venerdì 19 settembre 2025

torna flush festival!

dal 26 al 28 settembre 2025 torna a bologna flush festival, la rassegna di editoria femminista indipendente che da cinque edizioni esplora le produzioni editoriali – cartacee e digitali – del femminismo contemporaneo.


quest'anno invece di fare come la tgr sicilia - che fa sempre i servizi su concerti, mostre e altri eventi bellissimi il giorno dopo che finiscono, così tu che non ne sapevi niente non ci puoi più andare ma puoi piangere perché ti sei persə tutto - ve lo dico già adesso: la prossima settimana inizia la quinta edizione di flush festival!

se non conoscete flush, male, malissimo.

in poche parole: flush è una cosa molto bella che succede a bologna, piena di libri e persone che scrivono/pubblicano/vendono/leggono/parlano di libri e cose affini.
dura tre giorni e si svolge nel chiostro del centro di documentazione delle donne - in via del piombo 5/7 - che apre i suoi spazi ad autrici, case editrici, riviste e collettivi, trasformandosi in un punto d’incontro tra scritture, pratiche editoriali e sperimentazioni digitali, come dice il comunicato stampa. e poi c'è spazio e tempo per chiacchierare/mangiare/bere/fumare in compagnia, che rende tutto ancora (se possibile) più bello.

il tema di quest'anno è l'ironia come strumento per mettere in discussione i linguaggi dominanti. Il femminismo e i movimenti LGBTQIA+ si raccontano attraverso registri ironici e creativi che, dalla carta ai social, diventano pratiche di resistenza e immaginazione politica e se ne parlerà insieme a alessandra carnaroli, arianna mainardi, caterina molteni, claudia grande, cleo bissong, kebabandproust, lavinia mannelli, marina cuollo, marianna (the influenza), valentina presti danisi, yasmin riyahi (le comari dell’arte) e redacta.

per lə fan più affezionatə del blog: ci sono anche io! (al netto di imprevisti e drammi dell'ultimo momento)


programma:

venerdì 26 settembre

incontro | ore 19.30
non si tocca la frutta nei supermercati però i culi nelle metropolitane
inaugurazione e incontro con alessandra carnaroli (poeta)

sabato 27 settembre

laboratorio | ore 11.00 / 13.00
copia&incolla: facciamo ciò che si può
un laboratorio pratico per divulgatrici digitali, autrici e creative. Scopriremo cosa si può riprodurre su blog e podcast: come condividere le proprie immagini senza rischi e in quali modalità è possibile rielaborare materiali altrui.
conduce: sofia piermattei / studio legali associate wild side

visita guidata | ore 14.30
scopriamo il patrimonio della biblioteca italiana delle donne
la biblioteca italiana delle donne è parte del centro di documentazione delle donne di bologna, tra i più importanti nel panorama europeo. durante i suoi oltre quarant’anni di attività, la biblioteca ha raccolto una collezione unica in italia, che ammonta oggi a più di 40.000 documenti fra libri, riviste e materiali multimediali.

talk | ore 15.00
arte, immaginari visivi e linguaggi politici
un confronto a più voci sulle rappresentazioni artistiche e sulla comunicazione politica dei femminismi degli anni ’70 fino a oggi. si esplorerà come queste pratiche si siano evolute e come influenzino le narrazioni contemporanee, comprese le forme digitali e le estetiche dei meme.
relatrici: caterina molteni, yasmin riyahi (le comari dell’arte), arianna mainardi.
modera: elena lolli.
introduce: cristina demaria (unibo delegata per l'equità, l'inclusione e la diversità).

talk | ore 17.00
autrici che hanno sovvertito il canone con l’ironia
viaggio tra le scrittrici che hanno ribaltato la tradizione letteraria con sarcasmo, parodia e comicità, aprendo nuove prospettive alla narrazione femminile. relatrici: valentina presti danisi, lavinia mannelli. modera: claudia maltese

reading/performance | Ore 19.30
stand-up letterario
quando l’editoria femminista sale sul palco... tra cabaret e confessionale
con: antonia caruso, shatta e silvia gola

per tutta la giornata dalle 11.00 alle 19.00
apertura expo’
itinerario nelle produzioni editoriali femministe contemporanee e nella filiera del libro d’autrice, con oltre venti espositrici.

