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lunedì 11 agosto 2025

mentre il mondo guarda ~ intervista a gina nakhle koller / while the world watches ~ interview with gina nakhle koller

«A tutte le persone palestinesi del mondo: Questo libro è dedicato alla vostra resilienza, forza e incrollabile speranza di fronte a sfide inimmaginabili. Che la sofferenza finisca, che la giustizia prevalga e che il mondo agisca finalmente per portare pace e dignità nelle vostre vite.»
Gina Nakhle Koller


questo post è stato scritto in italiano e in inglese.
this post was written in italian and english. scroll down to read the english version.

la storia di un genocidio non è una storia di numeri e non si fa con le notizie che gocciolano tra le maglie strette della censura occidentale.
è stato detto tante volte, così tante che temo che il significato di questa cosa si sia perso, ma questo è davvero il primo genocidio in diretta streaming della storia dell'umanità. abbiamo visto centinaia di migliaia di fotografie e di video, abbiamo letto notizie agghiaccianti, ma soprattutto abbiamo visto i volti, letto i nomi e a volte le storie di tutte le vittime dell'abominio che israele sta compiendo impunemente, anzi, con il sostegno dell'europa e dell'america.
abbiamo le prove di tutto questo costantemente sotto gli occhi eppure non riusciamo a fermarlo. restiamo ad ascoltare i nostri governi e la nostra peggiore stampa sostenere menzogne su menzogne persino davanti all'evidenza, persino davanti alle innumerevoli manifestazioni che in tutto il mondo esprimono solidarietà alla palestina e chiedono il cessate il fuoco, la fine del blocco degli aiuti umanitari, delle uccisioni di massa, degli arresti illegali, dello strapotere dei coloni, di ogni tipo di abuso.

guardiamo tutto da quasi due anni eppure questi volti e nomi e storie rischiano di perdersi in un vortice gorgogliante di orrore, nei feed sconclusionati dei nostri social, dove la foto di un bambino fatto a pezzi si incastra tra il video di un gattino buffo e quello dell'ennesima, inutile ricetta.
tutto questo rischia di perdersi o, forse peggio ancora, di normalizzarsi, di diventare così tanto a fondo parte della nostra quotidianità da trasformarsi in un contenuto tra tanti.

gina nakhle koller sta provando, dall'inizio del genocidio, a far sì che questo non succeda.
il suo lavoro va a braccetto con quello dellә giornalistә palestinesә che da mesi - da decenni, in realtà, perché sappiamo tuttә che questa storia orribile non è iniziata il 7 ottobre 2023 - testimoniano a rischio della loro vita gli infiniti crimini israeliani a gaza e nei territori palestinesi occupati.


mentre il mondo guarda / while the world watches è la raccolta - in italiano e in inglese - delle vignette che ha disegnato e pubblicato ogni giorno dall'inizio del genocidio. le sue opere si ispirano alla cronaca quotidiana, raccontano l'inumanità dell'IOF e dellә suә sostenitorә: i bombardamenti sullә civilә, lә bambinә a pezzi e quellә mutilatә e quellә orfanә e quellә mortә di freddo o di fame, ridottә a scheletri. e poi le fosse comuni, lә sfollatә bruciatә vivә nelle loro tende, lә neonatә lasciatә morire di fame ammassatә dentro le poche incubatrici rimaste in funzione, gli ospedali e le scuole e le case e le università e ogni altro edificio civile raso al suolo, lә medicә e lә operatorә umanitarә e lә giornalistә presә di mira e uccisә, i cadaveri restituiti privi di organi, lә prigionierә rilasciatә dopo indicibili torture e il dolore folle nei loro sguardi, le ambulanze crivellate di colpi. e i soldati che ridono mentre uccidono, che si vantano di essere la peggiore espressione che l'umanità può inventare, i leader che applaudono agli assassini e l'industria bellica che gonfia oscenamente i portafogli di pochi, mentre a centinaia di migliaia vengono massacrati ogni momento.

leggere oggi mentre il mondo guarda è un modo per rivivere il primo anno di genocidio a gaza, per richiamare alla mente quello che è stato sommerso da centinaia di altre immagini altrettanto sconvolgenti e disastrose. ma è anche un modo per sottrarre quelle immagini al fisiologico oblio dei social network e trasformarle in storiografia contemporanea dell'abominevole condizione in cui è crollato il nostro mondo.

le vignette di gina sono sempre essenziali, il soggetto è spesso al centro dello spazio, circondato da bianchi o neri assoluti e dalle parole dell'artista che raccontano, citano o accusano. momenti di orrore strappati al ritmo frenetico dell'ultrainformazione dell'era social, fissati sulla carta - e sulle nostre coscienze, per sempre - da tratti veloci, netti, sicuri anche se carichi di emozione.
gina traduce in disegno tanto l'oggettiva crudezza di quelle immagini, quanto le reazioni del mondo - di partecipato dolore, di sdegno o, per alcuni soggetti in particolare, di compiaciuta complicità - diventando testimone non soltanto della cronaca di gaza ma dello scollamento, pericolosissimo, che sta avvenendo sempre di più tra i governi e i popoli che dovrebbero rappresentare.

ma c’è di più. il lavoro di gina – che non si è fermato alla pubblicazione del libro, ma continua sui suoi social e sul suo sito – non è semplicemente una trasposizione della cronaca, è – come è sempre l’arte quando si fa strumento di lotta contro il potere – un messaggio di denuncia, di accusa ma anche di speranza. gina, come altrә artistә palestinesә che abbiamo imparato a conoscere in questi lunghi mesi, è voce di un popolo che non vuole arrendersi e che è pronto a rinascere, con le radici ben piantate nella sua terra e l’animo teso al futuro.

vi lascio alle parole di gina. buona lettura!

ciao gina, grazie mille per aver accettato il mio invito e benvenuta su claccalegge!

► Ciao a tutti e grazie, Claudia, per avermi proposto questa intervista. Sono onorata di avere una piattaforma per parlare della Palestina.

in questi lunghissimi mesi di orrore, tutto il mondo ha guardato alla palestina, ha pianto, manifestato, condiviso le immagini di denuncia e testimonianza che sono state trasmesse ininterrottamente sui social, ha cercato con ogni mezzo possibile di contrastare l’impunità dello stato di israele. posso chiederti come ti sei sentita e come ti senti, da artista di origine palestinese e libanese, davanti alle notizie che arrivano ogni giorno da gaza e dalla west bank?

► Mi sento distrutta e spaventata, eppure in qualche modo più determinata che mai. Come artista libanese i cui nonni erano palestinesi, queste non sono solo delle notizie per me. È una questione personale. È una questione generazionale. Sono cresciuta con il peso della spoliazione, dell'occupazione e della cancellazione, ma nulla poteva prepararmi alla portata e alla brutalità di ciò a cui abbiamo assistito dall'ottobre 2023.

Ogni giorno porta con sé un nuovo orrore e ci sono momenti in cui mi sento completamente impotente. È un'angoscia profonda, che mi tocca l'anima. Ma anche nei momenti più bui, ho imparato che la disperazione non è la fine, è un invito ad agire. Ho molti alti e bassi. Sì, il genocidio è ancora in corso. Ma ciò che è ancora in corso è anche la solidarietà globale, il rifiuto di distogliere lo sguardo e la consapevolezza che abbiamo la responsabilità non solo di piangere, ma anche di mobilitarci.

quando e perché hai deciso di disegnare per denunciare il genocidio?

► Quando è arrivato il 7 ottobre, sapevo già cosa stava per succedere. Ho vissuto con la consapevolezza di come reagisce lo Stato israeliano: con punizioni collettive, con violenza schiacciante, senza alcun riguardo per la vita dei civili. Quindi, mentre il mondo stava ancora elaborando lo shock di quel giorno, io sentivo già il terrore insinuarsi dentro di me. Sapevo che Gaza avrebbe sofferto, ancora una volta, solo che questa volta su una scala ancora più inimmaginabile.

Quando ho iniziato questo progetto, ero devastata. Ero sopraffatta dal dolore, dalla paura e dall'impotenza. Guardando il genocidio svolgersi giorno dopo giorno, attraverso il mio telefono, i notiziari, le voci delle persone che imploravano di essere ascoltate, ho sentito il bisogno di fare qualcosa. Disegnare è diventato il mio modo di affrontare la situazione, di non chiudermi in me stessa. È stato il mio modo di sopravvivere emotivamente.

