martedì 13 maggio 2025

intimità senza contatto

il contatto fisico è la principale causa del turbamento emotivo da cui è affetta la società umana. tramite i nostri studi ed esperienti abbiamo stabilito che esiste una correlazione positiva tra il valore di deviazione dalla condizione psicofisica ottimale di un individuo e la percentuale di contatto fisico interpersonale nella sua vita. in altre parole, le emozioni sono da considerarsi alla stregua di un virus trasmissibile per mezzo del contatto.

il genere distopico è uno dei miei preferiti, forse il mio preferito in assoluto. uno dei parametri - decisamente poco scientifico, ne sono consapevole - che uso per capire quanto una storia distopica funziona bene, è di solito il senso di malessere fisico che mi trasmette: se mi manca l’aria, mi viene una stretta allo stomaco e comincio a percepire una sorta di ansia crescente, vuol dire che funziona benissimo. il mio metro di paragone rimane 1984 di orwell, o meglio, le sensazioni che ho provato la prima volta che l’ho letto - avevo qualcosa come tredici anni, credo.
più una storia distopica mi dà quel tipo di coinvolgimento, più mi piace.

intimità senza contatto di lin hsin-hui mi ha dato, per tutto il tempo, quella strana sensazione di disagio che si trasforma presto in quel tipo di ansia che prende quando si percepisce un pericolo ma non si riesce a riconoscerlo esattamente, o non si riesce a valutare il rischio effettivo che si sta correndo (se avete mai sofferto di ansia, sapete benissimo di cosa sto parlando. in caso contrario, meglio per voi!).

siamo sul nostro pianeta, in un futuro lontano, forse nemmeno troppo. un'intelligenza artificiale estremamente sviluppata ha preso il controllo della terra e sostituito ogni governo, ed è riuscita lì dove gli esseri umani hanno sempre fallito: non ci sono più guerre né miseria, non esistono più malattie incurabili e ogni decisione viene presa con il preciso intento di permettere alla popolazione di vivere la propria vita al meglio, lontana da ogni pericolo.

certo, come da definizione, il progresso non è qualcosa che si raggiunge dall'oggi al domani. l'intelligenza artificiale ha avuto bisogno di tempo per raccogliere e analizzare ogni possibile dato al fine di trovare le soluzioni migliori per l'umanità.
eliminare ogni forma possibile di contatto tra le persone e, successivamente, risolvere il problema del decadimento fisiologico attraverso la procedura di bioibridazione: è questa l’ultima frontiera del percorso di perfezionamento delle creature biologiche e di superamento di ogni sofferenza e decadenza, che si comincia a delineare quando la nostra protagonista è ancora una bambina molto piccola.

la storia alterna due linee temporali: comincia nel presente, quando la nostra protagonista è già adulta, si è appena svegliata dopo l’intervento di bioibridazione e incontra per la prima volta il suo androide-partner, l’essere sintetico con cui trascorrerà tutto il resto della sua vita e con il quale potrà - anzi, dovrà - sperimentare di nuovo il contatto fisico.
con il passare dei giorni, riesce ad avere un controllo sempre maggiore del suo nuovo corpo bioibridato, un corpo perfetto, privo di ogni tipo di caratterizzazione somatica e sessuale, incapace di ammalarsi, soffrire o deteriorarsi. e, nel frattempo, cresce il suo tasso di sincronizzazione con l’androide, con il quale si ritrova a condividere ogni attimo della sua giornata e che mantiene con lei un contatto fisico praticamente costante, che si comporta un po’ come la voce della sua coscienza, un po’ come una guida all’interno del nuovo mondo in cui vivono solo quellə che hanno intrapreso la pratica di bioibridazione.

la seconda linea temporale è quella del passato, frammentata in una serie di flashback che segue la crescita della nostra protagonista e, al contempo, ci racconta le diverse tappe del progresso tecnologico che allontanano sempre più l’umanità dalla dimensione fisica del reale per limitarne le esperienze al solo regno del virtuale.
dall’annunciazione del contatto zero all’introduzione dei primi robot domestici e poi alla svalutazione degli spazi esterni all’ambiente domestico, fino alla totale traslazione di ogni possibile attività - esclusa quella lavorativa - all’incorporeità delle esperienze sintetiche.

la protagonista (e, in generale, tutti gli esseri umani) si ritrova così perfettamente isolata da chiunque altrə, prima nella realtà dei corpi completamente biologici ma limitati alle connessioni virtuali e poi nel nuovo mondo dei corpi bioibridati. è un crescendo lento e asfissiante, scandito dal tasso di sincronizzazione con l’androide che aumenta incessantemente. come due stelle legate in un sistema binario risucchiano una la massa dell’altra fino a portarla al collasso, così l’androide aumenta la sua assertività, la sua consapevolezza e, in definitiva, il suo potere sul suo essere umano.

non mi è sembrato affatto casuale che la protagonista, nonostante non abbia più alcuna caratteristica fisica né ruolo sociale che la definisca come donna, continui a pensare sé stessa al femminile e all’androide, da sempre privo di caratteristiche di genere, al maschile.
e, in effetti, il modificarsi dell’equilibrio all’interno del loro rapporto ci fa sempre di più immaginare lei con le fattezze di una donna e lui con quelle di un uomo. questo cambiamento lento, quasi impercettibile e spaventosamente subdolo ricorda in modo inquietante il progredire di quei rapporti uomo-narcisista-manipolatore/donna-vittima-manipolata che sono - con questa precisa struttura - purtroppo molto frequenti e noti.

ma il fulcro della riflessione di lin hsin-hui sta tutto nella riflessione del nostro rapporto con le tecnologie “intelligenti”: nel futuro di intimità senza contatto, l'umanità ha lasciato sempre più spazio e potere d’azione all'intelligenza artificiale che da semplice strumento di ausilio è diventata un'entità autonoma e pensante, capace cioè di elaborare, rielaborare ed elaborare ancora i dati a sua disposizione fino a raggiungere livelli forse anche superiori a quelli delle menti umane.
priva di emozioni, l’intelligenza artificiale non agisce per ambizione o desiderio di dominio - qualità squisitamente umana - ma semplicemente non conosce un limite ragionevole all’input iniziale, quello cioè di migliorare la condizione umana. proseguendo su questa strada, finisce per pervertire il suo compito, arrivando al paradosso che la migliore condizione umana - priva di dolore, sofferenza, odio, rabbia, eccetera - è quella in cui l’umanità svanisce del tutto.

il finale, che non vi rivelo, mi ha ricordato in modo doloroso l’amore che wilson smith prova, nelle sue ultime ore, per il grande fratello. e cosa c’è di più distopico di una realtà che riesce a farci amare volontariamente quello che ci distrugge?