lunedì 15 settembre 2025

il fuso scheggiato - lo specchio rammendato

qualunque sia la nostra storia, dobbiamo trarne il meglio: e se quella storia fa schifo, be', allora possiamo provare a fare del bene prima di andarcene.
e se questo non basta, se in fondo al nostro cuore avido ed egoista bramiamo di più, io ho un solo consiglio: scappare, e non fermarsi mai.

non so quanto sia lecito parlare di retelling quando parliamo degli ultimi due libri di alix e. harrow, il fuso scheggiato e lo specchio rammendato.
ok, quella di “retelling” è una categoria comoda, utile a dare un’idea di qual è il contenuto di questi due mini romanzi, categoria che però - cosa che (per fortuna) vale un po’ per tutte le categorie utilizzate negli ultimi anni in editoria: utili per piazzare i libri sugli scaffali, meno per definire esattamente una storia e perimetrarla in un “genere” preciso - non riesce a contenere quello che sono davvero.

e dunque - ok claudia, abbiamo capito come la pensi su questi hashtag, ora basta - cosa sono il fuso scheggiato e lo specchio rammendato? io direi un ibrido fantasy/sci-fi (à la star wars, per intenderci. cioè: una spiegazione fanta-scientifica, fidati, c’è. e se non sembra avere troppo senso, stacce.) in cui il mondo reale, qui incarnato dalla protagonista zinnia gray, si intrufola nel mondo delle favole, che viene immaginato come un catalogo di possibili esistenze: alla nostra realtà si sommano gli universi generati dalla narrazione. questo multiverso si espande ogni volta che il nocciolo di una fiaba - il suo nucleo fatto di archetipi e topoi narrativi, o di “mitemi”, per rubare una parola a lévi-strauss - viene rielaborato da una specifica sensibilità, cioè quella dellə narratorə immersə nel suo preciso contesto storico-culturale.

alix e. harrow riprende uno dei rami fondamentali degli studi di antropologia/etnologia, ovvero quello che si occupa del racconto popolare - declinato tanto nell’ambito sacro, il mito, quanto in quello secolare, cioè la fiaba/favola - come espressione storicamente situata delle strutture culturali, degli equilibri di potere e dei sistemi di valori e credenze di un popolo.

e, a riprova del fatto che il mito/la fiaba è cosa viva e pulsante ancora capace di raccontare il quotidiano e le sue tensioni, harrow la reinterpreta dandole la sua voce di donna del XXI secolo.
(era molto più veloce chiamarlo “retelling”? ovvio. ma siamo davvero troppo stanchə di appiattire tutto alla sua più brutale semplificazione. e poi un blog non è un social e qui nessun algoritmo ci punisce per essere troppo verbosə. e se anche fosse, ‘fanculo.)

fine pippone.
alle ragazze romantiche piace la bella e la bestia; a quelle tradizionaliste piace cenerentola; a quelle dallo stile gotico piace biancaneve.
solo alle ragazze destinate a morire presto piace la bella addormentata.
zinnia gray è una grande appassionata di fiabe fin dall’infanzia, ha una laurea in antropologia con una specializzazione sulla narrativa popolare e la sua fiaba preferita è la bella addormentata perché zinnia gray è una ragazza destinata a morire presto.
se sul capo di aurora/rosaspina pendeva la condanna di una maledizione (ti pungerai il dito con un fuso e dormirai per cento anni), a zinnia gray le cose vanno peggio perché fin dalla nascita le è stata diagnosticata la malattia generalizzata di roseville. eziologicamente collegata all’inquinamento ambientale - sentite la puzza dell’hashtag #climateficion? - la mgr non ha mai concesso a nessunə di sopravvivere abbastanza di festeggiare il ventiduesimo compleanno. e, all’inizio della storia, zinnia gray è impegnata a soffiare su ventuno candeline, attorniata da gente che sembra più convocata a un funerale che invitata a una festa.

gray di nome e, per quello che riguarda la sfera sessuo-affettiva, di fatto (le personagge di queste storie sono molto queer e ci piace tantissimo), accanto a zinnia c’è l’onnipresente charme, la geniale fichissima amica lesbica che tutte vorremmo (e di cui, probabilmente, tutte ci innamoreremmo almeno un po’), che per l’occasione ha organizzato una festa a tema bella addormentata, con tanto di rose e di immancabile fuso.
ed è proprio quel fuso che permette a zinnia - stanca di vivere sapendo che dovrà morire presto - di attraversare il confine tra il suo universo e quello delle favole.
come inchiostro che, dopo aver calcato troppo le stesse parole, si trasferisce da una pagina a quella successiva, come spiega lei stessa, zinnia si ritrova proprio dentro la storia di primerose, una delle tante versioni de la bella addormentata alle prese con il suo implacabile destino di principessa maledetta.

