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lunedì 3 giugno 2024

(altre) quattro chiacchiere sulle tossicità del mondo nerd

a gennaio avevamo chiacchierato insieme delle dinamiche discriminatorie, violente e maschiliste del mondo nerd (potete fare un ripasso qui!). oggi cecilia formicola, fumettista attiva sia in italia che in francia, e sara silvera darnich, educatrice di sostegno nelle scuole dell’infanzia che si occupa di nerdculture da una prospettiva femminista e pedagogica, tornano su claccalegge per continuare a parlare insieme di alcune situazioni a dir poco controverse del panorama fumettistico – soprattutto riguardanti il caso vivès – e più in generale della bolla nerd.
buona lettura!


ciao cecilia e sara, benvenute su claccalegge! grazie mille di aver scelto questo spazio per parlare di un tema tanto delicato quanto, purtroppo poco attenzionato, ovvero la polemica - che nel nostro paese è passata un po' in sordina - sul caso vivès. la prima cosa che volevo chiedervi è come avete iniziato a interessarvi a questo autore e, soprattutto, sulle accuse che gli sono state mosse?
► cecilia: Ciao Claudia! Grazie di darci spazio per parlarne. Dunque, io facevo parte delle estimatrici dei lavori di Vivès; lavorando per il mercato editoriale francese ho notato una serie di statement e storie da parte di autorɜ francesi che seguivo nei mesi di novembre e dicembre 2022 e ho approfondito per giorni. Fondamentale è stato il lavoro di Alice Pfältzer e Laetitia Abad Estieu che per prime hanno raccolto e diffuso tutto il materiale incriminante e problematico su Vivès negli anni.
Visto che in Italia non se ne parlava ho chiesto loro il permesso di tradurre il materiale che avevano raccolto e ho aggiunto alcuni dati sul problema della pedofilia in Francia e anche in Italia, e devo dire che è come se fosse esplosa una bomba silenziosa.

► sara: Ciao Claudia, grazie della tua disponibilità e del tuo supporto.
Io ho seguito le storie di Cecilia che ha fatto un lavoro di documentazione e traduzione dal francese incredibile. Io non ero a conoscenza di nulla perché non seguo la scena francese e non conosco la lingua, quindi se non fosse stato per lei probabilmente ne sarei rimasta sempre all'oscuro.
Il caso Vivès riguarda due temi che mi stanno a cuore la difesa dell'infanzia all'interno della bolla nerd e la politicizzazione dei discorsi riguardanti la nerd culture e i prodotti nerd, in particolar modo i fumetti.
vi andrebbe di fare un riassunto veloce a beneficio di chi non ha seguito la vicenda?
► cecilia: Il Festival Internazionale del Fumetto di Angoulême (FIBD) decide, per l’edizione 2023, di allestire una mostra chiamata “Negli occhi di Bastien Vivès”. Il festival gli dà carta bianca per "uscire da strade battute e proporre dei pezzi inediti”. Tuttavia è da anni che Vivès fa uscite che definire problematiche è un eufemismo, inneggiando alla pedofilia, erotizzando l'incesto, e realizzando come autore unico ben tre fumetti pedopornografici che in Francia sono illegali (due di questi editi anche in Italia).
A questo punto nasce la petizione di studenti in lotta dalle scuole d’arte di Angoulême, gestita da Alice Pfältzer e Laetitia Abad Estieu. La petizione per la deprogrammazione della mostra di Vivès viene promossa da Arnaud Gallais, attivista dei diritti per l’infanzia e cofondatore del collettivo Prevenir et proteger (Prevenire e proteggere). L’accusa è di pedocriminalità e apologia dell’incesto. Alla fine il FIBD decide di annullare la mostra per tutelare l'incolumità di Vivès che dichiara di aver ricevuto minacce di morte.
Durante i giorni di festival ci sono state proteste accesissime e Vivès è stato infine denunciato, insieme alle sue editrici Les Requins Marteaux e Glénat, per diffusione di immagini pedopornografiche, incitazioni a commettere aggressioni sessuali su minori e apologia dell’incesto.
però mi è parso di capire che, nonostante accuse così gravi e, vorrei sottolineare, molto ben fondate, fuori dalla francia le risposte sono state abbastanza tiepide...
► cecilia: Assolutamente sì, una cosa come un'altra. Anzi, le reazioni più intense sono state in difesa di Vivès e della libertà di espressione artistica sopra ogni altra cosa. Confortante, da parte di un settore culturale come il fumetto.
Abbiamo ben pensato anche di invitarlo al Lucca Comics 2023, così per non farci mancare, oltre al patrocinio di Israele, anche un autore verbalmente violento e affascinato dalle quattordicenni.

► sara: Non sono state solo tiepide, sono state proprio problematiche. La notizia è stata battuta dalle poche testate che l'hanno trattata in due modi: come se fosse un evento o un'uscita editoriale qualsiasi senza che venisse presa una posizione, oppure gli autori hanno commentato le polemiche e le manifestazioni di dissenso con grande distanza e anche con grande sospetto, come succede ogni volta che vengono fuori notizie che hanno come protagonisti personaggi famosi dello show business o della politica, che vengono accusati di aver commesso violenza domestica, o violenza sessuale. I commentatori “della domenica”, ma anche creator molto grossi, hanno trattato la risposta italiana al caso – che è stata minima – come il frutto di commenti di hater che vogliono rovinare la reputazione di uno stimato autore, o il risultato dell'indignazione di bigotte che si scandalizzano per tutto e che vogliono proteggere lə bambinə da qualsiasi contenuto considerato “forte”, che vogliono edulcorare tutto e che vogliono tappare la bocca agli autori controversi (utilizzo il maschile volutamente).

non so come la vedono in francia questa cosa, ma in italia mi sembra che ci sia un po' di confusione sulla questione "separare l'opera dall'artista" (oserei dire soprattutto se l'autore è maschio e la polemica è relativa a questioni inerenti a misoginia e violenze sessuali di varia entità). qual è la vostra opinione in merito?
► cecilia: Impossibile farlo! Il concetto di separare opera e autore nasce da Proust in opposizione alle teorizzazioni di un critico dell'epoca, Sainte-Beuve, che affermava di comprendere la moralità dellɜ artistɜ giudicando le loro opere. Proust però si battè sul separare opera e artista perché era omosessuale, e all'epoca questo era segno di immoralità, ovviamente. Veramente interessante come uno strumento di difesa della comunità queer sia diventata un'arma nelle mani di chi dice che va bene continuare a foraggiare unə artista, purché sia bravə, indipendentemente da quello che ha fatto.
Mi viene da dire che si può separare l'opera dall'artista, ma non l'artista dall'opera; nel senso che l'opera può essere arricchita, interpretata e reinterpretata, espropriata e riappropriata, rivista a seconda di epoche e contesti, ma l'autorə sarà sempre presente all'interno delle sue opere, con i pregi e i difetti, il suo pensiero e il suo vissuto. Senza contare che quando si parla di autor3 viventi si parla di continuare a sostenerl3 economicamente e quindi permettere loro di continuare ad avere potere e agire violenza, a qualunque livello.
Solo l'oblio, e la mancanza di seguito e di spazi più in generale, possono disinnescare le dinamiche di potere intorno a unə autorə violentə.
Provare a separare opera e artista è un esercizio puramente teorico e di immaginazione, ma sul piano politico e storico non c'è argomentazione che tenga e lo ripeto, è impossibile farlo.

► sara: Per me è impossibile dividere l'opera dall'autorə. Mi rendo conto che alcune volte è molto facile farlo, altre volte di meno, a seconda dell'autorə dell'opera che è stata presa in esame. Però, una volta che è stato messo il filtro della violazione dei diritti fondamentali, è impossibile guardare l’opera allo stesso modo di prima. Si rompe un patto tra l'utenza: tra le persone e l'autorə. Ed è interessante questo fenomeno perché appunto è come se la denuncia, oppure l'arresto, riportasse una figura che noi idolatriamo, o che comunque abbiamo idealizzato, a un livello umano, e a un livello di un'umanità che non rispecchia i nostri valori. E questo è un discorso che nel mondo nerd non viene mai affrontato. In particolar modo nella bolla nerd italiana, dove c'è una dilagante cultura del maestro, della divinità, del capo, dell'opinion leader per cui, una volta che questa persona ha raggiunto determinate vette o ha dimostrato di avere determinate capacità, (attribuite spesso solo rispetto al successo di pubblico) è impossibile poi metterlo in discussione, perché entra in ballo una sorta di questione identitaria. È questa, secondo me, la grande problematica. L'abbiamo vissuto proprio noi che abbiamo parlato del caso Vivès perché siamo state dipinte come hater che volevano rovinare la vita di una persona, quando invece noi stavamo ponendo l'attenzione su tutt'altro. Questa cosa è successa, ad esempio, anche per quanto riguarda il caso del pedofilo al quale hanno trovato in casa materiale lolicon. Quella volta le persone erano molto più preoccupate che venissero proibiti in prodotti lolicon invece di ragionare sulla problematicità delle opere che stavano fruendo.
da quando ho letto le prime storie di cecilia e poi quando ne abbiamo accennato nella nostra precedente intervista, mi è venuto in mente che forse, se vivès fosse stato un personaggio più in vista, magari un attore, per fare un esempio, forse la reazione sarebbe stata diversa, se non nei contenuti almeno nella forma (cioè, insomma, almeno se ne sarebbe parlato di più anche nei canali mainstream). secondo voi c'è anche una componente di svalutazione del fumetto come mezzo di comunicazione ed espressione?
► cecilia: È una domanda interessantissima e molto sul pezzo! Secondo me sì, e dall'interno stesso del mondo fumetto. Un po' come con tutti i settori nerd c'è una progressiva riabilitazione per l'opinione generalista del valore di questi media e forme artistiche, e ci sono moltɜ fumettistɜ che sono estremamente popolari anche per chi normalmente non legge fumetti, per non parlare poi di fenomeni di massa provenienti dagli Stati Uniti e dal Giappone che hanno un potere economico e culturale innegabile.
Un enorme problema sta secondo me in come noi del fumetto percepiamo noi stessɜ: spesso e volentieri come hobbisti, che fanno storie superficialmente poetiche che sappiamo venderanno poco e niente e che troppo spesso non raccontano niente, che hanno dimenticato cosa ci ha conquistato del fumetto da bambinɜ e ragazzɜ e vive uno scollamento allucinante dal proprio pubblico.
Se quello che facciamo non ha importanza (o meglio, ce lo raccontiamo come importante, ma non studiamo né lavoriamo né agiamo in questa direzione), allora è tutto lecito e tutto il resto sono scocciature, esercizi teorici. Noi del fumetto, a qualsiasi livello della filiera (dalle case editrici alle fumetterie allɜ autorɜ) non ci prendiamo sul serio, ma continuiamo ad avere un impatto, volenti o nolenti, senza avere gli strumenti per riconoscerlo né prendercene le responsabilità.

► sara: Credo che non sia una questione di svalutazione del fumetto come mezzo di espressione e di comunicazione, ma credo sia un indicatore del modo in cui è costruita la community nerd, soprattutto in Italia. Sono scoppiati diversi scandali all’interno del panorama nerd italiano, però si sono rivelati sempre un nulla di fatto. Questa cosa avviene anche oltreoceano: anche lì ci sono stati diversi scandali che sono stati dei fuochi di paglia. Questo perché, da un lato, soprattutto in Europa e in particolar modo in Italia, la bolla nerd è molto piccola e al suo interno vengono sempre silenziate tutte le voci politiche (quelle femministe, di persone che fanno advocacy per i diritti dell’infanzia, le persone razzializzate, queer) che vengono messe tutte sotto il cappello del “politicamente corretto” e delle “nazifemministe”. E poi c’è anche il fatto che il mondo nerd viene percepito come infantile. Questo comporta che ogni tipo di denuncia, ogni polemica e ogni intento politico non riescono mai a bucare la bolla, e quindi non hanno risonanza, come succede invece, ad esempio alle notizie legate al mondo dello spettacolo, al mondo pop inteso più in generale.

mi riallaccio a quanto diceva cecilia a proposito dell’impossibilità di dividere opera e autorə: possiamo dire che vivès è troppo contemporaneo per poterci permettere un atteggiamento eccessivamente morbido riguardo le sue opere?
► sara: Questa domanda è bellissima. Credo fortemente che il dialogo con le opere e con lɜ autorɜ debba essere portato avanti costantemente. Se non c'è un dialogo sull'opera, se si dicono sempre le stesse cose su una un'opera o su un autorə, allora sono cose morte. Non credo sia una questione di contemporaneità, perché un discorso del genere, ad esempio un'accusa postuma, l’avremmo fatta anche con autorɜ del passato, di dieci o venti anni fa. Credo sia importante mantenere l'attenzione altissima sull'arte e sulle opere di qualsiasi tipo. Il mondo nerd pecca di questa mancanza di complessità, perché non analizza, non scava nelle vite dellɜ autorɜ, nella costruzione e nei contenuti delle opere che fruisce. Se andiamo a vedere le analisi, le recensioni, i commenti, le monografie, tutto quello che viene prodotto dai maschi nerd online sono veramente pochi i casi in cui viene coltivata la complessità, in cui si affrontano determinate prospettive, si cambiano i punti di vista, si allarga il contesto. Sono sempre una ripetizione costante di frasi fatte e di assoluti. E questo credo che sia il problema. Vivès è un autore contemporaneo che si sta affermando nella scena europea e che quindi non viene già più contestato, perché diventato intoccabile. È come una stella fissa. Che poi sia luminosissima o che abbia appena un accenno di bagliore, lo decide la community. E questo per me è un grave segnale di quanto sia chiusa e parziale la comunità nerd.

