venerdì 12 dicembre 2025

riti di passaggio ~ intervista a luisa teresa cremonese

come si raccontano trent'anni di vita, trent'anni di lavoro in giro per il mondo con la pretesa di alleviare le sofferenze degli altri? con quale bagaglio si torna a casa? si apre la valigia e ne escono momenti che insistono per essere raccontati, che vogliono trovare un loro posto nel presente. questo libro è il loro posto, il posto dove possono trovare pace e un equilibrio con giornate ora piene di piccole cose senza importanza.

ho conosciuto luisa cremonese qualche anno fa, durante un corso di scrittura creativa. mi piaceva un sacco il modo in cui scriveva e mi piaceva la naturalezza con cui parlava dei suoi viaggi e del suo lavoro, trent'anni passati a girare il mondo, nei contesti più assurdi, pericolosi e dolorosi del mondo, quelli di cui di solito si sente parlare al tg, non quelli in cui organizzeresti un viaggio per le vacanze.
un po' di tempo dopo, luisa mi chiede se mi va di fare dei disegni per dei racconti che ha scritto, alcune storie che fanno parte di quella gigantesca raccolta di esperienze vissute e persone incontrate che ha accumulato e custodito con cura per anni. penso di aver fatto i disegni migliori di sempre (per i miei standard) per questo libro, avevo già letto alcune di queste storie ed ero emozionatissima - lo sono ancora! - di poter far parte di una cosa così bella e importante.

qualche settimana fa luisa mi ha portato una copia - anzi, due, perché al momento il libro esiste anche in spagnolo e presto sarà disponibile in inglese - di riti di passaggio e, se possibile, mi sono emozionata ancora di più: questi racconti sono incredibili, dolorosi e pieni di speranza allo stesso tempo. sono storie di chi ha vissuto la guerra, la paura, la miseria e ogni possibile sofferenza sulla propria pelle ma che comunque ha continuato a vivere, a ridere e a piangere, a sperare, a immaginare un futuro. e sono le storie di chi ha fatto in modo che un futuro si potesse ancora immaginare.

mai come in questi ultimi anni abbiamo sentito parlare tanto di diritto umanitario e mai come in questi ultimi anni ho pensato all'importanza fondamentale che il lavoro dellə operatorə umanitarə ha in contesti di guerra. in riti di passaggio si vedono - si sentono, si annusano, si vivono - questi contesti, e si capisce chiaramente in cosa si traduce questo lavoro nei fatti, nella sconvolgente quotidianità di quelle parti di mondo che non riusciamo neppure a immaginare.

luisa restituisce storie e memorie, strappa persone e famiglie all'oblio di un mondo che considera una buona fetta della popolazione mondiale come sacrificabile e le loro storie come scarsamente interessante, e lo fa con una delicatezza e un rispetto straordinari. leggendo e rileggendo queste storie mi sono commossa più volte, mi sono stupita, mi sono costretta e pensare a cosa vuol dire guerra quando questa parola si appiccica alla vita di ogni giorno, striscia dentro le case, si insinua tra le famiglie. e ho perso tutte le parole che avrei potuto inventarmi per provare a dire cosa ho sentito.

ho invitato luisa a parlare di riti di passaggio qui sul blog, quindi vi lascio alle sue parole - sicuramente più sensate delle mie. buona lettura!

ciao luisa, grazie mille per aver accettato il mio invito e benvenuta su claccalegge!
prima di iniziare a parlare del tuo libro, riti di passaggio, ti andrebbe di presentarti allə lettorə del blog?