All'inizio era un meccanismo di difesa profondamente personale. Ma man mano che i disegni hanno acquisito visibilità, sono diventati qualcosa di più: una forma di testimonianza. Un modo per umanizzare i numeri, i titoli dei giornali, l'orrore. Per dare un volto ai nomi. Per affiancare l'emozione ai fatti. E quando le persone mi hanno detto che le immagini li aiutavano a capire o a sentirsi meno soli, è stato questo che mi ha spinto ad andare avanti.

sulla copertina del tuo libro c’è un occhio che viene spalancato a forza da due mani. come interpreti il rifiuto di molta gente di guardare le immagini di questi massacri, di provare a capire cosa sta succedendo?

► L'immagine sulla copertina – un occhio costretto ad aprirsi – è un simbolo doloroso di ciò che credo tutti noi dobbiamo affrontare: l'urgente necessità di vedere e non distogliere lo sguardo. Il rifiuto di molte persone di guardare queste immagini è straziante, ma purtroppo comprensibile. La brutalità è così opprimente, così devastante, che distogliere lo sguardo può sembrare un modo per proteggersi da un dolore o da un senso di colpa insopportabili.

Ma questo rifiuto permette anche alla violenza di continuare senza controllo. Quando le persone chiudono gli occhi, permettono al silenzio di diventare più forte della giustizia. L'immagine è un appello, una richiesta, a confrontarsi con la realtà, per quanto scomoda o dolorosa possa essere. Perché solo guardando, testimoniando, possiamo veramente comprendere il costo umano e iniziare a chiedere un cambiamento.

È un promemoria che l'indifferenza è complicità. E che il mondo non può più permettersi di essere uno spettatore passivo.

ogni giorno arrivano notizie terrificanti, tantissime. foto, video, dichiarazioni, interviste, eccetera. in che modo decidi quale sarà il soggetto della tua vignetta giornaliera?

► Seguo attentamente le notizie ogni giorno: è impossibile sfuggirvi. Il flusso costante di foto, video, dichiarazioni e testimonianze è travolgente. Scegliere un soggetto per ogni disegno quotidiano non è mai facile.

Non mi limito a scegliere ciò che è più riportato o scioccante; mi concentro su ciò che mi colpisce in modo diverso a livello personale o emotivo. A volte si tratta di un evento specifico: una famiglia presa di mira deliberatamente, l'uccisione di un giornalista o una storia particolare che rivela il costo umano dietro i titoli dei giornali.

Altre volte si tratta di catturare l'atmosfera più ampia di paura, resilienza o dolore che tanti stanno vivendo. Il mio obiettivo è tradurre ciò che mi commuove profondamente in qualcosa che gli altri possano sentire e comprendere. Ogni disegno è un modo per catturare un momento nel tempo e dire: questo è successo. Questo è importante.

il tuo lavoro va oltre la semplice idea di “pubblicare un libro”, credo che sia un documento fondamentale per raccontare e testimoniare questi mesi, uno di quelli che poi diventano vere e proprie fonti storiografiche a servizio degli studiosi che proveranno in futuro a capire il presente che siamo vivendo. quando e come hai deciso di trasformare il tuo lavoro online in un libro di carta, capace di arrivare a molte più persone di quelle che vedono le tue opere sui social?

► All'inizio, pubblicare un libro non era nei miei piani. Mi concentravo sul reagire al momento, sull'esprimere ciò che provavo giorno dopo giorno. Ma man mano che i disegni si accumulavano, mi sono reso conto che questo lavoro doveva andare oltre la natura dei social media.

I social media sono in rapida evoluzione: un luogo di reazioni immediate e condivisione veloce, ma anche un luogo in cui le cose possono essere dimenticate altrettanto rapidamente. Volevo creare qualcosa di più duraturo, qualcosa a cui le persone potessero aggrapparsi e a cui potessero tornare, una testimonianza tangibile di questi mesi.

Non si tratta solo di un momento nel tempo, ma di una parte di una storia molto più lunga di sofferenza, resilienza e resistenza. Trasformare il mio lavoro online in un libro cartaceo è stato un modo per preservare la memoria, per insistere affinché queste storie non vengano cancellate e per offrire una risorsa alle generazioni future e agli studiosi che cercano di capire cosa è successo.

Il libro diventa una forma di testimonianza, qualcosa di permanente in mezzo al dolore e alla lotta continua.

che tipo di feedback hai avuto sui social da quando hai iniziato a pubblicare i tuoi lavori? e come è stato accolto il libro?

► La risposta sui social media è stata incredibilmente commovente. Molte persone che seguono il mio lavoro erano entusiaste quando hanno saputo dell'uscita del libro: lo consideravano un passo necessario e molti mi hanno detto che stavano aspettando qualcosa del genere. Ho ricevuto molti feedback positivi, non solo sull'arte in sé, ma anche su come è stata utilizzata: condivisa con amici, familiari e soprattutto con persone che potrebbero non capire cosa sta succedendo o che scelgono di rimanere in silenzio.

Per quanto riguarda il libro, penso che sia stato accolto con un profondo senso di riconoscimento e urgenza. La gente capisce che non si tratta solo di un progetto artistico, ma di una documentazione, di una testimonianza. Credo sinceramente che fosse qualcosa che la gente aveva bisogno di vedere e sono grata che stia riscuotendo questo successo. Spero che la gente continui a parlare di ciò che sta accadendo e che il libro continui a diffondersi. Questo non può essere dimenticato. Né ora, né mai.

tantissime persone si chiedono ogni momento cosa possono fare concretamente per fermare il genocidio, e spesso si sentono impotenti. hai dei consigli da darci?

► È così facile sentirsi impotenti di fronte a qualcosa di così enorme e orribile come un genocidio. Lo sento dire continuamente: “Cosa posso fare? Sono solo una persona”. Ma la verità è che tutto inizia sempre da una sola persona. Ogni voce conta. Ogni azione, per quanto piccola possa sembrare, contribuisce a creare un'onda più grande di consapevolezza e resistenza.

Il primo passo è parlarne. Avvia delle conversazioni. Condividi la verità con le persone che ti circondano, specialmente con quelle che non prestano attenzione. La consapevolezza si diffonde da persona a persona.

Se potete, boicottate: la pressione economica è importante. Dove spendete i vostri soldi è un atto politico. E, naturalmente, condividere online è ancora potente. Potrebbe sembrare solo un post o una storia, ma non si sa mai chi raggiungerà o come potrebbe spingere qualcuno ad agire.

Non dobbiamo fare tutto noi. Ma se ognuno di noi fa qualcosa, il risultato è importante. È così che inizia il cambiamento.

ti ringrazio tantissimo per il tempo che ci hai dedicato e soprattutto di ringrazio per il tuo lavoro, per il tuo libro e per tutte le emozioni che ci sono dentro e che hai condiviso con noi. dal fiume al mare!

► Grazie Claudia! Per tutto e per essere una voce forte in questo momento di bisogno.

la biografia di gina nakhle koller è tratta dal sito di eris edizioni

Nata nel 1982 in Libano, è illustratrice e fumettista. Il suo lavoro affonda le radici nelle sue origini libanesi e palestinesi. Cresciuta tra le difficoltà di una regione turbolenta, Gina ha scoperto che l’arte è un potente strumento di auto espressione e di storytelling, un mezzo per entrare in contatto con la sua identità e per far luce sulle storie mai raccontate del suo popolo. La Palestina rimane un tema centrale nel lavoro di questa artista, alimentando la sua passione nel creare un’arte che catturi la resilienza, le lotte e l’umanità del suo popolo. Nel 2013 ha conseguito un Master of Arts in Illustration in Svizzera dove ore vive, approfondendo il suo impegno nel raccontare attraverso le narrazioni visive. La sua arte trascende i confini, invitando il pubblico a vedere il mondo attraverso la lente dell’empatia e a dialogare con le voci di coloro che troppo spesso non vengono ascoltati.

