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lunedì 5 agosto 2019

i fantasmi di darwin

al posto di quello che per quattordici anni era stato il mio volto, c'era un altro volto, quello di un giovane sconosciuto.
gli occhi di quell'uomo, la sua incolta zazzera selvaggia di capelli neri, il naso camuso e gli zigomi alti, le carnose labbra aborigene separate da un bianco, sfavillante accenno di dentatura, il suo sguardo sprezzante sensuale enigmatico; oh se gli sguardi potessero uccidere, se gli sguardi...
gli occhi, gli occhi scuri.
il mio visitatore.

l'undici settembre millenovecentottantuno fitzroy foster compie quattordici anni.
alle prime luci dell'alba, prima di alzarsi dal letto, si masturba per la prima volta nella sua vita, pensando alla sua ragazza, camilla wood.
poi scende giù, dove lo attende tutta la famiglia, con i regali e gli abbracci, pronti a festeggiare.
suo padre, appassionato di fotografia, ha una polaroid istantanea con la quale immortala la scena.
da questo preciso attimo la vita di fitzroy cambia drasticamente: nella foto, in ogni foto scattata da quel momento in poi, invece del volto di roy c'è la faccia di un perfetto sconosciuto, un ragazzo, forse un aborigeno, un selvaggio vissuto chissà quanti decenni prima, a chissà quanti chilometri di distanza.

inizia per roy un periodo, lungo anni, di reclusione: niente più scuola, amici, niente più camilla, niente di niente. roy non diventerà lo strano esemplare da analizzare e studiare di un team di medici e scienziati incuriositi dalla sua strana condizione e per di più, impossibilitato ad avere dei documenti d'identità con una fotografia aggiornata, uscire di casa - viaggiare! - diventa assolutamente impossibile.
isolato e chiuso in casa, destinato a una vita nell'ombra seppur circondato dall'amore e dalle cure della sua famiglia, roy viene letteralmente salvato da camilla: negli anni in cui sono stati lontani lei non ha smesso di pensare a lui e all'uomo che le era stato mostrato in quella foto fatale, ha studiato, ottenuto brillanti risultati e iniziato una ricerca sulla possibilità che esista una connessione tra memoria e biologia, che il passato non si lasci immortalare solo dalle macchine fotografiche, che non sia registrabile solo dai documenti e dai racconti, ma che rimanga fisicamente, generazione dopo generazione, intrappolato nei geni umani, pronto a mostrarsi e a raccontarsi.

insieme a camilla, roy comincerà - tra mille difficoltà, momenti di folle felicità e altri di totale tristezza e profondo sconforto - un viaggio a ritroso nel tempo, scavando nel passato della sua famiglia, andando alla ricerca dei suoi avi e delle loro storie, scoprendo atrocità che mai avrebbe immaginato.

attraverso la vita di roy ariel dorfman ci racconta l'orrore degli zoo umani (le esposizioni etnologiche di cui l'europa tutta non finirà mai di vergognarsi), parchi di tortura - e di divertimento dall'altra parte - in cui intere famiglie aborigene, rapite e deportate dalla loro terra, venivano usate come attrazione e spettacolo per gli occhi dei bianchi, civili e progrediti europei.

i fantasmi di darwin è un romanzo difficile da incasellare in un genere ben definito: realismo magico, realtà storica, surrealismo, giallo, racconto di formazione, thriller, c'è tanto tra queste pagine, c'è la vicenda appassionante e quasi kafkiana di un ragazzo che perde la sua identità e fa di tutto per riprendersela e c'è la denuncia di una società autoproclamatasi superiore che sotto l'egida del progresso e della civilizzazione ha commesso delitti atroci e inimmaginabili, ha offeso e schiacciato la dignità e la vita di centinaia, migliaia di persone solo perché diverse e in quanto tali considerate inferiori.
un romanzo che si lascia divorare in un paio di giorni, che non lascia tregua e che altrettanto ferocemente divora le nostre convinzioni, le nostre certezze, la nostra impropria autopercezione.

la storia di roy, per quanto fantasiosa possa essere, diventa però pretesto non solo per raccontare il nostro passato di colonizzatori brutali ma sopratutto per farci guardare con un po' più di consapevolezza al nostro presente e a quello che rischia di essere il nostro futuro: davvero crediamo di essere meglio di chi appena due secoli fa vendeva esseri umani e pagava il biglietto per vederli umiliare, soffrire e morire? siamo davvero sicuri che non ci sia più nessuno a credere che loro siano diversi da noi?

