lunedì 1 settembre 2025

abilisti fantastici e dove trovarli ~ intervista a marina cuollo

in quel settore del dizionario dove ci sono tutte le parole che finiscono in -ismo – ovvero dove gravitano una quantità spropositata di merde – ce n’è anche una che riguarda noi persone disabili: l’abilismo. l’abilismo, per chi non lo sapesse, è quella sottile e squisita pratica sociale che trasforma la vita delle persone con disabilità in una gita all’inferno. non è che qualcuno si svegli la mattina e decida di farlo apposta, per carità. è più un riflesso pavloviano, un’abitudine culturale che si perpetua con la stessa naturalezza con cui ci si sciacqua la faccia appena svegli. dalla notte dei tempi, per qualche strana ragione, la società ha stabilito che chi si muove, vede, sente o funziona in modo diverso dalla maggioranza non è proprio in cima alla lista delle priorità. anzi, a volte pare non sia nemmeno sulla lista.

mentre questo libro cominciava a fare capolino nelle librerie, trovo degli screenshot tra le storie di marina che mi hanno quasi fatta cadere nello sconforto. erano dei trafiletti di un giornale - uno super noto, non ricordo di preciso quale, ma insomma una delle tante porcherie su carta che nel nostro paese normalizzano le discriminazioni e la violenza, e giustificano il genocidio, per farvi capire - in cui invece di presentare il libro, lə pennivendolə di turno spiattellava la cartella clinica di marina lì, nero su bianco.
eppure, anche solo a voler presentare l'autrice e non il libro, marina cuollo è una di quelle persone che ti costringe a prendere sette, otto righe di appunti già solo per riassumere la sua biografia, tra successi accademici, attivismo e lavoro.
e allora perché?
perché, si sa, se una persona non-disabile scrive un libro ha senso parlare della trama o scrivere una di quelle frasette a effetto che non dicono nulla ma suonano bene, ma se a scrivere un libro è una persona disabile, allora wow! andiamo a scavare nella sua vita privata per schiacciare il piede sull'inspiration porn che fa scivolare qualche lacrimuccia alle vecchiette tra un diligente giro di rosario e un severo e sdegnato non c'è più mondo, signora mia.

rabbia e schifo a parte per l'abilismo che permea ogni aspetto della nostra società, resistente e disgustoso come una muffa appiccicata alle piastrelle del bagno di un autogrill, ho letto abilisti fantastici e dove trovarli ridendo sola come una scema, sottolineando un sacco di cose che mi facevano pensare mannaggia, questo avrei proprio voluto scriverlo io! oppure ommioddio, ma sta parlando di me! e ogni tanto mi sono dovuta fermare, respirare a fondo e asciugarmi una lacrimuccia.
nel frattempo, pensavo che se già volevo bene a marina, adesso gliene voglio ancora di più.

abilisti fantastici e dove trovarli non è solo una sorta di fenomenologia dell'abilismo o un bestiario contemporaneo, ma è una finestra sul mondo spalancata sulla quotidianità delle persone disabili e sul modo in cui si rapportano con il mondo, anzi, sul modo in cui il mondo si rapporta a loro.

la prima parte presenta proprio un campionario di casi-studio paradigmatici di questo pessimo rapporto tra le persone non-disabili e quelle disabili, dove a uscirne malissimo sono, ovviamente, le prime.
lə abilistə sono classificati, sulla base dei loro comportamenti, in una serie di categorie:
l'homo misericordiusus, l'homo indifferens, il quoque, il tuttologo, il stimammiro, il punisher, il diversamente ipocrita, il timoroso, il pesce lesso, l'artista illuminato, la femminista™, il falso invalido, una lunga sfilza di nomi (davvero geniali! non vi spoilero nulla sulle diverse categorie perché meritano davvero di essere studiate una ad una) che dimostrano la varietà di atteggiamenti discriminatori - a volte anche difficilmente riconoscibili - che le persone disabili si ritrovano a subire e la loro potenziale (quasi sempre effettiva) onnipresenza in qualsiasi contesto.

le altre due sezioni del libro raccontano il mondo dal punto di vista delle persone disabili, dalle divertentissime definizioni alternative dei cosiddetti ausili, al modo in cui chi ha una disabilità si ritrova ad affrontare situazioni e momenti che se pure fanno parte della vita di chiunque diventano però, fin troppo spesso, motivo di interminabili battaglie per l'autoaffermazione.

la caratteristica fondamentale di abilisti fantastici e dove trovarli è, in tutte le sezioni, la capacità di marina di sdrammatizzare senza banalizzare, di usare l'ironia come arma - mai come scudo dietro cui nascondersi - per raccontare la disabilità e l'abilismo spogliandoli di tutta quella retorica pietistica e ispirazionale che ci ha davvero stancatə.

ho avuto il piacere di presentare il libro a bologna a giugno fa fa ma ci tenevo tantissimo a farvelo raccontare da marina anche qui su claccalegge e quindi... buona lettura!