non vi racconto la trama perché entrambi i romanzi - il secondo si ispira alla fiaba di biancaneve, focalizzandosi soprattutto sulla storia della strega cattiva, cosa che ho apprezzato moltissimo - sono scritti con un ritmo incalzante e una prosa molto scorrevole e colloquiale, perfetta per rendere la voce della narratrice/protagonista (che non lesina parolacce quando serve). insomma, vi ritroverete alla fine quasi senza accorgervene (ma con la voglia di leggerne ancora!).

volevo però concentrarmi su alcuni temi attorno cui harrow ricama tutto il suo racconto.
la storia della bella addormentata è, per antonomasia, la metafora della totale mancanza di potere decisionale delle donne - aurora/rosaspina che dorme per un intero secolo - ma anche dell’odio delle donne per le donne - è una fata a maledirla.
e però... se inventassimo altri modi per leggere questa storia? anzi, meglio, di raccontarla? perché le fiabe non possono restare congelate a una sola epoca, intrappolate nelle parole di un solo narratore. possono - e devono! - cambiare, adattarsi al presente perché il loro scopo è raccontarlo e dare indicazioni per poterlo vivere al meglio.
e la prima cosa che deve cambiare, adesso, è proprio il rapporto tra la principessa e il narratore, perché essere protagonista di una storia narrata in terza persona non è sempre una condizione auspicabile.

infatti, se da un lato il narratore dà alle principesse protagoniste delle fiabe tradizionali grazia, bellezza e altre doti e virtù, se le rende capaci di affrontare e superare momenti molto più che difficili (scappare da un cacciatore attraverso il bosco, sprofondare in un sonno magico a causa di una maledizione, sopportare le angherie di una matrigna e due sorellastre crudeli, perdere la propria voce, eccetera) arriveranno sempre e comunque a quel “e vissero felici e contenti” che qualcuno ha scritto per loro.

e in ogni favola, quale che sia la principessa e la sua storia, felicità e contentezza si traducono sempre allo stesso modo: il matrimonio con un bel principe (di solito quasi del tutto estraneo), mentre la cattiva - una strega o una matrigna, guarda caso sempre una donna - subisce una qualche spaventosa e sadica punizione. fine.

ma davvero questo è quello che sogna ogni principessa? sposare uno sconosciuto col mascellone appena compiuti i sedici/diciotto/ventuno anni, fare dei bambini e vivere per tutto il resto del tempo all’ombra di un re - o di una principessa più giovane e bella? harrow sottolinea un punto fondamentale: la protagonista, per quanto fondamentale nella sua fiaba, non ha alcun potere decisionale (così come ogni strega/matrigna cattiva non può che essere cattiva: invidiosa e gelosa di un’altra donna più bella/giovane/fortunata di lei. quanto è difficile immaginare rapporti di amicizia e sorellanza tra donne? quanto è più facile immaginarle sempre in lotta tra loro per un qualche riconoscimento dato da una società maschilista?).

la storia è scritta per lei ma modellata sui modelli familiari e sociali di un non meglio precisato medioevo che, ancora, influenza anche il nostro tempo e le nostre aspettative.

il fuso scheggiato e lo specchio rammendato sono abitati da personagge che vogliono scardinare i meccanismi su cui si basano le loro storie, sfuggire dal loro destino e liberarsi dai ruoli che qualcuno ha scelto per loro.

ma harrow va oltre il tema dell’autodeterminazione e ne introduce uno che è, forse, ancora più inusuale nel mondo delle favole: quello della sorellanza.
le donne di queste storie non si accontentano di trovare il loro personalissimo lieto fine, ma mettono ogni cosa a repentaglio per liberare le altre. e, personalmente, questo è l’aspetto che ho amato di più in questi romanzi: non più eroici cavalieri che raggiungono il loro obiettivo a colpi di spada, ma donne - principesse, fate, streghe, viaggiatrici del multiverso, amiche e innamorate - che usano le strutture del sistema (narrativo, fisico e sociale) per piegare realtà e aspettative e salvarsi. insieme.

in almeno un paio di passaggi, questi romanzi mi hanno sorpresa parecchio, così come mi hanno dato un sacco di spunti di riflessione sul ruolo dei narratori e delle protagoniste. mi sembra che questi due libri di harrow rispondano alla domanda: cosa succede alle fiabe se lasciamo che siano le donne - libere dalle oppressioni sociali e dalle aspettative legate al loro genere, o almeno consapevoli della loro esistenza! - a raccontarle?

riprendersi la voce che qualcuno ci ha tolto è sempre il primo, fondamentale passo per prendere consapevolezza delle storture che ci circondano, per iniziare un processo di decostruzione e di realizzazione di alternative più vivibili. e se a insegnarci questa cosa sono due romanzi così - divertenti, appassionanti, semplici e leggeri, adatti anche alle lettrici (e, si spera, ai lettori) più giovani, allora tanto di guadagnato.

