venerdì 26 dicembre 2025

l'isolo

che poi le chiamano isole, ma sono solo montagne che provano a difendersi, mettendo un oceano tra noi e loro.


john donne diceva che nessun uomo è un'isola, maicol & mirco dice che l'isolo vive solo, circondato dal mare. proprio come tutti noi, che poi sono due modi di dire la stessa cosa, cioè che noi esseri umani (anche le donne, con buona pace di john) abbiamo un rapporto strano con la solitudine: la temiamo e la desideriamo e, più spesso di quanto non sappiamo, fatichiamo a riconoscerla e ne fraintendiamo il significato.

quella dell'isolo è un'ultima storia che valga la pena raccontare prima di dimenticare per sempre l'orribile esperimento umano di una terra ormai libera dal suo peggiore parassita, la storia di un uomo buono perché solo (una delle cose che più riconosco a maicol & mirco è la sua capacità di infilare interi trattati in pochissime parole).

un uomo solo su un'isola minuscola. chiunque abbia sfogliato la settimana enigmistica l'ha visto tante volte, è il personaggio di una barzelletta, una roba da nulla, che fa ridere un momento e poi si lascia dimenticare, seppellire tra gli altri miliardi di pensieri di un giorno qualunque. eppure, dice l'autore, se a quell'uomo solo sulla sua isola dedicassimo non una sola vignetta ma un libro intero, la sua storia sarebbe epica e tragica. proprio come questo libro qui.

l'isolo disprezza l'umanità - umanità intesa come tutto il resto degli esseri umani, certo, ma anche nel senso di natura umana, quella dellə altrə tanto quanto la sua - in modo così profondo da decidere di abbandonarla, confinandosi in un esilio volontario su un'isola che è poco più di uno scoglio. qui, all'ombra di una palma e in compagnia di una lucertolina la cui coda costituisce la sua unica fonte di sostentamento, isolo gode della vita come pura esistenza, contemplando il mare e le meraviglie che cela sotto la sua superficie - la televisione di dio - riparandosi all'ombra dell'unica palma, mangiando (coda di lucertola) e dormendo. per quanto, però, cerchi di allontanarsi dall'umanità e a rifuggirne la cultura, l'isolo non riesce a fare a meno di filosofare sulla sua vita e sui motivi che lo spingono a viverla. il suo stare al mondo non è esistenza inconsapevole né pura sopravvivenza, anzi, il suo rifiuto della cultura - dominante - umana ne è solo un'altra faccia.

l'isolo fugge dal mondo e non vuole essere umano ma è umano tanto quanto tuttə noi, che sogniamo di sparire per scoprire chi verrebbe a cercarci, che immaginiamo la nostra solitudine per indovinare il vuoto che lasceremmo nella vita dellə altrə, che non leggiamo le lettere che riceviamo per mantenerci il cuore integro. ma se pure l'isolamento sembra l'unica soluzione possibile, è quando questo inizia a incrinarsi che il nostro bisogno di relazioni - senza scomodare aristotele - si svela per quello che è, ovvero inevitabilmente parte del nostro essere. l'altro-da-noi non è solo rumore di sottofondo o, peggio, nemesi da sconfiggere o da cui fuggire: è essenza fondamentale del nostro stare al mondo, è - letteralmente o no - parte di noi, della nostra storia e del nostro futuro. e il mondo interiore dell'altro da noi è lo spazio dove risuona la poesia e la meraviglia, ed è il cambio di prospettiva che ci permette di scoprire ancora e ancora e ancora quello che pensavamo di conoscere.

è senza tutto questo che siamo solə, che sia su uno scoglio sperduto nel mare o nella più affollata delle piazze. è questa solitudine dell'anima, assoluta e irrimediabile, quest'odissea senza navi né terre a cui approdare, questo nόstos rovesciato e infine mancato, che trasforma una barzelletta nel più toccante dramma umano, narrato da chi non sa essere solo nemmeno nel nome.

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