ciao marina, grazie mille per aver accettato l’invito e benvenuta su claccalegge!
ci racconti la genesi di abilisti fantastici e dove trovarli?
► Questo libro nasce principalmente da un’esigenza: mettere un punto al mio percorso di consapevolezza sull’abilismo. Dopo circa un decennio di scrittura e confronto, ho sentito il bisogno di tornare alla non-fiction umoristica – il genere da cui sono partita – portandomi dietro tutto ciò che l’esperienza e lo studio mi hanno insegnato. Questa non è una conclusione: credo che non si smetta mai di imparare, soprattutto riguardo all’abilismo. Ciò che però resta una certezza è che oggi, rispetto a quando ho cominciato a scrivere, ho una visione più politica della disabilità. E ne sono felice.
l’ironia è il tuo punto di forza e il tuo tratto distintivo, però a volte sembra difficile guardare alla discriminazione abilista e trovare una chiave interpretativa che trasformi delle situazioni che fanno venire voglia di urlare in qualcosa che faccia ridere. come ci riesci?
► In generale ho sempre sentito una grande affinità con l’umorismo, anche se è esploso nel mio modo di comunicare dopo l’adolescenza. Probabilmente, come molte persone appartenenti a gruppi marginalizzati, all’inizio l’ho usato come una “salvezza personale”. Quando il tuo corpo destabilizza e mette a disagio chi ti circonda, impari presto a far sentire gli altri a loro agio attraverso l’umorismo. Con il tempo ho capito che questa modalità funzionava molto bene per veicolare temi spesso percepiti come seri, tragici o molto tecnici. Da lì mi è venuto naturale scrivere di disabilità con umorismo: per me è anche molto terapeutico.
tra tutte le cose brutte che finiscono in -ismo, l’abilismo è forse la discriminazione più subdola, quella che spesso si presenta quasi come un complimento o un qualche tipo di carineria. come si fa a smascherare questi comportamenti? e, soprattutto, come se ne esce dalle reazioni vittimistiche di chi viene smascheratə?
► Spesso non è semplice riconoscere l’abilismo. Io ci ho messo anni a rendermi conto che molti comportamenti nei miei confronti lo erano. L’abilismo benevolo, infatti, è il più subdolo, perché si maschera appunto da gentilezza. Ho imparato a individuarlo perché certe persone adottano quella modalità solo con le persone disabili; nelle stesse situazioni, con chi non è disabile, mantengono un approccio neutro. Quando glielo fai notare però, scatta subito la difensiva. Personalmente, ormai scelgo di spendere parole solo quando dall’altra parte vedo apertura, disponibilità all’ascolto e volontà di rivedere il proprio modo di fare. Altrimenti… ci sono i vari rimedi del libro. (Scherzo!)
tu ti occupi moltissimo della rappresentazione della disabilità nei media, anche quelli più pop, e ci insegni giustamente che più vediamo qualcosa, più quel qualcosa entra nella nostra quotidianità e smette di farci paura. però dipende tutto da “come” si racconta la disabilità: parlando di libri/film/serie tv, quali sono le narrazioni più tossiche in cui ti sei imbattuta?
► In genere, le narrazioni più persistenti e pervasive sono ancorate a due specifiche cornici.
Da una parte resiste il registro tragico-pietistico, dove la disabilità è trattata come una condanna o come il principale impedimento alla “realizzazione” personale. È un immaginario che discende da un antico accostamento tra disabilità e mostruoso: il corpo non conforme viene mostrato come qualcosa di disturbante, innaturale, fuori norma, da temere o da occultare. Questa eredità culturale finisce per trasformare i corpi disabili in corpi “altri”, percepiti come scarti o eccezioni rispetto al modello dominante.
Dall’altra, si impone il racconto eroico-motivazionale, in cui la persona con disabilità diventa un simbolo edificante di forza e superamento, spesso costruito per lo sguardo di chi guarda più che per la sua storia. In entrambi i casi la tossicità sta nella semplificazione: la disabilità viene ridotta a segno o metafora, invece di essere riconosciuta come una dimensione umana piena, complessa e quotidiana.
tornando un attimo alla bellissima fenomenologia dellə abilistə che hai descritto meravigliosamente nella prima parte del libro, qual è il tuo “tipo” più odiato?
► Difficile sceglierne uno, sono tutti abbastanza irritanti. Se proprio devo, il “Ti Stimo&Ammiro” è quello che sopporto meno; forse perché nella mia esperienza è tra i più refrattari all’ascolto. Del resto, se non fosse così diffuso, non avremmo coniato un termine preciso per i loro comportamenti. Grazie per averci “regalato” l’inspiration porn: ne sentivamo davvero il bisogno…
il personale è politico è uno dei pilastri del pensiero e della pratica femminista che si può adattare benissimo anche alle lotte contro la discriminazione verso le persone disabili, e in abilisti fantastici e dove trovarli, quando racconti com’è nascere, crescere e barcamenarsi nel mondo in quanto persone disabili, sembra esserci effettivamente molto di tuo. hai mai trovato delle difficoltà nel prendere dalla tua esperienza personale per parlare di disabilità e abilismo?
► Quando ho cominciato a scrivere avevo molta difficoltà ad attingere alla mia esperienza personale per parlare di disabilità. Oggi riesco a farlo di più, ma sempre con grande moderazione e scegliendo con cura le parole e le modalità. Ho sempre il timore che le persone non colgano il messaggio sistemico centrale, ma si concentrino sui miei aspetti personali in maniera morbosa. Insomma, diciamolo: anni di spettacolarizzazione della disabilità mi hanno evidentemente segnata. In ogni caso, resto convinta che portare il personale per fini politici non solo è importante, ma fondamentale: può davvero essere un’arma potente.
il libro è uscito da un po’ quindi posso chiedertelo: che feedback hai avuto dallə tuə lettorə?
► Per ora direi che i feedback sono buoni, e ne sono davvero felice. La cosa che amo di più è sapere che le persone si divertono leggendo. Da umorista, il mio terrore più grande è che la gente non rida. Potrei anche sotterrarmi!
tu sei molto attiva sui social ma vai anche molto spesso in giro per presentazioni, panel ed eventi a parlare di abilismo: pensi ci sia una differenza di reazione alle tue parole tra il mondo virtuale e quello fisico?
► Ultimamente, non so, forse per le derive che sta prendendo il mondo dei social, mi sento molto più a mio agio nel contatto dal vivo. Escluse le persone che mi seguono, quando mi trovo fuori dalla mia “bolla” online trovo moltissima resistenza su disabilità e abilismo. Le persone si sentono più autorizzate a dire cose abiliste senza provare alcun rimorso. Alle presentazioni e negli incontri dal vivo, devo ammetterlo, mi succede molto più raramente. Forse lo schermo smaschera la natura delle persone; non saprei, ma il digitale sta diventando sempre più pesante.
parlando francamente: come pensi che stia andando questo paese in merito alla lotta antiabilista?
► Male! Possiamo dirlo senza giri di parole: in questo paese la disabilità è ancora l’ultima ruota del carro. Certo, abbiamo più voce rispetto al passato, questo sì, ma facciamo ancora una fatica immane a ottenere anche solo il minimo sindacale, ed è sfiancante. Vorrei essere più ottimista e spero davvero che i miei nipoti possano vivere in un mondo meno abilista di quello in cui ho vissuto io, ma temo che serviranno molte più generazioni per arrivarci.
hai già in mente qualcosa di nuovo per un prossimo libro?
► Non voglio spoilerare, ma sto lavorando a un progetto a cui tengo molto e che spero veda presto la luce. Posso solo dire che sento la mia scrittura molto affine alle generazioni più giovani.

 

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venerdì 29 agosto 2025

commenti randomici a letture randomiche (92)

ed eccoci di nuovo con la non-rubrica più amata di sempre, o quantomeno la più utile (per me, ovvio).
le vacanze sono agli sgoccioli, il tempo scarseggia, la malinconia è pronta a esplodere (sì, io sono team estate, per quanto mi piacciano le tisane e le foglie rosse sugli alberi, non le baratterei mai con una bella giornata al mare) e la pagina del mio diario con le letture di agosto (sì, ho un diario vecchio stile) è piena di stelline e voti stratosferici (in realtà ho beccato anche dei libri che non mi hanno entusiasmata o per i quali non era arrivato il momento giusto, che sono finiti nella lista dei questo-lo-leggo-un'altra-volta), quindi devo riuscire a scrivere qualcosa qui prima di partire.

i tre libri di questa volta sembrano lontani anni luce l'uno dall'altro ma in realtà un collegamento c'è. ora vi racconto tutto.

 l'avversario 
se uno viene a dirti che il tuo migliore amico, il padrino di tua figlia, l'uomo più onesto che conosci ha ucciso moglie, figli e genitori, e per di più che da anni mente su tutto, non è naturale che tu continui ad avere fiducia in lui, anche se ti mettono di fronte a prove schiaccianti? che amico saresti se ti lasciassi convincere così facilmente della sua colpevolezza?

vi capita mai di comprare un libro e di abbandonarlo per anni su uno scaffale senza leggerlo e poi, a un certo punto, vi viene voglia di leggerlo e scoprite che era un capolavoro? ecco. con l'avversario è successo esattamente questo.