► cecilia: Possiamo dirlo fortissimo! Basta fare un giro sul suo profilo, a un anno e mezzo da quello che è successo. Ironizza sulla mancanza di libertà di espressione, esprime sostegno per persone con atteggiamenti discriminatori e ha di recente inserito illustrazioni pedopornografiche all'interno di un'esposizione in Belgio.
Davvero vogliamo normalizzare che possa esserci del materiale pornografico disegnato con protagonistɜ deɜ bambinɜ? È un'aspirazione che abbiamo come categoria, come medium, come canale culturale?
Io penso che molto del sostegno che arriva alla libertà artistica sopra ogni cosa derivi da una profondissima mancanza di consapevolezza dei danni e della violenza quotidiana che persone assolutamente normali agiscono sul prossimo. In Francia i dati sulla pedofilia sono aggiornati ed accurati: viene colpito unə bambinə su dieci. L'Italia è il primo paese per turismo sessuale ai danni di minori, siamo sicurɜ che qui i numeri siano tanto diversi? Non è terrificante?
Per quale motivo l'arte, che è sia una rappresentazione della cultura e della società sia uno strumento potentissimo per plasmarle, può essere esente da ripercussioni quando si tratta di agire violenza?
No, non possiamo andarci piano, eppure ci andiamo fin troppo piano.
questo punto mi sembra fondamentale perché il mondo nerd è, appunto, un mondo, una bolla, ma è anche parte integrante ed espressione della nostra società, quindi è un mondo politicizzato. eppure sembra che questa politicizzazione debba essere taciuta per paura di contaminare una sorta di illusoria purezza ed astrazione di queste realtà. voi come la vedete questa situazione?
► cecilia: Io posso portare il punto di vista di unə artista che mi sento di dire non dista molto dal maschio medio che non riflette sul sistema oppressivo che lo favorisce. Così come la paura di ogni uomo è di essere accusato di violenza, la paura di ogni artista è di essere cancellatə, di subire quella valanga di commenti e critiche, a volte essi stessi violenti, e di uscirne distruttə.
Questi pensieri secondo me sono molto umani, ma non possono cristallizzarci nel tentativo di non scontentare nessunə e di piacere a tuttɜ. Se cerchiamo la neutralità per paura di esporci e metterci a nudo nelle nostre idee e nei nostri pensieri non stiamo facendo arte, ma un compitino che ci permetta di sbarcare il lunario (scelta valida e non giudicabile, ma che va inquadrata in questo senso, e che soprattutto ha anch'essa delle conseguenze politiche).
Il mio modo di affrontare la cosa non è se sbaglierò, ma quando. Nel senso che io sono una persona che ha tanti difetti e che si interroga costantemente; e so che prima o poi commetterò uno sbaglio che farà del male a molte persone, molte più di quanto vorrei. Il mio impegno è accogliere quello sbaglio, prendermi cura del dolore che genero e trasformarlo, trasformandomi. L'arte non è astratta, è incredibilmente concreta e si sporca le mani, e noi abbiamo paura di vedere da dove viene lo sporco e lo nascondiamo sotto al tappeto.

► sara: Il mondo nerd è composto per la maggior parte di manchild, di uomini anagraficamente adulti ma che si comportano come bambini. Sono immaturi dal punto di vista emotivo e dal punto di vista esperienziale, e mi fa ridere questa cosa perché sono le stesse persone che prendono la distanza dallɜ bambinɜ, che si vantano di non avere niente a che spartire con l'infanzia, di fare contenuti e di scrivere cose assolutamente fuori dalla loro portata. Sono le quelle persone che attivamente mettono in atto delle violenze contro i bambini soprattutto nello spazio digitale e lo rendono un luogo inaccessibile. C’è da dire che nutrire il proprio bambino interiore è una cosa molto bella ma essere infantili una volta superata una certa età anagrafica non va bene. Purtroppo nel mondo nerd c'è questa infantilizzazione delle persone, soprattutto degli uomini adulti, che volutamente hanno una visione assolutamente egoriferita della vita e delle questioni anche politiche. Non è vero che la politica non c'è all'interno della del mondo nerd: semplicemente la politica viene intesa come parlare di dittatura, parlare di una guerra X, del fascismo, fare discorsi non ben orientati per quanto riguarda che cos'è la destra, che cos'è la sinistra. Non si vuole o non si capisce – non esprimo il giudizio – che politica è tutto, è il pane che si mangia, come direbbe una persona a me molto vicina. Questa voglia di mantenere, come diceva Claudia, pura e intatta la bolla nerd dalla “sporca” politica, che ovviamente è di un certo tipo, transfemminista e intersezionale, è soltanto perché non si vuole mettere in discussione il proprio privilegio. Ed è una cosa che non solo denota l'infantilità di certe persone, ma anche il fatto che siano completamente dissociate dalla realtà. I nerd si sono nascosti all'interno della bolla dove si divertono, lavorano, fanno informazione o si informano, e non affrontano mai la vita reale, che è molto complessa e ci chiama a essere persone responsabili.

c'è una cosa che vorrei chiedere soprattutto a sara: sottostimare la gravità di questo tipo di storie e dei messaggi che lanciano, lasciando passare il messaggio che chi queste storie le scrive sia legittimato a farlo, può avere effetti tangibili sullə lettorə e sulla realtà che li circondano? in altre parole, possiamo aspettarci che giustificare storie zeppe di elementi violenti e pedopornografici sia l'anticamera della giustificazione di atteggiamenti e azioni sessualmente violente nei confronti anche di minori?
► sara: La domanda è molto interessante. Per me la presenza dei contenuti violenti e pedopornografici non giustifica le violenze sui minori, ma le normalizza. Quando parliamo di infanzia parliamo di una categoria di persone estremamente vulnerabile: lɜ bambinɜ sono dipendenti dalle persone adulte da tutti i punti di vista, dal proprio sostentamento, non solo economico a alla costruzione della propria personalità. Lɜ bambinɜ non possono parlare per sé perché sono persone che stanno costruendo il loro linguaggio. Sono persone che a cui mancano le parole anche per descrivere, ad esempio, determinati abusi che stanno subendo, e mentre loro sono in questa fase così delicata di costruzione del Sé, subiscono un'invisibilizzazione terrificante. Si sta discutendo dello sharenting, dell'evoluzione della pedopornografia, di come si è passati dal maniaco che va a fotografare i bambini al parco a persone che, nel perfetto anonimato, pescano foto di vita quotidiana dai social di persone assolutamente comuni e creano una banca dati allucinante. Il fatto che l'ambiente nerd ignori questa problematica, cioè la vulnerabilità delle infanzie, denota due cose: l'ignoranza delle persone Nerd riguardo i temi di attualità e al fatto che i Nerd, in quanto uomini, non pensano di doversi occupare di Infanzie. Questa negligenza nei confronti dell'infanzia è un problema sistemico in generale: lɜ bambinɜ vengono osservati e curati soltanto dalle persone che se ne occupano direttamente, quando dovrebbero essere cittadinɜ in carico alla comunità stessa; Per tornare all'ignoranza riguardo i temi legati all'attualitá: la bolla che si occupa delle cose nerd, non va oltre il mero intrattenimento. Non è soltanto un ambiente assolutamente depoliticizzato ma è chiuso in sé stesso e non ammette contaminazioni. Il problema è che queste persone, questi adulti nerd, continuano nascondersi dietro una non ben definita catarsi data dall’usufruire di prodotti di intrattenimento ma, se vogliamo parlare di catarsi, dobbiamo ricordarci che nella cultura greca la catarsi, nel teatro, si basava su un codice morale condiviso, per cui quando si mettevano in scena determinati crimini, era soltanto per poi ribadire che certe cose erano sbagliate, e che non dovevano essere fatte. Se un'opera non punisce lɜ cattivɜ, non risolve la violenza sul minore, e non dà un insegnamento al pubblico non è catarsi, non critica sociale. È apologia della violenza, è materiale pedopornografico. E anche negli altri significati, comporta a una liberazione non a perpetrare la violenza, anche se solo in forma simbolica.
anche se, come dite giustamente voi, ci stiamo andando pianissimo con questo tipo di autorə e di contenuti, sento già chi urla "censura!", quindi vi chiedo: dove sta il confine tra la censura e la necessità di limitare atteggiamenti e azioni violente, eticamente ingiustificabili e illegali?
► cecilia: Su questo non può esserci una risposta assoluta proprio perché la natura umana, la cultura, anche le situazioni di violenza e abuso sono complesse e hanno diverse sfumature. Una fondamentale considerazione sta nel comprendere che la censura è imposta dall'alto, da chi detiene il potere, verso contenuti, messaggi e storie che possono minare quel potere: per esempio, storie queer e collettive o con personaggɜ poverɜ o razzializzatɜ non hanno lo stesso spazio che hanno quelle che esaltano eroi ed eroine individualisti.
Penso che come diceva Sara sia fondamentale un dialogo con il pubblico, con persone esperte che possano portare approfondimenti e consapevolezze differenti, e metterci in gioco anche noi creativɜ, qualunque ruolo abbiamo. Soprattutto, sviluppare noi stessɜ una coscienza politica che ci permetta di accettare di sbagliare, migliorare e di metterci in discussione. Anche quello che scegliamo di raccontare, pubblicare, pubblicizzare è frutto di scelte che devono essere quanto più consapevoli possibile per stimolare il pensiero e raccontare la natura umana.
Poi ci sono casi limite, tipo i fumetti pedopornografici, o opere apertamente e deliberatamente sessiste o razziste o discriminatorie; e su questo mi sento sinceramente di dire che possiamo porre un veto, che non è basato sul potere ma sul buon senso. Dopotutto, lasceremmo pubblicare un'opera che inneggia al fascismo solo in nome della libertà di espressione?
stanno venendo fuori un sacco di cose interessanti e, riprendendo un po' le risposte di adesso ma anche la vecchia intervista, volevo riflettere insieme a voi su una cosa: ultimamente sono usciti dei risultati di sondaggi che mostrano una netta differenza tra maschi e femmine coetanei - giovani, non ricordo esattamente ma credo tra i 17 e i 35 anni - dove i primi sono molto più a destra delle seconde e dove si evidenzia che sono le ragazze quelle più attente alle questioni sociali legate, ad esempio, alle discriminazioni. questa cosa, mi sembra, non solo si rispecchia ma si esaspera nel mondo nerd (mi viene in mente, ad esempio, il caso recente di game romancer, che ho seguito attraverso le storie di maura saccà, che era stata con noi qualche mese fa qui su claccalegge). quali sono, secondo voi, le caratteristiche peculiari di questi spazi che permettono e fomentano questa differenza tra nerd-maschi e nerd-femmine?
► cecilia: È davvero una domanda complessa. In generale secondo me le persone più giovani socializzate come donne stanno trovando risposte, consapevolezze, forza e sorellanza, mentre le persone socializzate come uomini si trovano senza modelli, non si capiscono, si sentono isolati e si rifugiano in un'ideologia di branco più o meno consolidata e condivisa, ignorando il loro dolore e rifiutandosi di acquisire (o senza sapere come farlo) gli strumenti per star bene, con sé stessi e con lɜ altrɜ.
Il mondo nerd è caratterizzato da uomini (in senso ampio) che si sentono strani e isolati, che subiscono un certo livello di emarginazione, e che sono spesso acculturati e forti della loro superiorità logica e intellettuale. Nel mondo nerd cercano loro pari, persone con cui connettersi e stare bene, e sentirsi potenti.
Le persone socializzate come donne negli ambienti nerd costringono gli uomini nerd a mettersi in discussione, a provare disagio in ambienti che percepivano sicuri e di distensione. Vale moltissimo la superficialità delle cose: in apparenza sono alleato, confortevole, sono presente per te; sotto questa superficie invece vorrei che mi lasciassi in pace o giocassi secondo le mie regole. I maschi nerd sono estremamente pericolosi perché feroci, con un certo grado di cultura e di capacità di manipolazione, e non sono in grado di guardarsi dentro perché le dinamiche sociali che vivono sono spessissimo incanalate secondo codici rigorosi, che estraniano tutto ciò che è differente e consentono loro un ampio grado di impunità.

