perché dovevamo occupare il tempo parlando di cose brutte, se non ci riguardavano?
vivere da sola, per una giovane donna con un figlio piccolo, è difficile. ma è ancora più difficile se la città in cui questa giovane donna vive è una di quelle tenute sotto controllo dal go e dalla jester.
il go è l'ente governativo - ente non a caso: non ci sono facce né nomi, nessuna parvenza di umanità, solo un' informe entità lontana dalla gente comune che osserva, controlla, stabilisce norme e punisce chi le vìola. la jester, invece, è nulla più che un'agenzia di marketing.
il go ordina di produrre e consumare, e controlla cosaquantocome viene prodotto e consumato. la jester instilla desideri e bisogni.
la giovane donna con il figlio piccolo, invece, si chiama ruth.
si è emancipata da poco più di un anno, vive da sola e deve riuscire a mantenere sé stessa e suo figlio, il piccolo sweet. perché qui, nella città senza nome, nessunə deve contare sull'aiuto dellə altrə una volta superati i sedici anni. bisogna seguire il percorso che il go ha deciso per ognunə - quali studi, quale carriera - sposarsi, magari, e mettere al mondo lə figliə, assicurandosi di poterlə mantenere fino a che, a loro volta, non possano emanciparsi.
non sono ammessi fallimenti, non è tollerata l'incapacità: lavorare-produrre-acquistare-consumare. fino alla pensione.
la metafora è così chiara che è superfluo ogni commento, ma in organica il concetto di se usi gratis un prodotto è perché il prodotto sei tu si fa drasticamente estremo: il prodotto da usare gratis, qui, non è altro che il semplice fatto di essere al mondo. e l'essere trasformatə in prodotto non è un'iperbole ma la reale sostanza delle cose. in organica, i corpi diventano letteralmente moneta.
la lunga scena in cui ruth si procura il materiale organico che venderà per acquistare il latte in polvere per il piccolo sweet - scena su cui si innestano i racconti collaterali di questa storia, che ampliano il nostro orizzonte sulla città senza nome - è ansiogena e disperata, resa ancora più atroce dal latte che sgorga più e più volte dai suoi seni e che lei si rifiuta di fare bere al figlio perché considerato poco più che un'insignificante brodaglia, il succo marcio di un corpo ammalato da una vita orrenda, che si trascina nella vergogna e nell'avvilimento.
ma, forse, l'unica scintilla di speranza che marinelli ci concede si accende all'ombra dei nomi dellə personaggə: ruth, diminutivo di ruthless, spietata, riversa invece tutta la sua pietà, la sua compassione e il suo amore sul piccolo sweet, l'unico nel libro ad avere un nome in cui riecheggia uno di quei sentimenti ormai persi dal mondo in cui è nato.
l'ipercapitalismo nella visione di marinelli è portato alle sue estreme conseguenze fino a far diventare la solidarietà, l'improduttività e il fallimento - anche solo momentaneo - crimini da punire con la più alta delle pene. e se sembra assurdo, basta dare uno sguardo alla cronaca per rendersi conto di quanto poco tutto ciò si discosti da quello che abbiamo imparato ad accettare.
non è un caso se il genere distopico è quello attraverso il quale riusciamo più facilmente a immaginare il nostro futuro. non è un caso e non è affatto rincuorante che le distopie degli ultimi decenni sono sempre così tanto plausibili, sempre così tanto simili alla realtà che viviamo da essere poco più che metafore crudeli della vita di ogni giorno. non si tratta più di dar forma a paure lontane ma di lucidare lo specchio su cui si riflette l'orrore quotidiano che - inspiegabilmente - moltə non riescono a vedere.
e se organica non sconvolge come dovrebbe, è solo perché abbiamo ormai fatto esperienza di così tante distopie in cui l'umanità è completamente piegata al potere fino al punto di annullarsi, che poco resta ormai a sorprenderci. e la stessa ruth sembra poco sorpresa, o meglio, fin troppo rassegnata: non c'è alcun processo di presa di consapevolezza né di lotta contro il sistema perverso in cui è imprigionata, se non un brevissimo sfogo in cui emerge la sua convinzione che non lei ma solo qualcuno con più potere di lei avrebbe potuto cambiare le cose. in lei non rimane nessun accenno all'umanità perduta, neppure un confuso sospetto di come le cose avrebbero dovuto essere. né arriva un pietoso proiettile alla schiena a salvarla dall'ineluttabilità della sua condizione.
il mondo descritto da laura marinelli in organica non è soltanto una cupa fantasia, ma un'increspatura attraverso cui osservare la deriva delle nostre strutture culturali, barcollanti sotto il peso dei nostri errori. un mondo orrorifico in cui materia ed essenza umane sono pervertite oltre i limiti che, ad oggi, abbiamo imparato ad accettare.

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