domenica 28 settembre

laboratorio | ore 11.00 – 13.00
le autrici che fanno ridere non esistono
laboratorio di letteratura umoristica. tecniche di ironia, satira, giochi di parole e paradossi. include esercitazioni pratiche e condivisione finale dei testi scritti.
conduce: valentina presti danisi

laboratorio | ore 14.00
dal sito al fediverso: connettere la propria presenza online
workshop pratico sulle tecnologie digitali e reti decentralizzate, per trasformare il proprio sito web in un nodo attivo del fediverso.
conduce: cristina carnevali

visita guidata | ore 14.30
scopriamo il patrimonio dell’archivio di storia delle donne di bologna
l’archivio di storia delle donne raccoglie documenti cartacei, sonori e visivi prodotti dalla ricerca teorica e dalle attività del centro delle donne di bologna e dell’associazione orlando. importante crocevia dei femminismi contemporanei, l’archivio conserva, inoltre, la documentazione di altri gruppi e associazioni, di eventi e reti locali, nazionali, internazionali. alle testimonianze collettive si affiancano alcuni archivi personali.

incontro | ore 15.00
stabilmente flessibili e precarie disilluse
il report del sondaggio di redacta sulle condizioni di lavoro in editoria

talk | ore 16.00
l’ironia come strumento di decostruzione di stereotipi
un incontro dedicato alle forme contemporanee dell’ironia, dal fumetto alla stand-up, come pratica per smontare cliché e stereotipi di genere.
relatrici: marianna (the influenza), cleo bissong, marina cuollo, francesca (kebab & proust).
modera: antonia caruso

per tutta la giornata dalle 11.00 alle 18.00
apertura expo’
itinerario nelle produzioni editoriali femministe contemporanee e nella filiera del libro d’autrice, con oltre venti espositrici.


ci vediamo a flush! - e poi, forse, faccio anche il solito post post-festival.

tutte le info qui!

lunedì 15 settembre 2025

il fuso scheggiato - lo specchio rammendato

qualunque sia la nostra storia, dobbiamo trarne il meglio: e se quella storia fa schifo, be', allora possiamo provare a fare del bene prima di andarcene.
e se questo non basta, se in fondo al nostro cuore avido ed egoista bramiamo di più, io ho un solo consiglio: scappare, e non fermarsi mai.

non so quanto sia lecito parlare di retelling quando parliamo degli ultimi due libri di alix e. harrow, il fuso scheggiato e lo specchio rammendato.
ok, quella di “retelling” è una categoria comoda, utile a dare un’idea di qual è il contenuto di questi due mini romanzi, categoria che però - cosa che (per fortuna) vale un po’ per tutte le categorie utilizzate negli ultimi anni in editoria: utili per piazzare i libri sugli scaffali, meno per definire esattamente una storia e perimetrarla in un “genere” preciso - non riesce a contenere quello che sono davvero.

e dunque - ok claudia, abbiamo capito come la pensi su questi hashtag, ora basta - cosa sono il fuso scheggiato e lo specchio rammendato? io direi un ibrido fantasy/sci-fi (à la star wars, per intenderci. cioè: una spiegazione fanta-scientifica, fidati, c’è. e se non sembra avere troppo senso, stacce.) in cui il mondo reale, qui incarnato dalla protagonista zinnia gray, si intrufola nel mondo delle favole, che viene immaginato come un catalogo di possibili esistenze: alla nostra realtà si sommano gli universi generati dalla narrazione. questo multiverso si espande ogni volta che il nocciolo di una fiaba - il suo nucleo fatto di archetipi e topoi narrativi, o di “mitemi”, per rubare una parola a lévi-strauss - viene rielaborato da una specifica sensibilità, cioè quella dellə narratorə immersə nel suo preciso contesto storico-culturale.