► sara: È molto interessante la scelta lessicale che tu fai nel dire che all'interno delle della bolla nerd questo divario politico viene esasperato. “Esasperare” è il verbo corretto perché nel mondo nerd tutto quello che avviene fuori dalla bolla – l'informazione, il dibattito scientifico e accademico, le scelte dell'editoria, eccetera – tutto viene esasperato. Ed è interessante notare le conseguenze di questa esasperazione da diversi punti di vista, ad esempio dal punto di vista lavorativo. I lavori all'interno del mondo nerd sono incredibilmente sfruttati, ma si autosfruttano perché c'è una cultura del lavoro che dire tossica è assolutamente un eufemismo. La bolla nerd è composta soprattutto da maschi, ragazzi e uomini che molto spesso sono traumatizzati e che hanno interiorizzato un certo modello tossico, si sentono “maschi alfa” che non ce l'hanno fatta, e soprattutto sono persone che hanno tantissimo bisogno di una rivincita. Sono persone che cercano in tutti i modi di trovare un riscatto sociale, che in una società capitalistica non trovano. Le persone socializzate come donne hanno una coscienza diversa dal punto di vista politico perché hanno esperienze di vita politiche. Sembra un controsenso, ma subire violenze nel quotidiano, a tutti i livelli e in qualsiasi ambito tu ti trovi, ti apre gli occhi. C’è da dire che purtroppo nel mondo nerd fa veramente fatica ad attecchire il femminismo proprio per questa massiccia presenza di uomini traumatizzati e aggressivi, che molto spesso fanno parte di tutte quelle frange terrificanti della menosfera e che negano completamente la questione politica o che abbracciano, anche inconsapevolmente, posizioni di estrema destra.
provo a fare un attimo l'avvocata del diavolo: ci sono moltissimi casi in cui espressioni artistiche di vario tipo hanno mostrato la violenza, anche in modo scioccante e doloroso, per svelarne la vera natura e condannarla. c'è il rischio che limitare alcuni argomenti possa bloccare anche le opere di denuncia? e secondo voi, quali sono, se ci sono, gli strumenti oggettivamente identificabili per poter distinguere la legittimizzazione della violenza dalla sua giustificazione?
► cecilia: Personalmente trovo molto difficile verbalizzare dei codici e degli espedienti narrativi, nonostante mi sembrino chiarissimi, che fanno la differenza tra il raccontare la violenza per fartene disgustare e allontanare e il raccontare la violenza per romanticizzarla. Secondo me varia anche moltissimo a seconda del linguaggio del medium e quello personale dellə autorə, e quindi è davvero difficoltoso tracciare dei confini molto netti.
In questo senso secondo me non possono esistere argomenti tabù; per esempio, se Vivès decidesse di raccontare le sue tendenze pedofiliache e le sue fantasie per problematizzarle e farcene capire la pericolosità sarebbe veramente una lettura bene accetta. Dobbiamo ragionare collettivamente sulle modalità in cui raccontiamo quelle tematiche e quegli argomenti.
Ted Nannicelli, professore di comunicazione e arte, nel suo saggio "Creazione artistica e criticismo etico" prova a spostare il discorso sulla legittimità etica di un'opera dalla sua interpretazione alle modalità con cui l'opera viene realizzata.
Per esempio, Vivès racconta una storia di violenza su minori, che è una tematica legittima da trattare e una denuncia importante; ma lo fa utilizzando dichiaratamente il genere pornografico, quindi deliberatamente erotizzando quella violenza. Questo è un procedimento oggettivo su cui si può discutere e che può essere un paletto da non oltrepassare. Ancora, se per esempio sono un regista e per fare un film chiedo alle attrici di spogliarsi insistentemente senza il loro esplicito consenso, magari il lavoro registico sarà estremamente delicato e non disturbante, ma di sicuro nella sua realizzazione non è stato così.
Possiamo (e dobbiamo) provare, come categoria, a teorizzare questi strumenti e le loro possibili declinazioni, anche se mi sembrano riassumibile in "rispetta l'altrui persona", e anche accettare che certe cose resteranno per forza sfumate e dubbie; e ancora accettare che tra cinquant'anni questi strumenti verranno rivoluzionati e modificati di nuovo, che farà parte del dibattito culturale e della sua evoluzione e che sarà segno di una creatività viva e senza reali freni.

► sara: Questa prospettiva è fortemente indicativa di un privilegio, perché molto spesso si fa coincidere la rappresentazione grafica alla denuncia. Come se per denunciare una violenza o un crimine, tu debba fare delle descrizioni estremamente specifiche in un libro, o pubblicare una tavola a fumetti con tutti i dettagli più scabrosi, o girare una scena di un film il più realistica possibile. Si ricerca molto l'effetto scioccante ma questa è una prospettiva maschile. Se noi andiamo a vedere negli ambiti femministi, si fa denuncia e si parla di crimini e di abusi senza far riferimento neanche alla parola. Non si parla di “stupro” quando si parla di stupro, non si pronuncia nemmeno la parola “stupro”. Basta un'immagine, basta un riferimento anche iconico. È il caso, ad esempio, del dibattito che c'è adesso su TikTok sulla questione uomo o orso. Finché non sono entrati gli uomini nel discorso, bastava questa immagine. Abbiamo dovuto rispolverare i casi di cronaca, abbiamo dovuto entrare nei dettagli quando gli uomini hanno cominciato a indignarsi per il fatto che la maggior parte delle persone socializzate come donne avesse scelto l'orso. Finché ne abbiamo parlato tra di noi era evidente il senso, perché tutte noi, avevamo già in mente di che cosa si sta si stesse parlando a livello esperienziale, gli uomini no. C'è un grave problema di empatia: se non c'è lo shock, se non c'è l'esposizione, se non c'è la morbosità allora non c'è la denuncia sociale. Ma chi l'ha detto? E poi è molto interessante anche vedere quali tipi di violenze vengono effettivamente rappresentate. Un esempio: nella Lega degli Straordinari Gentlemen si vede una scena di stupro fortissima, dove ci sono tantissimi dettagli, noi vediamo tutto ed è veramente difficile sostenere quelle sequenze. C'è anche uno stupro maschile che però viene non viene trattato allo stesso modo. Ed è interessante perché il corpo altro rispetto a quello di Alan Moore e del disegnatore viene messo in mostra, mentre un'esperienza violenta che si avvicina alla loro sensibilità, con cui possono empatizzare di più, viene censurata.
secondo voi il lavoro dellə sensitivity reader può essere uno strumento valido per riuscire a discriminare tra le opere che denunciano e quelle che romanticizzano la violenza?
► cecilia: Secondo me sì, con dei limiti. Io mi sono avvalsa di una consulenza in questo senso ed è stata estremamente utile e illuminante; ma per esempio sono stati lasciati elementi nella storia che io personalmente trovavo si dovessero modificare e che non sono stati considerati problematici, o viceversa. Bisogna tener conto che ci sono delle considerazioni collettive che sono state formulate da parte delle comunità marginalizzate e richieste condivise per il rispetto e la tutela di quelle comunità, e poi ci sono le variabili personali, del nostro carattere, sensibilità e vissuti (perché ricordiamolo, le nostre etichette fanno parte di noi, ma noi non siamo solo le nostre etichette).
Di sicuro è uno strumento in più in ogni caso, che può far riflettere su altre prospettive e generare altri dibattiti e far trovare soluzioni inaspettate e più creative. Non trovo sensato un repulisti come quello che viene imposto nelle grosse aziende, molto meccanico e con regole ferree (tipo come si fa in Disney, per intenderci); ma un porre domande e sottolineare aspetti e criticità e dare un parere su come una cosa o l'altra possono essere interpretati e vissuti, questo sì, è assolutamente utile e arricchente.
Ciò non toglie che può non risolvere completamente delle criticità o che, appunto, possono esserci sempre sfumature nell'accoglienza, nell'elaborazione e interpretazione di una storia o di suoi elementi; ma anche questo genera dibattito ed è un dibattito sano che può incidere in modo estremamente costruttivo nella collettività del mondo creativo. L'importante nel rivolgersi allɜ sensitivity readers, secondo me, è di mettersi in ascolto, studiare e vedere le cose in un modo diverso, e questo è fondamentale.

► sara: sono d'accordo con Cecilia perché i sensitivity reader sono figure utili ma solo se messe in relazione con una persona che genuinamente vuole fare un lavoro corretto e quindi si avvale di una consulenza di una persona che ha un punto di vista interno o che ha una conoscenza specifica di un determinato argomento. Il problema è che se lə sensitivity reader viene convocatə per fare il compitino, perché così si è fatto un buon lavoro, senza poi effettivamente capire i consigli dati o gli appunti e le critiche fatte, non ha senso. Credo che lə sensitivity readers arriveranno in un futuro molto lontano all'interno o del mondo nerd: faranno il loro lavoro in maniera efficace soltanto quando ci sarà effettivamente lavorato sull'ambiente. Quando è solo se attecchiranno determinati movimenti, quando e se, cominceranno a essere sdoganati determinati argomenti e determinati linguaggi si potrà vedere un cambiamento. Attualmente la vedo veramente dura perché ogni volta che si cerca di problematicizzare determinate cose, si urla alla censura e al politicamente corretto. I nerd devono mettersi in discususine, abitare il conflitto, fare autocritica e capire soprattutto che la libertà non è illimitata ma che si è all'interno di una comunità, in una società. Attualmente il pensiero nel mondo nerd è incredibilmente individualista e personale. Si parla tanto di oggettività ma alla fine si portano avanti credenze totalmente soggettive su determinati argomenti.

tornando un momento a vivés, tenendo a mente tutto quello che ci siamo dette, secondo voi, quali dovrebbero essere i comportamenti e gli interventi di editori, comunicatori/influencer, lettorə e, più in generale, consumatorə di prodotti nerd davanti a opere violente come quelle di cui abbiamo parlato?
► cecilia: Innanzitutto le editrici dovrebbero fare un lavoro accurato e sensato di selezione e di editing. Nel caso Vivès, mi sembra assurdo che nessunə abbia pensato che forse non era un'ottima idea realizzare dei fumetti porno con violenze su minori (tenendo conto che, di nuovo, è illegale in Francia). Le case editrici dovrebbero prendersi cura sia delle proprie opere che deɜ propriɜ autorɜ e diffondere violenza e permettere a persone violente di lavorare in questo senso non tutela né le editrici, né lɜ autorɜ né il pubblico.
Comunicatorɜ e influencer dovrebbero rendersi conto che possono, per l'appunto, influenzare moltissime persone, e quindi prendersi la responsabilità del proprio impatto politico e contribuire a educare il pubblico su argomenti sensibili, sulla violenza sistemica, sugli impatti di opere e artistɜ e delle loro criticità; e anche scegliere cosa divulgare, e non parlare di un'opera o di unə autorə solo perché porta engagement. A volte è importante scegliere il silenzio, a volte è fondamentale parlare; senza una coscienza politica reale non è possibile distinguere i due casi.
Da lettorɜ e consumatorɜ, dobbiamo renderci conto che l'uso dei soldi, vivendo in un sistema tristemente capitalistico, è uno dei pochi poteri che ci è rimasto: decidere a chi e a cosa dare il nostro denaro ha un valore politico e sociale. Boicottare un'opera o unə autorə contribuisce ad allertare il sistema che lə sta intorno, e forza le editrici, lɜ artistɜ, lɜ comunicatorɜ a prendere scelte differenti se si vuole restare sul mercato. Continuare a comprare da autorɜ violenti invece rappresenta un cenno di assenso alle loro azioni, perché se continui a vendere anche facendo del male perché dovresti cambiare?

► sara: Io penso sia importante diversificare gli interventi e i comportamenti in base alla propria posizione e al proprio potere all’interno della scena nerd, perché è giusto cominciare a intervenire sulla questione, però è anche vero che questa cosa va affrontata dal punto di vista collettivo e non individuale. Bisogna cominciare a parlare di che cosa sia lecito e cosa non lo sia a livello comunitario, cosa sia condiviso e cosa no. Invece di dedicare talk su talk all’ennesima serie tv, si dovrebbe cominciare a parlare di temi di attualità che siano realmente all’altezza di persona che hanno superato i trent’anni, perché è questo quello che fanno lə adultə, parlano di quello che succede nel mondo. Poi, se vogliamo affrontarlo dal punto di vista del fumetto, anche il fumetto fa parte dell’attualità, tratta di temi attuali, anche se descrive mondi fantastici, perché attinge sempre dalla realtà, affronta sempre delle tematiche umane. Secondo me è importante partire da questo punto. Nello specifico c’è da capire qual è il pezzettino che ciascuno di noi deve e può fare: gli editori devono cominciare a interrogarsi e prendere delle decisioni politiche. Nel mondo del fumetto, purtroppo, c’è questa corsa al caso, dove la critica, la polemica, servono soltanto a far parlare ancora di più di quel fumetto. O, peggio ancora, ci sono delle uscite assolutamente non accettabili nel 2024. Non è possibile che, mentre si è accesa in Francia una polemica, pubblicare proprio la nuova uscita di quell’autore in Italia, senza prendere posizione, senza parlare a cuore aperto con la propria utenza. Nessuno fa il processo a nessuno, il mondo è complesso, il mondo per come è adesso, nella fase più aggressiva del capitalismo, restringe il nostro raggio di azione, però l’ignavia non è una cosa giustificabile. Stessa cosa i creator e gli influencer devono cominciare a non prendere alla leggera il loro ruolo, a non essere passivi promuovendo e pubblicizzando chiunque: devono discutere di cosa sia lecito pubblicizzare e cosa no, devono iniziare a fare call out alle aziende. I lettori devono cominciare a pensare che il loro potere d’acquisto è importante, che possono ricorrere anche all’usato e alla biblioteca se vogliono leggere senza supportare economicamente determinate realtà, o anche semplicemente per farsi un’idea di quello di cui si sta parlando. Vedo tanta passività e questo mi sconforta. La mancanza di politicizzazzione del mondo e delle cose nerd, rende poi le persone nerd molto poco attive nel discorso, nelle scelte, come cittadinə, come consumatorə e come fruitorə. È una cosa che, secondo me, si sta sottovalutando tantissimo, per colpa del fatto – come dicevo – che le persone nerd sono adulte anagraficamente ma non nei fatti, e questo dà terreno fertile a tantissime problematiche, dalla violenza di genere alla pedopornografia all’attecchire dei vari fascismi.
credo che la cosa più bella di questa chiacchierata sia che le risposte che mi avete dato aprano ad altre mille domande e riflessioni. spero di ritrovarvi presto e vi ringrazio tantissimo di essere state qui a mettere ancora una volta sotto i riflettori gli aspetti più controversi della cultura pop e nerd dei nostri giorni! grazie mille!
► cecilia: Grazie a te Claudia, di cuore ❤️

► sara: Grazie mille Claudia!!!