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lunedì 1 settembre 2025

abilisti fantastici e dove trovarli ~ intervista a marina cuollo

in quel settore del dizionario dove ci sono tutte le parole che finiscono in -ismo – ovvero dove gravitano una quantità spropositata di merde – ce n’è anche una che riguarda noi persone disabili: l’abilismo. l’abilismo, per chi non lo sapesse, è quella sottile e squisita pratica sociale che trasforma la vita delle persone con disabilità in una gita all’inferno. non è che qualcuno si svegli la mattina e decida di farlo apposta, per carità. è più un riflesso pavloviano, un’abitudine culturale che si perpetua con la stessa naturalezza con cui ci si sciacqua la faccia appena svegli. dalla notte dei tempi, per qualche strana ragione, la società ha stabilito che chi si muove, vede, sente o funziona in modo diverso dalla maggioranza non è proprio in cima alla lista delle priorità. anzi, a volte pare non sia nemmeno sulla lista.

mentre questo libro cominciava a fare capolino nelle librerie, trovo degli screenshot tra le storie di marina che mi hanno quasi fatta cadere nello sconforto. erano dei trafiletti di un giornale - uno super noto, non ricordo di preciso quale, ma insomma una delle tante porcherie su carta che nel nostro paese normalizzano le discriminazioni e la violenza, e giustificano il genocidio, per farvi capire - in cui invece di presentare il libro, lə pennivendolə di turno spiattellava la cartella clinica di marina lì, nero su bianco.
eppure, anche solo a voler presentare l'autrice e non il libro, marina cuollo è una di quelle persone che ti costringe a prendere sette, otto righe di appunti già solo per riassumere la sua biografia, tra successi accademici, attivismo e lavoro.
e allora perché?
perché, si sa, se una persona non-disabile scrive un libro ha senso parlare della trama o scrivere una di quelle frasette a effetto che non dicono nulla ma suonano bene, ma se a scrivere un libro è una persona disabile, allora wow! andiamo a scavare nella sua vita privata per schiacciare il piede sull'inspiration porn che fa scivolare qualche lacrimuccia alle vecchiette tra un diligente giro di rosario e un severo e sdegnato non c'è più mondo, signora mia.

rabbia e schifo a parte per l'abilismo che permea ogni aspetto della nostra società, resistente e disgustoso come una muffa appiccicata alle piastrelle del bagno di un autogrill, ho letto abilisti fantastici e dove trovarli ridendo sola come una scema, sottolineando un sacco di cose che mi facevano pensare mannaggia, questo avrei proprio voluto scriverlo io! oppure ommioddio, ma sta parlando di me! e ogni tanto mi sono dovuta fermare, respirare a fondo e asciugarmi una lacrimuccia.
nel frattempo, pensavo che se già volevo bene a marina, adesso gliene voglio ancora di più.

abilisti fantastici e dove trovarli non è solo una sorta di fenomenologia dell'abilismo o un bestiario contemporaneo, ma è una finestra sul mondo spalancata sulla quotidianità delle persone disabili e sul modo in cui si rapportano con il mondo, anzi, sul modo in cui il mondo si rapporta a loro.

la prima parte presenta proprio un campionario di casi-studio paradigmatici di questo pessimo rapporto tra le persone non-disabili e quelle disabili, dove a uscirne malissimo sono, ovviamente, le prime.
lə abilistə sono classificati, sulla base dei loro comportamenti, in una serie di categorie:
l'homo misericordiusus, l'homo indifferens, il quoque, il tuttologo, il stimammiro, il punisher, il diversamente ipocrita, il timoroso, il pesce lesso, l'artista illuminato, la femminista™, il falso invalido, una lunga sfilza di nomi (davvero geniali! non vi spoilero nulla sulle diverse categorie perché meritano davvero di essere studiate una ad una) che dimostrano la varietà di atteggiamenti discriminatori - a volte anche difficilmente riconoscibili - che le persone disabili si ritrovano a subire e la loro potenziale (quasi sempre effettiva) onnipresenza in qualsiasi contesto.

le altre due sezioni del libro raccontano il mondo dal punto di vista delle persone disabili, dalle divertentissime definizioni alternative dei cosiddetti ausili, al modo in cui chi ha una disabilità si ritrova ad affrontare situazioni e momenti che se pure fanno parte della vita di chiunque diventano però, fin troppo spesso, motivo di interminabili battaglie per l'autoaffermazione.

la caratteristica fondamentale di abilisti fantastici e dove trovarli è, in tutte le sezioni, la capacità di marina di sdrammatizzare senza banalizzare, di usare l'ironia come arma - mai come scudo dietro cui nascondersi - per raccontare la disabilità e l'abilismo spogliandoli di tutta quella retorica pietistica e ispirazionale che ci ha davvero stancatə.

ho avuto il piacere di presentare il libro a bologna a giugno fa fa ma ci tenevo tantissimo a farvelo raccontare da marina anche qui su claccalegge e quindi... buona lettura!