alix e. harrow riprende uno dei rami fondamentali degli studi di antropologia/etnologia, ovvero quello che si occupa del racconto popolare - declinato tanto nell’ambito sacro, il mito, quanto in quello secolare, cioè la fiaba/favola - come espressione storicamente situata delle strutture culturali, degli equilibri di potere e dei sistemi di valori e credenze di un popolo.

e, a riprova del fatto che il mito/la fiaba è cosa viva e pulsante ancora capace di raccontare il quotidiano e le sue tensioni, harrow la reinterpreta dandole la sua voce di donna del XXI secolo.
(era molto più veloce chiamarlo “retelling”? ovvio. ma siamo davvero troppo stanchə di appiattire tutto alla sua più brutale semplificazione. e poi un blog non è un social e qui nessun algoritmo ci punisce per essere troppo verbosə. e se anche fosse, ‘fanculo.)

fine pippone.
alle ragazze romantiche piace la bella e la bestia; a quelle tradizionaliste piace cenerentola; a quelle dallo stile gotico piace biancaneve.
solo alle ragazze destinate a morire presto piace la bella addormentata.
zinnia gray è una grande appassionata di fiabe fin dall’infanzia, ha una laurea in antropologia con una specializzazione sulla narrativa popolare e la sua fiaba preferita è la bella addormentata perché zinnia gray è una ragazza destinata a morire presto.
se sul capo di aurora/rosaspina pendeva la condanna di una maledizione (ti pungerai il dito con un fuso e dormirai per cento anni), a zinnia gray le cose vanno peggio perché fin dalla nascita le è stata diagnosticata la malattia generalizzata di roseville. eziologicamente collegata all’inquinamento ambientale - sentite la puzza dell’hashtag #climateficion? - la mgr non ha mai concesso a nessunə di sopravvivere abbastanza di festeggiare il ventiduesimo compleanno. e, all’inizio della storia, zinnia gray è impegnata a soffiare su ventuno candeline, attorniata da gente che sembra più convocata a un funerale che invitata a una festa.

gray di nome e, per quello che riguarda la sfera sessuo-affettiva, di fatto (le personagge di queste storie sono molto queer e ci piace tantissimo), accanto a zinnia c’è l’onnipresente charme, la geniale fichissima amica lesbica che tutte vorremmo (e di cui, probabilmente, tutte ci innamoreremmo almeno un po’), che per l’occasione ha organizzato una festa a tema bella addormentata, con tanto di rose e di immancabile fuso.
ed è proprio quel fuso che permette a zinnia - stanca di vivere sapendo che dovrà morire presto - di attraversare il confine tra il suo universo e quello delle favole.
come inchiostro che, dopo aver calcato troppo le stesse parole, si trasferisce da una pagina a quella successiva, come spiega lei stessa, zinnia si ritrova proprio dentro la storia di primerose, una delle tante versioni de la bella addormentata alle prese con il suo implacabile destino di principessa maledetta.

non vi racconto la trama perché entrambi i romanzi - il secondo si ispira alla fiaba di biancaneve, focalizzandosi soprattutto sulla storia della strega cattiva, cosa che ho apprezzato moltissimo - sono scritti con un ritmo incalzante e una prosa molto scorrevole e colloquiale, perfetta per rendere la voce della narratrice/protagonista (che non lesina parolacce quando serve). insomma, vi ritroverete alla fine quasi senza accorgervene (ma con la voglia di leggerne ancora!).

volevo però concentrarmi su alcuni temi attorno cui harrow ricama tutto il suo racconto.
la storia della bella addormentata è, per antonomasia, la metafora della totale mancanza di potere decisionale delle donne - aurora/rosaspina che dorme per un intero secolo - ma anche dell’odio delle donne per le donne - è una fata a maledirla.
e però... se inventassimo altri modi per leggere questa storia? anzi, meglio, di raccontarla? perché le fiabe non possono restare congelate a una sola epoca, intrappolate nelle parole di un solo narratore. possono - e devono! - cambiare, adattarsi al presente perché il loro scopo è raccontarlo e dare indicazioni per poterlo vivere al meglio.
e la prima cosa che deve cambiare, adesso, è proprio il rapporto tra la principessa e il narratore, perché essere protagonista di una storia narrata in terza persona non è sempre una condizione auspicabile.