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sabato 6 aprile 2024

il famiglio della strega

nell'immaginario collettivo la strega è donna, spesso anziana o caratterizzata da evidenti deformità fisiche, generalmente accompagnata da un animaletto - un gatto, un rospo, un cane - suo servitore, messaggero e complice, con cui instaura un rapporto duraturo e profondo.
copertina de il famiglio della strega - l'immagine è tutta nera, con gli occhi gialli di un gatto

in effetti, se proviamo a richiamare alla mente l'immagine di una strega, la immaginiamo sempre in compagnia di una qualche creaturina, poco importa come decliniamo questa fantasia, se ci figuriamo la strega come una vecchina da fiaba, che vive nel bosco e crea strani intrugli di erbe o come una donna crudele che trama nell'ombra ai danni di qualcunə. quale che sia il valore - positivo o negativo - che diamo alla parola strega, molto probabilmente la declineremo al femminile e le metteremo accanto un qualche animaletto, più o meno simile a quelli di cui abbiamo esperienza quotidianamente.
ma da dove nasce la coppia inscindibile strega-famiglio?

ne il famiglio della strega, francesca matteoni ci accompagna in un lungo excursus storico sulle credenze popolari e la scienza medica dal tardo medioevo all'epoca moderna, attraversando atti processuali, storie e dicerie e focalizzandosi sul ruolo del sangue: il sangue come emblema e fonte di vita quando circola all'interno del corpo, il sangue come simbolo di morte quando viene sparso, il sangue come fonte di salvezza se riferito al sacrificio di cristo e come sede dell'anima secondo le concezioni della medicina di varie epoche.
il sangue, quindi, come legame cercato dal diavolo per impossessarsi dell'anima umana. il sangue femminile come parodia del latte con cui la strega - quasi sempre ma non esclusivamente donna - nutre le creature malvagie che la aiutano a compiere i suoi malefici.
il famiglio della strega è così non soltanto un saggio sulla figura di queste creature più o meno teriomorfe e più o meno dannose ma è anche un interessante trattato sulle concezioni scientifiche che ci hanno condotto - attraverso ipotesi e concezioni errate dell'anatomia e del funzionamento del corpo umano - alla biomedicina moderna, un modo per ricordarci che la scienza non è mai nulla di assoluto, anzi, che è sempre prodotto della cultura in cui si sviluppa.

le due figure - quella di strega e quella di famiglio - nascono come risposte a determinati e specifici problemi e questioni sociali, si nutrono di paura e di miseria come di storie e fantasie: dalle teorie umorali di stampo ippocrateo e galenico - che riguardano il funzionamento del corpo in relazione all'equilibrio tra i quattro umori fondamentali: sangue, flegma, bile gialla e bile nera - alle concezioni demonologiche e religiose, senza lasciare indietro una sorta di questione di classe: le donne accusate di stregoneria erano quasi sempre povere, vecchie e sole, così come povere erano le presunte vittime che cercavano, in qualche modo, di trovare risposta alle loro miserie.
la povertà e l'inconoscibilità di un fato quasi sempre cieco e ostile verso gli ultimi favorivano narrazioni, fantasie e forse vere e proprio visioni, dove creature altre si assumevano la colpa degli eventi negativi, ma potevano anche essere invocate per migliorare la propria sorte. non poteva essere così anche per il famiglio? presenza nociva per il vicinato, otteneva dalla strega un nome e veniva accudito, primariamente come animale domestico: un conforto e, a suo modo, un aiuto. è su queste premesse - condizioni di esistenza precarie e difficili, ricerca di soccorso ultraterreno - che nelle immaginazioni degli accusati, come dei loro accusatori, si fa strada la figura satanica.
il famiglio si evolve, nel corso del tempo, prendendo forma nel calderone dei racconti di fate, spiriti e folletti, facendosi via via sempre più malefico, sempre più intimamente connesso al corpo e al sangue della strega da un lato e alla dimensione infernale dall'altro, fino a trasformarsi in mostro dalle sembianze chimeriche e demoniache. solo negli ultimi secoli in cui la credenza nella stregoneria si è mantenuta in vita il famiglio torna a essere simile a un animale domestico e il legame di sangue sparisce.

le concezioni della stregoneria nel tempo sollevano anche un'altra, interessante riflessione: la strega è riconoscibile non per la sua conoscenza di materie segrete ma per i segni visibili del suo corpo. difetti e alterazioni della struttura della pelle, ad esempio, ma anche cicatrici, segni di ustioni o di attività usuranti, tutto - e qui torniamo alla questione di classe di cui prima - ciò che fame, miseria, malattie, violenza e duro lavoro potevano imprimere sui corpi (così come nelle menti) di chi, di certo, non si fregiava di titoli nobiliari. il corpo non conforme della strega è indagato, analizzato, pungolato e ferito per mostrare al mondo la sua a-normalità, prova irrefutabile della comunione con il diabolico. quanto abilismo c'è stato nella caccia alle streghe?
le confessioni delle streghe ci raccontano di profonde solitudini, causate dalla povertà, dall'esclusione, da dolori e difficoltà personali, da sensi di colpa e disagio, dalla rabbia perfino, e sì, anche da fantasia e visioni che in altre situazioni avrebbero fatto di alcune fra loro grandi narratrici. la strega vive sola. e in questa solitudine tesse amicizie eccezionali con spiriti, presenze ibride fra l'animale e il mostruoso, compagni invisi al suo vicinato. nella solitudine cerca, come ogni essere vivente, un conforto, apre spazi che conducano altrove, via dalla disperazione.
ultima - per questo spazio, ma di certo questo saggio ne suggerisce molte altre - tra le riflessioni che vorrei proporvi: il famiglio, che veniva nutrito con il sangue, succhiato direttamente dal corpo della strega come unə bambinə succhierebbe il latte dal seno della madre, diventa simbolo parodistico di una maternità che perde la sua sacralità e si fa quasi blasfema. la donna-strega è la donna che non è, o non può più essere, madre, che nutre una creatura animalesca, impura e malefica invece di una umana, innocente e potenzialmente utile e buona per la società. c'è, in questo rovesciamento dell'immagine della madre, tutto lo stigma sulla maternità non realizzata.
la strega e il suo famiglio incarnano il contrario delle aspettative sociali sulle donne e si tramutano, oggi, nell'immagine della gattara, la vecchia sola, spesso mai sposata (o rimasta vedova) e senza figliə, che si circonda di animali e li tratta come bambinə, creatura inadatta e inadattabile al vivere comunitario.
la gattara è, negli occhi di chi la guarda con disprezzo, la donna che tenta di rimediare al suo errore di non aver creato una famiglia sua, come se nessun altro tipo di relazione con nessun altro tipo di creatura fossero legittimi di per sé.

al netto delle mie personali riflessioni, il famiglio della strega è un testo interessantissimo, ricco di informazioni e scritto con la penna di chi, come francesca matteoni sa fare egregiamente, sa essere ricercatrice e insieme narratrice e poeta.

martedì 19 marzo 2024

una stanza tutta per gli altri

voglio ballare, capisci? ballare e divertirmi fino a cadere morta per terra. sono stanca di tutti questi libri, di tutto questo silenzio, di tutte queste pulizie.
cover una stanza tutta per gli altri

questo libro nasce da una finzione, una bugia svelata solo alla fine. alicia giménez-bartlett racconta di aver trovato, grazie a una collezionista inglese, il diario di nelly boxall, una delle domestiche di virginia woolf, quella che lavorò per lei per circa diciotto anni.
il diario di nelly, in realtà, non esiste.
nella finzione letteraria, giménez-bartlett sostiene di voler utilizzare il documento per scrivere un romanzo sul rapporto tra la nota scrittrice e le sue domestiche e così una stanza tutta per gli altri alterna le pagine del diario di nelly - che l'autrice sostiene di aver corretto e reso più piacevoli alla lettura - scene che compongono il romanzo stesso, narrate in terza persona, che si incastrano con la viva voce di nelly e le pagine di quello che potremmo definire una sorta di diario di campo di giménez-bartlett stessa, in cui annota le sue considerazioni sullo scritto di nelly, i confronti con i diari di virginia woolf a proposito degli stessi eventi e altri appunti interessanti per contestualizzare quello che stiamo leggendo: notazioni di carattere storico sull'inghilterra del primo dopoguerra, sulla condizione della working class e, in particolare, delle ragazze a servizio.

se pure così sembra tutto molto confuso e poco scorrevole, una stanza tutta per gli altri si è rivelato un romanzo che, nonostante la struttura decisamente particolare, mi ha conquistata immediatamente. mi sono immediatamente affezionata a nelly e a lottie - l'altra domestica che lavora per un lungo periodo con nelly a servizio per virginia woolf - ho preso le loro parti nelle contese con la padrona, ho sentito farsi miei i loro desideri e le loro paure. il diario di nelly mi ha trascinata in quel mondo fatto di una povertà che non è solo economica ma soprattutto relazionale, una sorta di gabbia in cui le ragazze che svolgevano il lavoro di domestiche non rinunciavano al loro orgoglio, al loro carattere e ai loro sogni. primo fra tutti, quello di avere, un giorno, una stanza tutta per sé, per citare woolf, un posto in cui sentirsi finalmente a casa.

il merito è soprattutto di nelly, personaggia interessantissima e molto ben caratterizzata, e della voce che emerge dalle pagine del suo diario. nonostante sia solo una cameriera, come ripete lei stessa più volte, nelly è una ragazza spigliata e intelligente, affascinata - almeno all'inizio - dalla sua padrona. virginia woolf è una donna anticonformista, un'intellettuale le cui idee - e in qualche modo anche la cui vita stessa - sfidano le consuetudini, rasentando spesso lo scandalo.
eppure, con il passare del tempo, l'entusiasmo di nelly - e, insieme, il nostro - va scemando sempre di più: virginia woolf diventa, in queste pagine, l'emblema di quel femminismo bianco e borghese che nasconde come polvere sotto il tappeto le donne povere, le donne non istruite, le donne non inserite in un certo tipo di società, le donne che desiderano qualcosa di diverso da quello che vuole lei. virginia istilla nella mente di nelly, ad esempio, l'odio verso il matrimonio: sposarsi è il primo passo verso una vita alle dipendenze di un marito prima e dei figli poi, una vita logorante nel corpo e nell'anima in cui ogni momento è dedicato alla famiglia, in cui non esiste un attimo per sé.
considerazione affascinante, certo, e con cui potremmo anche essere d'accordo, ma che non offre alcuna alternativa a tutte quelle donne che non appartengono al suo stesso ceto sociale se non, appunto, quella di lavorare a servizio: non serva di un marito e dei figli ma serva di altrə padronə, sempre pronta a obbedire, sempre rinchiusa tra una cucina e una cameretta che non le appartengono nemmeno, sommersa dai lavori domestici che, spesso e volentieri, si moltiplicano all'arrivo di ospiti inattesə, ognunə con i suoi capricci da soddisfare. una vita di duro lavoro che, in casa wollf, si somma a un'atmosfera cupa, quasi angosciante, scandita dai malesseri di virginia, dalla tristezza di leonard e dal silenzio necessario alla creazione letteraria.

l'anticonformismo di virginia woolf e del circolo di bloomsbury diventa presto, agli occhi di nelly, poco più di un vezzo da ricchə, un'attitudine sciocca e infantile di volersi distinguere dal resto della gente per il puro gusto di farlo. gente che parla ad alta voce di sesso, che cambia amante senza remore, che cresce lə figliə con un'educazione strampalata, che scrive libri, dipinge quadri e indossa abiti spesso al limite del ridicolo ma che poi non esita un momento nel trattare lə domestichə con crudele snobismo. anticonformismo, sì, ma purché sia comodo; egualità sì, ma senza respirare la puzza della classe operaia; femminismo, sì, ma senza rivolgersi davvero a tutte le donne.

sullo sfondo, intravediamo un'inghilterra schiacciata dalla guerra prima e da una ripresa lentissima dopo, quasi inesistente, un'inghilterra in cui idee come quelle di woolf hanno poca attinenza con il reale: la vita matrimoniale è realmente una prigione ma alle donne non viene concesso altro se non scegliersi il tipo di gabbia che desiderano e a chi concedere le chiavi, se una padrona che le ignora, una che le controlla ossessivamente, un datore di lavoro schiavista, un marito strafottente, una suocera crudele. le donne, se non godono di un patrimonio familiare solido o un titolo, non hanno alcuna scelta, alcun diritto, alcuna possibilità di cambiare la propria vita, né hanno alleate, neppure tra le più illuminate e combattive. resta, dunque, solo quello spazio - fragile e precario - ritagliato nelle case altrui, nelle vite altrui, in cui condurre un'esistenza che non si realizza mai pienamente.

una stanza tutta per gli altri invita a sovvertire i luoghi comuni, a riconsiderare i propri miti così come i propri valori, a cambiare punto di vista.
soprattutto, spiega che non si può parlare di femminismo, di diritti, di giustizia continuando a dimenticare la lotta di classe perché è lì, nelle discrepanze economiche e sociali, che si concentra l'origine di ogni ingiustizia, di ogni discriminazione e marginalizzazione.