ciao marina, grazie mille per aver accettato l’invito e benvenuta su claccalegge!
ci racconti la genesi di abilisti fantastici e dove trovarli?
► Questo libro nasce principalmente da un’esigenza: mettere un punto al mio percorso di consapevolezza sull’abilismo. Dopo circa un decennio di scrittura e confronto, ho sentito il bisogno di tornare alla non-fiction umoristica – il genere da cui sono partita – portandomi dietro tutto ciò che l’esperienza e lo studio mi hanno insegnato. Questa non è una conclusione: credo che non si smetta mai di imparare, soprattutto riguardo all’abilismo. Ciò che però resta una certezza è che oggi, rispetto a quando ho cominciato a scrivere, ho una visione più politica della disabilità. E ne sono felice.
l’ironia è il tuo punto di forza e il tuo tratto distintivo, però a volte sembra difficile guardare alla discriminazione abilista e trovare una chiave interpretativa che trasformi delle situazioni che fanno venire voglia di urlare in qualcosa che faccia ridere. come ci riesci?
► In generale ho sempre sentito una grande affinità con l’umorismo, anche se è esploso nel mio modo di comunicare dopo l’adolescenza. Probabilmente, come molte persone appartenenti a gruppi marginalizzati, all’inizio l’ho usato come una “salvezza personale”. Quando il tuo corpo destabilizza e mette a disagio chi ti circonda, impari presto a far sentire gli altri a loro agio attraverso l’umorismo. Con il tempo ho capito che questa modalità funzionava molto bene per veicolare temi spesso percepiti come seri, tragici o molto tecnici. Da lì mi è venuto naturale scrivere di disabilità con umorismo: per me è anche molto terapeutico.
tra tutte le cose brutte che finiscono in -ismo, l’abilismo è forse la discriminazione più subdola, quella che spesso si presenta quasi come un complimento o un qualche tipo di carineria. come si fa a smascherare questi comportamenti? e, soprattutto, come se ne esce dalle reazioni vittimistiche di chi viene smascheratə?
► Spesso non è semplice riconoscere l’abilismo. Io ci ho messo anni a rendermi conto che molti comportamenti nei miei confronti lo erano. L’abilismo benevolo, infatti, è il più subdolo, perché si maschera appunto da gentilezza. Ho imparato a individuarlo perché certe persone adottano quella modalità solo con le persone disabili; nelle stesse situazioni, con chi non è disabile, mantengono un approccio neutro. Quando glielo fai notare però, scatta subito la difensiva. Personalmente, ormai scelgo di spendere parole solo quando dall’altra parte vedo apertura, disponibilità all’ascolto e volontà di rivedere il proprio modo di fare. Altrimenti… ci sono i vari rimedi del libro. (Scherzo!)
tu ti occupi moltissimo della rappresentazione della disabilità nei media, anche quelli più pop, e ci insegni giustamente che più vediamo qualcosa, più quel qualcosa entra nella nostra quotidianità e smette di farci paura. però dipende tutto da “come” si racconta la disabilità: parlando di libri/film/serie tv, quali sono le narrazioni più tossiche in cui ti sei imbattuta?
► In genere, le narrazioni più persistenti e pervasive sono ancorate a due specifiche cornici.
Da una parte resiste il registro tragico-pietistico, dove la disabilità è trattata come una condanna o come il principale impedimento alla “realizzazione” personale. È un immaginario che discende da un antico accostamento tra disabilità e mostruoso: il corpo non conforme viene mostrato come qualcosa di disturbante, innaturale, fuori norma, da temere o da occultare. Questa eredità culturale finisce per trasformare i corpi disabili in corpi “altri”, percepiti come scarti o eccezioni rispetto al modello dominante.
Dall’altra, si impone il racconto eroico-motivazionale, in cui la persona con disabilità diventa un simbolo edificante di forza e superamento, spesso costruito per lo sguardo di chi guarda più che per la sua storia. In entrambi i casi la tossicità sta nella semplificazione: la disabilità viene ridotta a segno o metafora, invece di essere riconosciuta come una dimensione umana piena, complessa e quotidiana.
tornando un attimo alla bellissima fenomenologia dellə abilistə che hai descritto meravigliosamente nella prima parte del libro, qual è il tuo “tipo” più odiato?
► Difficile sceglierne uno, sono tutti abbastanza irritanti. Se proprio devo, il “Ti Stimo&Ammiro” è quello che sopporto meno; forse perché nella mia esperienza è tra i più refrattari all’ascolto. Del resto, se non fosse così diffuso, non avremmo coniato un termine preciso per i loro comportamenti. Grazie per averci “regalato” l’inspiration porn: ne sentivamo davvero il bisogno…
il personale è politico è uno dei pilastri del pensiero e della pratica femminista che si può adattare benissimo anche alle lotte contro la discriminazione verso le persone disabili, e in abilisti fantastici e dove trovarli, quando racconti com’è nascere, crescere e barcamenarsi nel mondo in quanto persone disabili, sembra esserci effettivamente molto di tuo. hai mai trovato delle difficoltà nel prendere dalla tua esperienza personale per parlare di disabilità e abilismo?
► Quando ho cominciato a scrivere avevo molta difficoltà ad attingere alla mia esperienza personale per parlare di disabilità. Oggi riesco a farlo di più, ma sempre con grande moderazione e scegliendo con cura le parole e le modalità. Ho sempre il timore che le persone non colgano il messaggio sistemico centrale, ma si concentrino sui miei aspetti personali in maniera morbosa. Insomma, diciamolo: anni di spettacolarizzazione della disabilità mi hanno evidentemente segnata. In ogni caso, resto convinta che portare il personale per fini politici non solo è importante, ma fondamentale: può davvero essere un’arma potente.
il libro è uscito da un po’ quindi posso chiedertelo: che feedback hai avuto dallə tuə lettorə?
► Per ora direi che i feedback sono buoni, e ne sono davvero felice. La cosa che amo di più è sapere che le persone si divertono leggendo. Da umorista, il mio terrore più grande è che la gente non rida. Potrei anche sotterrarmi!
tu sei molto attiva sui social ma vai anche molto spesso in giro per presentazioni, panel ed eventi a parlare di abilismo: pensi ci sia una differenza di reazione alle tue parole tra il mondo virtuale e quello fisico?
► Ultimamente, non so, forse per le derive che sta prendendo il mondo dei social, mi sento molto più a mio agio nel contatto dal vivo. Escluse le persone che mi seguono, quando mi trovo fuori dalla mia “bolla” online trovo moltissima resistenza su disabilità e abilismo. Le persone si sentono più autorizzate a dire cose abiliste senza provare alcun rimorso. Alle presentazioni e negli incontri dal vivo, devo ammetterlo, mi succede molto più raramente. Forse lo schermo smaschera la natura delle persone; non saprei, ma il digitale sta diventando sempre più pesante.
parlando francamente: come pensi che stia andando questo paese in merito alla lotta antiabilista?
► Male! Possiamo dirlo senza giri di parole: in questo paese la disabilità è ancora l’ultima ruota del carro. Certo, abbiamo più voce rispetto al passato, questo sì, ma facciamo ancora una fatica immane a ottenere anche solo il minimo sindacale, ed è sfiancante. Vorrei essere più ottimista e spero davvero che i miei nipoti possano vivere in un mondo meno abilista di quello in cui ho vissuto io, ma temo che serviranno molte più generazioni per arrivarci.
hai già in mente qualcosa di nuovo per un prossimo libro?
► Non voglio spoilerare, ma sto lavorando a un progetto a cui tengo molto e che spero veda presto la luce. Posso solo dire che sento la mia scrittura molto affine alle generazioni più giovani.

