qualunque sia la nostra storia, dobbiamo trarne il meglio: e se quella storia fa schifo, be', allora possiamo provare a fare del bene prima di andarcene.e se questo non basta, se in fondo al nostro cuore avido ed egoista bramiamo di più, io ho un solo consiglio: scappare, e non fermarsi mai.
non so quanto sia lecito parlare di retelling quando parliamo degli ultimi due libri di alix e. harrow, il fuso scheggiato e lo specchio rammendato.
ok, quella di “retelling” è una categoria comoda, utile a dare un’idea di qual è il contenuto di questi due mini romanzi, categoria che però - cosa che (per fortuna) vale un po’ per tutte le categorie utilizzate negli ultimi anni in editoria: utili per piazzare i libri sugli scaffali, meno per definire esattamente una storia e perimetrarla in un “genere” preciso - non riesce a contenere quello che sono davvero.
e dunque - ok claudia, abbiamo capito come la pensi su questi hashtag, ora basta - cosa sono il fuso scheggiato e lo specchio rammendato? io direi un ibrido fantasy/sci-fi (à la star wars, per intenderci. cioè: una spiegazione fanta-scientifica, fidati, c’è. e se non sembra avere troppo senso, stacce.) in cui il mondo reale, qui incarnato dalla protagonista zinnia gray, si intrufola nel mondo delle favole, che viene immaginato come un catalogo di possibili esistenze: alla nostra realtà si sommano gli universi generati dalla narrazione. questo multiverso si espande ogni volta che il nocciolo di una fiaba - il suo nucleo fatto di archetipi e topoi narrativi, o di “mitemi”, per rubare una parola a lévi-strauss - viene rielaborato da una specifica sensibilità, cioè quella dellə narratorə immersə nel suo preciso contesto storico-culturale.
alix e. harrow riprende uno dei rami fondamentali degli studi di antropologia/etnologia, ovvero quello che si occupa del racconto popolare - declinato tanto nell’ambito sacro, il mito, quanto in quello secolare, cioè la fiaba/favola - come espressione storicamente situata delle strutture culturali, degli equilibri di potere e dei sistemi di valori e credenze di un popolo.
e, a riprova del fatto che il mito/la fiaba è cosa viva e pulsante ancora capace di raccontare il quotidiano e le sue tensioni, harrow la reinterpreta dandole la sua voce di donna del XXI secolo.
(era molto più veloce chiamarlo “retelling”? ovvio. ma siamo davvero troppo stanchə di appiattire tutto alla sua più brutale semplificazione. e poi un blog non è un social e qui nessun algoritmo ci punisce per essere troppo verbosə. e se anche fosse, ‘fanculo.)
fine pippone.
alle ragazze romantiche piace la bella e la bestia; a quelle tradizionaliste piace cenerentola; a quelle dallo stile gotico piace biancaneve.
solo alle ragazze destinate a morire presto piace la bella addormentata.
zinnia gray è una grande appassionata di fiabe fin dall’infanzia, ha una laurea in antropologia con una specializzazione sulla narrativa popolare e la sua fiaba preferita è la bella addormentata perché zinnia gray è una ragazza destinata a morire presto.
se sul capo di aurora/rosaspina pendeva la condanna di una maledizione (ti pungerai il dito con un fuso e dormirai per cento anni), a zinnia gray le cose vanno peggio perché fin dalla nascita le è stata diagnosticata la malattia generalizzata di roseville. eziologicamente collegata all’inquinamento ambientale - sentite la puzza dell’hashtag #climateficion? - la mgr non ha mai concesso a nessunə di sopravvivere abbastanza di festeggiare il ventiduesimo compleanno. e, all’inizio della storia, zinnia gray è impegnata a soffiare su ventuno candeline, attorniata da gente che sembra più convocata a un funerale che invitata a una festa.
gray di nome e, per quello che riguarda la sfera sessuo-affettiva, di fatto (le personagge di queste storie sono molto queer e ci piace tantissimo), accanto a zinnia c’è l’onnipresente charme, la geniale fichissima amica lesbica che tutte vorremmo (e di cui, probabilmente, tutte ci innamoreremmo almeno un po’), che per l’occasione ha organizzato una festa a tema bella addormentata, con tanto di rose e di immancabile fuso.
ed è proprio quel fuso che permette a zinnia - stanca di vivere sapendo che dovrà morire presto - di attraversare il confine tra il suo universo e quello delle favole.
come inchiostro che, dopo aver calcato troppo le stesse parole, si trasferisce da una pagina a quella successiva, come spiega lei stessa, zinnia si ritrova proprio dentro la storia di primerose, una delle tante versioni de la bella addormentata alle prese con il suo implacabile destino di principessa maledetta.
