mercoledì 3 dicembre 2025

le indegne

qualcuno grida nel buio. spero che sia lourdes.
le ho messo degli scarafaggi nel cuscino e poi ho cucito la federa di modo che stentino a uscire, che le zampettino sotto la testa oppure sopra la faccia (magari le si infilassero nelle orecchie per deporre le uova nei suoi timpani e sentisse le larve ferirle il cervello). ho lasciato delle piccole aperture perché possano sgusciare fuori lentamente, con fatica, come fanno quando li prendo (li catturo) tra le mani. certi mordono. hanno scheletri flessibili, si appiattiscono per passare attraverso fessure minuscole, sopravvivono senza testa per diversi giorni, resistono a lungo sott'acqua, sono affascinanti. mi piace stuzzicarli. taglio loro le antenne. le zampe. li infilzo con degli aghi. li schiaccio con un bicchiere di vetro per osservare attentamente quella struttura primitiva e brutale.
li bollo.
li brucio.
li uccido.


una donna scrive.
lo fa di nascosto, su fogli rubati, con inchiostro arrangiato. dopo piegherà per bene quelle pagine e se le legherà addosso, così che nessunə possa trovarle, perché scrivere è proibito e se la scoprissero la sua punizione sarebbe esemplare.
scrive parole cattive perché sono le uniche che possono descrivere un mondo cattivo come il suo.
all'interno della sacra sorellanza, lei è un'indegna, proprio come lo è lourdes, a cui ha promesso un disgustoso risveglio notturno.
scrive di speranze e di memorie, scrive della vita quotidiana della sorellanza.

quello che sappiamo di questa organizzazione e di tutto quello che accade tra le mura che la ospita - mura appartenute a un vecchio convento di monaci di cui non si sa più nulla, forse uccisi dalle malattie, forse assassinati - arriva proprio da questa sorta di diario, se diario si può chiamare lo scritto di una donna a cui è stato proibito tener conto del trascorrere del tempo. un diario senza date, un lungo flusso di coscienza che diventa testimonianza e insieme strumento della presa di consapevolezza della sua autrice.
senza fede, non c'è salvezza.
qui, le giornate trascorrono come una serie di sogni perversi e allucinati, fatti di pentimento, punizioni corporali, umiliazioni, paura e speranza miserabili. per l'anonima protagonista, il sogno più grande è di elevarsi dal ruolo di indegna e diventare un'illuminata per poter passare oltre quel portone sempre chiuso, lì dove solo chi è davvero pura può accedere.

la sorellanza è organizzata in una rigida gerarchia: al gradino più basso, le serve, i cui corpi sfregiati e malati impediscono di elevarsi a qualcosa di più. a loro spettano i compiti più umili e gravosi, e vengono guardate con sprezzante senso di superiorità dalle indegne, appena un gradino sopra, che possono però sperare di diventare elette o illuminate.
le elette - sante minori, diafane di spirito e auree piene - sono creature mutilate: accecate, con i timpani sfondati o con la lingua strappata, sono intermediarie tra i due mondi - terreno e spirituale - che si congiungono nella nuova, dolorosa forma dei loro corpi deturpati.
la loro è la dimensione della sofferenza e dell'obbedienza, che sono la loro missione: espiare, sacrificarsi giorno per giorno, offrire in dono il proprio dolore così da impedire altre catastrofi.
infine, ci sono le illuminate, con i loro corpi integri e perfetti, espressione di uno spirito puro che si è elevato, pur nel mondo materiale, fino al divino. vivono separate e nascoste dietro un enorme portone pesante, in un luogo altro e inaccessibile della casa. l'unica cosa che riesce a varcare la soglia è il loro canto.
sopra a tutte loro dominano due figure: la sorella superiora e ancora più in alto lui, l'unico uomo della casa della sorellanza, una figura distante, fredda e crudele.
l'uccello è morto guardando il cielo tra le foglie degli alberi. oppure guardando le stelle. è morto circondato di bellezza.
fuori dalla casa della sacra sorellanza, il mondo cade sotto i colpi di una crisi totale: il clima è al collasso e la società è completamente distrutta. privata di ogni possibile struttura, si è ridotta a un ammasso di persone che cercano di sopravvivere tra fame, caos e malattie.
chi dal mondo esterno arriva fino alle mura della sacra sorellanza può affrontare due destini: la morte immediata, se uomo, o una possibile consacrazione come indegna o come serva, se donna.
nello spazio intermedio, liminale, tra la casa e il resto del mondo, agustina bazterrica sceglie di collocare un bosco, il luogo per antonomasia di transizione e trasformazione, il luogo in cui passato, presente e futuro, causa ed effetto si ricollegano, i fatti diventano narrazione e ogni storia inizia davvero.

ne le indegne il bosco è molto più degli alberi che lo popolano, della luce che attraversa le loro foglie, della terra e dei pochi animali che ancora vi sopravvivono. dal momento in cui la narratrice-protagonista si ritrova a scriverne, il bosco si declina in qualcosa di più che uno spazio fisico.
le esperienze nel bosco - e la scrittura successiva di quelle esperienze - mettono in moto un concatenarsi di emozioni e ricordi che rivelano la storia di questa anonima cronista precedente al suo arrivo nella sacra sorellanza.
il bosco, da sepolcro degli affetti più cari, si trasforma in grembo di una ritrovata memoria e consapevolezza.