 

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venerdì 29 agosto 2025

commenti randomici a letture randomiche (92)

ed eccoci di nuovo con la non-rubrica più amata di sempre, o quantomeno la più utile (per me, ovvio).
le vacanze sono agli sgoccioli, il tempo scarseggia, la malinconia è pronta a esplodere (sì, io sono team estate, per quanto mi piacciano le tisane e le foglie rosse sugli alberi, non le baratterei mai con una bella giornata al mare) e la pagina del mio diario con le letture di agosto (sì, ho un diario vecchio stile) è piena di stelline e voti stratosferici (in realtà ho beccato anche dei libri che non mi hanno entusiasmata o per i quali non era arrivato il momento giusto, che sono finiti nella lista dei questo-lo-leggo-un'altra-volta), quindi devo riuscire a scrivere qualcosa qui prima di partire.

i tre libri di questa volta sembrano lontani anni luce l'uno dall'altro ma in realtà un collegamento c'è. ora vi racconto tutto.

 l'avversario 
se uno viene a dirti che il tuo migliore amico, il padrino di tua figlia, l'uomo più onesto che conosci ha ucciso moglie, figli e genitori, e per di più che da anni mente su tutto, non è naturale che tu continui ad avere fiducia in lui, anche se ti mettono di fronte a prove schiaccianti? che amico saresti se ti lasciassi convincere così facilmente della sua colpevolezza?

vi capita mai di comprare un libro e di abbandonarlo per anni su uno scaffale senza leggerlo e poi, a un certo punto, vi viene voglia di leggerlo e scoprite che era un capolavoro? ecco. con l'avversario è successo esattamente questo.

non avevo mai letto nulla di emmanuel carrère ma sapevo che era uno scrittore a dir poco imperdibile, ed effettivamente non c'è mezzo appunto da fare: quest'uomo scrive da dio.
la storia de l'avversario non aveva meno che nulla che poteva entusiasmarmi, anzi, ad essere sincera m'è venuta voglia di leggerlo sulla scia di agosto è un buco nero.
non si tratta di un romanzo ma di una storia realmente accaduta nei primi anni '90: jean-claude romand - la classica brava persona di buona famiglia, ottima carriera universitaria poi medico rispettabilissimo, ricercatore, amico fedele, padre amorevole e marito devoto - uccide tutta la famiglia, dà fuoco alla casa e prova (?) a uccidersi.
solo che, nel giro di qualche ora, viene fuori una verità impensabile: quest'uomo, in realtà, non si è mai laureato in medicina, non è un medico e non fa il ricercatore. ha mentito su tutto, per più di vent'anni, a chiunque. e nessunə si è mai accortə di nulla.
come è possibile? carrère si mette in contatto con romand, partecipa al processo, prova a capire l'indicibile solitudine di quest'uomo a cui nessunə si è mai interessatə quel tanto che sarebbe bastato a far crollare il suo castello di carte, ricostruisce tutta la vicenda.