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lunedì 5 febbraio 2024

smack! vol. 1 ~ intervista a giacomo guccinelli (collettivo moleste) e matilde sali (eris edizioni)

e allora peli: come appendice naturale e stratificazione culturale. peli che in natura servono come antibatterici, ammortizzatori e protezione, amplificando addirittura la percezione del mondo, ma nel mondo artificiale (culturale) sono invece sporchi e volgari.
[...] "se non sei frida kahlo, che può rivendicare la sua genialità dall'alto del suo monociglio, allora prendi le pinzette, normodotata, tu non te lo puoi permettere".
e noi invece vogliamo permettercelo.
vogliamo liberare spazi mentali occupati da questioni laterali.

che bella che è questa zine che prende il via da una cosa piccola e insignificante come un pelo e apre gli occhi su storie, corpi, diritti, rivendicazioni, spazi, politica, desideri.
i peli si fanno sineddoche del corpo tutto e della possibilità di viverlo pienamente, senza permettere a nessunə di limitarne o forzarne le esperienze. i peli, che sembrano cose piccole e insignificanti, in realtà si portano dietro questioni enormi di autodeterminazioni negate e rivendicate.

tra fumetti e prosa, si racconta il corpo come spazio di riappropriazione identitaria e come strumento per rivendicare il proprio diritto di occupare spazio, di essere nel mondo, di vivere la propria vita fuori da costrizioni e convenzioni. smack! - che suona come un bacio o come uno schiaffo - è, come vedremo meglio nelle parole di chi l'ha creata e di chi l'ha pubblicata, una zine transfemminista e intersezionale, e lo è davvero, non si limita a essere un contenitore vuoto ricoperto di etichette.
e moleste, il collettivo che ha dato vita a questo bel progetto, è molesto davvero nel momento in cui mette al centro di tutte le sue riflessioni il corpo come espressione politica di identità plurali, tenendosi ben lontano dal femminismo prêt-à-porter e trovando nuovi spazi per voci che non vogliono più essere soffocate.

le storie a fumetti e quelle in prosa, raccontano i mondi marginali che non trovano spazio nella narrazione più nota e convenzionale, quegli spazi in cui cappuccetto rosso non aspetta il cacciatore per salvarsi e le regine non sono affatto meno dei re, spazi in cui rasarsi i capelli diventa un atto politico, in cui peli e capelli diventano la chiave d'accesso per una riflessione sulla razzializzazione delle persone non-bianche. e poi, ancora, si ride sulle nostre assurde ossessioni legate ai peli e al oddio, se finisco in ospedale proprio oggi che non mi sono depilata? e i capelli, simbolo di femminilità per eccellenza, si trasformano in emblema di lotta, in gabbia in cui intrecciare i silenzi forzati, nel nemico da combattere quando cominciano a ingrigirsi.
e sono, infine, ancora una volta i peli a ricordarci che le violenze vanno combattute in prospettiva intersezionale perché le discriminazioni non si sommano ma si moltiplicano, perché non può esistere la lotta al dominio del maschile sul femminile senza lotta al dominio occidentale sulle persone bipoc.

un pelo, un capello, qualcosa di così piccolo e marginale è capace di raccontare così tanto!
questo primo numero di smack! è una sorta di cassetta degli attrezzi, un prontuario di difesa pratica nei confronti di un mondo che vuole corpi conformi, ordinati, disciplinati, silenziosi, obbedienti. corpi come cose, da prendere, usare e poi gettare via.
a tutto questo, ci dicono moleste, possiamo ribellarci, anche solo un pelo alla volta.


ciao giacomo e benvenuto su claccalegge! e bentornata matilde! grazie mille a entrambə per essere qui oggi!

inizio chiedendoti, matilde, com’è nata la collaborazione con moleste?
► La collaborazione con Moleste nasce principalmente perché il collettivo ha contattato Eris per chiederci se eravamo interessatə come realtà a produrre e distribuire la zine. Noi, come casa editrice, seguiamo sin dalla nascita il collettivo Moleste e siamo statə molto felici quando è nato, abbiamo sempre creduto che fosse un qualcosa di molto importante, di cui ci fosse assolutamente bisogno. L'esempio del collettivo Moleste è un esempio positivo, se in tutti gli altri ambiti nascessero collettivi simili, dove ovviamente ancora non ci sono, saremmo, come dire, già a metà della strada per cambiare la situazione. Ovviamente, dopo che il collettivo ci ha contattatə, noi abbiamo riflettuto tantissimo su quale fosse il reale apporto che poteva dare Eris alla zine a tutti i livelli, sia dal punto di vista della creazione vera e propria della zine sia nel divulgarla, nel farla girare eccetera. Devo dire che è una collaborazione molto bella, di confronto, orizzontale, fatta di chiacchiere per trovare le soluzioni migliori per far girare la zine il più possibile.
quale è stato il ruolo di eris nella creazione di questo primo numero di smack!?
► Quando il collettivo Moleste ci ha proposto la pubblicazione di Smack! per noi è stato importante fin da subito chiarire che, nella correttezza e nel rispetto di quella che è una realtà politica, volevamo "entrarci" il meno possibile. Non volevamo che la nostra presenza venisse avvertita come un controllo editoriale o qualcosa di simile. Loro ci hanno fatto vedere i contenuti e noi li abbiamo trovati incredibili, perfetti per la zine e abbiamo, quindi, lasciato totale libertà, com'è giusto che sia, al collettivo nella scelta di tutti i contenuti. Quello che è stato il nostro vero e proprio contributo è stato il pensare un diverso modo di distribuzione per la zine, capire come poteva essere fatta, capire i meccanismi che avrebbero portato alla scelta del prezzo giusto, accessibile, tagliando fuori la distribuzione nazionale vera e propria ma, allo stesso tempo, cercando di diffonderla sul territorio attraverso modi diversi. Abbiamo anche pensato che una zine come Smack! nasce da una rete di persone, da un collettivo e ci sembrava giusto, proprio per valorizzarla dal punto di vista artistico e politico, diffonderla in rete con altre realtà, attraverso librerie indipendenti, collettivi e infoshop con cui collaboriamo, in modo che arrivasse nel modo giusto nelle mani delle persone.
si parla spesso, da un po’ di tempo, di editoria femminista ma, nel concreto, cosa vuol dire?
► Sì, negli ultimi tempi si parla spesso di editoria femminista ma credo che sia un'espressione che, come dire, vuol dire tutto e vuol dire niente. Secondo me, la prima grande differenza da fare è quella tra un'editoria che ospita nel proprio catalogo singoli titoli e un'editoria transfemminista nel senso degli intenti, che quindi mette al centro un discorso politico, di contenuto, di storia di diversi immaginari, di esplorazione di altri immaginari, che mette al centro una policy, e di conseguenza un diverso modo di stare sul mercato - perché poi, purtroppo, l'editoria è un mercato! Per noi, fare editoria transfemminista vuol dire, ad esempio, scegliere insieme al collettivo Moleste di fare Smack! nella consapevolezza che è una zine che divulga determinate idee, contenuti e immaginari e che deve essere divulgata per quello che è. Quindi al centro del lavoro ci deve essere il contenuto e non il profitto, non un determinato tipo di visione egoriferita che mette al centro non quello di cui si vuole parlare ma discorsi altri, che poi femministi non sono. Crediamo che l'importante - ed è una posizione che condividiamo con tante altre case editrici che stanno facendo in questi anni un ottimo lavoro - è il modo di porsi, il rispettare i tempi delle persone con cui si collabora, il cercare di essere una realtà orizzontale, il comprendere che se si vuole contrastare il performativismo ci devono essere i fatti e non solo le parole, e capire che le scelte sono scelte di contenuto e non di vendibilità di un titolo o del lavoro di una persona. Quello che viene prima di tutto, ovviamente, è il contenuto e la ricerca artistica e la libertà con cui questa persona fa il suo lavoro, fa quello che vuole fare.

smack! sarà distribuita in libreria e sarà disponibile sul vostro sito, come sempre. ci sono inoltre dieci librerie (libreria antigone di milano, libreria delle donne, modo infoshop e inuit di bologna, nora book & coffee e belleville comics di torino, libreria antigone e libreria tuba di roma, libreria tamu di napoli e spine bookstore di bari) che avranno un ruolo speciale nella distribuzione di smack! puoi spiegarci meglio come funziona? come sono state scelte le librerie e, soprattutto, perché avete scelto proprio questi dieci spazi?
► La distribuzione di Samck! sarà diversa dal solito. Ovviamente è in vendita sul nostro shop online ma consigliamo alle persone che la vogliono di usare il nostro shop online solo se non hanno altre realtà di riferimento, nel mondo fisico, in cui possono andare. Appunto esistono dieci librerie sparse in varie città d'Italia che si occupano di distribuirle insieme a noi. Questo vuol dire che - oltre che essere a disposizione dellə lettorə - anche altri collettivi, altre soggettività artistiche e politiche possono rivolgersi a queste librerie o a noi per averle a loro volta da vendere, quindi con un prezzo scontato specifico per queste realtà, per averle e ospitarle sui propri scaffali, sui propri banchetti e portarla quindi in giro in altri modi, proprio perché si parla di un discorso divulgativo e politico, e crediamo che lo spazio non sia soltanto quello degli scaffali delle librerie ma anche quello di altri ambiti. Ovviamente, molte altre librerie hanno preso e hanno in vendita Smack!, librerie amiche con cui collaboriamo, anche queste sparse in tutt'Italia. Qualsiasi libreria, in realtà, ci può contattare per comprarla se vuole ospitarla sui propri scaffali. È una lista molto grande e work-in-progress perché in realtà la zine sta venendo distribuita e quindi ogni settimana si aggiungono nuovi punti vendita che la stanno vendendo. La scelta è proprio quella di lavorare a stretto contatto con quelle librerie che sappiamo avere un'attitudine femminista, un determinato approccio politico e artistico e, allo stesso tempo, collaborare in modo stretto per la sua distribuzione e diffusione con tutte quelle realtà che siano non solo le librerie ma anche infoshop, collettivi, altre realtà che fanno banchetti in giro per il mondo in modo che chiunque la voglia ospitare e diffondere lo possa fare.
ci sarà la possibilità di trovare smack! anche in altri spazi – ad esempio presentazioni, festival, fiere eccetera?
► Ovviamente la zine, sino a esaurimento scorte, continuerà a girare per l'Italia, sugli scaffali delle librerie, durante eventi, presentazioni, eccetera. Si inizierà a breve con un calendario, le persone del collettivo cercheranno di portarla in giro in tutta Italia e allo stesso tempo, ovviamente, nei vari festival e fiere in cui noi o il collettivo Moleste parteciperà. Speriamo di finire presto le copie ma, allo stesso tempo, speriamo di poterla portare in giro per un anno perché è una zine annuale! Speriamo che duri un anno e di riuscire a portarla a tutte le fiere e i festival a cui solitamente partecipiamo.
(domanda da nerd che rosica perché si è persa il numero zero) ci ristampate il numero zero?
► Per le persone nerd come te che si sono perse il numero zero possiamo dire che, per ora, insieme al collettivo non c'è una previsione di ristamparla ma il fatto che il numero zero sia in questo momento introvabile e illeggibile - a meno che non hai una persona amica che ce l'ha e te lo presta - è una cosa su cui ci stiamo confrontando per trovare soluzioni diverse dal solito per renderlo disponibile. Però questo è ancora in work-in-progress per cui non posso dare anticipazioni, perché con Moleste non abbiamo ancora trovato la soluzione migliore per fare girare ancora il numero zero.

