and erasure — but nothing could prepare me for the scale and brutality of what we’ve witnessed since October 2023.Every day brings a new horror, and there are moments when I feel completely helpless. It’s a deep, soul-level anguish. But even in the darkest moments, I’ve learned that despair isn’t the end — it’s a call to act. I have many ups and downs. Yes, the genocide is still ongoing. But what’s also ongoing is the global solidarity, the refusal to look away, and the understanding that we have a responsibility not just to mourn — but to mobilize.
► When October 7th happened, I knew what was coming. I’ve lived with the knowledge of how the Israeli state reacts — with collective punishment, with overwhelming violence, with no regard for civilian life. So while the world was still processing the shock of that day, I already felt the dread settle in. I knew Gaza would be made to suffer, again — only this time on an even more unimaginable scale.When I began this project, I was devastated. I was overwhelmed by grief, fear, and helplessness. Watching the genocide unfold day after day — through my phone, the news, through the voices of people begging to be heard — I had to do something. Drawing became my way of facing it, of not shutting down. It was how I survived emotionally.At first, it was a deeply personal coping mechanism. But as the drawings gained visibility, it became something more — a form of testimony. A way to humanize the numbers, the headlines, the horror. To give faces to the names. To put emotion alongside fact. And when people told me the images helped them understand or feel less alone, that’s what kept me going.
► The image on the cover — an eye being forced open — is a painful symbol of what I believe we all face: the urgent need to see and not look away. The refusal of many people to look at these images is heartbreaking, but sadly, understandable. The brutality is so overwhelming, so devastating, that turning away can feel like a way to protect oneself from unbearable pain or guilt.But that refusal also enables violence to continue unchecked. When people close their eyes, they allow silence to grow louder than justice. The image is a call — a demand — to confront the reality, no matter how uncomfortable or painful it is. Because only by looking, by witnessing, can we truly understand the human cost and begin to demand change.It’s a reminder that indifference is complicity. And that the world can no longer afford to be a passive spectator.
► I follow the news every day closely—it’s impossible to escape it. The constant flow of photos, videos, statements, and testimonies is overwhelming. Choosing a subject for each daily drawing is never easy.I don’t just pick what’s most reported or shocking; I focus on what hits me differently on a personal or emotional level. Sometimes it’s a specific event—a family deliberately targeted, the killing of a journalist, or a particular story that reveals the human cost behind the headlines.Other times, it’s about capturing the broader atmosphere of fear, resilience, or grief that so many are living through. My goal is to translate what moves me deeply into something others can feel and understand. Each drawing is a way to hold a moment in time and say: This happened. This matters.
► At the very beginning, publishing a book wasn’t something I had in mind. I was focused on responding to the moment, on expressing what I was feeling day by day. But as the drawings piled up, I realized this work needed to reach beyond the nature of social media.Social media is fast-moving — a place for immediate reactions and quick sharing, but also one where things can be forgotten just as quickly. I wanted to create something more lasting, something people could hold onto and return to, a tangible record of these months.This isn’t just about a moment in time — it’s part of a much longer history of suffering, resilience, and resistance. Turning my online work into a paper book was a way to preserve memory, to insist that these stories are not erased, and to offer a resource for future generations and scholars seeking to understand what happened.The book becomes a form of witness — something permanent amid ongoing pain and struggle.
► The response on social media has been incredibly moving. So many people who follow my work were thrilled when they heard the book was coming — they felt it was a necessary step, and many told me they had been waiting for something like this. I‘ve received a lot of positive feedback, not just about the art itself, but about how it‘s been used: shared with friends, family, and especially with people who might not understand what’s happening, or who choose to stay silent.As for the book, I think it‘s been received with a deep sense of recognition and urgency. People understand that this isn’t just an art project — it’s documentation, it’s testimony. I truly believe it’s something people needed to see, and I’m grateful it’s resonating the way it has. I’m hoping people keep talking about what’s happening — and keep getting the book into more hands. This can’t be forgotten. Not now, not ever.
► It’s so easy to feel powerless in the face of something as enormous and horrific as genocide. I hear it all the time — “What can I do? I’m just one person.” But the truth is, it always starts with one person. Every voice matters. Every action, no matter how small it may seem, contributes to a larger wave of awareness and resistance.The first step is talking about it. Start conversations. Share the truth with people around you, especially those who aren’t paying attention. Awareness spreads person by person.If you can, boycott — economic pressure matters. Where you spend your money is a political act. And of course, sharing online is still powerful. It might feel like just a post or a story, but you never know who it will reach or how it might move someone to act.We don’t all have to do everything. But if each of us does something, it adds up. That’s how change begins.
► Thank you Claudia! For everything and for being a strong voice in this time of need.
gina nakhle koller's biography is taken from the eris edizioni website
Born in 1982 in Lebanon, is an Comic Artist whose work is deeply rooted in her Lebanese and Palestinian heritage. Growing up amidst the challenges of a turbulent region, Gina discovered art as a powerful tool for self-expression and storytelling, a means to connect with her identity and shed light on the untold stories of her people. Palestine remains a central theme in Gina’s work, fueling her passion to create art that captures the resilience, struggles, and humanity of its people. In 2013, she pursued a Master of Arts in Illustration in Switzerland where she lives now, deepening her commitment to storytelling through visual narratives. Gina’s art transcends borders, inviting audiences to see the world through the lens of empathy and to engage with the voices of those too often unheard.