il risultato è un racconto da cui è impossibile staccarsi, una storia assurda che si fa paradigma della miseria e della piccolezza dell'animo umano. carrère non commette mai l'errore di lodare l'inganno orchestrato da romand, ma anzi sottolinea come le sue menzogne siano state possibili solo a fronte dello scarso interesse che la sua persona suscitava tra chi aveva un qualche legame con lui, e già solo per questo, l'avversario è una grande lezione di scrittura di cui la stragrande maggioranza dellə giornalistə nostranə avrebbe bisogno.

 ubik 
vi trovate sulla soglia del libro. il libro di un uomo che ha visto dio? il libro di un uomo cui le droghe hanno fulminato il cervello? in ogni caso, varcare questa soglia equivale ad avventurarsi in un territorio dove non siete mai stati. non avete idea di quello che vi attende.
(dalla prefazione di emmanuel carrère)


nell'introduzione de l'avversario, carrère diceva che mentre seguiva il caso romand, stava lavorando alla biografia di philip k. dick, e così mi sono detta che era arrivato il momento di leggere un altro dei libri che mi aspettavano da un bel po' di tempo, uno di dick, appunto. e la scelta è caduta su ubik.
che è un capolavoro.
e non ho idea di come fare a scriverne, però so che mentre lo leggevo ho chiesto perdono per aver usato l'aggettivo "lisergico" a sproposito un sacco di volte. perché prima di leggere ubik - visto che sono troppo ipocondriaca per darmi agli allucinogeni - non avevo neppure la più pallida idea di cosa volesse dire lisergico.

scritto negli anni '60 e ambientato in un 1992 decisamente diverso da quello che abbiamo vissuto, ubik immagina un futuro in cui la vita dopo la morte non è soltanto una questione di fede o di speranza, è la realtà dei moratorium, dove chi è passato a miglior vita viene conservatə in criostasi e una sorta di sé residuale può comunicare con l'aldiquà. inoltre, alcuni esseri umani hanno sviluppato poteri psionici come la precognizione, la manipolazione del pensiero, la telecinesi, eccetera, che - ovviamente - non sempre vengono utilizzati con intenti benevoli. per questo esistono agenzie che si occupano di neutralizzare eventuali minacce psioniche attraverso il lavoro di chi è dotatə di anti-talenti, ovvero della capacità di annullare i poteri mentali. questo il palcoscenico su cui si muovono lə personaggə di ubik, la cui storia inizia con un inganno che dischiude, poco a poco, le porte della loro consapevolezza.

svelare qualcosa sulla trama di ubik sarebbe un crimine imperdonabile. appassionante e cervellotico, ubik è un gioco allucinato che riflette sui limiti della nostra percezione, sradica ogni certezza e reinventa i significati stessi di vita e morte. leggerlo è come accendere una collana di petardi arrotolata dentro al cervello, un'esperienza straniante e meravigliosa che vi consiglio assolutamente.

 bookshops & bonedust 
l'autore lascia le cose così. e però... più ci penso e più... dovrebbe essere ovvio, ma la gente nei libri si sbaglia sempre. inferni maledetti, gli autori si sbagliano. quindi forse è questo che racconta la storia con le parole che sono state scritte, e se invece si potesse guardare oltre il finale? alle parole non scritte? forse sarebbe una storia completamente diversa.

e quindi, dopo aver letto un capolavoro come ubik, le strade erano due: scovare un altra bomba tra gli scaffali, con la certezza quasi assoluta di non poter trovare facilmente qualcosa che fosse all'altezza, oppure buttarsi su qualcosa di completamente diverso, magari un po' più easy.
così mi sono sciroppata quasi in un'unica tirata bookshops & bonedust, prequel di quel legends & lattes che mi aveva fatto scoprire quanto è bello il cozy-qualcosa e quanto bisogno c'è, a volte, di leggere storie così, tranquille e scaldacuore.

la viv che incontriamo qui è decisamente diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere nel primo libro. più giovane e scavezzacollo, viv si è appena lanciata nella sua prima vera, grande e importante impresa: sconfiggere la necromante varine ed entrare a far parte a tutti gli effetti della compagnia mercenaria dei corvi di rackam. ma le cose non vanno come sperato e una brutta ferita alla gamba la costringe a lunghe settimane di convalescenza nella piccola, pacifica cittadina costiera di murk.
quasi rassegnata a morire di noia, viv non immagina nemmeno quanto i giorni che la aspettano stravolgeranno la sua vita e cambieranno così tante cose in lei...