giacomo, cos’è il collettivo moleste e come è nato?
► Moleste è un collettivo transfemminista intersezionale nato dalla necessità di un gruppo di autrici di condividere i propri vissuti di abuso o di discriminazione sessista nel mondo del fumetto. Il collettivo si configura come luogo di mutuo ascolto, un luogo di riflessione e condivisione, un laboratorio in cui poter immaginare un ambiente più paritario e scevro da dinamiche patriarcali di sopraffazione, in cui la professionalità sia realmente riconosciuta a tutti i livelli.
Un collettivo di fumettist3, sceneggiatrici, disegnatrici, coloriste, letteriste, soggettiste, giornaliste, traduttrici, ghost writer che lavorano - o vorrebbero lavorare nei mondi del fumetto. Un collettivo in cui ciascunǝ vuole il riconoscimento del proprio impegno, essere giudicatǝ come artista in un ambiente solidale che ci rispetti come professionist3.
come si può aderire?
► Chi condivide la nostra visione e con essa la nostra pratica politica e ha intenzione di supportare il lavoro del collettivo può diventare firmatariǝ: è possibile inviare una mail a info@moleste.org. Può firmare chiunque, ovviamente non c’è esclusione o preclusione di genere per supportare il nostro progetto.
È anche possibile scriverci per proporvi come parte più attiva: il collettivo si basa su lavoro a titolo volontario e ogni aiuto per crescere, sviluppare reti e nuove collaborazioni è sempre ben accetto.
smack! è una creatura ibrida da tanti punti di vista e pian piano cercheremo di prenderli in considerazione tutti, ma intanto ti chiedo: come si tiene insieme il concetto di zine autoprodotta e lavoro con una casa editrice?
► Smack! fin dalla sua genesi, realizzata col suo numero zero, nasce come zine totalmente autoprodotta, lo stesso vale per questo numero. L’indipendenza nel manifestare la nostra visione politica attraverso contributi artistici è per il collettivo una priorità politica. E tuttavia, quando Eris, le cui pubblicazioni si collocano in maniera significativa nel discorso transfemminista intersezionale, ha risposto positivamente alla nostra proposta di collaborazione, per il collettivo si è concretizzata una bellissima opportunità. Eravamo nel pieno della lavorazione del numero uno, ma è stato bello vedere da parte di Eris come la casa editrice abbia supportato il progetto e scelto di farci da rete per dare al nostro messaggio una portata ancora più ampia. Eris ha inoltre adottato una politica di accessibilità economica dando la priorità alla copertura delle spese vive della zine mantenendo il prezzo di vendita il più possibile alla portata di tutt3.
sono ibridi anche i linguaggi usati, dal fumetto (principalmente) ai testi in prosa alle illustrazioni con didascalie brevi: come si mettono insieme tante forme espressive differenti?
► La pratica politica intersezionale è intimamente connessa alla contaminazione culturale, all’ibridazione e alla pluralità dei linguaggi, elementi strutturali nella progettazione di Smack! e parte consistente della nostra identità di collettivo.
All’interno della zine ogni contenuto trova la sua forma, ogni voce è valorizzata dal medium più idoneo a farla risuonare. Il fumetto, il saggio breve, l’illustrazione libera e lo stream of consciousness raccontano con differenti medium e tone of voice storie personali, intrecciando 35 voci in una dimensione che è contemporaneamente personale e corale, dove la pluralità è forma e sostanza che si oppone al modello unico binario-cis-bianco e patriarcale.

il tema centrale è quello dei peli che viene declinato in tantissimi modi e diventa lo spunto di base per riflessioni che, anche quando sono molto diverse tra loro, partono dal vissuto personale per raccontare esperienze collettive, più o meno vicine al nostro presente. perché, secondo te e secondo voi-collettivo, ancora oggi nel 2024, il corpo femminile e alcune sue parti in particolare, come i peli/capelli appunto, riescono a essere simboli così forti di lotta politica per l’autodeterminazione (o per la sua negazione)?
► Il pelo in ogni sua accezione e dimensione letterale, letteraria, metaforica, simbolica, allegorica e politica è un elemento narrativo in grado di coinvolgere vicende personali, intime e personali così come narrazioni ampie e più universalizzabili, il pelo in quanto tema potenzialmente trasversale all’esperienza di ogni persona. L’intenzione era quella di accogliere ma anche andare oltre alle accezioni più comuni che convivono col pelo (come la pratica della depilazione), il pelo come elemento archetipico e cardine di molteplici narrazioni: il pelo è il tempo che passa, è spaccato culturale, etnico, antropologico, il pelo, che può, nelle sue differenti manifestazioni, diventare potente atto politico. Il topic della zine diventa così mise en abime e al tempo stesso anche smascheramento dello sguardo maschile, delle meccaniche che il potere oppressivo maschile-cis-bianco-abile e patriarcale esercita sempre sui corpi. Il pelo è spesso discrimine, come raccontano le voci di Smack! tra ciò che è giusto e desiderabile e ciò che è incuria e indesiderablità, il pelo diventa in questa ottica potenziale elemento di crisi e di messa in discussione di una cultura che non sentiamo nostra e che vogliamo cambiare.
abbiamo parlato di linguaggio ibrido e tematiche multiformi ma c’è un altro aspetto che mi è piaciuto molto e cioè che questa prima zine include un bel contributo di amleta, un’associazione femminista intersezionale di attrici che è un po’ il parallelo di moleste ma nel mondo del teatro. come è nata questa collaborazione?
► Uno degli obiettivi di Smack! è uscire dalla propria bolla di riferimento e utilizzare le narrazioni visive di cui ci occupiamo per parlare dei temi che ci stanno a cuore. La fanzine ci serve da ponte e tramite, così come ci ha aiutato a tessere una rete con le realtà che condividono la nostra visione. Lo scorso anno abbiamo collaborato con Brigata Basaglia, che si occupa degli stigmi di genere legati alla malattia mentale, quest’anno invece abbiamo voluto coinvolgere Amleta, realtà che parallelamente a noi si occupa di questioni di genere all’interno del mondo del mondo dello spettacolo. Pensiamo che ogni occasione sia buona per stringere alleanze, per sostenere la denuncia e far emergere in ogni luogo gli squilibri di potere legati ai dictat del patriarcato, e questo compreso razzializzazione, abilismo, grassofobia e omo-bi-lesbo-a-transfobia.
si parla tantissimo di intersezionalità però poi non sono tanti gli ambienti e i progetti che riescono davvero a essere intersezionali. cosa vuol dire questa parola per moleste e quali sono le strategie che adottate per far sì che le vostre pratiche rispettino davvero il principio di intersezionalità?
► Come scrivevo sopra la nostra pratica politica che si riflette in Smack! è intersezionale nella forma e nei contenuti perché pone l’attenzione alla complessità e agli aspetti multidimensionali dei fenomeni di violenza, abuso e discriminazione senza mai dare per scontato il contesto economico, sociale, culturale e politico nei quali queste sono perpetrate, valorizzando piuttosto le voci, gli sguardi e le soggettività: il pelo visto da un caleidoscopio di punti di vista ciascuno dei quali merita attenzione e ascolto. Definiamo il nostro approccio intersezionale anche perché non parla per, non parla di, ma parla sempre con, dando, senza sovradeterminare, la parola alle persone, ai corpi che prima di raccontarle vivono le rotte che tracciano e le identità che vestono e manifestano quotidianamente.
quali sono i progetti che moleste sta portando avanti (oltre smack!, ovviamente)?
► Oltre al progetto Smack! il collettivo si occupa di supportare chiunque abbia subito molestie o abusi attraverso strumenti di supporto, iniziative, attività formative, reti e spazi - online e offline - di prossimità. Il collettivo ha inoltre all'attivo la pubblicazione dell’antologico Fai Rumore pubblicato dell’Editrice Il Castoro a maggio 2022, inserito nel Progetto Scuole della stessa casa editrice, in uscita nel 2024 per Dark Horse Comics.
Per sapere di più del lavoro del collettivo invitiamo chi sta leggendo questa intervista a consultare il Manifesto sul nostro sito www.moleste.org e a seguirci sulle nostre pagine social.
grazie mille a entrambə ancora una volta e un megaimboccallupo per tutti i prossimi progetti!

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mercoledì 10 gennaio 2024

quattro chiacchiere sul maschilismo nel mondo nerd

nelle ultime settimane del 2023 ci sono stati diversi episodi che hanno (ri)acceso l’interesse su alcune dinamiche tremendamente maschiliste e discriminatorie tipiche del mondo nerd. ho chiesto a chi se ne è occupata più e meglio di me di provare a capire quello che sta succedendo e, soprattutto, come provare a cambiare lo status quo.

le ospiti di oggi di claccalegge sono – in disordine sparso: maura saccà, game designer, programmatrice e membro del collettivo gameromancer che si occupa di portare alla luce i problemi della cultura nerd, specialmente quella videoludica; cecilia formicola, fumettista, attiva sia in italia che in francia, flavia luglioli, fumettista, rilegatrice e libraia; alessandra stefanelli, giornalista sportiva e appassionata di manga e videogiochi, anche lei del collettivo gameromancer e sara silvera darnich, educatrice di sostegno nelle scuole dell'infanzia, che si occupa della nerdculture da una prospettiva pedagogica e femminista.


ciao cecilia, alessandra, maura, flavia e sara, grazie mille per la vostra disponibilità e benvenute su claccalegge!
cecilia: Grazie a te per averci ospitate!

► sara: grazie di cuore per aver pensato a questa intervista!
la letteratura, intesa nel suo senso più ampio di "raccontare storie" è stata forse, tra tutte le arti, quella che ha saputo indagare e far conoscere meglio l'animo umano: le storie e le parole - ma anche le immagini - che usiamo per raccontarle, sono una vera e propria educazione sentimentale. dai racconti che ci accompagnano per tutta la vita impariamo a metterci nei panni dellə protagonistə delle storie (romanzi, fumetti, film, videogiochi), gioiamo, amiamo, soffriamo con loro. mi scuso di questa premessa un po' lunga ma era necessaria a porvi la prima domanda: come vi spiegate che la bolla nerd - che è letteralmente cresciuta nutrendosi di storie che molto spesso hanno anche protagonistə un po' sfigatə, bullizzatə ed emarginatə - sia diventata così violenta? perché oggi parliamo nello specifico di misoginia ma anche in altri ambiti non c'è da stare molto allegrə...
► cecilia: Dal mio punto di vista, molte delle storie del mondo nerd sono storie di riappropriazione, il viaggio della persona qualunque che diventa eroe*, che diventa potente. La persona nerd media si sente di rivendicare quel potere per sé, dopo l'emarginazione a cui è stata costretta dai suoi pari, e diventa quello che crede sia una persona potente appena ne ha occasione: offende, discrimina, manipola, reclama la gloria per sé a scapito di chi bolla come cattiv*, di chi l* minaccia.

► maura: Poiché la bolla nerd è stata sempre molto discriminata dalla società sin dagli albori, all'interno delle storie raccontate in videogiochi e fumetti (e in varie altre opere nerd) si è sempre cercata quella voglia di riscatto, raccontando appunto storie di riscatto. La bolla nerd è stata creata da uomini attorno a una identità maschile - parlo nello specifico di quella videoludica che conosco di più - definita spesso mascolinità geek. Era la loro bolla, ciò che si erano creati per rifugiarsi dalla società che li bullizzava. Quando la bolla si è aperta, per allargarla a nuove personalità e identità, che volevano anche loro la loro fetta di rappresentazione sia nelle storie che nell'industria del lavoro, i maschi geek hanno visto minato il loro territorio, e hanno preso le armi in mano.

► alessandra: Credo che nella bolla nerd gli uomini abbiano trovato un nuovo modo per esprimere un modello di mascolinità che non rispondesse necessariamente a quello più socialmente accettato. Ma non avendo poi intrapreso un percorso di decostruzione la bolla ha poi finito per riproporre i modelli più conosciuti. Il risultato è l’abuso di potere e la tendenza a escludere qualunque elemento visto come estraneo, proprio per la paura di perdere la posizione tanto faticosamente costruita.

► flavia: Quello che accade è un ripetersi di dinamiche di potere: si crea un luogo dove un maschio, bianco, etero, cis si possa sentire al "sicuro" alimentando una mascolinità tossica. Chiunque non rientra nella cosiddetta normalità viene escluso o fa fatica ad entrare.

► maura: Nell'ambiente videoludico si parla di Gamergate, quando all'interno dei videogiochi diverse giornaliste e sviluppatrici - tra cui Zoe Quinn e Anita Sarkeesian - che rivendicavano la loro presenza e i loro diritti all'interno dell'industria vennero prese di mira, minacciate di morte, nel caso di Sarkeesian addirittura sono stati creati dei videogiochi in cui la si poteva pestare di botte. cecilia: C'è anche una questione di socialità secondo me; nel branco trovi alleanze, senza conflitto interno reale, se segui quelle regole non sei più sol*.

► sara: sono d’accordo con quanto detto da tutto quante: aggiungo una cosa: il mondo nerd è dominato da uomini traumatizzati e infantilizzati che non hanno mai messo in discussione né il sistema dal quale sono scappati, né quello in cui si sono rifugiati (la nerdculture).

eppure la presenza non-maschile in questa bolla nerd non è poi così recente e, soprattutto negli ultimi 10/15 anni, le ragazze e le persone queer hanno trovato il loro posto nell'universo nerd (parlo soprattutto del mondo del fumetto, che è quello che conosco meglio)... qual è la differenza, secondo voi, tra le rivendicazioni portate avanti dalla metà femminile/queer e quelle della parte maschile?
maura: La differenza, secondo me, sta banalmente nel fatto che le donne/persone queer o comunque appartenenti a gruppi marginalizzati stanno chiedendo ad un "posto" di includerli. Un "posto" che ha veramente tanto spazio, infinito direi. Non sta cercando di occupare posto preso da altri, non sta cercando di rifugiarsi in qualcosa, sta semplicemente reclamando il diritto a poter vivere la loro parte nerd alla luce del sole e non in maniera invisibile. Mentre ciò che hanno fatto gli uomini è stato creare un "posto" a loro immagine e somiglianza e non accetta contaminazioni.

alessandra: Credo che il pubblico femminile/queer in tutto ciò che è nerd e pop abbia trovato soprattutto un modo per esprimere se stess*, a volte anche riempiendo i buchi di caratterizzazione lasciati dagli autori più o meno volontariamente. L’estetica esagerata, la possibilità di essere davvero chiunque si desideri essere, la necessità di creare nuove icone a cui aspirare. Non c’è quasi mai la voglia di opprimere, solo la voglia di trovare un posto in cui esistere alle proprie condizioni. E questo non viene quasi mai accettato da chi ha ricreato nella propria bolla il patriarcato che conosceva già e con cui si sente a suo agio. È bellissimo, secondo me, come gli autor* spesso si affannino a smentire l'orientamento sessuale di alcun* personagg* (penso ad esempio a Bayonetta) non capendo che spesso le icone diventano tali che loro lo vogliano o no. Altre volte, secondo me, gli autori lo fanno invece in maniera molto più consapevole: penso ai continui sguardi languidi tra Sephiroth e Cloud in Final Fantasy 7 Remake o tra Sora e Riku in Kingdom Hearts. Sarà forse che noi lettrici/giocatrici ecc. ci siamo abituate più di altri a riempire i buchi anche per far fronte a un'assenza di rappresentazione? Possibile.

cecilia: Secondo me le rivendicazioni partono da una stessa base, cioè l'emarginazione, la discriminazione, l'isolamento, la violenza subita. Cerchiamo tutti uno spazio per riaffermarci in quanto persone, nelle nostre caratteristiche, in libertà; se non riconosciamo che, oltre a subire discriminazione e violenza, le agiamo verso altre categorie, quando avremo quello spazio per noi avremo anche più spazio e possibilità (e quindi potere) di agirle. Un'identità non maschile è per forza di cose più consapevole dei disequilibri sistemici, e fa molta più autoanalisi; non è affatto impossibile che replichi quei meccanismi di oppressione verso i gradini più in basso della gerarchia ma di certo ci si rende molto più conto che c'è spazio per tutt*, e quindi le persone nerd non maschie si battono per allargare lo spazio per sé stesse, non per strapparlo a qualcun*.