non avevo mai letto nulla di emmanuel carrère ma sapevo che era uno scrittore a dir poco imperdibile, ed effettivamente non c'è mezzo appunto da fare: quest'uomo scrive da dio.
la storia de l'avversario non aveva meno che nulla che poteva entusiasmarmi, anzi, ad essere sincera m'è venuta voglia di leggerlo sulla scia di agosto è un buco nero.
non si tratta di un romanzo ma di una storia realmente accaduta nei primi anni '90: jean-claude romand - la classica brava persona di buona famiglia, ottima carriera universitaria poi medico rispettabilissimo, ricercatore, amico fedele, padre amorevole e marito devoto - uccide tutta la famiglia, dà fuoco alla casa e prova (?) a uccidersi.
solo che, nel giro di qualche ora, viene fuori una verità impensabile: quest'uomo, in realtà, non si è mai laureato in medicina, non è un medico e non fa il ricercatore. ha mentito su tutto, per più di vent'anni, a chiunque. e nessunə si è mai accortə di nulla.
come è possibile? carrère si mette in contatto con romand, partecipa al processo, prova a capire l'indicibile solitudine di quest'uomo a cui nessunə si è mai interessatə quel tanto che sarebbe bastato a far crollare il suo castello di carte, ricostruisce tutta la vicenda.

il risultato è un racconto da cui è impossibile staccarsi, una storia assurda che si fa paradigma della miseria e della piccolezza dell'animo umano. carrère non commette mai l'errore di lodare l'inganno orchestrato da romand, ma anzi sottolinea come le sue menzogne siano state possibili solo a fronte dello scarso interesse che la sua persona suscitava tra chi aveva un qualche legame con lui, e già solo per questo, l'avversario è una grande lezione di scrittura di cui la stragrande maggioranza dellə giornalistə nostranə avrebbe bisogno.

 ubik 
vi trovate sulla soglia del libro. il libro di un uomo che ha visto dio? il libro di un uomo cui le droghe hanno fulminato il cervello? in ogni caso, varcare questa soglia equivale ad avventurarsi in un territorio dove non siete mai stati. non avete idea di quello che vi attende.
(dalla prefazione di emmanuel carrère)


nell'introduzione de l'avversario, carrère diceva che mentre seguiva il caso romand, stava lavorando alla biografia di philip k. dick, e così mi sono detta che era arrivato il momento di leggere un altro dei libri che mi aspettavano da un bel po' di tempo, uno di dick, appunto. e la scelta è caduta su ubik.
che è un capolavoro.
e non ho idea di come fare a scriverne, però so che mentre lo leggevo ho chiesto perdono per aver usato l'aggettivo "lisergico" a sproposito un sacco di volte. perché prima di leggere ubik - visto che sono troppo ipocondriaca per darmi agli allucinogeni - non avevo neppure la più pallida idea di cosa volesse dire lisergico.

scritto negli anni '60 e ambientato in un 1992 decisamente diverso da quello che abbiamo vissuto, ubik immagina un futuro in cui la vita dopo la morte non è soltanto una questione di fede o di speranza, è la realtà dei moratorium, dove chi è passato a miglior vita viene conservatə in criostasi e una sorta di sé residuale può comunicare con l'aldiquà. inoltre, alcuni esseri umani hanno sviluppato poteri psionici come la precognizione, la manipolazione del pensiero, la telecinesi, eccetera, che - ovviamente - non sempre vengono utilizzati con intenti benevoli. per questo esistono agenzie che si occupano di neutralizzare eventuali minacce psioniche attraverso il lavoro di chi è dotatə di anti-talenti, ovvero della capacità di annullare i poteri mentali. questo il palcoscenico su cui si muovono lə personaggə di ubik, la cui storia inizia con un inganno che dischiude, poco a poco, le porte della loro consapevolezza.

svelare qualcosa sulla trama di ubik sarebbe un crimine imperdonabile. appassionante e cervellotico, ubik è un gioco allucinato che riflette sui limiti della nostra percezione, sradica ogni certezza e reinventa i significati stessi di vita e morte. leggerlo è come accendere una collana di petardi arrotolata dentro al cervello, un'esperienza straniante e meravigliosa che vi consiglio assolutamente.

 bookshops & bonedust 
l'autore lascia le cose così. e però... più ci penso e più... dovrebbe essere ovvio, ma la gente nei libri si sbaglia sempre. inferni maledetti, gli autori si sbagliano. quindi forse è questo che racconta la storia con le parole che sono state scritte, e se invece si potesse guardare oltre il finale? alle parole non scritte? forse sarebbe una storia completamente diversa.

e quindi, dopo aver letto un capolavoro come ubik, le strade erano due: scovare un altra bomba tra gli scaffali, con la certezza quasi assoluta di non poter trovare facilmente qualcosa che fosse all'altezza, oppure buttarsi su qualcosa di completamente diverso, magari un po' più easy.
così mi sono sciroppata quasi in un'unica tirata bookshops & bonedust, prequel di quel legends & lattes che mi aveva fatto scoprire quanto è bello il cozy-qualcosa e quanto bisogno c'è, a volte, di leggere storie così, tranquille e scaldacuore.

la viv che incontriamo qui è decisamente diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere nel primo libro. più giovane e scavezzacollo, viv si è appena lanciata nella sua prima vera, grande e importante impresa: sconfiggere la necromante varine ed entrare a far parte a tutti gli effetti della compagnia mercenaria dei corvi di rackam. ma le cose non vanno come sperato e una brutta ferita alla gamba la costringe a lunghe settimane di convalescenza nella piccola, pacifica cittadina costiera di murk.
quasi rassegnata a morire di noia, viv non immagina nemmeno quanto i giorni che la aspettano stravolgeranno la sua vita e cambieranno così tante cose in lei...

travis baldree sa scrivere bene, sa come trattenere qualcuno tra le pagine dei suoi libri ma, soprattutto, sa trasmettere il suo amore per le storie, per quel legame quasi magico che si crea tra chi racconta e chi legge o ascolta e, in mezzo, con lə personaggə, che a volte sono amicə, altre volte specchi.
bookshops & bonedust, ancora più di legends and lattes, mi è sembrato un regalo fatto proprio a tutte quelle persone che si fanno incantare dai libri, che sono rimaste affezionate alle favole dell'infanzia e che si perdono nei sogni ad occhi aperti. le storie di viv sono come sciarpe tessute a mano da chi conosce tutti i tuoi colori preferiti, non solo scaldano e coccolano ma sono fatte proprio per te.

lunedì 25 agosto 2025

agosto è un buco nero

agosto è un mese oscuro, pieno di ombre dense e di abbagli che fanno perdere la ragione, è un mese pieno di mosche, in cui il sangue si secca in fretta e la carne dura poco tempo intatta fuori dal frigorifero.
la morte ha molto da fare, corre come un cameriere di chiringuito che sta facendo la stagione e come lui non ha giorni liberi, nemmeno i lunedì.
non è un saggio, né un'inchiesta o tantomeno una raccolta di racconti. non è un romanzo ma neppure si propone di riportare i fatti così come sono avvenuti, strappando fuori le parole dalla realtà delle cose. agosto è un buco nero sa solo quello che non è, e a noi piacciono le cose che non sanno definirsi da ben prima che balto ci insegnasse come spiegarla in poche parole.