► Grazie a te, Claudia, per questa opportunità. Seguo con molto interesse il blog di Claccalegge ed è un onore per me poter presentare qui il mio libretto. Io ho lavorato per 30 anni all'estero con diverse missioni umanitarie delle Nazioni Unite, e sono rientrata definitivamente in Italia da circa un anno. Ho vissuto a lungo in America Latina, tra Messico, Colombia, centro America e sud America. ho passato vari anni nei Balcani, durante e subito dopo la guerra. Sono stata lunghi periodi in medio oriente, in Africa e nei paesi dell'Europa dell'est. Il mio lavoro si è svolto sempre in prima linea, in zone colpite da conflitti di alta e spesso bassa intensità, ma persistenti. Mi sono occupata, assieme ai miei colleghi e colleghe, di organizzare l'assistenza umanitaria a popolazioni sfollate. Questo significa aiutarli a sopravvivere costruendo rifugi, facilitando l'accesso a cibi e cure mediche, cercando di far funzionare scuole e attività educative anche in condizioni precarie. Ma si tratta anche di negoziare condizioni di vita dignitose, relazioni amichevoli con le popolazioni che si trovano nelle loro comunità gente nuova e molto spesso fragile e traumatizzata. Perché l'accoglienza funzioni c'è bisogno della solidarietà di chi accoglie, di chi non si gira dall'altra parte e decide di aiutare. La solidarietà è una condizione che va coltivata, protetta e rinforzata costantemente, non si può dare per scontata, soprattutto quando le persone sfollate vivono per periodi lunghi, spesso per anni, in zone, paesi, città dove spesso i servizi sono già scarsi per i residenti. E con questo sono già entrata nell'essenza del mio libro!
ecco, parliamo di questo libretto, piccolo ma straordinario: come e quando è nato il desiderio di scriverlo? e perché hai deciso di intitolarlo riti di passaggio?
► In vari momenti, durante tutti questi anni, ho preso appunti, mi sono segnata nomi e fatti di persone che ho incontrato e che mi sono rimaste impresse nella mente e nel cuore, che mi hanno marchiato e hanno inciso dentro di me una serie di cicatrici invisibili, che però sanguinano ancora.
Poi qualche anno fa questi appunti hanno cominciato a prendere forma, a diventare storie. Storie che premevano per essere raccontate. Scriverle è diventato per me una maniera di prendermi cura di loro, ma anche di me
I riti di passaggio sono proprio questo: da ferita a cura. Mi è capitato di promettere ad alcune persone, come la piccola Juana, che non mi sarei dimenticata di loro.
Per me è stato anche il passaggio da un mondo ad un altro: venire a casa mi ha portato a imparare a vivere qui di nuovo. Non lo sapevo più, non lo ricordavo più.
Ecco, posso dire di avere vissuto in questi mesi la sindrome del reduce.
riti di passaggio è una raccolta di nove racconti molto brevi ma molto intensi, alcuni di questi sono, diciamo, a lieto fine, altri sono molto cupi e dolorosi, mentre l'ultimo, come dicevi, è dedicato proprio al "ritornare a casa". come hai scelto, tra tutte le esperienze che hai vissuto, quali storie raccontare? e c'è una storia in particolare che ti porti nel cuore, che per te significa qualcosa più delle altre?
► Le storie erano molte di più, veramente molte. Ho tagliato quelle più violente, dolorose, non risolte. Non c'è bisogno di bruciare tra le fiamme dell'inferno per sapere che esiste. E non tutte le ferite si sono cicatrizzate.
Così ho deciso di condividere quelle con cui ho fatto pace.
Tutte mi sono care, ma forse quella che ho più in mente è la storia del carabiniere Zappalà. E ce l'ho in mente per una parte non scritta, per una storia parallela che è rimasta nella mia penna e che forse un giorno racconterò. Si tratta della storia di un bambino di due anni, Guillermo, che faceva parti di quel gruppo che accompagnavo. Era nato coi piedi all'indietro e non poteva camminare. Si trascinava per terra, con grande fatica. strisciava in mezzo al fango, sui sassi. La madre era incinta e aveva altri bambini piccoli e non riusciva a stargli molto dietro. Il padre, quando non lavorava, se ne prendeva cura con un amore commovente. Ecco, se lo avessimo lasciato andare così, avrebbe strisciato per tutta la vita. Allora con un collega abbiamo convinto la famiglia di lasciarcelo portare in città per sentire se era operabile.
Ci sono voluti sei mesi, ma alla fine Guillermo ha camminato. Non ti dico cosa ho sentito quando lo ho visto in piedi, con le scarpe ortopediche, che camminava con passo lento e pesante ma fermo e sicuro. Prima di partire con suo padre mi ha preso la mano e me la ha stretta forte. E mi ha guardato con quei suoi occhioni neri come la notte. Non lo dimenticherò mai
Per anni hanno sempre trovato il modo di mandarmi notizie, anche se vivevano in un posto molto isolato e io ero in viaggio per il mondo.
questa di guillermo è una storia bellissima e fa capire cos'è il lavoro di aiuto umanitario molto bene. ma prima di parlare di questo, volevo chiederti cosa vuol dire "fare pace" con una storia? e come ci si riesce?

► Bella domanda. A volte nel mio lavoro si ha la presunzione di poter risolvere i mali del mondo. Ci si crede invulnerabili all' orrore a cui si assiste ogni giorno. Invece sono i mali del mondo che finiscono per corromperci. Il dolore insensato, la violenza, la brutalità ti guastano. Il lato oscuro del lavoro umanitario si chiama Post Traumatic Stress Disorder, si chiama trauma vicario, si chiama dipendenza, qualsiasi tipo di dipendenza.
Allora, per me fare pace significa imparare a lasciare andare le persone con le loro storie, saper dire addio, sentire compassione ma non assumere il dolore altrui come proprio. Alla fine questa è una forma di rispetto.