a catalizzare questo processo di metaforica morte-e-rinascita è lucía, una ragazza appena arrivata, attraverso il bosco, alla casa della sacra sorellanza.
lucía è, al contrario di chiunque altra, miracolosamente - e inspiegabilmente - incontaminata dalla crudeltà del reale che domina fuori e dentro le mura della sorellanza. tra le indegne, la sua umanità la fa apparire quasi come una creatura ultraterrena, una sorta di folle santa, o di strega, pronta a immolarsi rifiutandosi di partecipare a quel gioco mortale del tutte contro tutte che anima la casa della sorellanza.
il sudiciume che hanno assorbito dalla terra malata ha lasciato sul loro corpo stigmi permanenti, per ricordarci che la corruzione incombe su di noi e che le illuminate sono le uniche capaci di domarla. il sudiciume che si annida nella pelle delle serve, nelle loro cellule, è la rabbia del mare, la furia dell'aria, la violenza delle montagne, l'indignazione degli alberi, la tristezza del mondo.
vorrei poter analizzare pezzettino per pezzettino tutto il romanzo - che è, secondo me, incredibilmente bello e pregnante, anche più di cadavere squisito (che, chi mi conosce lo sa!, amo moltissimo) - ma non voglio spoilerare troppo la trama.
leggere questo libro è un po' come percorrere un percorso interiore di scoperta e riscoperta insieme alla protagonista, attraverso le parole, il pensiero e la scrittura. il suo diario è, da una parte, testimonianza di un'umanità post-storica, al capolinea di quel lungo processo di "progresso e sviluppo" che non ha tenuto conto dei suoi stessi effetti collaterali; dall'altra è, come dicevo, uno strumento di auto-analisi che permette alla donna che lo scrive di navigare all'interno del suo passato, di riscoprire i suoi traumi, di affrontarli e, così, superarli, riacquistando consapevolezza di sé e, di conseguenza, del sistema perverso della sorellanza.

le donne qui rinchiuse - serve, indegne, elette e illuminate che siano - sono succubi del topos (letterario e non) del fuori dalle mura è pericoloso, non si può uscire.
nel momento in cui questa negazione viene accettata totalmente da chi la subisce e, quindi, naturalizzata come unico modus vivendi possibile, chiunque la impone ottiene di poter imporre qualsiasi corollario a essa: non si esce dalle mura perché fuori è il male, e poiché vi è il male, bisogna espiare e purificarsi (nei modi raccomandati dalla legge o da dio o da qualsiasi padrone si sia accettato in quanto tale), così che il male non possa entrare.
così nasce una fede, una credenza totale e assoluta pur non supportata da alcun tipo di evidenza o di esperienza diretta della sua veridicità, così la sorella superiora e lui piegano menti già compromesse da ogni tipo di trauma, così di spezzano corpi già feriti e violati.

per spiegare la sua teoria sul funzionamento del potere (dello stato) foucault utilizza l'immagine del panopticon, la prigione progettata da jeremy bentham alla fine del '700: un unico guardiano, posto in cima a una torre, ha modo di osservare tutti i prigionieri - le cui celle sono disposte più in basso, in cerchio attorno alla torre - senza che questi sappiano con certezza se sono controllati oppure no. è questo controllo potenziale che instilla in loro la necessità di autocontrollarsi.
allo stesso modo, secondo foucault, il potere mantiene il controllo con pochi mezzi e poche energie semplicemente per il fatto di essere, almeno in potenza, pronto a punire o a premiare.
così, nella casa della sacra sorellanza, le consorelle - serve, indegne o elette che siano - vivono nel perpetuo controllo agito, se non dalla sorella superiora, da una qualche entità spirituale superiore: nessuna delle loro azioni sfugge al controllo, l'espiazione deve essere costante perché costantemente esposta a giudizio. e ogni fallimento altrui diventa uno scalino verso la propria elevazione.
nella casa della sacra sorellanza non ci sono rondini. non distinguiamo le stagioni, in una settimana possiamo viverle tutte e quattro fuse insieme, le une si compenetrano con le altre, si distruggono, il freddo dell'inverno congela una giornata primaverile, il caldo scioglie la pace autunnale, e tutte sono avvolte da un silenzio pungente che dilaga a un ritmo sempre più incalzante. il silenzio degli uccelli che ormai non cantano quasi più.
se nel primo romanzo arrivato in italia, cadavere squisito, la metafora cannibalismo/capitalismo era immediata e sconcertante, qui bazterrica costruisce il suo mondo distopico in modo più sottile, andando avanti e indietro nel tempo e nei ricordi e affidandosi a una sola voce (muta, senza filtri, senza paure che le impediscano di dire).
l'aspetto forse più incredibile di questo romanzo è proprio il modo in cui, man mano la protagonista-narratrice va avanti, cambia il suo modo di scrivere e quindi di pensare, di guardare a quello che la circonda, alle altre e a sé stessa.
la presa di coscienza c'è ed è pienamente visibile per noi che leggiamo, ma forse non lo è altrettanto per lei che scrive. e la traduzione di francesca signorello è riuscita a rendere perfettamente questo cambio di registro.

le indegne è un romanzo piccolino e si fa leggere in poche ore, ma spalanca voragini di riflessioni sul nostro mondo e sui collegamenti tra le tante crisi che stiamo affrontando: quella ecologica, quella sociale, quella economica. guerre, inquinamento, genocidi, distruzione dei diritti umani, misoginia e odio del diverso, chiunque egli sia, tutto partecipa al collasso prossimo, tutto minaccia un'umanità sconfitta da sé stessa, violata, impaurita da un mondo che se la gratta via di dosso.
e, in un futuro così, perdere sé stessə e riconoscersi come prede, non è poi così facile come credere a una nuova fede, a una nuova speranza addestrata con l'inganno e la sofferenza.

Nessun commento:

Posta un commento