travis baldree sa scrivere bene, sa come trattenere qualcuno tra le pagine dei suoi libri ma, soprattutto, sa trasmettere il suo amore per le storie, per quel legame quasi magico che si crea tra chi racconta e chi legge o ascolta e, in mezzo, con lə personaggə, che a volte sono amicə, altre volte specchi.
bookshops & bonedust, ancora più di legends and lattes, mi è sembrato un regalo fatto proprio a tutte quelle persone che si fanno incantare dai libri, che sono rimaste affezionate alle favole dell'infanzia e che si perdono nei sogni ad occhi aperti. le storie di viv sono come sciarpe tessute a mano da chi conosce tutti i tuoi colori preferiti, non solo scaldano e coccolano ma sono fatte proprio per te.

lunedì 25 agosto 2025

agosto è un buco nero

agosto è un mese oscuro, pieno di ombre dense e di abbagli che fanno perdere la ragione, è un mese pieno di mosche, in cui il sangue si secca in fretta e la carne dura poco tempo intatta fuori dal frigorifero.
la morte ha molto da fare, corre come un cameriere di chiringuito che sta facendo la stagione e come lui non ha giorni liberi, nemmeno i lunedì.
non è un saggio, né un'inchiesta o tantomeno una raccolta di racconti. non è un romanzo ma neppure si propone di riportare i fatti così come sono avvenuti, strappando fuori le parole dalla realtà delle cose. agosto è un buco nero sa solo quello che non è, e a noi piacciono le cose che non sanno definirsi da ben prima che balto ci insegnasse come spiegarla in poche parole.

la riflessione di sara caterina tzarina casiccia prende il via da un assunto tanto banale che nessunə si sognerebbe di metterlo in discussione: agosto è un mese di merda.
un mese a cui si arriva strisciando sui gomiti dopo quasi un intero anno di lavoro - anche se l'estate, il caldo e le zanzare arrivate già da un pezzo - e in cui la più rosea delle prospettive è una vacanza dimenticabile, affollata e caotica o, difficile giudicare se meglio o peggio, la solitudine tra le strade svuotate di una qualche città soffocante. in cui non è poi tanto difficile trascinarsi un sacco nero sulle spalle senza dare nell'occhio...
racconta casiccia che, in agosto, si uccide - e ci si uccide - di più. o forse no.
forse sarà solo un caso che ad agosto i treni esplodono, i legami famigliari si sciolgono in pozze appiccicose, i poeti dicono addio, le attrici si riempiono di barbiturici, i serial killer rubano canzoni e intere città vengono cancellate in pochi secondi.
certo è che a guardarsi indietro, le coincidenze sono troppe e casiccia racconta un calendario di morti più o meno famose, una al giorno per tutti i trentuno giorni di questo mese denso di sole e angoscia.

dal 1916 al 2023, agosto si srotola in un elenco di delitti e tragedie, raccontati adattando ogni volta stile, forma e registro, perché ogni storia è unica e merita una sua propria voce. dalla cronaca italiana a hiroshima, dal mistero dell'ultima notte di marilyn monroe all'assassinio di federico garcía lorca, da sacco e vanzetti a piazzale loreto, fino ad arrivare alla sua storia personale, casiccia compone questo libro strano ricostruendo ogni volta vicende e atmosfere. ma agosto è un buco nero è anche una specie d'altare personale dell'immaginario poetico e pop della sua autrice e della sua generazione, dove trovano spazio i poeti della beat generation, chi l'ha visto?, l'antifascismo e le terrificanti storie di serial killer d'oltreoceano. un racconto tra i racconti che mostra in controluce quante - e quanto diverse tra loro - sono le storie di cui è fatta la nostra storia, di cui siamo fattə noi stessə.

ancora un po', e potremmo dire di essere arrivatə sanə e salvə a settembre.
nel frattempo, siete ancora in tempo per perdervi tra queste terribili storie agostane. suggerimento personale: tenetevi accanto accanto carta e penna: casiccia cita e suggerisce tantissimi libri, ottimi consigli di lettura per il prossimo autunno.

martedì 19 agosto 2025

isabella nagg e il vaso di basilico

no, piangere era inutile. isabella lo aveva imparato dopo aver passato i primi cinque anni del suo matrimonio a struggersi perché arrivasse qualcosa di meglio, e i successivi dieci a serbare rancore perché quel qualcosa non era mai arrivato. quando sopraggiungevano i pensieri cupi, nell'ora più silenziosa del pomeriggio, isabella cercava di ricordarsi che la sua vita era meglio di quella di molti altri. non era stata abbordata da una megera che elargiva doni malvagi, né era stata trascinata in un acquitrino da un cavallo sbandato, né era stata calpestata a morte da un nuckelavee.