tu hai scelto un lavoro meraviglioso, fondamentale e anche estremamente difficile, che ha definito moltissimo la storia della tua vita: quando hai deciso che saresti diventata un'operatrice umanitaria? e cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?
► Più che una decisione è stato un destino. Ho sempre saputo che avrei fatto QUESTO. Non sapevo con chi, dove e come, quello è venuto dopo
Per me le Nazioni Unite sono state, e spero lo saranno di nuovo, il punto più alto della civiltà umana: riconoscere i diritti di tutte le persone in quanto persone è la più grande rivoluzione mai avvenuta. Riconoscere un'istituzione che protegge questi diritti come scopo principale, che regola i rapporti tra le nazioni in nome di questi diritti è quanto di più avanzato l'umanità sia riuscita ad esprimere.
E adesso...
negli ultimi mesi, però, molte risoluzioni dell'onu - mi riferisco a quelle in merito al genocidio in corso a gaza - sono state bloccate dal diritto di veto degli stati uniti, un comportamento che di "umanitario" ha avuto veramente poco. come sono stati vissuti questi momenti da chi ha speso buona parte della sua vita tenendo fede a un'idea che più volte è stata tradita in questo modo?
► L'unica cosa da fare che mi viene in mente è quella di non perdere anche la memoria. Berthold Brecht faceva dire a Galileo Galilei, costretto ad abiurare le sue scoperte, che ci sono momenti in cui bisogna mettere la verità sotto il mantello. Dicendo questo affida tutti i suoi scritti al suo discepolo più fedele, perché il metta in salvo.
Viviamo in un'epoca infame, dobbiamo resistere.
penso che vorrei farmela tatuare quest'ultima frase. tornando a "riti di passaggio", c'è una cosa che mi ha incuriosita parecchio in questo libro, forse una cosa molto piccola in confronto ad altre vicende che racconti, e cioè la storia del cane mussolini. la sua padrona ha deciso di chiamarlo così perché è tutto nero, quasi fosse uno scherzo. quando l'ho letto per la prima volta, mi è sembrato quasi un sacrilegio usare quel nome con tanta leggerezza, poi mi sono accorta che il mio punto di vista è quello di una persona che crede nei valori dell'antifascismo e che sente "sua" la storia della resistenza al nazifascismo in italia, mentre per altre persone, invece, il nome di mussolini può dire molto meno… ti è mai capitato, in questi anni di lavoro in giro per il mondo, di affrontare una situazione che si scontrava completamente con il tuo sistema di pensiero, al punto da risultarti incomprensibile?
► È proprio come dici, le percezioni e il vissuto delle persone sono molto diversi a seconda di dove vai. Se ho imparato una cosa in questi anni è quella di non giudicare. Un poco alla volta ho cercato di spogliarmi di ogni rigidità e di non avere la pretesa di capire sempre. Il mio unico punto fermo è rimasto quello del rispetto verso le altre persone. Se qualcuno fa del male a qualcun altro, lì non c'è rispetto, lì abbiamo il dovere di intervenire.
nelle tue storie non ci sono mai riferimenti spazio-temporali precisi. ho pensato che fosse per "proteggere" le persone di cui parli, che sono state vittime di situazioni tragiche e terrificanti, ma che allo stesso tempo, non situare questi racconti in un contesto mostra come la sofferenza umana - e la forza di chi resiste - sia la stessa, in ogni tempo e in ogni luogo…
► In buona parte è così, effettivamente. La confidenzialità nel nostro lavoro è una componente vitale, non solo per le persone protagoniste delle storie, ma anche per chi ci lavora.
Sai una cosa che fa la differenza in questo libro? I disegni. I disegni sono quasi una fotografia di una parte di queste storie, sono così armonici e integrati con il testo che non potrei immaginare questo libro senza di loro.
ahah, mi fai arrossire! volevo dirtelo alla fine per non rubare spazio, ma ci tenevo a ringraziarti anche qui per avermi dato la possibilità di fare parte di questo libro così bello, è stato davvero emozionante vederli stampati! grazie davvero!
torniamo a te: so che per te la scrittura è qualcosa di fondamentale e sempre presente, lo dici anche nel libro quando racconti il tuo ritorno a casa. hai dei nuovi progetti in mente?
► Certo, ho appena completato un libro assieme a un artista spagnolo. Io ho scritto la critica alle sue opere. Te lo mando, dacci una occhiata, ne sono molto orgogliosa!
L'artista ha la sindrome di Down e per questo non è stato preso molto sul serio nel suo percorso
E comunque continuerò a scrivere. In queste settimane voglio completare una serie di racconti lunghi, tutti centrati sulla frontiera, intesa come spazio fisico ma anche mentale. Poi ho il progetto di un romanzo a cui spero di lavorare nel 2026.
non vedo l'ora di leggerli!
ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato e per avermi dato uno spazio così importante in riti di passaggio, continuerò a consigliarlo a tuttə! in bocca al lupo per i tuoi prossimi lavori e a prestissimo!
► Grazie a te, è stato veramente un piacere.


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