la riflessione di sara caterina tzarina casiccia prende il via da un assunto tanto banale che nessunə si sognerebbe di metterlo in discussione: agosto è un mese di merda.
un mese a cui si arriva strisciando sui gomiti dopo quasi un intero anno di lavoro - anche se l'estate, il caldo e le zanzare arrivate già da un pezzo - e in cui la più rosea delle prospettive è una vacanza dimenticabile, affollata e caotica o, difficile giudicare se meglio o peggio, la solitudine tra le strade svuotate di una qualche città soffocante. in cui non è poi tanto difficile trascinarsi un sacco nero sulle spalle senza dare nell'occhio...
racconta casiccia che, in agosto, si uccide - e ci si uccide - di più. o forse no.
forse sarà solo un caso che ad agosto i treni esplodono, i legami famigliari si sciolgono in pozze appiccicose, i poeti dicono addio, le attrici si riempiono di barbiturici, i serial killer rubano canzoni e intere città vengono cancellate in pochi secondi.
certo è che a guardarsi indietro, le coincidenze sono troppe e casiccia racconta un calendario di morti più o meno famose, una al giorno per tutti i trentuno giorni di questo mese denso di sole e angoscia.

dal 1916 al 2023, agosto si srotola in un elenco di delitti e tragedie, raccontati adattando ogni volta stile, forma e registro, perché ogni storia è unica e merita una sua propria voce. dalla cronaca italiana a hiroshima, dal mistero dell'ultima notte di marilyn monroe all'assassinio di federico garcía lorca, da sacco e vanzetti a piazzale loreto, fino ad arrivare alla sua storia personale, casiccia compone questo libro strano ricostruendo ogni volta vicende e atmosfere. ma agosto è un buco nero è anche una specie d'altare personale dell'immaginario poetico e pop della sua autrice e della sua generazione, dove trovano spazio i poeti della beat generation, chi l'ha visto?, l'antifascismo e le terrificanti storie di serial killer d'oltreoceano. un racconto tra i racconti che mostra in controluce quante - e quanto diverse tra loro - sono le storie di cui è fatta la nostra storia, di cui siamo fattə noi stessə.

ancora un po', e potremmo dire di essere arrivatə sanə e salvə a settembre.
nel frattempo, siete ancora in tempo per perdervi tra queste terribili storie agostane. suggerimento personale: tenetevi accanto accanto carta e penna: casiccia cita e suggerisce tantissimi libri, ottimi consigli di lettura per il prossimo autunno.

martedì 19 agosto 2025

isabella nagg e il vaso di basilico

no, piangere era inutile. isabella lo aveva imparato dopo aver passato i primi cinque anni del suo matrimonio a struggersi perché arrivasse qualcosa di meglio, e i successivi dieci a serbare rancore perché quel qualcosa non era mai arrivato. quando sopraggiungevano i pensieri cupi, nell'ora più silenziosa del pomeriggio, isabella cercava di ricordarsi che la sua vita era meglio di quella di molti altri. non era stata abbordata da una megera che elargiva doni malvagi, né era stata trascinata in un acquitrino da un cavallo sbandato, né era stata calpestata a morte da un nuckelavee.

pensavo che compro il libro per la copertina fosse solo un modo di dire e che almeno lə variə bookstagrammer che sfornano reel a tempesta leggessero davvero i libri di cui parlano, ma ho visto così tanti questo libro è una coccola, è così cozy! che mi sono dovuta ricredere.
è vero, ha una copertina carina e un tono allegro, ma isabella nagg e il vaso di basilico parla di violenza sulle donne e di quanto il capitalismo abbia cannibalizzato il discorso sui diritti dellə lavoratorə e l'abbia rivomitato come fuffa sulla produttività. cosa c'è di cozy me lo dovete spiegare, voi che adoro l'estethic di questo romanzo, le vibes! ma a quanto pare i contenuti non vi entrano in testa a meno che non ve li spieghino con degli hashtag sulla quarta di copertina.
(lo so che nella trama del libro c'è scritto "cozy", ma dovreste aver imparato che non bisogna mai fidarsi troppo delle trame scritte sui risvolti dei libri).

finita questa necessaria introduzione - che vale per questo libro tanto quanto per un sacco di altri - passiamo al romanzo di oliver darkshire.
in un mondo in cui il sole è portato a spasso da un maggiolino a cui piace fare un po' quello che gli pare, le lune sono due, la magia esiste e i goblin si riproducono letteralmente come funghi che nemmeno in the last of us, isabella nagg è una donna di mezz'età che conduce un'esistenza affatto invidiabile. ha un marito che fa venire a chiunque il desiderio di sperimentare presto la vedovanza, una fattoria che si traduce in troppo lavoro e poca resa, e una pianta di basilico che la accompagna fedelmente - e miracolosamente! - da decenni.

sotto al maggiolino del sole succedono cose strane e altre cose decisamente noiose: ad esempio, nel piccolo villaggio di isabella, lo sport preferito è il pettegolezzo e l'astio tra vicinə, vanno di moda i cespugli decorativi teriomorfi e le veglie funebri per evitare il risveglio dei lich.
inoltre, quando arriva l'autunno, i goblin provano a vendere la loro frutta mortifera porta a porta e i mariti idioti rubano grimori a casa degli stregoni che, almeno, hanno la cortesia di crepare prima di maledire anche le consorti degli idioti di cui sopra. o almeno questo è quello che fanno, rispettivamente, il signor nagg e lo stregone bagdemagus.
e così, solo per caso e con l'aiuto di un brutto gatto che non è davvero un gatto ma un grinalkin, isabella scopre che, nonostante tutto, anche lei riesce a gestire la magia.
beh, "gestire" è una parola grossa. in realtà, inanella casini uno dietro l'altro ma, se è vero che il fine giustifica i mezzi, risvegliare il peggiore degli episodi del suo passato e donare consapevolezza a un asino serviranno almeno a tirarla fuori da un'esistenza infelice e a trasformare completamente quello che sembrava essere il destino a cui sarebbe stata condannata per tutta la vita.

insomma, isabella nagg e il vaso di basilico è sicuramente un fantasy ma di cozy ha davvero poco (anzi, in certe scene si scivola verso l'horror).
come accennavo, il tono di oliver darkshire è sempre leggero, divertente, amaramente ironico (e molto inglese!), e a volte fa il verso ai trattati scientifici o ai resoconti d'esplorazione: tutte cose che rendono la lettura estremamente piacevole e alleggeriscono i momenti più cupi. la storia di isabella e di quello che accade intorno a lei è estremamente drammatica, ricca di riflessioni tutt'altro che leggere e di momenti di tensione e, nel costruire tutto questo, darkshire è stato bravo abbastanza da seminare qui e lì indizi che anticipano quel tanto che serve a mantenere sempre viva l'attenzione dellə lettorə, senza però esagerare e svelare tutto prima del tempo, accelerando verso un finale in cui si compie perfettamente il famigerato "arco di trasformazione del personaggiə".