infatti, se da un lato il narratore dà alle principesse protagoniste delle fiabe tradizionali grazia, bellezza e altre doti e virtù, se le rende capaci di affrontare e superare momenti molto più che difficili (scappare da un cacciatore attraverso il bosco, sprofondare in un sonno magico a causa di una maledizione, sopportare le angherie di una matrigna e due sorellastre crudeli, perdere la propria voce, eccetera) arriveranno sempre e comunque a quel “e vissero felici e contenti” che qualcuno ha scritto per loro.

e in ogni favola, quale che sia la principessa e la sua storia, felicità e contentezza si traducono sempre allo stesso modo: il matrimonio con un bel principe (di solito quasi del tutto estraneo), mentre la cattiva - una strega o una matrigna, guarda caso sempre una donna - subisce una qualche spaventosa e sadica punizione. fine.

ma davvero questo è quello che sogna ogni principessa? sposare uno sconosciuto col mascellone appena compiuti i sedici/diciotto/ventuno anni, fare dei bambini e vivere per tutto il resto del tempo all’ombra di un re - o di una principessa più giovane e bella? harrow sottolinea un punto fondamentale: la protagonista, per quanto fondamentale nella sua fiaba, non ha alcun potere decisionale (così come ogni strega/matrigna cattiva non può che essere cattiva: invidiosa e gelosa di un’altra donna più bella/giovane/fortunata di lei. quanto è difficile immaginare rapporti di amicizia e sorellanza tra donne? quanto è più facile immaginarle sempre in lotta tra loro per un qualche riconoscimento dato da una società maschilista?).

la storia è scritta per lei ma modellata sui modelli familiari e sociali di un non meglio precisato medioevo che, ancora, influenza anche il nostro tempo e le nostre aspettative.

il fuso scheggiato e lo specchio rammendato sono abitati da personagge che vogliono scardinare i meccanismi su cui si basano le loro storie, sfuggire dal loro destino e liberarsi dai ruoli che qualcuno ha scelto per loro.

ma harrow va oltre il tema dell’autodeterminazione e ne introduce uno che è, forse, ancora più inusuale nel mondo delle favole: quello della sorellanza.
le donne di queste storie non si accontentano di trovare il loro personalissimo lieto fine, ma mettono ogni cosa a repentaglio per liberare le altre. e, personalmente, questo è l’aspetto che ho amato di più in questi romanzi: non più eroici cavalieri che raggiungono il loro obiettivo a colpi di spada, ma donne - principesse, fate, streghe, viaggiatrici del multiverso, amiche e innamorate - che usano le strutture del sistema (narrativo, fisico e sociale) per piegare realtà e aspettative e salvarsi. insieme.

in almeno un paio di passaggi, questi romanzi mi hanno sorpresa parecchio, così come mi hanno dato un sacco di spunti di riflessione sul ruolo dei narratori e delle protagoniste. mi sembra che questi due libri di harrow rispondano alla domanda: cosa succede alle fiabe se lasciamo che siano le donne - libere dalle oppressioni sociali e dalle aspettative legate al loro genere, o almeno consapevoli della loro esistenza! - a raccontarle?

riprendersi la voce che qualcuno ci ha tolto è sempre il primo, fondamentale passo per prendere consapevolezza delle storture che ci circondano, per iniziare un processo di decostruzione e di realizzazione di alternative più vivibili. e se a insegnarci questa cosa sono due romanzi così - divertenti, appassionanti, semplici e leggeri, adatti anche alle lettrici (e, si spera, ai lettori) più giovani, allora tanto di guadagnato.