► flavia: Le rivendicazioni della parte femminile e queer nel fumetto e nell'editoria (sono le parti che conosco meglio) sono sempre di inclusione e parità di diritti e equità nel lavoro. La parte maschile spesso non ne sente il bisogno, semplicemente perché quel mondo è stato creato apposta per loro e solo adesso stanno lentissimamente e faticosamente provando a far entrare altre persone che non rientrano nel loro canone. Rimane sempre un processo in divenire, e spesso chi riesce a entrare lo fa riempendo spazi lasciati vuoti e che spesso, purtroppo, non riescono a raggiungere un pubblico più vasto.

sara: L’identità degli uomini nerd è di gruppo, pubblica e i suoi linguaggi imitano gli ambienti accademici e scientifici mentre quella delle persone queer o delle donne è qualcosa di nascosto, solitario è privato: adesso che il mondo nerd è diventato mainstream e il mercato di anime/manga è esploso le carte sono cambiate e finalmente anche l’identità nerd delle categorie marginalizzate sta diventando qualcosa non solo di pubblico, ma di politico.
Credo che questa sia la differenza sostanziale tra le due parti: gli uomini nerd vogliono continuare a fare quello che fanno dagli anni ‘50, tutt* l* altr* vogliono che la nerdculture possa diventare strumento di liberazione, espressione artistica e creazione di spazi di utopia.
Non solo, come diceva giustamente Cecilia, c’è la questione della discriminazione alla base dell’identità Nerd: gli uomini hanno usato l’emarginazione come collante iniziale per fare gruppo, poi hanno portato avanti le stesse gerarchie e dinamiche di potere di sempre, le categorie marginalizzate e nerd stanno riuscendo a unire la discriminazione tipica della persona “sfigata del gruppo” all’intersezionalità femminista.
avete parlato di patriarcato e di dinamiche sociali che si ripropongono nella bolla e vorrei fare un attimo una parentesi per parlare di un caso eclatante che è stato seguito in particolare da cecilia, cioè quello di vivès: puoi riassumerci brevemente quello che è successo?
cecilia: cerco di essere breve: in occasione di Angoulême 2023, è stata data a Bastien Vivès, fumettista francese molto noto e amato a livello internazionale, una mostra personale con carta bianca dal titolo "Con gli occhi di Vivès". Una protesta guidata da student* delle scuole di Angoulême, professionist* del settore e un'associazione a tutela dei diritti dell'infanzia ha portato alla cancellazione della mostra, rivelando al grande pubblico dei fumetti pedopornografici di Vivès non conosciuti ai più, una serie di frasi allucinanti intrise di violenza, misoginia e pedofilia, una storia di minacce violente a una collega. In Francia è stato denunciato per pedopornografia e apologia dell'incesto. Nonostante questo, il mondofumetto italiano ha preferito non schierarsi, o farlo in supporto di Vivès, le denunce non sono arrivate o sono arrivate pochissimo qui in Italia e si è pensato di invitarlo tranquillamente al Lucca 2023.

maura: L'Italia è quel paese in cui ancora si dibatte sulla libertà di espressione di chi fa contenuti pedopornografici.

sara: non solo, la bolla nerd italiana è anche quella che rivendica la possibilità di fruire contenuti “loli” considerando chiunque faccia obiezione come “perbenista/bigott*”
flavia: Questo è un mio personale parere, di chi ha visto la dinamica dall'interno: nel mondo del fumetto si sta creando una guerra tra poveri, dove è più importante pubblicare o avere uno spazio (anche gratis), piuttosto che creare una forma di lotta concreta. Noi fumettist* raramente ci mettiamo in discussione davvero per cambiare la situazione, e quando succede dura quanto scrivere un post: giusto il tempo di ricevere i likes. La situazione che si è creata a Lucca quest'anno ne è stata l'emblema: nessuno ha mosso foglia prima che Zerocalcare facesse esplodere il caso.

accuse che vanno molto oltre la questione "bolla nerd" e che comunque, nonostante la loro gravità, sono state ignorate. se non ricordo male, moltə hanno provato a giustificarlo con la scusa che "l'arte non si censura". dove sta, secondo voi, il limite tra libertà di espressione, provocazione artistica e crimine? (la risposta di maura è arrivata mentre scrivevo questa domanda)
► flavia: Il limite sta nella violenza, qualsiasi forma prenda. Quando ti permetti di minacciare o di esercitare un potere nei confronti di chi non si può difendere. Noi siamo ancora nella fase di giustificare il carnefice e addossare tutta la responsabilità alla vittima e questa dinamica tende a ripetersi in qualsiasi ambito.

► maura: Non si può separare l'opera dall'artista. È impossibile vedere l'opera come un artefatto a sé stante, perché a prescindere porterà al suo interno le visioni politiche e sociali dell'artista. Oltre a questo, c'è anche la questione economica. All'interno della bolla videoludica quest'anno si è dibattuto molto sul caso "Hogwarts Legacy" videogioco ambientato nell'universo di Harry Potter, poiché, nonostante J.K. Rowling non fosse coinvolta direttamente nel progetto chiaramente, essendo la scrittrice della saga e detentrice dei diritti, avrebbe tratto benefici economici dall'opera videoludica. Potere economico che avrebbe utilizzato, come ben sappiamo, per portare avanti le sue lotte contro le persone transgender, come sta facendo attivamente negli ultimi anni. Se, quindi, un autore, in questo caso Vivès, utilizza il suo potere mediatico ed economico per spargere le proprie idee, sia all'interno delle sue opere che non, in cui fa passare che " È normale volerci scopare le quattordicenni", che è un crimine, direi che non c'è molto di cui dibattere.

► alessandra: Domanda molto complessa a cui rispondere in poche righe. Al di là della pedopornografia, su cui dovrebbe esserci una condanna unanime che spesso non c’è, come dimostra il caso Vivès, secondo me sarebbe il caso di mettersi in ascolto di chi si ritiene offeso o ferito da determinati contenuti. Si possono trattare argomenti controversi se si è capaci di farlo, penso a Promising Young Woman che è uno dei film più belli degli ultimi anni e che finalmente mi ha fatto sentire ‘vista’. E non è un caso che sia uno dei film più bistrattati dai cinefili maschi. Poi c’è tutto il discorso della separazione tra l’opera e l’artista, secondo me impossibile: se vai a vedere un film di Polanski devi essere cosciente del fatto che i tuoi soldi serviranno a sostenere una persona che da decenni sfugge alla pena dopo aver stuprato una minorenne. cecilia: Secondo me nelle intenzioni. Io sono liber* di esprimermi ma se sto comunicando a un pubblico devo tenere conto di a chi sto comunicando, in che contesto e con che modalità; se non si curano questi aspetti significa che mi sento liber* di esprimermi per farte violenza a qualcun* (un po' come il paradosso dell'intolleranza di Popper). L'arte può assolutamente provocare, ma chi o cosa intende provocare? Il potere? Il sistema? Oppure intende provocare indignazione sulla pelle di chi soffre e subisce violenza? Se si vuole provocare mostrando quanto può far schifo l'essere umano ci sono innumerevoli esempi nella storia vera, anche nel nostro presente. È difficile tracciare i confini di un crimine nel campo artistico; ma direi che nel caso specifico, se realizziamo opere pornografiche con la presenza di bambin*, in qualunque modo siano presenti (3D o 2D), allora è pedopornografia, e quindi è un crimine. In un saggio sulla critica etica nell'arte, Ted Nannicelli ricercava il discrimine del giudizio nel fattore oggettivo, quindi nei mezzi utilizzati per creare un'opera artistica: ho commesso violenza per realizzarla? Ne ho parlato facendo violenza? L'ho spiegata facendo violenza? Perché l'interpretazione sarà sempre soggettiva.

► sara: questa domanda mi riguarda quasi personalmente sia per il fatto che lavoro con le infanzie sia perché ho trattato direttamente l’argomento sul mio profilo. L’infanzia è la grande assente del dibattito pubblico, non c’è nessun luogo sicuro per le persone piccole. Dico questo perché nessun* luogo è mai stato pensato per bambin* con l* bambin*: l’arte è molto spesso il teatro dove si consumano le violenze sui bambin*. Penso all* attor* bambin* come Shirley, Drew Barrymore Temple, Macaulay Culkin e allo scandalo Nickelodeon che hanno tutt* alle spalle una storia di sfruttamento e abuso dentro e fuori dal set, per non parlare del modo in cui vengono rappresentate le infanzie nei media: dai cataloghi di moda, ai programmi televisivi passando per i fumetti, l* bambin* che vediamo, indipendentemente dal loro genere, sono adultizzat* come ad esempio Hit girl di Kick-ass che ammazza e si sballa di stupefacenti, o/e sessualizzat* come accade a Mathilda in Leon e Renato in Malena dove si fanno costanti allusioni alla relazione, seppur platonica, tra persona adulta e bambin*.
è interessante osservare come gli oggetti del “massacro artistico” maschile siano sempre categorie che non hanno diritti, né voce né possibilità di difendersi adeguatamente penso ovviamente alle donne, a* bambin*, alle persone bipoc e queer arrivando fino agli animali non umani.
rimanendo nell'ambito dei fumetti e della cosiddetta libertà di espressione, so che da voi, in particolare da alessandra, è partito quello che ha preso il nome di shoujogate e che ha messo in luce non soltanto l'atteggiamento di quasi tutte le case editrici italiane che si occupano di manga ma anche - e soprattutto - quello di alcuni "influencer" abbastanza noti nell'ambiente. cos'è successo esattamente?
► alessandra: Leggendo i nuovi annunci manga del Lucca Comics ho notato che il target shojo era notevolmente sottorappresentato rispetto agli altri. E che è in realtà una tendenza che va avanti da diversi anni. Dovendo scegliere come presentarmi a Gameromancer ho ben pensato di scrivere di una cosa che conoscevo, non pensando che avrebbe scatenato quello che poi è successo. La richiesta di maggiori prodotti a target femminile ha fatto arrabbiare più del previsto i lettori e i content creator che si occupano di manga. La risposta è stata da subito violenta, dalla semplice risata alla minimizzazione della questione, passando a insulti veri e propri alla mia persona - anche se nessuno mi conosceva - e a tutte le altre di GR, compresa Maura che tutti hanno da subito identificato come 'la femmina di GR'. Credo che l'apoteosi si sia raggiunta con il video in cui un noto youtuber mi insultava in rima dandomi dell'oca starnazzante. La questione era semplicemente: di shojo manga si porta poco e spesso di scarsa qualità, facendo passare il messaggio che i prodotti appartenenti a quel target non siano degni di considerazione. Le edizioni shonen sono spesso più curate, accompagnate da gadget e cartoline, pagine a colori. Sullo shojo spesso si ricade sempre sulle solite 3-4 autrici che si ritiene funzionare in Italia e comunque si porta tendenzialmente la metà dei titoli a target maschile. Come mai? Da qui il mio sfogo sulla necessità di sentirmi 'vista' da qualcuno, se non dalle case editrici almeno da chi aveva ravvisato il mio stesso problema. E almeno quello è successo, viste le tante lettrici - femminile sovraesteso per praticità - che si sono riviste nelle mie parole.

non è nemmeno la prima volta che certi personaggi usano questo linguaggio, eppure le case editrici continuano a collaborare con loro...
► maura: Forse perché portano loro valore economico? Una delle maggiori questioni che è stata utilizzata per sminuire la causa infatti è stata proprio "Le case editrici portano quello che vende". Qui, secondo me, c'è una grossa critica al capitalismo da fare. Non si può giustificare tutto perché "porta soldi". Non si può giustificare la mancanza di rappresentazione con la scusa che "i prodotti da femmina non vendono". A parte il fatto che non è vero, quanti prodotti a target maschile vengono importati anche se non vendono? Una grandissima quantità. Allora perché non si può fare la stessa cosa con i prodotti a target femminile?