mercoledì 6 luglio 2016

quella luce negli occhi

prima di iniziare a parlare del libro, tocca fare una premessa, una roba che se volete potete anche saltare eh, ma io comunque cerco di non andare troppo per le lunghe.
il fatto è che la premessa è necessaria, altrimenti non si capirà bene quello che dirò del libro, o meglio, magari vi aspettate quello che io non posso dirvi di questo libro. ma se non vi spiego la premessa, non posso spiegarvi cosa non posso dire. troppo complicato così, vado con ordine.

dunque, come ormai saprà chi segue questo blog da un po' di tempo - e quei tre gatti che mi conoscono di persona e ogni tanto passano qui per sbaglio - io ho un pessimo rapporto con il genere horror. non sono mai riuscita a vedere un film horror, quelle poche volte che ho visto qualche scena un po' splatter o angosciante o eccessivamente violenta (o anche solo violenta) in un film, ci sono poi stata malissimo per mesi, giuro. al periodo delle medie feci incubi assurdi per non ho idea quanto tempo, ma comunque tanto, per colpa di qualche dylan dog che lessi all'epoca. non ho mai letto un libro horror perché sapendo come reagisco a questo tipo di cose, ho preferito dar precedenza ad altro (con la mia wishlist è impossibile un pensiero tipo vorrei leggere qualcosa ma non so cosa. lo so benissimo, cazzo!). però, come penso sia normale per tutta l'umana specie, quello che mi spaventa mi attrae. e quindi, anche se non riesco comunque a vedere film o leggere fumetti o libri horror, ammetto che determinate tematiche o figure hanno una certa fascinazione su di me, sopratutto quando sono trattate da un punto di vista che vada oltre il semplice ora ti faccio cagare in mano. per esempio, ho apprezzato parecchio intervista col vampiro (libro, il film non me lo vedo manco morta) per il modo in cui si parla dei vampiri: ok, sono dei mostri che dissanguano la gente per sfamarsi, ma sono anche creature maledette che hanno davanti l'eternità per soffrire della scomparsa di tutti quelli che amano e per il rimorso di dover uccidere ogni volta per poter sopravvivere. è l'aspetto psicologico, se vogliamo, quello che mi piace di questo tipo di storie. come ci si sente a essere il mostro? ecco, questa cosa sarà interessante per quello che riguarda il libro, ma ora ci arriviamo.

una delle figure tipiche del genere horror che mi ha sempre affascinata, oltre ai vampiri, sono i non morti. ok, mi fanno uno schifo pazzesco e non riesco nemmeno a tollerare un non morto disegnato, non potrei mai vedere un film simile né potrei sopportare un racconto troppo dettagliato sulle parti più disgustose della faccenda (decomposizione e nutrizione in particolar modo).
quindi - e ci siamo finalmente! - sono secoli che cercavo qualcosa che parlasse dei non morti andando oltre i vermi e gli svisceramenti, qualcosa che non fosse solo splatter e panico.
e poi un bel giorno, mi ritrovo a girellare sul sito di clichy (è come quando girelli in libreria, io lo faccio saltellando da un sito all'altro, da un editore all'altro, da un blog all'altro) e becco quella luce negli occhi: un libro che parla di non morti senza focalizzarsi solo su splatter e panico. da voglio tantissimo questo libro a ok, lo prendo, c'è voluto veramente pochissimo rispetto ai miei soliti tempi di stagionatura in wishlist.
se siete giunti fino a qui bravi. il libro mi è piaciuto un botto ed era esattamente il libro che volevo leggere da anni. ovviamente, non aspettatevi riferimenti a film sui non morti, a telefilm sui non morti, ad altri romanzi sui non morti, perché questo è il mio primissimo approccio in merito. ecco perché tutto questo infinito pippone, per pararmi il culo ed evitarmi commenti a sproposito di the walking dead e affini.


siamo più o meno ai giorni nostri, in lousiana, nella città di baton rouge. è l'ultima settimana del mese che mike e matt si sono dati come tempo massimo per cercare il padre di quest'ultimo, il signor mazoch.
da meno di un anno è esplosa una misteriosa quanto pericolosa epidemia che ha riempito la città di non morti, le acque adesso iniziano a calmarsi, ma i casi di contagio continuano a crescere di giorno in giorno, e molto probabilmente al signor mazoch deve essere capitato un qualche brutto incontro con un infetto che lo ha reso un non morto, o nella peggiore delle ipotesi, il pasto di un non morto.
matt non si rassegna e vuole a tutti i modi trovare il padre, e mike non ha intenzione di lasciare l'amico da solo esposto al pericolo del contagio.