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«To all Palestinians around the world: This book is dedicated to your resilience, strength, and unwavering hope in the face of unimaginable challenges. May the suffering end, may justice prevail, and may the world finally act to bring peace and dignity to your lives.»
Gina Nakhle Koller

the story of a genocide is not a story of numbers, and it is not made with the news dripping through the tight meshes of western censorship.

has been said so many times, so many that i fear the meaning of this has been lost, but this is truly the first genocide live-streamed in human history. we have seen hundreds of thousands of photographs and videos, we have read chilling news stories, but most of all we have seen the faces, read the names and sometimes the stories of all the victims of the abomination that israel is carrying out with impunity, indeed with the support of europe and america.

we have the evidence of all this constantly before our eyes, and yet we are unable to stop it. we stand by and listen to our governments and our worst press support lies upon lies, even in the face of the evidence, even in the face of countless demonstrations around the world expressing solidarity with palestine and calling for a ceasefire, an end to the blockade of humanitarian aid, mass killings, illegal arrests, settler oppression, and all kinds of abuses.

we have been watching everything for almost two years, and yet these faces and names and stories risk getting lost in a bubbling vortex of horror, in the rambling feeds of our social networks, where the photo of a chopped-up child gets sandwiched between the video of a funny kitten and that of another useless recipe.

all of this risks getting lost or, perhaps worse, normalised, becoming so thoroughly part of our everyday life that it becomes just one piece of content among many.

gina nakhle koller has been trying, since the beginning of the genocide, to make sure that this does not happen.

her work goes hand in hand with that of the palestinian journalists who for months - for decades, actually, because we all know that this horrific story did not begin on 7 october 2023 - have been witnessing the endless israeli crimes in gaza and the occupied palestinian territories at the risk of their lives.


mentre il mondo guarda / while the world watches is a collection - in italian and english - of the cartoons he has drawn and published every day since the beginning of the genocide. his works are inspired by the daily news, recounting the inhumanity of the IOF and its suә supporters: the bombing of civilians, the children cut to pieces and those mutilated and orphaned, and those who died of cold or starvation, reduced to skeletons. and then the mass graves, the displaced people burnt alive in their tents, the infants left to starve to death crammed into the few remaining incubators, the hospitals and schools and houses and universities and every other civilian building razed to the ground, the doctors and aid workers and journalists targeted and killed, the corpses returned with their organs removed, the prisoners released after unspeakable torture and the mad pain in their faces, the ambulances riddled with bullets. and the soldiers laughing as they kill, boasting that they are the worst expression humanity can invent, the leaders applauding the killers and the war industry obscenely inflating the wallets of a few, while hundreds of thousands are slaughtered every moment.

reading today while the world watches is a way to relive the first year of genocide in gaza, to call to mind what has been drowned out by hundreds of other equally shocking and disastrous images. but it is also a way of rescuing those images from the physiological oblivion of social networks and transforming them into a contemporary historiography of the abominable condition into which our world has collapsed.

gina's comics are always essential, the subject is often at the centre of the space, surrounded by absolute whites or blacks and by the artist's words that recount, quote or accuse. moments of horror snatched from the frenetic rhythm of the ultra-information of the social era, fixed on paper - and on our consciences, forever - by quick, sharp, confident strokes, even if charged with emotion.

gina translates into drawing both the objective rawness of those images and the reactions of the world - of shared pain, of indignation or, for some subjects in particular, of complacent complicity - becoming a witness not only to the chronicle of gaza but also to the extremely dangerous disconnect that is happening more and more between governments and the peoples they are supposed to represent.

but there is more. gina's work - which has not stopped with the publication of the book, but continues on her social networks and on her website - is not simply a transposition of the news, it is - as art always is when it becomes an instrument of struggle against power - a message of denunciation, of accusation, but also of hope. gina, like the other palestinian artists we have come to know over these long months, is the voice of a people who do not want to give up and who are ready to be reborn, with their roots firmly planted in their land and their souls set on the future.

i leave you with gina's words. enjoy reading!


hello gina, thank you so much for accepting my invitation and welcome to claccalege!
► Hello everyone, and thank you, Claudia, for inviting me to this interview. I’m honored to have a platform to speak about Palestine. 
in these long months of horror, the whole world has looked at palestine, cried, protested, shared the images of denunciation and testimony that have been broadcast continuously on social networks, and tried with every possible means to oppose the impunity of the state of israel. can i ask you how you felt, and how you feel, as an artist of palestinian and lebanese origin, in front of the news that arrives every day from gaza and the west bank?
► I feel shattered and scared— and yet somehow more determined than ever. As a Lebanese artist whose grandparents were palestinian, this isn’t just news to me. It’s personal. It’s generational. I’ve grown up with the weight of dispossession, occupation, and erasure — but nothing could prepare me for the scale and brutality of what we’ve witnessed since October 2023.

Every day brings a new horror, and there are moments when I feel completely helpless. It’s a deep, soul-level anguish. But even in the darkest moments, I’ve learned that despair isn’t the end — it’s a call to act. I have many ups and downs. Yes, the genocide is still ongoing. But what’s also ongoing is the global solidarity, the refusal to look away, and the understanding that we have a responsibility not just to mourn — but to mobilize.  
when and why did you decide to draw to denounce genocide?
► When October 7th happened, I knew what was coming. I’ve lived with the knowledge of how the Israeli state reacts — with collective punishment, with overwhelming violence, with no regard for civilian life. So while the world was still processing the shock of that day, I already felt the dread settle in. I knew Gaza would be made to suffer, again — only this time on an even more unimaginable scale.

When I began this project, I was devastated. I was overwhelmed by grief, fear, and helplessness. Watching the genocide unfold day after day — through my phone, the news, through the voices of people begging to be heard — I had to do something. Drawing became my way of facing it, of not shutting down. It was how I survived emotionally.

At first, it was a deeply personal coping mechanism. But as the drawings gained visibility, it became something more — a form of testimony. A way to humanize the numbers, the headlines, the horror. To give faces to the names. To put emotion alongside fact. And when people told me the images helped them understand or feel less alone, that’s what kept me going.
on the cover of your book there is an eye being forced open by two hands. how do you interpret the refusal of many people to look at the images of these massacres, to try to understand what is happening?
► The image on the cover — an eye being forced open — is a painful symbol of what I believe we all face: the urgent need to see and not look away. The refusal of many people to look at these images is heartbreaking, but sadly, understandable. The brutality is so overwhelming, so devastating, that turning away can feel like a way to protect oneself from unbearable pain or guilt.

But that refusal also enables violence to continue unchecked. When people close their eyes, they allow silence to grow louder than justice. The image is a call — a demand — to confront the reality, no matter how uncomfortable or painful it is. Because only by looking, by witnessing, can we truly understand the human cost and begin to demand change.

It’s a reminder that indifference is complicity. And that the world can no longer afford to be a passive spectator.
every day terrifying news arrives, lots of it. photos, videos, statements, interviews, etc. how do you decide what the subject of your daily cartoon will be?
► I follow the news every day closely—it’s impossible to escape it. The constant flow of photos, videos, statements, and testimonies is overwhelming. Choosing a subject for each daily drawing is never easy.

I don’t just pick what’s most reported or shocking; I focus on what hits me differently on a personal or emotional level. Sometimes it’s a specific event—a family deliberately targeted, the killing of a journalist, or a particular story that reveals the human cost behind the headlines.

Other times, it’s about capturing the broader atmosphere of fear, resilience, or grief that so many are living through. My goal is to translate what moves me deeply into something others can feel and understand. Each drawing is a way to hold a moment in time and say: This happened. This matters.
your work goes beyond the simple idea of ‘publishing a book’, I believe it is a fundamental document to narrate and bear witness to these months, one of those which then become true historiographical sources at the service of scholars who will try in the future to understand the present we are living. when and how did you decide to transform your online work into a paper book, capable of reaching many more people than those who see your work on social networks?
► At the very beginning, publishing a book wasn’t something I had in mind. I was focused on responding to the moment, on expressing what I was feeling day by day. But as the drawings piled up, I realized this work needed to reach beyond the nature of social media.

Social media is fast-moving — a place for immediate reactions and quick sharing, but also one where things can be forgotten just as quickly. I wanted to create something more lasting, something people could hold onto and return to, a tangible record of these months.

This isn’t just about a moment in time — it’s part of a much longer history of suffering, resilience, and resistance. Turning my online work into a paper book was a way to preserve memory, to insist that these stories are not erased, and to offer a resource for future generations and scholars seeking to understand what happened.

The book becomes a form of witness — something permanent amid ongoing pain and struggle.
what kind of feedback have you had on social since you started publishing your work? and how has the book been received?
► The response on social media has been incredibly moving. So many people who follow my work were thrilled when they heard the book was coming — they felt it was a necessary step, and many told me they had been waiting for something like this. I‘ve received a lot of positive feedback, not just about the art itself, but about how it‘s been used: shared with friends, family, and especially with people who might not understand what’s happening, or who choose to stay silent.

As for the book, I think it‘s been received with a deep sense of recognition and urgency. People understand that this isn’t just an art project — it’s documentation, it’s testimony. I truly believe it’s something people needed to see, and I’m grateful it’s resonating the way it has. I’m hoping people keep talking about what’s happening — and keep getting the book into more hands. This can’t be forgotten. Not now, not ever.
so many people ask themselves all the time what they can concretely do to stop genocide, and often feel powerless. do you have any advice for us?
► It’s so easy to feel powerless in the face of something as enormous and horrific as genocide. I hear it all the time — “What can I do? I’m just one person.” But the truth is, it always starts with one person. Every voice matters. Every action, no matter how small it may seem, contributes to a larger wave of awareness and resistance.

The first step is talking about it. Start conversations. Share the truth with people around you, especially those who aren’t paying attention. Awareness spreads person by person.

If you can, boycott — economic pressure matters. Where you spend your money is a political act. And of course, sharing online is still powerful. It might feel like just a post or a story, but you never know who it will reach or how it might move someone to act.

We don’t all have to do everything. But if each of us does something, it adds up. That’s how change begins.
thank you so much for your time, and most of all thank you for your work, for your book and for all the emotions in it that you shared with us. from the river to the sea! 
 Thank you Claudia! For everything and for being a strong voice in this time of need.

gina nakhle koller's biography is taken from the eris edizioni website

Born in 1982 in Lebanon, is an Comic Artist whose work is deeply rooted in her Lebanese and Palestinian heritage. Growing up amidst the challenges of a turbulent region, Gina discovered art as a powerful tool for self-expression and storytelling, a means to connect with her identity and shed light on the untold stories of her people. Palestine remains a central theme in Gina’s work, fueling her passion to create art that captures the resilience, struggles, and humanity of its people. In 2013, she pursued a Master of Arts in Illustration in Switzerland where she lives now, deepening her commitment to storytelling through visual narratives. Gina’s art transcends borders, inviting audiences to see the world through the lens of empathy and to engage with the voices of those too often unheard.


martedì 20 febbraio 2024

gatti sciolti ~ intervista a anna matilde sali di eris edizioni

eris edizioni ha tirato fuori un altro coniglio dal cilindro magico, anzi, più precisamente, ha tirato fuori i gatti sciolti, una nuova collana di fumetto breve, di piccolo formato e piccolo prezzo, attraverso cui esplorare le potenzialità del fumetto indipendente e underground.
oggi ne parliamo insieme a anna matilde sali! buona lettura!




ciao matilde e bentornata su claccalegge!
► Ciao! E grazie come sempre per lo spazio e un saluto a tutte le persone che ti leggono!
parliamo dell’ultima nata in casa eris, la collana “gatti sciolti”. La prima domanda, obbligatoriamente, è: cos’è un “gatto sciolto”?
► Allora, i Gatti Sciolti sono la nuova collana Eris di fumetto breve. Ci abbiamo ragionato anni sul fumetto breve. È molto tempo che volevamo dargli spazio nel nostro catalogo e finalmente abbiamo trovato il giusto modo per unire la brevità con anche un aspetto più sperimentale legato al formato: saranno volumetti in A6, quindi un 10,5 X 14,8 cm, non proprio un formato che si trova facilmente in libreria. Saranno lunghi tra le 64 e le 96 pagine, brossurati, sia in bianco e nero che a colori. E soprattutto costeranno tutti 6 euro. Quindi fumetto indipendente, alternativo e underground a un prezzo accessibile e con un formato ultra tascabile!
Insomma: Gatti sciolti, fumetti senza peli sulla lingua!
visto che si tratta di un formato sperimentale, immagino che i titoli che ne faranno parte siano tutti scritti appositamente per la collana: possiamo aspettarci qualche autorə già presente nel vostro catalogo?
► Allora, in realtà è tutto un misto. Ci sono progetti che non erano specificatamente pensati per questa collana e che ci sono stati proposti ma che erano perfetti per il formato A6, come tratto, gabbia o assenza di gabbia e tipologia di narrazione. In altri casi, chiacchierando tra un banchetto e l’altro, sono nate proposte e progetti già pensati per questa collana. Quindi sì, sicuramente ci saranno autor* già presenti nel nostro catalogo, ma ci saranno un sacco di novità. I primi due titoli saranno proprio due nuove collaborazioni, ma non facciamo spoiler. L’altra cosa interessante è che la brevità e il formato ridotto si prestano molto anche a nuove sperimentazioni di stile e di tecniche, per cui ci sono anche autor* che stanno lavorando su qualcosa di diverso dal solito, e noi siamo molto felici che ci sia questa atmosfera anche un po’ ludica, con la voglia di mettersi in gioco, uscire dalla comfort zone e fare di un gatto sciolto un fumetto un po’ speciale e diverso dal solito.
ok, niente spoiler sullə autorə o sui titoli, però puoi dirci quali saranno più o meno i "generi" delle prime pubblicazioni?
► Qualcosa di divertente, ma con il giusto grado di contenuto critico o politico. Allo stesso tempo come sempre nel nostro catalogo ci saranno dei bei viaggioni matti, narrazioni graffianti e underground, narrazioni biografiche, ma anche un po’ di horror, di distopie, insomma non ci stiamo precludendo nessuna strada e stiamo lavorando su diversi titoli. L’importante è come sempre la forte ricerca artistica e stilistica accompagnata a una forte visione autoriale.
il formato e la brevità mi hanno fatto pensare - e, credo, non solo a me - alle collane bookblock e tardigradi (per chi vive su marte e non li conosce: rispettivamente saggistica e narrativa fantastica breve, se ne è parlato anche qui) che stanno avendo tanto successo e anche altri editori hanno adottato soluzioni simili. una cosa simile per i fumetti, invece, è una novità assoluta. pensi che un nuovo modo di immaginare l'oggetto libro-a-fumetti possa invogliare autorə emergenti a proporsi al mondo editoriale?
►Speriamo di sì, in parte è pensata anche per chi si cimenta per la prima volta con una pubblicazione a fumetti editoriale vera e propria. Però allo stesso tempo è pensata anche per chi già pubblica, ma vuole fare qualcosa di diverso da quello che fa di solito, sia come racconto che genere che stile. Ma è anche una bella possibilità per sperimentare collaborazioni diverse dal solito. Alla fine l’esigenza di dare spazio alle narrazioni brevi in modo che siano accessibili a tutt* sicuramente fa parte di noi e in qualche modo ha influenzato la nascita dei Tardigradi, proprio come una riflessione su accessibilità e tempi/possibilità di lettura ha influenzato la nascita dei BookBlock. Ma qui è ancora diverso. Il fumetto negli ultimi anni almeno fuori dalle autoproduzioni si è molto standardizzato sul formato libro, di una certa lunghezza e di un certo prezzo, sempre più alto, dovuto anche agli aumenti del costo della carta e altre amenità con cui non voglio annoiarvi.
Questo significa che sia chi li crea, l* autor*, che chi li legge ci deve investire tantissimo a livello di tempi, energie emotive, soldi e via dicendo. Questa situazione di conseguenza taglia fuori storie ma anche possibilità: prima di tutto la possibilità di certe narrazioni e sperimentazioni per chi crea, che magari a quella storia lì, proprio lì, ma che resta nel cassetto perché non c’è uno spazio per lei tra i graphic novel da libreria. Allo stesso tempo toglie possibilità di sperimentare narrazioni e immaginari a chi legge, perché a volte per scoprire cose nuove, metterti anche tu in gioco come lettor*, devi spendere troppo, sia di tempo che di soldi, e non ce la fai. Poter leggere diversi stili e quindi esplorare mondi a una cifra contenuta e con il giusto investimento di tempo rende il fumetto indipendente più accessibile, diventa più facile scoprire cosa ci piace di più, insomma, una sorta di diritto a farci un gusto senza dover per forza votarsi al fumetto. E anche per chi normalmente legge fumetto e graphic novel, è un modo per scoprire nuove voci, nuove storie, e poi diciamocelo, a volte qualcosa di breve e compatto rilassa anche il cervello, anche se è un fumetto serio o drammatico.
foto in esclusiva per claccalegge!

il logo è di peli chat, unə autorə-gattarə con uno stile molto punk e indie (e anche molto eris!), qual è la storia dietro questo logo?
► Il logo per noi è magico. Ci abbiamo messo più tempo a trovare il nome alla collana che a farla e pensarla. Alla fine è arrivato il nome giusto e non potevamo che chiedere a Peli Chat di cui conosciamo l’attitudine gattara e che è una persona davvero del cuore per noi e allo stesso tempo crediamo che il suo Blasfelino pubblicato da Chierichetti Ditore sia uno delle cose più pazzesche in assoluto pubblicate negli ultimi anni. E poi amiamo assolutamente le cose che fanno come Laboratorio Zanna Dura, insomma, ci sentiamo parte di una famiglia allargata controculturale in cui siamo orgoglios* di miagolare tutt* insieme!
sempre tornando al parallelo con bookblock/tardigradi: quelle collane hanno un'impostazione grafica ben precisa e riconoscibile (la combinazione colore/font dei bookblock e la copertina bianca con l'illustrazione "ritagliata" nel titolo dei tardigradi). avete in mente qualcosa di simile anche per i gatti sciolti? o somiglieranno di più ai vostri fumetti "classici" (cioè con una copertina pensata ad hoc per ogni singolo titolo)?
► Ogni fumetto ha bisogno la sua veste grafica, è imprescindibile per dare la propria identità a ogni titolo. Allo stesso tempo abbiamo pensato a un paio di particolari nella cartotecnica e all’interno del libro che li faranno essere più simili di quanto siamo i nostri soliti volumi a fumetti. In fondo i gatti sono tutti diversi, anche se sono tutti gatti!
saranno tutti volumi autoconclusivi o ci saranno anche delle serie?
► Ci sarà di tutto e saremo apert* a qualsiasi possibilità. Tra i titoli dell’anno c’è già un progetto in più volumi, ma sempre restando al di fuori di quella che è la serialità intesa nel senso più classico del genere: parliamo di storie a più episodi. Anche noi con i nostri gatti sciolti vogliamo sperimentare, e divertirci di brutto!
ultimissima domanda: quando troveremo in giro il primo gatto sciolto?
► I primi due gatti sciolti usciranno a marzo inoltrato, li facciamo uscire in coppia così si tengono compagnia e possono fare le fusa insieme!
non vedo l'ora di leggerli!
► Non manca molto, presto ve li presenteremo!
grazie mille per essere stata con noi ancora una volta e per averci presentato questo nuovo progetto! a prestissimo!
► Grazie a te per aver dato spazio ai nostri Gatti Sciolti!
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mercoledì 10 gennaio 2024

quattro chiacchiere sul maschilismo nel mondo nerd

nelle ultime settimane del 2023 ci sono stati diversi episodi che hanno (ri)acceso l’interesse su alcune dinamiche tremendamente maschiliste e discriminatorie tipiche del mondo nerd. ho chiesto a chi se ne è occupata più e meglio di me di provare a capire quello che sta succedendo e, soprattutto, come provare a cambiare lo status quo.

le ospiti di oggi di claccalegge sono – in disordine sparso: maura saccà, game designer, programmatrice e membro del collettivo gameromancer che si occupa di portare alla luce i problemi della cultura nerd, specialmente quella videoludica; cecilia formicola, fumettista, attiva sia in italia che in francia, flavia luglioli, fumettista, rilegatrice e libraia; alessandra stefanelli, giornalista sportiva e appassionata di manga e videogiochi, anche lei del collettivo gameromancer e sara silvera darnich, educatrice di sostegno nelle scuole dell'infanzia, che si occupa della nerdculture da una prospettiva pedagogica e femminista.


ciao cecilia, alessandra, maura, flavia e sara, grazie mille per la vostra disponibilità e benvenute su claccalegge!
cecilia: Grazie a te per averci ospitate!

► sara: grazie di cuore per aver pensato a questa intervista!
la letteratura, intesa nel suo senso più ampio di "raccontare storie" è stata forse, tra tutte le arti, quella che ha saputo indagare e far conoscere meglio l'animo umano: le storie e le parole - ma anche le immagini - che usiamo per raccontarle, sono una vera e propria educazione sentimentale. dai racconti che ci accompagnano per tutta la vita impariamo a metterci nei panni dellə protagonistə delle storie (romanzi, fumetti, film, videogiochi), gioiamo, amiamo, soffriamo con loro. mi scuso di questa premessa un po' lunga ma era necessaria a porvi la prima domanda: come vi spiegate che la bolla nerd - che è letteralmente cresciuta nutrendosi di storie che molto spesso hanno anche protagonistə un po' sfigatə, bullizzatə ed emarginatə - sia diventata così violenta? perché oggi parliamo nello specifico di misoginia ma anche in altri ambiti non c'è da stare molto allegrə...
► cecilia: Dal mio punto di vista, molte delle storie del mondo nerd sono storie di riappropriazione, il viaggio della persona qualunque che diventa eroe*, che diventa potente. La persona nerd media si sente di rivendicare quel potere per sé, dopo l'emarginazione a cui è stata costretta dai suoi pari, e diventa quello che crede sia una persona potente appena ne ha occasione: offende, discrimina, manipola, reclama la gloria per sé a scapito di chi bolla come cattiv*, di chi l* minaccia.

► maura: Poiché la bolla nerd è stata sempre molto discriminata dalla società sin dagli albori, all'interno delle storie raccontate in videogiochi e fumetti (e in varie altre opere nerd) si è sempre cercata quella voglia di riscatto, raccontando appunto storie di riscatto. La bolla nerd è stata creata da uomini attorno a una identità maschile - parlo nello specifico di quella videoludica che conosco di più - definita spesso mascolinità geek. Era la loro bolla, ciò che si erano creati per rifugiarsi dalla società che li bullizzava. Quando la bolla si è aperta, per allargarla a nuove personalità e identità, che volevano anche loro la loro fetta di rappresentazione sia nelle storie che nell'industria del lavoro, i maschi geek hanno visto minato il loro territorio, e hanno preso le armi in mano.

► alessandra: Credo che nella bolla nerd gli uomini abbiano trovato un nuovo modo per esprimere un modello di mascolinità che non rispondesse necessariamente a quello più socialmente accettato. Ma non avendo poi intrapreso un percorso di decostruzione la bolla ha poi finito per riproporre i modelli più conosciuti. Il risultato è l’abuso di potere e la tendenza a escludere qualunque elemento visto come estraneo, proprio per la paura di perdere la posizione tanto faticosamente costruita.

► flavia: Quello che accade è un ripetersi di dinamiche di potere: si crea un luogo dove un maschio, bianco, etero, cis si possa sentire al "sicuro" alimentando una mascolinità tossica. Chiunque non rientra nella cosiddetta normalità viene escluso o fa fatica ad entrare.

► maura: Nell'ambiente videoludico si parla di Gamergate, quando all'interno dei videogiochi diverse giornaliste e sviluppatrici - tra cui Zoe Quinn e Anita Sarkeesian - che rivendicavano la loro presenza e i loro diritti all'interno dell'industria vennero prese di mira, minacciate di morte, nel caso di Sarkeesian addirittura sono stati creati dei videogiochi in cui la si poteva pestare di botte. cecilia: C'è anche una questione di socialità secondo me; nel branco trovi alleanze, senza conflitto interno reale, se segui quelle regole non sei più sol*.

► sara: sono d’accordo con quanto detto da tutto quante: aggiungo una cosa: il mondo nerd è dominato da uomini traumatizzati e infantilizzati che non hanno mai messo in discussione né il sistema dal quale sono scappati, né quello in cui si sono rifugiati (la nerdculture).

eppure la presenza non-maschile in questa bolla nerd non è poi così recente e, soprattutto negli ultimi 10/15 anni, le ragazze e le persone queer hanno trovato il loro posto nell'universo nerd (parlo soprattutto del mondo del fumetto, che è quello che conosco meglio)... qual è la differenza, secondo voi, tra le rivendicazioni portate avanti dalla metà femminile/queer e quelle della parte maschile?
maura: La differenza, secondo me, sta banalmente nel fatto che le donne/persone queer o comunque appartenenti a gruppi marginalizzati stanno chiedendo ad un "posto" di includerli. Un "posto" che ha veramente tanto spazio, infinito direi. Non sta cercando di occupare posto preso da altri, non sta cercando di rifugiarsi in qualcosa, sta semplicemente reclamando il diritto a poter vivere la loro parte nerd alla luce del sole e non in maniera invisibile. Mentre ciò che hanno fatto gli uomini è stato creare un "posto" a loro immagine e somiglianza e non accetta contaminazioni.

alessandra: Credo che il pubblico femminile/queer in tutto ciò che è nerd e pop abbia trovato soprattutto un modo per esprimere se stess*, a volte anche riempiendo i buchi di caratterizzazione lasciati dagli autori più o meno volontariamente. L’estetica esagerata, la possibilità di essere davvero chiunque si desideri essere, la necessità di creare nuove icone a cui aspirare. Non c’è quasi mai la voglia di opprimere, solo la voglia di trovare un posto in cui esistere alle proprie condizioni. E questo non viene quasi mai accettato da chi ha ricreato nella propria bolla il patriarcato che conosceva già e con cui si sente a suo agio. È bellissimo, secondo me, come gli autor* spesso si affannino a smentire l'orientamento sessuale di alcun* personagg* (penso ad esempio a Bayonetta) non capendo che spesso le icone diventano tali che loro lo vogliano o no. Altre volte, secondo me, gli autori lo fanno invece in maniera molto più consapevole: penso ai continui sguardi languidi tra Sephiroth e Cloud in Final Fantasy 7 Remake o tra Sora e Riku in Kingdom Hearts. Sarà forse che noi lettrici/giocatrici ecc. ci siamo abituate più di altri a riempire i buchi anche per far fronte a un'assenza di rappresentazione? Possibile.

cecilia: Secondo me le rivendicazioni partono da una stessa base, cioè l'emarginazione, la discriminazione, l'isolamento, la violenza subita. Cerchiamo tutti uno spazio per riaffermarci in quanto persone, nelle nostre caratteristiche, in libertà; se non riconosciamo che, oltre a subire discriminazione e violenza, le agiamo verso altre categorie, quando avremo quello spazio per noi avremo anche più spazio e possibilità (e quindi potere) di agirle. Un'identità non maschile è per forza di cose più consapevole dei disequilibri sistemici, e fa molta più autoanalisi; non è affatto impossibile che replichi quei meccanismi di oppressione verso i gradini più in basso della gerarchia ma di certo ci si rende molto più conto che c'è spazio per tutt*, e quindi le persone nerd non maschie si battono per allargare lo spazio per sé stesse, non per strapparlo a qualcun*.

► flavia: Le rivendicazioni della parte femminile e queer nel fumetto e nell'editoria (sono le parti che conosco meglio) sono sempre di inclusione e parità di diritti e equità nel lavoro. La parte maschile spesso non ne sente il bisogno, semplicemente perché quel mondo è stato creato apposta per loro e solo adesso stanno lentissimamente e faticosamente provando a far entrare altre persone che non rientrano nel loro canone. Rimane sempre un processo in divenire, e spesso chi riesce a entrare lo fa riempendo spazi lasciati vuoti e che spesso, purtroppo, non riescono a raggiungere un pubblico più vasto.

sara: L’identità degli uomini nerd è di gruppo, pubblica e i suoi linguaggi imitano gli ambienti accademici e scientifici mentre quella delle persone queer o delle donne è qualcosa di nascosto, solitario è privato: adesso che il mondo nerd è diventato mainstream e il mercato di anime/manga è esploso le carte sono cambiate e finalmente anche l’identità nerd delle categorie marginalizzate sta diventando qualcosa non solo di pubblico, ma di politico.
Credo che questa sia la differenza sostanziale tra le due parti: gli uomini nerd vogliono continuare a fare quello che fanno dagli anni ‘50, tutt* l* altr* vogliono che la nerdculture possa diventare strumento di liberazione, espressione artistica e creazione di spazi di utopia.
Non solo, come diceva giustamente Cecilia, c’è la questione della discriminazione alla base dell’identità Nerd: gli uomini hanno usato l’emarginazione come collante iniziale per fare gruppo, poi hanno portato avanti le stesse gerarchie e dinamiche di potere di sempre, le categorie marginalizzate e nerd stanno riuscendo a unire la discriminazione tipica della persona “sfigata del gruppo” all’intersezionalità femminista.
avete parlato di patriarcato e di dinamiche sociali che si ripropongono nella bolla e vorrei fare un attimo una parentesi per parlare di un caso eclatante che è stato seguito in particolare da cecilia, cioè quello di vivès: puoi riassumerci brevemente quello che è successo?
cecilia: cerco di essere breve: in occasione di Angoulême 2023, è stata data a Bastien Vivès, fumettista francese molto noto e amato a livello internazionale, una mostra personale con carta bianca dal titolo "Con gli occhi di Vivès". Una protesta guidata da student* delle scuole di Angoulême, professionist* del settore e un'associazione a tutela dei diritti dell'infanzia ha portato alla cancellazione della mostra, rivelando al grande pubblico dei fumetti pedopornografici di Vivès non conosciuti ai più, una serie di frasi allucinanti intrise di violenza, misoginia e pedofilia, una storia di minacce violente a una collega. In Francia è stato denunciato per pedopornografia e apologia dell'incesto. Nonostante questo, il mondofumetto italiano ha preferito non schierarsi, o farlo in supporto di Vivès, le denunce non sono arrivate o sono arrivate pochissimo qui in Italia e si è pensato di invitarlo tranquillamente al Lucca 2023.

maura: L'Italia è quel paese in cui ancora si dibatte sulla libertà di espressione di chi fa contenuti pedopornografici.

sara: non solo, la bolla nerd italiana è anche quella che rivendica la possibilità di fruire contenuti “loli” considerando chiunque faccia obiezione come “perbenista/bigott*”
flavia: Questo è un mio personale parere, di chi ha visto la dinamica dall'interno: nel mondo del fumetto si sta creando una guerra tra poveri, dove è più importante pubblicare o avere uno spazio (anche gratis), piuttosto che creare una forma di lotta concreta. Noi fumettist* raramente ci mettiamo in discussione davvero per cambiare la situazione, e quando succede dura quanto scrivere un post: giusto il tempo di ricevere i likes. La situazione che si è creata a Lucca quest'anno ne è stata l'emblema: nessuno ha mosso foglia prima che Zerocalcare facesse esplodere il caso.

accuse che vanno molto oltre la questione "bolla nerd" e che comunque, nonostante la loro gravità, sono state ignorate. se non ricordo male, moltə hanno provato a giustificarlo con la scusa che "l'arte non si censura". dove sta, secondo voi, il limite tra libertà di espressione, provocazione artistica e crimine? (la risposta di maura è arrivata mentre scrivevo questa domanda)
► flavia: Il limite sta nella violenza, qualsiasi forma prenda. Quando ti permetti di minacciare o di esercitare un potere nei confronti di chi non si può difendere. Noi siamo ancora nella fase di giustificare il carnefice e addossare tutta la responsabilità alla vittima e questa dinamica tende a ripetersi in qualsiasi ambito.

► maura: Non si può separare l'opera dall'artista. È impossibile vedere l'opera come un artefatto a sé stante, perché a prescindere porterà al suo interno le visioni politiche e sociali dell'artista. Oltre a questo, c'è anche la questione economica. All'interno della bolla videoludica quest'anno si è dibattuto molto sul caso "Hogwarts Legacy" videogioco ambientato nell'universo di Harry Potter, poiché, nonostante J.K. Rowling non fosse coinvolta direttamente nel progetto chiaramente, essendo la scrittrice della saga e detentrice dei diritti, avrebbe tratto benefici economici dall'opera videoludica. Potere economico che avrebbe utilizzato, come ben sappiamo, per portare avanti le sue lotte contro le persone transgender, come sta facendo attivamente negli ultimi anni. Se, quindi, un autore, in questo caso Vivès, utilizza il suo potere mediatico ed economico per spargere le proprie idee, sia all'interno delle sue opere che non, in cui fa passare che " È normale volerci scopare le quattordicenni", che è un crimine, direi che non c'è molto di cui dibattere.

► alessandra: Domanda molto complessa a cui rispondere in poche righe. Al di là della pedopornografia, su cui dovrebbe esserci una condanna unanime che spesso non c’è, come dimostra il caso Vivès, secondo me sarebbe il caso di mettersi in ascolto di chi si ritiene offeso o ferito da determinati contenuti. Si possono trattare argomenti controversi se si è capaci di farlo, penso a Promising Young Woman che è uno dei film più belli degli ultimi anni e che finalmente mi ha fatto sentire ‘vista’. E non è un caso che sia uno dei film più bistrattati dai cinefili maschi. Poi c’è tutto il discorso della separazione tra l’opera e l’artista, secondo me impossibile: se vai a vedere un film di Polanski devi essere cosciente del fatto che i tuoi soldi serviranno a sostenere una persona che da decenni sfugge alla pena dopo aver stuprato una minorenne. cecilia: Secondo me nelle intenzioni. Io sono liber* di esprimermi ma se sto comunicando a un pubblico devo tenere conto di a chi sto comunicando, in che contesto e con che modalità; se non si curano questi aspetti significa che mi sento liber* di esprimermi per farte violenza a qualcun* (un po' come il paradosso dell'intolleranza di Popper). L'arte può assolutamente provocare, ma chi o cosa intende provocare? Il potere? Il sistema? Oppure intende provocare indignazione sulla pelle di chi soffre e subisce violenza? Se si vuole provocare mostrando quanto può far schifo l'essere umano ci sono innumerevoli esempi nella storia vera, anche nel nostro presente. È difficile tracciare i confini di un crimine nel campo artistico; ma direi che nel caso specifico, se realizziamo opere pornografiche con la presenza di bambin*, in qualunque modo siano presenti (3D o 2D), allora è pedopornografia, e quindi è un crimine. In un saggio sulla critica etica nell'arte, Ted Nannicelli ricercava il discrimine del giudizio nel fattore oggettivo, quindi nei mezzi utilizzati per creare un'opera artistica: ho commesso violenza per realizzarla? Ne ho parlato facendo violenza? L'ho spiegata facendo violenza? Perché l'interpretazione sarà sempre soggettiva.