► cecilia: Come se il pubblico non venisse guidato. È vero che ci sono casi inaspettati, ma per l'editoria italiana sembra siano tutti casi inaspettati, anziché lavori promossi accuratamente, discussi da influencer e critica, a cui viene dato spazio fisico e online. alessandra: Tra l'altro a proposito di questo, per altri autori, target e generi non ci si è preoccupati troppo di quello che vendeva o meno: penso al grande lavoro fatto da Coconino con Kamimura, che non è certamente un autore facile per temi, stile di disegno e anche per reperibilità dei materiali. Banalmente per avere Moto Hagio e Keiko, che hanno fatto la storia del manga shojo e non solo negli anni '70, Takemiya in Italia abbiamo dovuto aspettare il 2016 ed è stata comunque portata in Italia solo una minima parte della straordinaria produzione di quegli anni.

► sara: la cosa che mi fa ridere è il fatto che passano gli anni ma questa bolla va avanti a suon di postulati mai verificati e sempre basati sullo sguardo maschile sulla vita, l’universo e tutto quanto.
Per me le due problematiche maggiori della questione “Shoujo-gate” sono il fatto che gli uomini nerd, siano terrorizzati da chiunque abbia un’idea diversa dalla loro e utilizzino il loro potere mediatico per silenziare violentemente le voci discordanti anche attraverso la loro utenza.
La seconda cosa è che le case editrici non vogliano mai entrare nel discorso di responsabilità dei content creator: non dico di trasformarci negli Stati Uniti, dove una cosa detta nel 1000 a.C ti costa il posto nel 2023 senza possibilità di appello, però nemmeno far finta di niente.
Per me è inconcepibile che si continui a passare sopra a certe modalità di comportamento e a certi linguaggi, continuando a collaborare allo stesso modo con vittime e carnefici soltanto per non perdere like e vendite.
a proposito, non ci sono state case editrici che hanno speso due parole su questo argomento e soprattutto sugli atteggiamenti offensivi di questi personaggi? senza contare che la maggior parte delle persone che leggono sono donne…
► flavia: zero, anzi molti di questi personaggi continuano attivamente a collaborare con loro. La speranza è che però il buzz che si è creato in rete spinga le case editrici a rivedere le loro strategie, magari facendo le ricerche di mercato che ad oggi evidentemente non si fanno. Come libraia faccio fatica a trovare shojo, tutti quelli che riesco a trovate sono tradotti in francese o un inglese. In più c'è lo snobismo che vedo spesso quando si toccano certi argomenti, come se il manga fosse qualcosa da ridurre agli adolescenti, insieme al fumetto, escludendo le graphic novel disegnate dai soliti 2-3 autori.

► maura: [la maggior parte delle persone che leggono sono donne] Non secondo il maschio nerd medio. Secondo il maschio nerd medio cito "Le donne dopo l'adolescenza lasciano gli interessi nerd per dedicarsi a questioni come i trucchi e l'estetista".

► alessandra: E infatti se lo shojo è poco presente il josei - il target per donne adulte - è ormai quasi del tutto assente, fatta eccezione per alcune case editrici che accettano il rischio di pubblicare titoli 'di nicchia', ma con edizioni spesso inaccessibili a livello di prezzo.

evidentemente non hanno mai parlato con delle donne... cambiando di poco argomento, io conosco poco il mondo dei videogiochi ma so che sa essere tanto violento e misogino di quello degli appassionatə di fumetto, se non forse ancora di più. com'è essere una gamer donna e/o queer?
► alessandra: Sull'ambito videogiochi lascerei la parola a Maura che è più ferrata. Diciamo che il pattern in tutta la cultura nerd è sempre lo stesso: "Ok, ti piace questa cosa... dimostrami che ne capisci davvero". E nei videogiochi questo si amplifica al mille per mille, se vuoi avere diritto di parola devi dimostrare molto più dei tuoi colleghi di aver giocato almeno un tot di titoli di quella tipologia, altrimenti non ne sai abbastanza. Se ti puoi accontentare di un uomo mediocre non puoi fare altrettanto con una donna che sia semplicemente 'brava'.

► cecilia: Io sono una giocatrice occasionale, ma confrontandomi con persone che vengono sia dal mondo dei videogiochi che da quello dei giochi da tavola ho scoperto che noi nel fumetto, a quanto pare, siamo quell* mess* peggio.

► maura: Oltre alle classiche discriminazioni che sono più "alla luce del sole", o che comunque sono state denunciate di più, come il classico commento sessista nelle chat dei videogiochi online, ci sono anche delle microaggressioni che invece restano più invisibili. Ad esempio, si sente spesso dire che "le donne non giocano ai videogiochi" quando, facendo rete e parlando tra noi donne nerd, abbiamo scoperto semplicemente che molte di noi hanno sempre vissuto la loro vita videoludica in solitaria, sia perché l'ambiente dei gruppi nerd, composti al 99% da uomini, non è safe, sia perché non andava di essere giudicata dai King in base a ciò che giocavamo o come lo giocavamo. Ma soprattutto, molte di noi nascondevamo (e nascondono) la loro identità quando giocano online per non essere molestate o per non ricevere proposte di matrimonio indesiderate - avrò ricevuto almeno 100 proposte di matrimoni, feticizzazione che si basava solo sul fatto che giocassi ai videogiochi e che avessi una vagina. Alle persone socializzate come donne sono sempre stati fatti dei test per vedere se davvero "ne sapevano di videogiochi". Questo fenomeno viene definito Gatekeeping. Ovvero gli uomini nerd credono di possedere le chiavi del portone che ti faccia entrare all'interno della loro bro culture e sono gli unici che possono giudicare se sei abbastanza una VERA VIDEOGIOCATRICE. Ciò che viene considerato Cult è stato scelto dall'élite che è stata sempre in cima alla piramide della nerd culture, quindi gli uomini, noi donne ci siamo sempre dovute adattare per dimostrare che ne sapevamo qualcosa di videogiochi (o comunque di cultura nerd in generale). Abbiamo quindi sia giocato ai giochi (letto i fumetti) considerati CULT, mentre giocavamo anche ai giochi che vengono spesso considerati "da femmina". Da tutte queste discriminazioni arriviamo quindi all'ambito lavorativo dove spesso viene detto "Non ci sono donne brave che si occupano di videogiochi", perché sono loro a credersi "quelli bravi" che hanno la fama da King, da Maestro. Noi per essere prese in considerazione dobbiamo costantemente dimostrare la nostra cultura videoludica, e comunque non è mai abbastanza, perché loro non hanno intenzione di cedere nemmeno un minimo del loro spazio, per paura di essere finalmente smascherati per quello che sono, ovvero semplicemente mediocri.
direi che la situazione non è affatto rosea però c'è un sacco di consapevolezza e questa mi sembra una buona base da cui partire... secondo voi cosa serve per decostruire lo stereotipo del nerd maschio-cis-etero e iniziare a riappropriarsi di spazi che non siano solo marginali o concessi?
► cecilia: Secondo me la chiave è costruirci i nostri spazi e fare un sacco di casino annesso. Il casino aiuta le persone isolate a notare che esistono altre realtà e a convogliarvi; non dobbiamo per forza lottare per uno spazio, possiamo (e lo stiamo facendo) costruire alternative. Penso che il processo di consapevolezza sia collettivo e che stiamo consolidando una rete trasversale e accogliente che possa fare davvero resistenza da dentro gli spazi ostili; ma dobbiamo anche avere spazi in cui prenderci cura di noi e realizzare un'alternativa. Più ci moltiplichiamo (e intendo, più prendiamo coscienza) più faremo pressione per essere ascoltat*, che sia tra le nostre conoscenze, che sia tra collegh*, che sia a un pubblico.

► maura: La differenza tra la decostruzione femminista e quella del maschile ha sempre mancato di una cosa fondamentale, ovvero la rete. Noi donne (nerd e non) facciamo rete, ci confrontiamo, ci decostruiamo, come ci ha insegnato il femminismo. Loro non fanno rete, loro fanno cameratismo, loro costruiscono il branco, che è molto diverso. Deve partire da loro in primis, devono mettersi in posizione d'ascolto, non devono avere più paura delle donne che parlano. All'interno del mondo nerd, ancora molti uomini anche alleati, si sentono minacciati quando una donna parla, di femminismo e non, perché "non vogliono che gli si venga rotto il cazzo", "non vogliono che il loro divertimento venga interrotto". Quindi quello che posso consigliare è di imparare a mettersi in posizione d'ascolto nei confronti dei gruppi marginalizzati e a parlare tra di loro in modo non cameratesco per imparare a decostruirsi. Quello che dobbiamo fare noi invece è continuare a non stare zitte. Simple as that. Continuare a canalizzare quella rabbia trasformativa nella lotta per i nostri diritti per farci ascoltare e non essere più invisibili.

► alessandra: Credo che intanto si debba creare coscienza nelle persone: spesso chi è marginalizzato non ha la consapevolezza di esserlo non perché sia stupid*, ma perché è abituat* ad accontentarsi dei pochi spazi lasciati liberi. Ci si accontenta del pre-show di un evento seguito da migliaia di persone, di recensire titoli secondari, di fare la quota rosa o queer. Serve prendersi tutto lo spazio possibile e usarlo anche per denunciare questo modus operandi. Come diceva Michela Murgia, impariamo a contarci. Bisogna fare rumore e non spaventarsi della possibilità, molto concreta, di essere additat* come il guastafeste della situazione, e bisogna imparare a non seguire chi non ritiene che il 'tutti maschi' sia un problema. Per il resto bisogna continuare a coltivare gli spazi sicuri, che sono preziosissimi, continuare a fare rete ed evitare chi non è abituato a mettersi in discussione e a decostruirsi.

► flavia: Io nel mio piccolo sto cercando di creare degli spazi, di non essere escludente, ma noto che si fa fatica. Nei manga la maggior parte degli autor* sono i soliti, si fa fatica a trovare le novità, a meno che non siano pubblicate da case editrici piccoline o semisconosciute. Sembra che nelle case editrici ci sia una pigrizia diffusa, che in fondo non si voglia approfondire l'argomento. maura: Io volevo solo dire che mi è stato fatto più male da uomini che si professano alleati, che non sono pronti ad ascoltare, piuttosto che dai "gamergater".

► sara: io sogno un mondo dove possiamo avere le nostre fiere, le nostre fumetterie, i nostri festival e canali, i nostri server… che non vuol dire “senza uomini” ma accessibili solo a uomini che non desiderano entrare nei nostri spazi per trovare terreno di caccia o seminare distruzione.
Posti dove poter respirare un po’, non avere paura e poter costruire qualcosa: relazioni, progetti, interessi.

questo è un po' quello che succede in ogni ambito in cui ci si professa alleatə solo per pulirsi la coscienza ma poi, nella sostanza, cambia poco. mi sembra che sia un modo per sottolineare che il punto non sia poi tanto la bolla nerd quanto l'atteggiamento patriarcale ed escludente della nostra società tutta.
► maura: La nostra società tutta è patriarcale. È logico poi che i sottoambienti che si sono venuti a creare, come quello nerd appunto, hanno delle problematiche specifiche, ma che ovviamente si riconducono alla stessa matrice. Molti maschi si professano alleati finché non devono davvero attuare le pratiche femministe. Non capiscono il privilegio che hanno. Non capiscono che noi non siamo tenute a spiegare con calma e tranquillità cose che abbiamo studiato e vissuto per anni e anni e che abbiamo ripetuto all’infinito. Credono che l'attivismo femminista sia un post, un like, una condivisione, e il giorno dopo possono continuare a vivere da privilegiati quali sono, mentre sappiamo tuttɜ che bisogna essere femministi tutti i singoli giorni e bisogna continuamente dimostrarlo soprattutto quando le compagne stanno facendo richieste femministe che comportano uno sforzo vero. La decostruzione di tuttɜ noi non finisce mai, non finisce quando una compagna spiega due nozioni femministe, bisogna decostruirsi sempre, leggere, studiare e informarsi costantemente sulle istanze femministe. Senza piangere preferibilmente.

► sara: La questione dei “falsi alleati” è una cosa che mi fa arrabbiare tantissimo, perché hanno capito che parlare di questioni femministe porta like, popolarità e tanto pubblico queer, che ti pulisce la coscienza, e tanto pubblico femminile che ha un disperato bisogno di uomini femminista.
La maschera di queste persone cade subito dopo un semplice scambio di battute: si capisce subito che tutto ciò che vogliono è mettersi al centro della lotta e portare avanti i propri scopi.
spero che anche questo sia stato un momento costruttivo e che, magari, da questa bella chiacchierata nascano altre riflessioni! vi ringrazio tantissimo per essere state qui con noi e vi faccio mille imboccallupo per i vostri progetti!
► alessandra: grazie a te per la bella iniziativa, è stata utilissima e soprattutto mi ha fatto interagire con persone bellissime!

► cecilia: Grazie infinitamente a te, anche tu fai parte della rete attiva di resistenza!

► maura: Grazie Claudia, grazie veramente per lo spazio e per averci dato voce ❤️

► sara: è stato emozionante confrontarci e vedere quanto abbiamo in comune e spero sia il primo di altri progetti corali! 

link di approfondimento: