mercoledì 7 ottobre 2020

la terra, il cielo, i corvi

ci sono un italiano, un russo e un tedesco. non si conoscono, non si piacciono, non si capiscono. d'accordo: il tedesco sa qualche parola di italiano e l'italiano qualcosa di russo. ma non si vogliono capire, questo è il punto. e sono costretti a passare del tempo fianco a fianco. una compagnia de mal tra' insema, proprio. 
sembra l'inizio di una barzelletta, no?
peccato che non fa ridere per niente.


teresa radice e stefano turconi sono tra quegli autori che fin dal momento in cui viene annunciato che stanno lavorando a un nuovo libro scatenano grandissime aspettative, aspettative che fino ad adesso sono sempre state soddisfatte.
spoiler: anche questa volta.
c’è da dire che nel marzo del 1943 i monasteri delle isole solovetskij, sul mar bianco, non erano già più un gulag, ma una base militare. rinchiudevano però alcuni prigionieri di guerra, scelti tra i più giovani e in forze da diversi campi sparsi per il paese. portati lì per scavar fossati e costruire baracche e fortificazioni. e uno di questi ero io.
inizia così questo nuovo racconto - dopo il porto proibito, non stancarti di andare, tosca dei boschi e le ragazze del pillar - aprendosi su un tramonto gelido in una distesa desolata di neve, costellata di qualche albero e di un grosso campo militare, circondato da mura e torri di avvistamento.
era già da qualche mese che sul loro account instagram (la casa senza nord, che è spesso pieno di belle anteprime) avevamo avuto modo di dare un'occhiata a questi paesaggi, così diversi da quelli caldi e colorati dei loro ultimi lavori, ma i disegni di stefano turconi (e i colori!) riescono a stupire tantissimo ogni volta che si apre un loro nuovo libro.


tra i prigionieri della base ci sono due uomini intenzionati a darsi alla fuga: werner volker, fuchs (volpe, più per i capelli rossi che per la furbizia) per gli amici, qualora ne avesse qualcuno, un tedesco grande grosso e rude, e antonio limonta, un giovane fante italiano che decide subito di approfittare della fuga di fuchs, sicuro che, se proprio deve attraversare la steppa gelida, è meglio farlo con una compagnia, seppur pessima, che da solo. ed è merito di limonta se a loro si aggiunge ivàn pavlovič mostovskij, vanja per far prima, una guardia russa che si evita una pallottola di fuchs solo grazie all'intervento - un po' per buon cuore, un po' per interesse - dell'italiano.

e so che fame e rabbia, se si è soli, portano alla disperazione.
ma, se condivisi, sono carburante che incendia il mondo.

il testo mescola russo, tedesco e italiano senza nessuna traduzione a margine o altro: alcuni baloon sono praticamente incomprensibili (a meno che voi non parliate tedesco o russo, ovvio) e per quanto fastidioso possa sembrare all'inizio (in realtà i dialoghi sono strutturati in modo da rendere abbastanza comprensibile tutto), l'effetto rende perfettamente la situazione: tre uomini che si ritrovano insieme di controvoglia e hanno davvero pochissima voglia di perdersi in chiacchiere, quello che conta è portare a casa la pelle. e poi, in realtà, sarebbero nemici: vanja potrebbe salvarsi dall'accusa di tradimento solo se consegna i due prigionieri, ma anche lui vorrebbe solo tornare a casa, dal padre morente e dalla fidanzata. limonta torna col pensiero ogni volta che può alla sua terra e al suo passato e fuchs... fuchs parla poco ma la realtà della guerra ha chiaramente sgretolato ogni sua certezza, lasciandogli dentro solo macerie.


quarta protagonista, silenziosa, invisibile ma costantemente presente è la guerra: il conflitto che li ha strappati dalla loro terra, dalle famiglie, dagli amici, dagli amori e li ha messi su fronti diversi, la stessa guerra che fa rischiare la vita ai contadini che nonostante il pericolo li accolgono e li sfamano, quella che fa sospirare di paura e speranza chi aspetta il ritorno di qualcuno, quella che ha deciso che loro tre siano prima nemici e poi compagni, che si ritrovino - sperduti in mezzo al nulla - un po' a guardarsi le spalle uno dall'altro, un po' a proteggersi. quella guerra che li porterà a svelare aspetti di sé che forse non avrebbero mai immaginato di avere, o che semplicemente non volevano ammettere.

non me ne è mai fregato granché di convincere altri a pensarla come me... ma adesso vorrei davvero alleggerirgli il carico, dirgli che la salvezza, a parer mio, non è essere fedeli alle forme, ma imparare a liberarsene.
dirgli che mescolarsi è la vera rivoluzione.

la terra, il cielo, i corvi è una storia diversa sotto tanti aspetti dalle precedenti di radice-turconi, credo sopratutto per il rapporto lettore/personaggi, che questa volta si instaura più lentamente: sentiamo i pensieri di limonta ma non quelli degli altri due, anzi, di loro non capiamo neppure le parole. e anche l'unico di cui possiamo cogliere i pensieri racconta solo quello che vuole raccontare, decide lui cosa svelarci, come e quando. è una storia che invece di andare avanti sembra spuntare da sotto una coltre di neve che si scioglie, lasciandosi intravedere a tratti, lasciandosi intuire un pezzo alla volta, mostrandosi interamente solo alla fine.
una storia che chiede pazienza e fiducia, che ti conduce, proprio come succede ai tre protagonisti, lungo un sentiero che non sai dove porta.

e se non c'erano confini per aria, perché dovevano essercene in terra? se l'aria era libera, doveva esserlo anche la terra.
e dovevo esserlo anche io.
libero di scegliere cosa fare della mia vita, come spenderla. senza muri, reti, frontiere decise da altri.



una storia bellissima raccontata e disegnata in modo magistrale, come sempre.
e come sempre una storia che si apre a tantissime riflessioni: alla guerra che rende gli uomini crudeli, alla crudeltà che lascia spazio alla fratellanza, alla fratellanza che trasformarsi in eroismo, all'eroismo semplice dei piccoli gesti di gentilezza, ai piccoli gesti di gentilezza che rivoltano l'esistenza come un calzino e sono capaci di ritrovare la vita persino lì dove sembrava non essercene più.

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