l'azione si svolge in soli sei giorni, da lunedì a sabato, e a dirla tutta è forse eccessivo definirla azione. in effetti matt e mike si affidano alla comune teoria che qualcosa, una forma di memoria incosciente, spinge i non morti a tornare nei luoghi che avevano amato da vivi, o quelli a cui semplicemente erano abituati. per questo, ogni giorno, cercano il signor mazoch, un ex-idraulico dalle abitudini non troppo salutari, nei posti che frequentava giornalmente: la sua casa, i fast food dove consumava montagne di cibo spazzatura, eccetera. hanno tempo solo fino a che non arrivi la stagione degli uragani, poi sarà impossibile continuare le ricerche, e anche solo sperare di trovare il signor mazoch.
in questo periodo, la situazione in cui vivono è abbastanza controllata e tranquilla: delle squadre speciali di polizia hanno già rinchiuso gli infetti in speciali centri di quarantena, gli episodi di contagio ci sono, ma non sono troppo comuni: dopo il terrore, la gente ha ricominciato a vivere con relativa serenità.

nel frattempo mike deve relazionarsi con le sue paure, i suoi pensieri, i suoi dubbi e la sua ragazza, rachel. la ricerca del signor mazoch, e in generale la vicenda della città impestata, sono solo un modo per bennet sims, attraverso la voce di mike, per riflettere sui temi che ci affascinano e ci tormentano dal momento in cui abbiamo smesso di essere scimmie: la vita, la morte, la coscienza, l'identità, la memoria, gli affetti familiari, l'amore, i rapporti complicatissimi tra tutte queste cose.
se la fatica di doversi adattare alla tensione degli ultimi mesi, al terrore del contagio, al pericolo di questi cannibali inarrestabili non fosse già abbastanza, ai sopravvissuti tocca di dover trovare un nuovo modo per vivere la loro solita vita, di non cedere alla paura, di continuare a essere quello che erano, senza però per questo abbassare la guardia.
rachel è la figura che meglio sintetizza tutto questo: è una ragazza che se pure ha conosciuto momenti dolorosi, difficili e tristi, ama troppo la vita per lasciarsi terrorizzare e chiudersi fra quattro mura in preda al panico. ogni volta che rievoca con mike qualche momento felice che i due hanno vissuto insieme, non fa che ricordare a sé stessa e al suo uomo che la paura non deve cambiarli, che hanno il dovere di rimanere quelli che erano: due giovani innamorati con sogni e speranze per il loro futuro insieme, con la gioia del presente e il piacere di condividere il passato.
se rachel risplende di una dorata luce di ottimismo, dall'altro lato mike con i suoi dubbi, la sua curiosità quasi perversa e ossessiva per i non morti che pure lo terrorizzano tanto, cerca di immedesimarsi in loro, di capire cosa sentono, cosa vedono, cosa ricordano, cosa sono in grado di decidere e cosa invece è dettato da una sorta di istinto mnemonico e animalesco. e matt con il suo atteggiamento cupo e chiuso, sono l'altra faccia della medaglia, quella inevitabilmente scossa a causa della continua minaccia che incombe su chiunque, in qualsiasi momento.

se i non morti sono - in questo romanzo e credo in qualsiasi altro racconto di cui sono protagonisti - un tentativo a dare una risposta alla fatidica domanda cosa c'è dopo, o quanto meno la forma materiale della nostra incapacità di accettare la morte, l'atmosfera dell'intero racconto mi ha più volte riportato alle sensazioni vissute davanti ai tg qualche mese fa, durante le lunghissime, angoscianti dirette relative agli attentati in francia, in belgio, in turchia, proprio pochi giorni fa mentre scrivevo questo post (e tutti gli altri): la frustrante irrisolvibile ansia che ci coglie ogni volta che qualcosa di incontrollabile sconvolge le nostre vite e ci fa sentire continuamente in pericolo, senza poter sapere da dove arriverà il nemico, né che forma avrà. e al contempo, la voglia - come se fossimo rachel - di continuare a vivere, ad assaporare il presente nelle sue piccole, grandi meraviglie, a sognare il futuro senza darla vinta al terrore.