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lunedì 1 settembre 2025

abilisti fantastici e dove trovarli ~ intervista a marina cuollo

in quel settore del dizionario dove ci sono tutte le parole che finiscono in -ismo – ovvero dove gravitano una quantità spropositata di merde – ce n’è anche una che riguarda noi persone disabili: l’abilismo. l’abilismo, per chi non lo sapesse, è quella sottile e squisita pratica sociale che trasforma la vita delle persone con disabilità in una gita all’inferno. non è che qualcuno si svegli la mattina e decida di farlo apposta, per carità. è più un riflesso pavloviano, un’abitudine culturale che si perpetua con la stessa naturalezza con cui ci si sciacqua la faccia appena svegli. dalla notte dei tempi, per qualche strana ragione, la società ha stabilito che chi si muove, vede, sente o funziona in modo diverso dalla maggioranza non è proprio in cima alla lista delle priorità. anzi, a volte pare non sia nemmeno sulla lista.

mentre questo libro cominciava a fare capolino nelle librerie, trovo degli screenshot tra le storie di marina che mi hanno quasi fatta cadere nello sconforto. erano dei trafiletti di un giornale - uno super noto, non ricordo di preciso quale, ma insomma una delle tante porcherie su carta che nel nostro paese normalizzano le discriminazioni e la violenza, e giustificano il genocidio, per farvi capire - in cui invece di presentare il libro, lə pennivendolə di turno spiattellava la cartella clinica di marina lì, nero su bianco.
eppure, anche solo a voler presentare l'autrice e non il libro, marina cuollo è una di quelle persone che ti costringe a prendere sette, otto righe di appunti già solo per riassumere la sua biografia, tra successi accademici, attivismo e lavoro.
e allora perché?
perché, si sa, se una persona non-disabile scrive un libro ha senso parlare della trama o scrivere una di quelle frasette a effetto che non dicono nulla ma suonano bene, ma se a scrivere un libro è una persona disabile, allora wow! andiamo a scavare nella sua vita privata per schiacciare il piede sull'inspiration porn che fa scivolare qualche lacrimuccia alle vecchiette tra un diligente giro di rosario e un severo e sdegnato non c'è più mondo, signora mia.

rabbia e schifo a parte per l'abilismo che permea ogni aspetto della nostra società, resistente e disgustoso come una muffa appiccicata alle piastrelle del bagno di un autogrill, ho letto abilisti fantastici e dove trovarli ridendo sola come una scema, sottolineando un sacco di cose che mi facevano pensare mannaggia, questo avrei proprio voluto scriverlo io! oppure ommioddio, ma sta parlando di me! e ogni tanto mi sono dovuta fermare, respirare a fondo e asciugarmi una lacrimuccia.
nel frattempo, pensavo che se già volevo bene a marina, adesso gliene voglio ancora di più.

abilisti fantastici e dove trovarli non è solo una sorta di fenomenologia dell'abilismo o un bestiario contemporaneo, ma è una finestra sul mondo spalancata sulla quotidianità delle persone disabili e sul modo in cui si rapportano con il mondo, anzi, sul modo in cui il mondo si rapporta a loro.

la prima parte presenta proprio un campionario di casi-studio paradigmatici di questo pessimo rapporto tra le persone non-disabili e quelle disabili, dove a uscirne malissimo sono, ovviamente, le prime.
lə abilistə sono classificati, sulla base dei loro comportamenti, in una serie di categorie:
l'homo misericordiusus, l'homo indifferens, il quoque, il tuttologo, il stimammiro, il punisher, il diversamente ipocrita, il timoroso, il pesce lesso, l'artista illuminato, la femminista™, il falso invalido, una lunga sfilza di nomi (davvero geniali! non vi spoilero nulla sulle diverse categorie perché meritano davvero di essere studiate una ad una) che dimostrano la varietà di atteggiamenti discriminatori - a volte anche difficilmente riconoscibili - che le persone disabili si ritrovano a subire e la loro potenziale (quasi sempre effettiva) onnipresenza in qualsiasi contesto.

le altre due sezioni del libro raccontano il mondo dal punto di vista delle persone disabili, dalle divertentissime definizioni alternative dei cosiddetti ausili, al modo in cui chi ha una disabilità si ritrova ad affrontare situazioni e momenti che se pure fanno parte della vita di chiunque diventano però, fin troppo spesso, motivo di interminabili battaglie per l'autoaffermazione.