a parte il discorso sulle etichette, che lasciano sempre il tempo che trovano (perché tentare di incasellare semplicisticamente un testo - anche una lettura di puro svago, come questa - in una qualche accozzaglia di "sottogeneri/categorie/hashtag" che, vi prego di ricordare, servono solo per facilitare la vita a quellə poveraccə che si occupano di marketing, è tanto inutile quanto, nel migliore dei casi, impossibile) isabella nagg e il vaso di basilico è un fantasy in cui la capacità di immaginare mondi altri non arriva troppo in là e, anzi, si fa un po' specchio delle schifezze del nostro mondo, dove anche se non si coltivano mandragore e i gatti sono carini ma non parlano, ci sarà sempre qualcunə dispostə a calpestare e sfruttare la dignità e l'esistenza altrui per riempirsi le tasche, così come ci saranno sempre uomini capaci di rovinare la vita alle donne pur di non imparare a farcela da soli.
e se a smontare un sistema così c'è una donna di mezz'età, non bellissima né dotata di particolari talenti ma soltanto piena fino all'orlo di stare a sopportare, allora per me vale la pena di consigliarvelo.

lunedì 11 agosto 2025

mentre il mondo guarda ~ intervista a gina nakhle koller / while the world watches ~ interview with gina nakhle koller

«A tutte le persone palestinesi del mondo: Questo libro è dedicato alla vostra resilienza, forza e incrollabile speranza di fronte a sfide inimmaginabili. Che la sofferenza finisca, che la giustizia prevalga e che il mondo agisca finalmente per portare pace e dignità nelle vostre vite.»
Gina Nakhle Koller


questo post è stato scritto in italiano e in inglese.
this post was written in italian and english. scroll down to read the english version.

la storia di un genocidio non è una storia di numeri e non si fa con le notizie che gocciolano tra le maglie strette della censura occidentale.
è stato detto tante volte, così tante che temo che il significato di questa cosa si sia perso, ma questo è davvero il primo genocidio in diretta streaming della storia dell'umanità. abbiamo visto centinaia di migliaia di fotografie e di video, abbiamo letto notizie agghiaccianti, ma soprattutto abbiamo visto i volti, letto i nomi e a volte le storie di tutte le vittime dell'abominio che israele sta compiendo impunemente, anzi, con il sostegno dell'europa e dell'america.
abbiamo le prove di tutto questo costantemente sotto gli occhi eppure non riusciamo a fermarlo. restiamo ad ascoltare i nostri governi e la nostra peggiore stampa sostenere menzogne su menzogne persino davanti all'evidenza, persino davanti alle innumerevoli manifestazioni che in tutto il mondo esprimono solidarietà alla palestina e chiedono il cessate il fuoco, la fine del blocco degli aiuti umanitari, delle uccisioni di massa, degli arresti illegali, dello strapotere dei coloni, di ogni tipo di abuso.

guardiamo tutto da quasi due anni eppure questi volti e nomi e storie rischiano di perdersi in un vortice gorgogliante di orrore, nei feed sconclusionati dei nostri social, dove la foto di un bambino fatto a pezzi si incastra tra il video di un gattino buffo e quello dell'ennesima, inutile ricetta.
tutto questo rischia di perdersi o, forse peggio ancora, di normalizzarsi, di diventare così tanto a fondo parte della nostra quotidianità da trasformarsi in un contenuto tra tanti.

gina nakhle koller sta provando, dall'inizio del genocidio, a far sì che questo non succeda.
il suo lavoro va a braccetto con quello dellә giornalistә palestinesә che da mesi - da decenni, in realtà, perché sappiamo tuttә che questa storia orribile non è iniziata il 7 ottobre 2023 - testimoniano a rischio della loro vita gli infiniti crimini israeliani a gaza e nei territori palestinesi occupati.


mentre il mondo guarda / while the world watches è la raccolta - in italiano e in inglese - delle vignette che ha disegnato e pubblicato ogni giorno dall'inizio del genocidio. le sue opere si ispirano alla cronaca quotidiana, raccontano l'inumanità dell'IOF e dellә suә sostenitorә: i bombardamenti sullә civilә, lә bambinә a pezzi e quellә mutilatә e quellә orfanә e quellә mortә di freddo o di fame, ridottә a scheletri. e poi le fosse comuni, lә sfollatә bruciatә vivә nelle loro tende, lә neonatә lasciatә morire di fame ammassatә dentro le poche incubatrici rimaste in funzione, gli ospedali e le scuole e le case e le università e ogni altro edificio civile raso al suolo, lә medicә e lә operatorә umanitarә e lә giornalistә presә di mira e uccisә, i cadaveri restituiti privi di organi, lә prigionierә rilasciatә dopo indicibili torture e il dolore folle nei loro sguardi, le ambulanze crivellate di colpi. e i soldati che ridono mentre uccidono, che si vantano di essere la peggiore espressione che l'umanità può inventare, i leader che applaudono agli assassini e l'industria bellica che gonfia oscenamente i portafogli di pochi, mentre a centinaia di migliaia vengono massacrati ogni momento.

leggere oggi mentre il mondo guarda è un modo per rivivere il primo anno di genocidio a gaza, per richiamare alla mente quello che è stato sommerso da centinaia di altre immagini altrettanto sconvolgenti e disastrose. ma è anche un modo per sottrarre quelle immagini al fisiologico oblio dei social network e trasformarle in storiografia contemporanea dell'abominevole condizione in cui è crollato il nostro mondo.

le vignette di gina sono sempre essenziali, il soggetto è spesso al centro dello spazio, circondato da bianchi o neri assoluti e dalle parole dell'artista che raccontano, citano o accusano. momenti di orrore strappati al ritmo frenetico dell'ultrainformazione dell'era social, fissati sulla carta - e sulle nostre coscienze, per sempre - da tratti veloci, netti, sicuri anche se carichi di emozione.
gina traduce in disegno tanto l'oggettiva crudezza di quelle immagini, quanto le reazioni del mondo - di partecipato dolore, di sdegno o, per alcuni soggetti in particolare, di compiaciuta complicità - diventando testimone non soltanto della cronaca di gaza ma dello scollamento, pericolosissimo, che sta avvenendo sempre di più tra i governi e i popoli che dovrebbero rappresentare.

ma c’è di più. il lavoro di gina – che non si è fermato alla pubblicazione del libro, ma continua sui suoi social e sul suo sito – non è semplicemente una trasposizione della cronaca, è – come è sempre l’arte quando si fa strumento di lotta contro il potere – un messaggio di denuncia, di accusa ma anche di speranza. gina, come altrә artistә palestinesә che abbiamo imparato a conoscere in questi lunghi mesi, è voce di un popolo che non vuole arrendersi e che è pronto a rinascere, con le radici ben piantate nella sua terra e l’animo teso al futuro.

vi lascio alle parole di gina. buona lettura!

ciao gina, grazie mille per aver accettato il mio invito e benvenuta su claccalegge!

► Ciao a tutti e grazie, Claudia, per avermi proposto questa intervista. Sono onorata di avere una piattaforma per parlare della Palestina.

in questi lunghissimi mesi di orrore, tutto il mondo ha guardato alla palestina, ha pianto, manifestato, condiviso le immagini di denuncia e testimonianza che sono state trasmesse ininterrottamente sui social, ha cercato con ogni mezzo possibile di contrastare l’impunità dello stato di israele. posso chiederti come ti sei sentita e come ti senti, da artista di origine palestinese e libanese, davanti alle notizie che arrivano ogni giorno da gaza e dalla west bank?

► Mi sento distrutta e spaventata, eppure in qualche modo più determinata che mai. Come artista libanese i cui nonni erano palestinesi, queste non sono solo delle notizie per me. È una questione personale. È una questione generazionale. Sono cresciuta con il peso della spoliazione, dell'occupazione e della cancellazione, ma nulla poteva prepararmi alla portata e alla brutalità di ciò a cui abbiamo assistito dall'ottobre 2023.

Ogni giorno porta con sé un nuovo orrore e ci sono momenti in cui mi sento completamente impotente. È un'angoscia profonda, che mi tocca l'anima. Ma anche nei momenti più bui, ho imparato che la disperazione non è la fine, è un invito ad agire. Ho molti alti e bassi. Sì, il genocidio è ancora in corso. Ma ciò che è ancora in corso è anche la solidarietà globale, il rifiuto di distogliere lo sguardo e la consapevolezza che abbiamo la responsabilità non solo di piangere, ma anche di mobilitarci.

quando e perché hai deciso di disegnare per denunciare il genocidio?

► Quando è arrivato il 7 ottobre, sapevo già cosa stava per succedere. Ho vissuto con la consapevolezza di come reagisce lo Stato israeliano: con punizioni collettive, con violenza schiacciante, senza alcun riguardo per la vita dei civili. Quindi, mentre il mondo stava ancora elaborando lo shock di quel giorno, io sentivo già il terrore insinuarsi dentro di me. Sapevo che Gaza avrebbe sofferto, ancora una volta, solo che questa volta su una scala ancora più inimmaginabile.

Quando ho iniziato questo progetto, ero devastata. Ero sopraffatta dal dolore, dalla paura e dall'impotenza. Guardando il genocidio svolgersi giorno dopo giorno, attraverso il mio telefono, i notiziari, le voci delle persone che imploravano di essere ascoltate, ho sentito il bisogno di fare qualcosa. Disegnare è diventato il mio modo di affrontare la situazione, di non chiudermi in me stessa. È stato il mio modo di sopravvivere emotivamente.

All'inizio era un meccanismo di difesa profondamente personale. Ma man mano che i disegni hanno acquisito visibilità, sono diventati qualcosa di più: una forma di testimonianza. Un modo per umanizzare i numeri, i titoli dei giornali, l'orrore. Per dare un volto ai nomi. Per affiancare l'emozione ai fatti. E quando le persone mi hanno detto che le immagini li aiutavano a capire o a sentirsi meno soli, è stato questo che mi ha spinto ad andare avanti.

sulla copertina del tuo libro c’è un occhio che viene spalancato a forza da due mani. come interpreti il rifiuto di molta gente di guardare le immagini di questi massacri, di provare a capire cosa sta succedendo?

► L'immagine sulla copertina – un occhio costretto ad aprirsi – è un simbolo doloroso di ciò che credo tutti noi dobbiamo affrontare: l'urgente necessità di vedere e non distogliere lo sguardo. Il rifiuto di molte persone di guardare queste immagini è straziante, ma purtroppo comprensibile. La brutalità è così opprimente, così devastante, che distogliere lo sguardo può sembrare un modo per proteggersi da un dolore o da un senso di colpa insopportabili.

Ma questo rifiuto permette anche alla violenza di continuare senza controllo. Quando le persone chiudono gli occhi, permettono al silenzio di diventare più forte della giustizia. L'immagine è un appello, una richiesta, a confrontarsi con la realtà, per quanto scomoda o dolorosa possa essere. Perché solo guardando, testimoniando, possiamo veramente comprendere il costo umano e iniziare a chiedere un cambiamento.

È un promemoria che l'indifferenza è complicità. E che il mondo non può più permettersi di essere uno spettatore passivo.

ogni giorno arrivano notizie terrificanti, tantissime. foto, video, dichiarazioni, interviste, eccetera. in che modo decidi quale sarà il soggetto della tua vignetta giornaliera?

► Seguo attentamente le notizie ogni giorno: è impossibile sfuggirvi. Il flusso costante di foto, video, dichiarazioni e testimonianze è travolgente. Scegliere un soggetto per ogni disegno quotidiano non è mai facile.

Non mi limito a scegliere ciò che è più riportato o scioccante; mi concentro su ciò che mi colpisce in modo diverso a livello personale o emotivo. A volte si tratta di un evento specifico: una famiglia presa di mira deliberatamente, l'uccisione di un giornalista o una storia particolare che rivela il costo umano dietro i titoli dei giornali.

Altre volte si tratta di catturare l'atmosfera più ampia di paura, resilienza o dolore che tanti stanno vivendo. Il mio obiettivo è tradurre ciò che mi commuove profondamente in qualcosa che gli altri possano sentire e comprendere. Ogni disegno è un modo per catturare un momento nel tempo e dire: questo è successo. Questo è importante.

il tuo lavoro va oltre la semplice idea di “pubblicare un libro”, credo che sia un documento fondamentale per raccontare e testimoniare questi mesi, uno di quelli che poi diventano vere e proprie fonti storiografiche a servizio degli studiosi che proveranno in futuro a capire il presente che siamo vivendo. quando e come hai deciso di trasformare il tuo lavoro online in un libro di carta, capace di arrivare a molte più persone di quelle che vedono le tue opere sui social?

► All'inizio, pubblicare un libro non era nei miei piani. Mi concentravo sul reagire al momento, sull'esprimere ciò che provavo giorno dopo giorno. Ma man mano che i disegni si accumulavano, mi sono reso conto che questo lavoro doveva andare oltre la natura dei social media.

I social media sono in rapida evoluzione: un luogo di reazioni immediate e condivisione veloce, ma anche un luogo in cui le cose possono essere dimenticate altrettanto rapidamente. Volevo creare qualcosa di più duraturo, qualcosa a cui le persone potessero aggrapparsi e a cui potessero tornare, una testimonianza tangibile di questi mesi.

Non si tratta solo di un momento nel tempo, ma di una parte di una storia molto più lunga di sofferenza, resilienza e resistenza. Trasformare il mio lavoro online in un libro cartaceo è stato un modo per preservare la memoria, per insistere affinché queste storie non vengano cancellate e per offrire una risorsa alle generazioni future e agli studiosi che cercano di capire cosa è successo.

Il libro diventa una forma di testimonianza, qualcosa di permanente in mezzo al dolore e alla lotta continua.

che tipo di feedback hai avuto sui social da quando hai iniziato a pubblicare i tuoi lavori? e come è stato accolto il libro?

► La risposta sui social media è stata incredibilmente commovente. Molte persone che seguono il mio lavoro erano entusiaste quando hanno saputo dell'uscita del libro: lo consideravano un passo necessario e molti mi hanno detto che stavano aspettando qualcosa del genere. Ho ricevuto molti feedback positivi, non solo sull'arte in sé, ma anche su come è stata utilizzata: condivisa con amici, familiari e soprattutto con persone che potrebbero non capire cosa sta succedendo o che scelgono di rimanere in silenzio.