non vi racconto la trama perché entrambi i romanzi - il secondo si ispira alla fiaba di biancaneve, focalizzandosi soprattutto sulla storia della strega cattiva, cosa che ho apprezzato moltissimo - sono scritti con un ritmo incalzante e una prosa molto scorrevole e colloquiale, perfetta per rendere la voce della narratrice/protagonista (che non lesina parolacce quando serve). insomma, vi ritroverete alla fine quasi senza accorgervene (ma con la voglia di leggerne ancora!).
volevo però concentrarmi su alcuni temi attorno cui harrow ricama tutto il suo racconto.
la storia della bella addormentata è, per antonomasia, la metafora della totale mancanza di potere decisionale delle donne - aurora/rosaspina che dorme per un intero secolo - ma anche dell’odio delle donne per le donne - è una fata a maledirla.
e però... se inventassimo altri modi per leggere questa storia? anzi, meglio, di raccontarla? perché le fiabe non possono restare congelate a una sola epoca, intrappolate nelle parole di un solo narratore. possono - e devono! - cambiare, adattarsi al presente perché il loro scopo è raccontarlo e dare indicazioni per poterlo vivere al meglio.
e la prima cosa che deve cambiare, adesso, è proprio il rapporto tra la principessa e il narratore, perché essere protagonista di una storia narrata in terza persona non è sempre una condizione auspicabile.
infatti, se da un lato il narratore dà alle principesse protagoniste delle fiabe tradizionali grazia, bellezza e altre doti e virtù, se le rende capaci di affrontare e superare momenti molto più che difficili (scappare da un cacciatore attraverso il bosco, sprofondare in un sonno magico a causa di una maledizione, sopportare le angherie di una matrigna e due sorellastre crudeli, perdere la propria voce, eccetera) arriveranno sempre e comunque a quel “e vissero felici e contenti” che qualcuno ha scritto per loro.
e in ogni favola, quale che sia la principessa e la sua storia, felicità e contentezza si traducono sempre allo stesso modo: il matrimonio con un bel principe (di solito quasi del tutto estraneo), mentre la cattiva - una strega o una matrigna, guarda caso sempre una donna - subisce una qualche spaventosa e sadica punizione. fine.
ma davvero questo è quello che sogna ogni principessa? sposare uno sconosciuto col mascellone appena compiuti i sedici/diciotto/ventuno anni, fare dei bambini e vivere per tutto il resto del tempo all’ombra di un re - o di una principessa più giovane e bella? harrow sottolinea un punto fondamentale: la protagonista, per quanto fondamentale nella sua fiaba, non ha alcun potere decisionale (così come ogni strega/matrigna cattiva non può che essere cattiva: invidiosa e gelosa di un’altra donna più bella/giovane/fortunata di lei. quanto è difficile immaginare rapporti di amicizia e sorellanza tra donne? quanto è più facile immaginarle sempre in lotta tra loro per un qualche riconoscimento dato da una società maschilista?).
la storia è scritta per lei ma modellata sui modelli familiari e sociali di un non meglio precisato medioevo che, ancora, influenza anche il nostro tempo e le nostre aspettative.
il fuso scheggiato e lo specchio rammendato sono abitati da personagge che vogliono scardinare i meccanismi su cui si basano le loro storie, sfuggire dal loro destino e liberarsi dai ruoli che qualcuno ha scelto per loro.
ma harrow va oltre il tema dell’autodeterminazione e ne introduce uno che è, forse, ancora più inusuale nel mondo delle favole: quello della sorellanza.
le donne di queste storie non si accontentano di trovare il loro personalissimo lieto fine, ma mettono ogni cosa a repentaglio per liberare le altre. e, personalmente, questo è l’aspetto che ho amato di più in questi romanzi: non più eroici cavalieri che raggiungono il loro obiettivo a colpi di spada, ma donne - principesse, fate, streghe, viaggiatrici del multiverso, amiche e innamorate - che usano le strutture del sistema (narrativo, fisico e sociale) per piegare realtà e aspettative e salvarsi. insieme.
in almeno un paio di passaggi, questi romanzi mi hanno sorpresa parecchio, così come mi hanno dato un sacco di spunti di riflessione sul ruolo dei narratori e delle protagoniste. mi sembra che questi due libri di harrow rispondano alla domanda: cosa succede alle fiabe se lasciamo che siano le donne - libere dalle oppressioni sociali e dalle aspettative legate al loro genere, o almeno consapevoli della loro esistenza! - a raccontarle?
riprendersi la voce che qualcuno ci ha tolto è sempre il primo, fondamentale passo per prendere consapevolezza delle storture che ci circondano, per iniziare un processo di decostruzione e di realizzazione di alternative più vivibili. e se a insegnarci questa cosa sono due romanzi così - divertenti, appassionanti, semplici e leggeri, adatti anche alle lettrici (e, si spera, ai lettori) più giovani, allora tanto di guadagnato.
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