la caratteristica fondamentale di abilisti fantastici e dove trovarli è, in tutte le sezioni, la capacità di marina di sdrammatizzare senza banalizzare, di usare l'ironia come arma - mai come scudo dietro cui nascondersi - per raccontare la disabilità e l'abilismo spogliandoli di tutta quella retorica pietistica e ispirazionale che ci ha davvero stancatə.

ho avuto il piacere di presentare il libro a bologna a giugno fa fa ma ci tenevo tantissimo a farvelo raccontare da marina anche qui su claccalegge e quindi... buona lettura!


ciao marina, grazie mille per aver accettato l’invito e benvenuta su claccalegge!
ci racconti la genesi di abilisti fantastici e dove trovarli?
► Questo libro nasce principalmente da un’esigenza: mettere un punto al mio percorso di consapevolezza sull’abilismo. Dopo circa un decennio di scrittura e confronto, ho sentito il bisogno di tornare alla non-fiction umoristica – il genere da cui sono partita – portandomi dietro tutto ciò che l’esperienza e lo studio mi hanno insegnato. Questa non è una conclusione: credo che non si smetta mai di imparare, soprattutto riguardo all’abilismo. Ciò che però resta una certezza è che oggi, rispetto a quando ho cominciato a scrivere, ho una visione più politica della disabilità. E ne sono felice.
l’ironia è il tuo punto di forza e il tuo tratto distintivo, però a volte sembra difficile guardare alla discriminazione abilista e trovare una chiave interpretativa che trasformi delle situazioni che fanno venire voglia di urlare in qualcosa che faccia ridere. come ci riesci?
► In generale ho sempre sentito una grande affinità con l’umorismo, anche se è esploso nel mio modo di comunicare dopo l’adolescenza. Probabilmente, come molte persone appartenenti a gruppi marginalizzati, all’inizio l’ho usato come una “salvezza personale”. Quando il tuo corpo destabilizza e mette a disagio chi ti circonda, impari presto a far sentire gli altri a loro agio attraverso l’umorismo. Con il tempo ho capito che questa modalità funzionava molto bene per veicolare temi spesso percepiti come seri, tragici o molto tecnici. Da lì mi è venuto naturale scrivere di disabilità con umorismo: per me è anche molto terapeutico.
tra tutte le cose brutte che finiscono in -ismo, l’abilismo è forse la discriminazione più subdola, quella che spesso si presenta quasi come un complimento o un qualche tipo di carineria. come si fa a smascherare questi comportamenti? e, soprattutto, come se ne esce dalle reazioni vittimistiche di chi viene smascheratə?
► Spesso non è semplice riconoscere l’abilismo. Io ci ho messo anni a rendermi conto che molti comportamenti nei miei confronti lo erano. L’abilismo benevolo, infatti, è il più subdolo, perché si maschera appunto da gentilezza. Ho imparato a individuarlo perché certe persone adottano quella modalità solo con le persone disabili; nelle stesse situazioni, con chi non è disabile, mantengono un approccio neutro. Quando glielo fai notare però, scatta subito la difensiva. Personalmente, ormai scelgo di spendere parole solo quando dall’altra parte vedo apertura, disponibilità all’ascolto e volontà di rivedere il proprio modo di fare. Altrimenti… ci sono i vari rimedi del libro. (Scherzo!)
tu ti occupi moltissimo della rappresentazione della disabilità nei media, anche quelli più pop, e ci insegni giustamente che più vediamo qualcosa, più quel qualcosa entra nella nostra quotidianità e smette di farci paura. però dipende tutto da “come” si racconta la disabilità: parlando di libri/film/serie tv, quali sono le narrazioni più tossiche in cui ti sei imbattuta?
► In genere, le narrazioni più persistenti e pervasive sono ancorate a due specifiche cornici.
Da una parte resiste il registro tragico-pietistico, dove la disabilità è trattata come una condanna o come il principale impedimento alla “realizzazione” personale. È un immaginario che discende da un antico accostamento tra disabilità e mostruoso: il corpo non conforme viene mostrato come qualcosa di disturbante, innaturale, fuori norma, da temere o da occultare. Questa eredità culturale finisce per trasformare i corpi disabili in corpi “altri”, percepiti come scarti o eccezioni rispetto al modello dominante.