Per quanto riguarda il libro, penso che sia stato accolto con un profondo senso di riconoscimento e urgenza. La gente capisce che non si tratta solo di un progetto artistico, ma di una documentazione, di una testimonianza. Credo sinceramente che fosse qualcosa che la gente aveva bisogno di vedere e sono grata che stia riscuotendo questo successo. Spero che la gente continui a parlare di ciò che sta accadendo e che il libro continui a diffondersi. Questo non può essere dimenticato. Né ora, né mai.

tantissime persone si chiedono ogni momento cosa possono fare concretamente per fermare il genocidio, e spesso si sentono impotenti. hai dei consigli da darci?

► È così facile sentirsi impotenti di fronte a qualcosa di così enorme e orribile come un genocidio. Lo sento dire continuamente: “Cosa posso fare? Sono solo una persona”. Ma la verità è che tutto inizia sempre da una sola persona. Ogni voce conta. Ogni azione, per quanto piccola possa sembrare, contribuisce a creare un'onda più grande di consapevolezza e resistenza.

Il primo passo è parlarne. Avvia delle conversazioni. Condividi la verità con le persone che ti circondano, specialmente con quelle che non prestano attenzione. La consapevolezza si diffonde da persona a persona.

Se potete, boicottate: la pressione economica è importante. Dove spendete i vostri soldi è un atto politico. E, naturalmente, condividere online è ancora potente. Potrebbe sembrare solo un post o una storia, ma non si sa mai chi raggiungerà o come potrebbe spingere qualcuno ad agire.

Non dobbiamo fare tutto noi. Ma se ognuno di noi fa qualcosa, il risultato è importante. È così che inizia il cambiamento.

ti ringrazio tantissimo per il tempo che ci hai dedicato e soprattutto di ringrazio per il tuo lavoro, per il tuo libro e per tutte le emozioni che ci sono dentro e che hai condiviso con noi. dal fiume al mare!

► Grazie Claudia! Per tutto e per essere una voce forte in questo momento di bisogno.

la biografia di gina nakhle koller è tratta dal sito di eris edizioni

Nata nel 1982 in Libano, è illustratrice e fumettista. Il suo lavoro affonda le radici nelle sue origini libanesi e palestinesi. Cresciuta tra le difficoltà di una regione turbolenta, Gina ha scoperto che l’arte è un potente strumento di auto espressione e di storytelling, un mezzo per entrare in contatto con la sua identità e per far luce sulle storie mai raccontate del suo popolo. La Palestina rimane un tema centrale nel lavoro di questa artista, alimentando la sua passione nel creare un’arte che catturi la resilienza, le lotte e l’umanità del suo popolo. Nel 2013 ha conseguito un Master of Arts in Illustration in Svizzera dove ore vive, approfondendo il suo impegno nel raccontare attraverso le narrazioni visive. La sua arte trascende i confini, invitando il pubblico a vedere il mondo attraverso la lente dell’empatia e a dialogare con le voci di coloro che troppo spesso non vengono ascoltati.

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«To all Palestinians around the world: This book is dedicated to your resilience, strength, and unwavering hope in the face of unimaginable challenges. May the suffering end, may justice prevail, and may the world finally act to bring peace and dignity to your lives.»
Gina Nakhle Koller

the story of a genocide is not a story of numbers, and it is not made with the news dripping through the tight meshes of western censorship.

has been said so many times, so many that i fear the meaning of this has been lost, but this is truly the first genocide live-streamed in human history. we have seen hundreds of thousands of photographs and videos, we have read chilling news stories, but most of all we have seen the faces, read the names and sometimes the stories of all the victims of the abomination that israel is carrying out with impunity, indeed with the support of europe and america.

we have the evidence of all this constantly before our eyes, and yet we are unable to stop it. we stand by and listen to our governments and our worst press support lies upon lies, even in the face of the evidence, even in the face of countless demonstrations around the world expressing solidarity with palestine and calling for a ceasefire, an end to the blockade of humanitarian aid, mass killings, illegal arrests, settler oppression, and all kinds of abuses.

we have been watching everything for almost two years, and yet these faces and names and stories risk getting lost in a bubbling vortex of horror, in the rambling feeds of our social networks, where the photo of a chopped-up child gets sandwiched between the video of a funny kitten and that of another useless recipe.

all of this risks getting lost or, perhaps worse, normalised, becoming so thoroughly part of our everyday life that it becomes just one piece of content among many.

gina nakhle koller has been trying, since the beginning of the genocide, to make sure that this does not happen.

her work goes hand in hand with that of the palestinian journalists who for months - for decades, actually, because we all know that this horrific story did not begin on 7 october 2023 - have been witnessing the endless israeli crimes in gaza and the occupied palestinian territories at the risk of their lives.


mentre il mondo guarda / while the world watches is a collection - in italian and english - of the cartoons he has drawn and published every day since the beginning of the genocide. his works are inspired by the daily news, recounting the inhumanity of the IOF and its suә supporters: the bombing of civilians, the children cut to pieces and those mutilated and orphaned, and those who died of cold or starvation, reduced to skeletons. and then the mass graves, the displaced people burnt alive in their tents, the infants left to starve to death crammed into the few remaining incubators, the hospitals and schools and houses and universities and every other civilian building razed to the ground, the doctors and aid workers and journalists targeted and killed, the corpses returned with their organs removed, the prisoners released after unspeakable torture and the mad pain in their faces, the ambulances riddled with bullets. and the soldiers laughing as they kill, boasting that they are the worst expression humanity can invent, the leaders applauding the killers and the war industry obscenely inflating the wallets of a few, while hundreds of thousands are slaughtered every moment.

reading today while the world watches is a way to relive the first year of genocide in gaza, to call to mind what has been drowned out by hundreds of other equally shocking and disastrous images. but it is also a way of rescuing those images from the physiological oblivion of social networks and transforming them into a contemporary historiography of the abominable condition into which our world has collapsed.

gina's comics are always essential, the subject is often at the centre of the space, surrounded by absolute whites or blacks and by the artist's words that recount, quote or accuse. moments of horror snatched from the frenetic rhythm of the ultra-information of the social era, fixed on paper - and on our consciences, forever - by quick, sharp, confident strokes, even if charged with emotion.

gina translates into drawing both the objective rawness of those images and the reactions of the world - of shared pain, of indignation or, for some subjects in particular, of complacent complicity - becoming a witness not only to the chronicle of gaza but also to the extremely dangerous disconnect that is happening more and more between governments and the peoples they are supposed to represent.

but there is more. gina's work - which has not stopped with the publication of the book, but continues on her social networks and on her website - is not simply a transposition of the news, it is - as art always is when it becomes an instrument of struggle against power - a message of denunciation, of accusation, but also of hope. gina, like the other palestinian artists we have come to know over these long months, is the voice of a people who do not want to give up and who are ready to be reborn, with their roots firmly planted in their land and their souls set on the future.

i leave you with gina's words. enjoy reading!


hello gina, thank you so much for accepting my invitation and welcome to claccalege!
► Hello everyone, and thank you, Claudia, for inviting me to this interview. I’m honored to have a platform to speak about Palestine. 
in these long months of horror, the whole world has looked at palestine, cried, protested, shared the images of denunciation and testimony that have been broadcast continuously on social networks, and tried with every possible means to oppose the impunity of the state of israel. can i ask you how you felt, and how you feel, as an artist of palestinian and lebanese origin, in front of the news that arrives every day from gaza and the west bank?
► I feel shattered and scared— and yet somehow more determined than ever. As a Lebanese artist whose grandparents were palestinian, this isn’t just news to me. It’s personal. It’s generational. I’ve grown up with the weight of dispossession, occupation, and erasure — but nothing could prepare me for the scale and brutality of what we’ve witnessed since October 2023.