pensavo che compro il libro per la copertina fosse solo un modo di dire e che almeno lə variə bookstagrammer che sfornano reel a tempesta leggessero davvero i libri di cui parlano, ma ho visto così tanti questo libro è una coccola, è così cozy! che mi sono dovuta ricredere.
è vero, ha una copertina carina e un tono allegro, ma isabella nagg e il vaso di basilico parla di violenza sulle donne e di quanto il capitalismo abbia cannibalizzato il discorso sui diritti dellə lavoratorə e l'abbia rivomitato come fuffa sulla produttività. cosa c'è di cozy me lo dovete spiegare, voi che adoro l'estethic di questo romanzo, le vibes! ma a quanto pare i contenuti non vi entrano in testa a meno che non ve li spieghino con degli hashtag sulla quarta di copertina.
(lo so che nella trama del libro c'è scritto "cozy", ma dovreste aver imparato che non bisogna mai fidarsi troppo delle trame scritte sui risvolti dei libri).

finita questa necessaria introduzione - che vale per questo libro tanto quanto per un sacco di altri - passiamo al romanzo di oliver darkshire.
in un mondo in cui il sole è portato a spasso da un maggiolino a cui piace fare un po' quello che gli pare, le lune sono due, la magia esiste e i goblin si riproducono letteralmente come funghi che nemmeno in the last of us, isabella nagg è una donna di mezz'età che conduce un'esistenza affatto invidiabile. ha un marito che fa venire a chiunque il desiderio di sperimentare presto la vedovanza, una fattoria che si traduce in troppo lavoro e poca resa, e una pianta di basilico che la accompagna fedelmente - e miracolosamente! - da decenni.

sotto al maggiolino del sole succedono cose strane e altre cose decisamente noiose: ad esempio, nel piccolo villaggio di isabella, lo sport preferito è il pettegolezzo e l'astio tra vicinə, vanno di moda i cespugli decorativi teriomorfi e le veglie funebri per evitare il risveglio dei lich.
inoltre, quando arriva l'autunno, i goblin provano a vendere la loro frutta mortifera porta a porta e i mariti idioti rubano grimori a casa degli stregoni che, almeno, hanno la cortesia di crepare prima di maledire anche le consorti degli idioti di cui sopra. o almeno questo è quello che fanno, rispettivamente, il signor nagg e lo stregone bagdemagus.
e così, solo per caso e con l'aiuto di un brutto gatto che non è davvero un gatto ma un grinalkin, isabella scopre che, nonostante tutto, anche lei riesce a gestire la magia.
beh, "gestire" è una parola grossa. in realtà, inanella casini uno dietro l'altro ma, se è vero che il fine giustifica i mezzi, risvegliare il peggiore degli episodi del suo passato e donare consapevolezza a un asino serviranno almeno a tirarla fuori da un'esistenza infelice e a trasformare completamente quello che sembrava essere il destino a cui sarebbe stata condannata per tutta la vita.

insomma, isabella nagg e il vaso di basilico è sicuramente un fantasy ma di cozy ha davvero poco (anzi, in certe scene si scivola verso l'horror).
come accennavo, il tono di oliver darkshire è sempre leggero, divertente, amaramente ironico (e molto inglese!), e a volte fa il verso ai trattati scientifici o ai resoconti d'esplorazione: tutte cose che rendono la lettura estremamente piacevole e alleggeriscono i momenti più cupi. la storia di isabella e di quello che accade intorno a lei è estremamente drammatica, ricca di riflessioni tutt'altro che leggere e di momenti di tensione e, nel costruire tutto questo, darkshire è stato bravo abbastanza da seminare qui e lì indizi che anticipano quel tanto che serve a mantenere sempre viva l'attenzione dellə lettorə, senza però esagerare e svelare tutto prima del tempo, accelerando verso un finale in cui si compie perfettamente il famigerato "arco di trasformazione del personaggiə".

a parte il discorso sulle etichette, che lasciano sempre il tempo che trovano (perché tentare di incasellare semplicisticamente un testo - anche una lettura di puro svago, come questa - in una qualche accozzaglia di "sottogeneri/categorie/hashtag" che, vi prego di ricordare, servono solo per facilitare la vita a quellə poveraccə che si occupano di marketing, è tanto inutile quanto, nel migliore dei casi, impossibile) isabella nagg e il vaso di basilico è un fantasy in cui la capacità di immaginare mondi altri non arriva troppo in là e, anzi, si fa un po' specchio delle schifezze del nostro mondo, dove anche se non si coltivano mandragore e i gatti sono carini ma non parlano, ci sarà sempre qualcunə dispostə a calpestare e sfruttare la dignità e l'esistenza altrui per riempirsi le tasche, così come ci saranno sempre uomini capaci di rovinare la vita alle donne pur di non imparare a farcela da soli.
e se a smontare un sistema così c'è una donna di mezz'età, non bellissima né dotata di particolari talenti ma soltanto piena fino all'orlo di stare a sopportare, allora per me vale la pena di consigliarvelo.