Dall’altra, si impone il racconto eroico-motivazionale, in cui la persona con disabilità diventa un simbolo edificante di forza e superamento, spesso costruito per lo sguardo di chi guarda più che per la sua storia. In entrambi i casi la tossicità sta nella semplificazione: la disabilità viene ridotta a segno o metafora, invece di essere riconosciuta come una dimensione umana piena, complessa e quotidiana.
tornando un attimo alla bellissima fenomenologia dellə abilistə che hai descritto meravigliosamente nella prima parte del libro, qual è il tuo “tipo” più odiato?
► Difficile sceglierne uno, sono tutti abbastanza irritanti. Se proprio devo, il “Ti Stimo&Ammiro” è quello che sopporto meno; forse perché nella mia esperienza è tra i più refrattari all’ascolto. Del resto, se non fosse così diffuso, non avremmo coniato un termine preciso per i loro comportamenti. Grazie per averci “regalato” l’inspiration porn: ne sentivamo davvero il bisogno…
il personale è politico è uno dei pilastri del pensiero e della pratica femminista che si può adattare benissimo anche alle lotte contro la discriminazione verso le persone disabili, e in abilisti fantastici e dove trovarli, quando racconti com’è nascere, crescere e barcamenarsi nel mondo in quanto persone disabili, sembra esserci effettivamente molto di tuo. hai mai trovato delle difficoltà nel prendere dalla tua esperienza personale per parlare di disabilità e abilismo?
► Quando ho cominciato a scrivere avevo molta difficoltà ad attingere alla mia esperienza personale per parlare di disabilità. Oggi riesco a farlo di più, ma sempre con grande moderazione e scegliendo con cura le parole e le modalità. Ho sempre il timore che le persone non colgano il messaggio sistemico centrale, ma si concentrino sui miei aspetti personali in maniera morbosa. Insomma, diciamolo: anni di spettacolarizzazione della disabilità mi hanno evidentemente segnata. In ogni caso, resto convinta che portare il personale per fini politici non solo è importante, ma fondamentale: può davvero essere un’arma potente.
il libro è uscito da un po’ quindi posso chiedertelo: che feedback hai avuto dallə tuə lettorə?
► Per ora direi che i feedback sono buoni, e ne sono davvero felice. La cosa che amo di più è sapere che le persone si divertono leggendo. Da umorista, il mio terrore più grande è che la gente non rida. Potrei anche sotterrarmi!
tu sei molto attiva sui social ma vai anche molto spesso in giro per presentazioni, panel ed eventi a parlare di abilismo: pensi ci sia una differenza di reazione alle tue parole tra il mondo virtuale e quello fisico?
► Ultimamente, non so, forse per le derive che sta prendendo il mondo dei social, mi sento molto più a mio agio nel contatto dal vivo. Escluse le persone che mi seguono, quando mi trovo fuori dalla mia “bolla” online trovo moltissima resistenza su disabilità e abilismo. Le persone si sentono più autorizzate a dire cose abiliste senza provare alcun rimorso. Alle presentazioni e negli incontri dal vivo, devo ammetterlo, mi succede molto più raramente. Forse lo schermo smaschera la natura delle persone; non saprei, ma il digitale sta diventando sempre più pesante.
parlando francamente: come pensi che stia andando questo paese in merito alla lotta antiabilista?
► Male! Possiamo dirlo senza giri di parole: in questo paese la disabilità è ancora l’ultima ruota del carro. Certo, abbiamo più voce rispetto al passato, questo sì, ma facciamo ancora una fatica immane a ottenere anche solo il minimo sindacale, ed è sfiancante. Vorrei essere più ottimista e spero davvero che i miei nipoti possano vivere in un mondo meno abilista di quello in cui ho vissuto io, ma temo che serviranno molte più generazioni per arrivarci.
hai già in mente qualcosa di nuovo per un prossimo libro?
► Non voglio spoilerare, ma sto lavorando a un progetto a cui tengo molto e che spero veda presto la luce. Posso solo dire che sento la mia scrittura molto affine alle generazioni più giovani.

 

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