► sara: questa domanda mi riguarda quasi personalmente sia per il fatto che lavoro con le infanzie sia perché ho trattato direttamente l’argomento sul mio profilo. L’infanzia è la grande assente del dibattito pubblico, non c’è nessun luogo sicuro per le persone piccole. Dico questo perché nessun* luogo è mai stato pensato per bambin* con l* bambin*: l’arte è molto spesso il teatro dove si consumano le violenze sui bambin*. Penso all* attor* bambin* come Shirley, Drew Barrymore Temple, Macaulay Culkin e allo scandalo Nickelodeon che hanno tutt* alle spalle una storia di sfruttamento e abuso dentro e fuori dal set, per non parlare del modo in cui vengono rappresentate le infanzie nei media: dai cataloghi di moda, ai programmi televisivi passando per i fumetti, l* bambin* che vediamo, indipendentemente dal loro genere, sono adultizzat* come ad esempio Hit girl di Kick-ass che ammazza e si sballa di stupefacenti, o/e sessualizzat* come accade a Mathilda in Leon e Renato in Malena dove si fanno costanti allusioni alla relazione, seppur platonica, tra persona adulta e bambin*.
è interessante osservare come gli oggetti del “massacro artistico” maschile siano sempre categorie che non hanno diritti, né voce né possibilità di difendersi adeguatamente penso ovviamente alle donne, a* bambin*, alle persone bipoc e queer arrivando fino agli animali non umani.
rimanendo nell'ambito dei fumetti e della cosiddetta libertà di espressione, so che da voi, in particolare da alessandra, è partito quello che ha preso il nome di shoujogate e che ha messo in luce non soltanto l'atteggiamento di quasi tutte le case editrici italiane che si occupano di manga ma anche - e soprattutto - quello di alcuni "influencer" abbastanza noti nell'ambiente. cos'è successo esattamente?
► alessandra: Leggendo i nuovi annunci manga del Lucca Comics ho notato che il target shojo era notevolmente sottorappresentato rispetto agli altri. E che è in realtà una tendenza che va avanti da diversi anni. Dovendo scegliere come presentarmi a Gameromancer ho ben pensato di scrivere di una cosa che conoscevo, non pensando che avrebbe scatenato quello che poi è successo. La richiesta di maggiori prodotti a target femminile ha fatto arrabbiare più del previsto i lettori e i content creator che si occupano di manga. La risposta è stata da subito violenta, dalla semplice risata alla minimizzazione della questione, passando a insulti veri e propri alla mia persona - anche se nessuno mi conosceva - e a tutte le altre di GR, compresa Maura che tutti hanno da subito identificato come 'la femmina di GR'. Credo che l'apoteosi si sia raggiunta con il video in cui un noto youtuber mi insultava in rima dandomi dell'oca starnazzante. La questione era semplicemente: di shojo manga si porta poco e spesso di scarsa qualità, facendo passare il messaggio che i prodotti appartenenti a quel target non siano degni di considerazione. Le edizioni shonen sono spesso più curate, accompagnate da gadget e cartoline, pagine a colori. Sullo shojo spesso si ricade sempre sulle solite 3-4 autrici che si ritiene funzionare in Italia e comunque si porta tendenzialmente la metà dei titoli a target maschile. Come mai? Da qui il mio sfogo sulla necessità di sentirmi 'vista' da qualcuno, se non dalle case editrici almeno da chi aveva ravvisato il mio stesso problema. E almeno quello è successo, viste le tante lettrici - femminile sovraesteso per praticità - che si sono riviste nelle mie parole.

non è nemmeno la prima volta che certi personaggi usano questo linguaggio, eppure le case editrici continuano a collaborare con loro...
► maura: Forse perché portano loro valore economico? Una delle maggiori questioni che è stata utilizzata per sminuire la causa infatti è stata proprio "Le case editrici portano quello che vende". Qui, secondo me, c'è una grossa critica al capitalismo da fare. Non si può giustificare tutto perché "porta soldi". Non si può giustificare la mancanza di rappresentazione con la scusa che "i prodotti da femmina non vendono". A parte il fatto che non è vero, quanti prodotti a target maschile vengono importati anche se non vendono? Una grandissima quantità. Allora perché non si può fare la stessa cosa con i prodotti a target femminile?

► cecilia: Come se il pubblico non venisse guidato. È vero che ci sono casi inaspettati, ma per l'editoria italiana sembra siano tutti casi inaspettati, anziché lavori promossi accuratamente, discussi da influencer e critica, a cui viene dato spazio fisico e online. alessandra: Tra l'altro a proposito di questo, per altri autori, target e generi non ci si è preoccupati troppo di quello che vendeva o meno: penso al grande lavoro fatto da Coconino con Kamimura, che non è certamente un autore facile per temi, stile di disegno e anche per reperibilità dei materiali. Banalmente per avere Moto Hagio e Keiko, che hanno fatto la storia del manga shojo e non solo negli anni '70, Takemiya in Italia abbiamo dovuto aspettare il 2016 ed è stata comunque portata in Italia solo una minima parte della straordinaria produzione di quegli anni.

► sara: la cosa che mi fa ridere è il fatto che passano gli anni ma questa bolla va avanti a suon di postulati mai verificati e sempre basati sullo sguardo maschile sulla vita, l’universo e tutto quanto.
Per me le due problematiche maggiori della questione “Shoujo-gate” sono il fatto che gli uomini nerd, siano terrorizzati da chiunque abbia un’idea diversa dalla loro e utilizzino il loro potere mediatico per silenziare violentemente le voci discordanti anche attraverso la loro utenza.
La seconda cosa è che le case editrici non vogliano mai entrare nel discorso di responsabilità dei content creator: non dico di trasformarci negli Stati Uniti, dove una cosa detta nel 1000 a.C ti costa il posto nel 2023 senza possibilità di appello, però nemmeno far finta di niente.
Per me è inconcepibile che si continui a passare sopra a certe modalità di comportamento e a certi linguaggi, continuando a collaborare allo stesso modo con vittime e carnefici soltanto per non perdere like e vendite.
a proposito, non ci sono state case editrici che hanno speso due parole su questo argomento e soprattutto sugli atteggiamenti offensivi di questi personaggi? senza contare che la maggior parte delle persone che leggono sono donne…
► flavia: zero, anzi molti di questi personaggi continuano attivamente a collaborare con loro. La speranza è che però il buzz che si è creato in rete spinga le case editrici a rivedere le loro strategie, magari facendo le ricerche di mercato che ad oggi evidentemente non si fanno. Come libraia faccio fatica a trovare shojo, tutti quelli che riesco a trovate sono tradotti in francese o un inglese. In più c'è lo snobismo che vedo spesso quando si toccano certi argomenti, come se il manga fosse qualcosa da ridurre agli adolescenti, insieme al fumetto, escludendo le graphic novel disegnate dai soliti 2-3 autori.

► maura: [la maggior parte delle persone che leggono sono donne] Non secondo il maschio nerd medio. Secondo il maschio nerd medio cito "Le donne dopo l'adolescenza lasciano gli interessi nerd per dedicarsi a questioni come i trucchi e l'estetista".

► alessandra: E infatti se lo shojo è poco presente il josei - il target per donne adulte - è ormai quasi del tutto assente, fatta eccezione per alcune case editrici che accettano il rischio di pubblicare titoli 'di nicchia', ma con edizioni spesso inaccessibili a livello di prezzo.

evidentemente non hanno mai parlato con delle donne... cambiando di poco argomento, io conosco poco il mondo dei videogiochi ma so che sa essere tanto violento e misogino di quello degli appassionatə di fumetto, se non forse ancora di più. com'è essere una gamer donna e/o queer?
► alessandra: Sull'ambito videogiochi lascerei la parola a Maura che è più ferrata. Diciamo che il pattern in tutta la cultura nerd è sempre lo stesso: "Ok, ti piace questa cosa... dimostrami che ne capisci davvero". E nei videogiochi questo si amplifica al mille per mille, se vuoi avere diritto di parola devi dimostrare molto più dei tuoi colleghi di aver giocato almeno un tot di titoli di quella tipologia, altrimenti non ne sai abbastanza. Se ti puoi accontentare di un uomo mediocre non puoi fare altrettanto con una donna che sia semplicemente 'brava'.

► cecilia: Io sono una giocatrice occasionale, ma confrontandomi con persone che vengono sia dal mondo dei videogiochi che da quello dei giochi da tavola ho scoperto che noi nel fumetto, a quanto pare, siamo quell* mess* peggio.