quella luce negli occhi è un romanzo tanto semplice, di facile lettura, appassionante, quanto denso, forte, emotivamente coinvolgente.
mike racconta gli eventi, andando avanti e indietro tra presente e passato, ricorda i momenti felici e quelli tristi, fa digressioni, espone i suoi dubbi, le sue teorie, le sue speranze, e lo fa in modo da farci entrare immediatamente nella vicenda, da lasciarci spaesati quanto lui, pieni di dubbi e di paura quanto lui, ma anche di aiutarci a riflettere sul significato stesso dell'esistenza, e di come questa, inesorabilmente, comprenda la sua stessa fine.
insomma, che siate o meno amanti del genere horror, che vi piacciano o meno i non morti, fatevi un favore e leggete questo libro.

lunedì 4 luglio 2016

figli della polvere

spietato e appassionante.
ecco i due aggettivi perfetti per descrivere figli della polvere di colin winnette, romanzo edito da clichy che mi ha catturata dal primo momento in cui ho visto la copertina e letto qualche riga della trama. a proposito della trama, vorrei precisare che fino ad ora non ho letto in rete nessuna recensione che racconta molto della vicenda, e ho deciso di fare lo stesso, visto che in effetti sarebbe impossibile farlo senza svelare colpi di scena che mi hanno lasciata veramente a bocca aperta, e non voglio rovinare la sorpresa a nessuno.
oltretutto, non sono mai stata un'appassionata del genere western: non conosco i film "classici", non ho mai letto romanzi western e tex mi è sempre stato antipatico. a dirla tutta, l'idea di cow boy mi sta antipatica, quindi non saprei fare dei confronti con altre opere che hanno ambientazioni simili. ma non è questo il punto. ok, è un western, ma è principalmente un romanzo incredibile, profondo, tremendo. quindi se anche voi non siete troppo affascinati da sceriffi, banditi e tagliagole vari, fregatevene allegramente e leggete questo libro.


due fratelli, brooke e sugar, assassini di professione, vagabondi per necessità, una notte, accampati nel bosco durante il viaggio tra un villaggio e l'altro, si risvegliano insieme a un bambino. un ragazzino completamente nudo, addormentato tra loro due, che non ricorda niente di sé, né il suo nome, né da dove viene, né come è arrivato a trovare i due fratelli.
brooke e sugar decidono di prenderlo con loro, gli danno il nome di bird, gli insegnano che la vita è crudele e che la crudeltà, in fondo, è necessaria.
dunque, proverai un certo orgoglio, un senso di realizzazione. ma ti sentirai anche a disagio, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto questo. be', non c'è. è naturale come respirare. quel senso di colpa è tutta paura. paura che un giorno ci sarai tu dalla parte sbagliata della fionda, e desiderio improvviso che nessuno debba mai fare una cosa del genere. puoi sbarazzartene se ti limiti ad accettare quello che ti accadrà in un futuro remoto, e ti adoperi per prevenirlo nel futuro prossimo. non ha importanza chi decidi di risparmiare, perché tanto morirai comunque, ed è probabile che sarà per via di un sasso che ti cade in testa o di una brutta tosse, così come di qualcuno che ti voleva morto. perciò, prima lo accetti, prima passi oltre.
la storia va avanti tra uccisioni e incontri dagli effetti imprevedibili, fino al momento in cui i tre si ritrovano separati. tra le difficoltà del presente, la mancata - impossibile - speranza nel futuro e i ricordi del passato, ci vengono consegnati i ritratti di uomini nati in una terra e in un tempo in cui parole come pietà, giustizia, comprensione, solidarietà non hanno alcun significato, uomini abituati a sopravvivere con qualsiasi mezzo, abituati a uccidere per farlo, abituati a una violenza che poco ha a che vedere con le già dure leggi di sopravvivenza naturale.
il mondo di brooke, sugar e bird è un mondo sporco che non conosce rispetto per nulla se non per la paura, e che affronta le paure con le pistole e i coltelli. un mondo di uomini che hanno come unica legge quella del sopruso e della forza, in cui persino le vittime sono abomini e l'unica forma di compassione è la morte.

il linguaggio di colin winnette è perfetto: asciutto, semplice, senza sentimentalismi né sensazionalismi di sorta. l'autore prende semplicemente atto delle azioni e dei pensieri dei suoi personaggi, senza indugiare in descrizioni né, sopratutto, giudizi di alcun tipo. il risultato è un romanzo fortissimo e straziante, una storia appassionante, e personaggi indimenticabili.