venerdì 26 gennaio 2018

la saggezza delle pietre

lascia che mi trasformi.
lasciami diventare vera.
lasciami diventare selvaggia!


una coppia decide di inoltrarsi nella natura selvaggia, di fare un viaggio a contatto con le asperità della montagna e dei boschi, sulla cima dei pirenei, un modo - pensa lei - per risanare un po' un rapporto ormai quasi finito.
abituati alla vita in città, il paesaggio che si apre ai loro occhi è di una bellezza incredibile, feroce e immensa.
lui, thibaut, è pieno di sé, sicuro delle sue capacità, della sua intelligenza, della sua cultura. riserva alla sua compagna un'attenzione quasi paternalistica, a volte un po' penosa, si erge silenziosamente e senza dare troppo nell'ombra a faro nella notte, guida a cui lei può fare affidamento sempre e comunque, preferibilmente rendendo grazie.
lei è silenziosamente satura di questa accondiscendenza, che non accenna a sparire neppure tra gli alberi del bosco, eppure forse è innamorata, sicuramente è dipendente da lui, gli cammina un passo indietro e anche lì, lontani dalle comodità e dalle sicurezze, si sente sicura proprio grazie alla sua presenza.
è spezzata in due, lacerata dal bisogno di allontanarlo, di essere libera, e la paura della sua assenza.

per un momento, un lampo rosso tra gli alberi indica la presenza di una volpe. gli occhi della giovane donna incontrano quelli dell'animale: come in un effetto speciale di un film di qualche decennio fa, i due sguardi si sovrappongono. è come il momento silenzioso in cui esplodono le barriere che le impediscono la comprensione delle voci nel bosco, un contatto solo mentale, o forse nulla di più di una semplice coincidenza.

la gioia di quella gita dura per poco, la giovane si ritrova sola, accanto al cadavere del suo uomo. sconvolta, terrorizzata, addolorata, ripassa le foto sul cellulare. è l'ultimo contatto con la civiltà, fino a che lo schermo non si spegne.

inseguita dagli incubi, sola e sotto shock, decide, al centro di una vallata fiorita, di togliersi i vestiti di dosso e non tornare più alla civiltà: qui si sente vera, selvaggia, si sente se stessa, libera dalle aspettative degli altri, dai suoi stupidi obblighi, dalla vacuità del suo vivere quotidiano prima che tutto questo accadesse.
la natura è immensa, bellissima, potente e lei se ne sente parte: è un animale come gli altri adesso.
o almeno è quello che crede.

il corpo della donna inizia a trasformarsi: i capelli si fanno più forti e intrecciati, i peli ritornano a crescere, i muscoli diventano più forti, il grasso sparisce, le ossa iniziano a sporgere.
è una trasformazione lenta ma evidente, che continua pagina dopo pagina: la natura immutata ed eterna e un corpo su cui il tempo scorre anche troppo velocemente, un corpo che tende a mutarsi in tante cose ma che non sa rinnegare la propria essenza.
è ancora in bilico sul bordo che divide l'ideale dal reale, ma è proprio il suo corpo inizia a comprendere quello che l'aspetta.

è sotto un immenso cielo stellato, persa nella bellezza delle stelle, che alla nuova creatura del bosco viene palesata la realtà della natura: non è una cartolina di cui ammirare le bellezze. è forte, è crudele, è impietosa. per poter ammirare le stelle lontani dalla luce dei neon e dei lampioni, bisogna riuscire a sopravvivere.

la volpe

stremata dalla fame, e dagli incubi che non la lasciano mai sola, incontra di nuovo la volpe che aveva visto poco prima dell'incidente di thibaut.
l'associazione alla scena tra il piccolo principe e la volpe è immediata, e forse anche a lei è venuta in mente. l'aspettativa è idillica e romantica ma non sarà la fulva creatura a farsi addomesticare, in natura non funziona così: a nulla vale indebolirsi o andare in brodo di giuggiole per un campo dorato di grano, anche se ti ricordano i capelli di chi ami.
la volpe le insegnerà a cacciare, a uccidere, a fiutare gli odori, a mangiare la carne cruda, a trasformarsi in un animale selvaggio, a sopravvivere da sola.

le querce

in un bosco di querce le sembra di trovare la pace, la serenità. impara presto a sentire le voci degli alberi, inizia a sentirti un albero anche lei, ben piantata nella terra, protesa verso il sole e il nutrimento. ma la frescura dell'ombra degli alberi può essere anche furto fatale, la maestosità delle loro altezze può nascondere piccolezza d'animo, la stabilità del loro vivere immobile può avere un prezzo troppo caro da pagare.
una donna non può diventare un albero.

le pietre 

stremata, alla ricerca di se stessa e di un modo di riconoscersi in quel bosco e di riuscire a farne parte, impazzita per la solitudine, sconvolta dalla crudeltà che si disvela tra gli incantevoli scenari naturali, cerca riparo e compagnia tra le pietre. sono sagge, eterne, immobili.
smettere di affannarsi, di allungarsi, di crescere, di nutrirsi, di morire, smettere di fare, di pensare, di desiderare, limitarsi ad essere. è la follia che si impadronisce di lei sotto forma del corpo gonfio e putrido di thibaut, fantasma che le mostra il più improbabile dei paradisi, quello in cui l'orrore della lotta per la vita non esiste più. è un viaggio allucinato nei recessi della mente, tra sogni e ricordi e immagini lontane.
gilbert ci regala un momento di pace, l'illusione di un lieto fine, di una metafora del perdersi dentro se stessi e tornare indietro, ma non dura che pochi battiti di cuore.
torneremo alla montagna, alla più dura e commovente - e anche dolce - delle conclusioni possibili.


la saggezza delle pietre è un capolavoro, una storia che ha un'intensità che si raggiunge raramente.
thomas gilbert non è per nulla interessato a trovare un valore morale alla natura che riempie tutte le pagine del suo romanzo, non è una natura buona né crudele, è al di fuori di qualsiasi considerazione, superiore a ogni giudizio. semplicemente è così, impietosa e magnifica.
non scrive una storia ambientalista, non racconta la lotta tra uomo e natura - e forse proprio per questo è una donna la protagonista - quanto il tentativo disperato di farne davvero parte, di ricongiungersi ad essa, scoprendo di essere ormai troppo lontani da quel mondo, più deboli del più misero insettino: incapaci di vivere in un mondo che non riusciamo a piegare alle nostre esigenze, incapaci di piegare il nostro corpo alle esigenze della natura, incapaci anche di vivere soli, lontani dagli altri, lontani da qualsiasi cosa possiamo chiamare civiltà.
e racconta con spietata chiarezza anche la realtà di quelle bellezze naturali che tanto rimpiangiamo e mascheriamo dietro la nostra visione romantica: la già citata scena delle stelle, spettacolo da mozzare il fiato, non è alto che la contemplazione impietosa di un cimitero di luci già morte.
non solo l'inquinamento, non solo le violenze fisiche a cui da secoli sottoponiamo il pianeta, ma anche la nostra stessa etica è incompatibile con la natura, il nostro voler a ogni costo giudicare, dare un voto, un nome, una spiegazione morale alle cose.
gilbert ci mostra il mondo così, semplicemente per quello che è, con le sue crudeltà e con le sue meraviglie, alternando carboncini e matite, tra le ombre di un boschetto o le superfici lisce e chiare di un costone roccioso, lasciando correre il tratto sul foglio, ricreando un immenso affresco in bianco e nero, come se i colori potessero distrarci dalla vera essenza della natura: spietata, enorme, senza tempo.

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