► maura: Oltre alle classiche discriminazioni che sono più "alla luce del sole", o che comunque sono state denunciate di più, come il classico commento sessista nelle chat dei videogiochi online, ci sono anche delle microaggressioni che invece restano più invisibili. Ad esempio, si sente spesso dire che "le donne non giocano ai videogiochi" quando, facendo rete e parlando tra noi donne nerd, abbiamo scoperto semplicemente che molte di noi hanno sempre vissuto la loro vita videoludica in solitaria, sia perché l'ambiente dei gruppi nerd, composti al 99% da uomini, non è safe, sia perché non andava di essere giudicata dai King in base a ciò che giocavamo o come lo giocavamo. Ma soprattutto, molte di noi nascondevamo (e nascondono) la loro identità quando giocano online per non essere molestate o per non ricevere proposte di matrimonio indesiderate - avrò ricevuto almeno 100 proposte di matrimoni, feticizzazione che si basava solo sul fatto che giocassi ai videogiochi e che avessi una vagina. Alle persone socializzate come donne sono sempre stati fatti dei test per vedere se davvero "ne sapevano di videogiochi". Questo fenomeno viene definito Gatekeeping. Ovvero gli uomini nerd credono di possedere le chiavi del portone che ti faccia entrare all'interno della loro bro culture e sono gli unici che possono giudicare se sei abbastanza una VERA VIDEOGIOCATRICE. Ciò che viene considerato Cult è stato scelto dall'élite che è stata sempre in cima alla piramide della nerd culture, quindi gli uomini, noi donne ci siamo sempre dovute adattare per dimostrare che ne sapevamo qualcosa di videogiochi (o comunque di cultura nerd in generale). Abbiamo quindi sia giocato ai giochi (letto i fumetti) considerati CULT, mentre giocavamo anche ai giochi che vengono spesso considerati "da femmina". Da tutte queste discriminazioni arriviamo quindi all'ambito lavorativo dove spesso viene detto "Non ci sono donne brave che si occupano di videogiochi", perché sono loro a credersi "quelli bravi" che hanno la fama da King, da Maestro. Noi per essere prese in considerazione dobbiamo costantemente dimostrare la nostra cultura videoludica, e comunque non è mai abbastanza, perché loro non hanno intenzione di cedere nemmeno un minimo del loro spazio, per paura di essere finalmente smascherati per quello che sono, ovvero semplicemente mediocri.
direi che la situazione non è affatto rosea però c'è un sacco di consapevolezza e questa mi sembra una buona base da cui partire... secondo voi cosa serve per decostruire lo stereotipo del nerd maschio-cis-etero e iniziare a riappropriarsi di spazi che non siano solo marginali o concessi?
► cecilia: Secondo me la chiave è costruirci i nostri spazi e fare un sacco di casino annesso. Il casino aiuta le persone isolate a notare che esistono altre realtà e a convogliarvi; non dobbiamo per forza lottare per uno spazio, possiamo (e lo stiamo facendo) costruire alternative. Penso che il processo di consapevolezza sia collettivo e che stiamo consolidando una rete trasversale e accogliente che possa fare davvero resistenza da dentro gli spazi ostili; ma dobbiamo anche avere spazi in cui prenderci cura di noi e realizzare un'alternativa. Più ci moltiplichiamo (e intendo, più prendiamo coscienza) più faremo pressione per essere ascoltat*, che sia tra le nostre conoscenze, che sia tra collegh*, che sia a un pubblico.

► maura: La differenza tra la decostruzione femminista e quella del maschile ha sempre mancato di una cosa fondamentale, ovvero la rete. Noi donne (nerd e non) facciamo rete, ci confrontiamo, ci decostruiamo, come ci ha insegnato il femminismo. Loro non fanno rete, loro fanno cameratismo, loro costruiscono il branco, che è molto diverso. Deve partire da loro in primis, devono mettersi in posizione d'ascolto, non devono avere più paura delle donne che parlano. All'interno del mondo nerd, ancora molti uomini anche alleati, si sentono minacciati quando una donna parla, di femminismo e non, perché "non vogliono che gli si venga rotto il cazzo", "non vogliono che il loro divertimento venga interrotto". Quindi quello che posso consigliare è di imparare a mettersi in posizione d'ascolto nei confronti dei gruppi marginalizzati e a parlare tra di loro in modo non cameratesco per imparare a decostruirsi. Quello che dobbiamo fare noi invece è continuare a non stare zitte. Simple as that. Continuare a canalizzare quella rabbia trasformativa nella lotta per i nostri diritti per farci ascoltare e non essere più invisibili.

► alessandra: Credo che intanto si debba creare coscienza nelle persone: spesso chi è marginalizzato non ha la consapevolezza di esserlo non perché sia stupid*, ma perché è abituat* ad accontentarsi dei pochi spazi lasciati liberi. Ci si accontenta del pre-show di un evento seguito da migliaia di persone, di recensire titoli secondari, di fare la quota rosa o queer. Serve prendersi tutto lo spazio possibile e usarlo anche per denunciare questo modus operandi. Come diceva Michela Murgia, impariamo a contarci. Bisogna fare rumore e non spaventarsi della possibilità, molto concreta, di essere additat* come il guastafeste della situazione, e bisogna imparare a non seguire chi non ritiene che il 'tutti maschi' sia un problema. Per il resto bisogna continuare a coltivare gli spazi sicuri, che sono preziosissimi, continuare a fare rete ed evitare chi non è abituato a mettersi in discussione e a decostruirsi.

► flavia: Io nel mio piccolo sto cercando di creare degli spazi, di non essere escludente, ma noto che si fa fatica. Nei manga la maggior parte degli autor* sono i soliti, si fa fatica a trovare le novità, a meno che non siano pubblicate da case editrici piccoline o semisconosciute. Sembra che nelle case editrici ci sia una pigrizia diffusa, che in fondo non si voglia approfondire l'argomento. maura: Io volevo solo dire che mi è stato fatto più male da uomini che si professano alleati, che non sono pronti ad ascoltare, piuttosto che dai "gamergater".

► sara: io sogno un mondo dove possiamo avere le nostre fiere, le nostre fumetterie, i nostri festival e canali, i nostri server… che non vuol dire “senza uomini” ma accessibili solo a uomini che non desiderano entrare nei nostri spazi per trovare terreno di caccia o seminare distruzione.
Posti dove poter respirare un po’, non avere paura e poter costruire qualcosa: relazioni, progetti, interessi.

questo è un po' quello che succede in ogni ambito in cui ci si professa alleatə solo per pulirsi la coscienza ma poi, nella sostanza, cambia poco. mi sembra che sia un modo per sottolineare che il punto non sia poi tanto la bolla nerd quanto l'atteggiamento patriarcale ed escludente della nostra società tutta.
► maura: La nostra società tutta è patriarcale. È logico poi che i sottoambienti che si sono venuti a creare, come quello nerd appunto, hanno delle problematiche specifiche, ma che ovviamente si riconducono alla stessa matrice. Molti maschi si professano alleati finché non devono davvero attuare le pratiche femministe. Non capiscono il privilegio che hanno. Non capiscono che noi non siamo tenute a spiegare con calma e tranquillità cose che abbiamo studiato e vissuto per anni e anni e che abbiamo ripetuto all’infinito. Credono che l'attivismo femminista sia un post, un like, una condivisione, e il giorno dopo possono continuare a vivere da privilegiati quali sono, mentre sappiamo tuttɜ che bisogna essere femministi tutti i singoli giorni e bisogna continuamente dimostrarlo soprattutto quando le compagne stanno facendo richieste femministe che comportano uno sforzo vero. La decostruzione di tuttɜ noi non finisce mai, non finisce quando una compagna spiega due nozioni femministe, bisogna decostruirsi sempre, leggere, studiare e informarsi costantemente sulle istanze femministe. Senza piangere preferibilmente.

► sara: La questione dei “falsi alleati” è una cosa che mi fa arrabbiare tantissimo, perché hanno capito che parlare di questioni femministe porta like, popolarità e tanto pubblico queer, che ti pulisce la coscienza, e tanto pubblico femminile che ha un disperato bisogno di uomini femminista.
La maschera di queste persone cade subito dopo un semplice scambio di battute: si capisce subito che tutto ciò che vogliono è mettersi al centro della lotta e portare avanti i propri scopi.
spero che anche questo sia stato un momento costruttivo e che, magari, da questa bella chiacchierata nascano altre riflessioni! vi ringrazio tantissimo per essere state qui con noi e vi faccio mille imboccallupo per i vostri progetti!
► alessandra: grazie a te per la bella iniziativa, è stata utilissima e soprattutto mi ha fatto interagire con persone bellissime!

► cecilia: Grazie infinitamente a te, anche tu fai parte della rete attiva di resistenza!

► maura: Grazie Claudia, grazie veramente per lo spazio e per averci dato voce ❤️

► sara: è stato emozionante confrontarci e vedere quanto abbiamo in comune e spero sia il primo di altri progetti corali! 

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