Every day brings a new horror, and there are moments when I feel completely helpless. It’s a deep, soul-level anguish. But even in the darkest moments, I’ve learned that despair isn’t the end — it’s a call to act. I have many ups and downs. Yes, the genocide is still ongoing. But what’s also ongoing is the global solidarity, the refusal to look away, and the understanding that we have a responsibility not just to mourn — but to mobilize.  
when and why did you decide to draw to denounce genocide?
► When October 7th happened, I knew what was coming. I’ve lived with the knowledge of how the Israeli state reacts — with collective punishment, with overwhelming violence, with no regard for civilian life. So while the world was still processing the shock of that day, I already felt the dread settle in. I knew Gaza would be made to suffer, again — only this time on an even more unimaginable scale.

When I began this project, I was devastated. I was overwhelmed by grief, fear, and helplessness. Watching the genocide unfold day after day — through my phone, the news, through the voices of people begging to be heard — I had to do something. Drawing became my way of facing it, of not shutting down. It was how I survived emotionally.

At first, it was a deeply personal coping mechanism. But as the drawings gained visibility, it became something more — a form of testimony. A way to humanize the numbers, the headlines, the horror. To give faces to the names. To put emotion alongside fact. And when people told me the images helped them understand or feel less alone, that’s what kept me going.
on the cover of your book there is an eye being forced open by two hands. how do you interpret the refusal of many people to look at the images of these massacres, to try to understand what is happening?
► The image on the cover — an eye being forced open — is a painful symbol of what I believe we all face: the urgent need to see and not look away. The refusal of many people to look at these images is heartbreaking, but sadly, understandable. The brutality is so overwhelming, so devastating, that turning away can feel like a way to protect oneself from unbearable pain or guilt.

But that refusal also enables violence to continue unchecked. When people close their eyes, they allow silence to grow louder than justice. The image is a call — a demand — to confront the reality, no matter how uncomfortable or painful it is. Because only by looking, by witnessing, can we truly understand the human cost and begin to demand change.

It’s a reminder that indifference is complicity. And that the world can no longer afford to be a passive spectator.
every day terrifying news arrives, lots of it. photos, videos, statements, interviews, etc. how do you decide what the subject of your daily cartoon will be?
► I follow the news every day closely—it’s impossible to escape it. The constant flow of photos, videos, statements, and testimonies is overwhelming. Choosing a subject for each daily drawing is never easy.

I don’t just pick what’s most reported or shocking; I focus on what hits me differently on a personal or emotional level. Sometimes it’s a specific event—a family deliberately targeted, the killing of a journalist, or a particular story that reveals the human cost behind the headlines.

Other times, it’s about capturing the broader atmosphere of fear, resilience, or grief that so many are living through. My goal is to translate what moves me deeply into something others can feel and understand. Each drawing is a way to hold a moment in time and say: This happened. This matters.
your work goes beyond the simple idea of ‘publishing a book’, I believe it is a fundamental document to narrate and bear witness to these months, one of those which then become true historiographical sources at the service of scholars who will try in the future to understand the present we are living. when and how did you decide to transform your online work into a paper book, capable of reaching many more people than those who see your work on social networks?
► At the very beginning, publishing a book wasn’t something I had in mind. I was focused on responding to the moment, on expressing what I was feeling day by day. But as the drawings piled up, I realized this work needed to reach beyond the nature of social media.

Social media is fast-moving — a place for immediate reactions and quick sharing, but also one where things can be forgotten just as quickly. I wanted to create something more lasting, something people could hold onto and return to, a tangible record of these months.

This isn’t just about a moment in time — it’s part of a much longer history of suffering, resilience, and resistance. Turning my online work into a paper book was a way to preserve memory, to insist that these stories are not erased, and to offer a resource for future generations and scholars seeking to understand what happened.

The book becomes a form of witness — something permanent amid ongoing pain and struggle.
what kind of feedback have you had on social since you started publishing your work? and how has the book been received?
► The response on social media has been incredibly moving. So many people who follow my work were thrilled when they heard the book was coming — they felt it was a necessary step, and many told me they had been waiting for something like this. I‘ve received a lot of positive feedback, not just about the art itself, but about how it‘s been used: shared with friends, family, and especially with people who might not understand what’s happening, or who choose to stay silent.

As for the book, I think it‘s been received with a deep sense of recognition and urgency. People understand that this isn’t just an art project — it’s documentation, it’s testimony. I truly believe it’s something people needed to see, and I’m grateful it’s resonating the way it has. I’m hoping people keep talking about what’s happening — and keep getting the book into more hands. This can’t be forgotten. Not now, not ever.
so many people ask themselves all the time what they can concretely do to stop genocide, and often feel powerless. do you have any advice for us?
► It’s so easy to feel powerless in the face of something as enormous and horrific as genocide. I hear it all the time — “What can I do? I’m just one person.” But the truth is, it always starts with one person. Every voice matters. Every action, no matter how small it may seem, contributes to a larger wave of awareness and resistance.

The first step is talking about it. Start conversations. Share the truth with people around you, especially those who aren’t paying attention. Awareness spreads person by person.

If you can, boycott — economic pressure matters. Where you spend your money is a political act. And of course, sharing online is still powerful. It might feel like just a post or a story, but you never know who it will reach or how it might move someone to act.

We don’t all have to do everything. But if each of us does something, it adds up. That’s how change begins.
thank you so much for your time, and most of all thank you for your work, for your book and for all the emotions in it that you shared with us. from the river to the sea! 
 Thank you Claudia! For everything and for being a strong voice in this time of need.

gina nakhle koller's biography is taken from the eris edizioni website

Born in 1982 in Lebanon, is an Comic Artist whose work is deeply rooted in her Lebanese and Palestinian heritage. Growing up amidst the challenges of a turbulent region, Gina discovered art as a powerful tool for self-expression and storytelling, a means to connect with her identity and shed light on the untold stories of her people. Palestine remains a central theme in Gina’s work, fueling her passion to create art that captures the resilience, struggles, and humanity of its people. In 2013, she pursued a Master of Arts in Illustration in Switzerland where she lives now, deepening her commitment to storytelling through visual narratives. Gina’s art transcends borders, inviting audiences to see the world through the lens of empathy and to engage with the voices of those too often unheard.