venerdì 4 luglio 2025

tutte le volte che sono diventato grande ~ intervista a giulio macaione

mi inventerò un sacco di storie bellissime e racconterò tutto quello che voglio. le mie protagoniste potranno innamorarsi di ragazzi affascinanti e vivere storie romantiche. nei fumetti potrò dire quello che sogno e non oso dire ad alta voce.


lucio è un ragazzino come ce ne sono tanti, uno che vive una vita come ce ne sono tante. è cresciuto nella palermo degli anni '90, circondato dall'affetto della famiglia e immerso in una rivoluzione culturale che, all'epoca, non sapevamo riconoscere come tale, una rivoluzione pop fatta di musica, giocattoli e serie tv ma soprattutto di anime e manga. 
erano gli anni in cui barbie insegnava alle bambine che potevano diventare insegnanti o astronaute, surfiste o mediche o qualsiasi altra cosa desiderassero (e che tutto questo non andava in contrasto con tutto quello che associavamo - e associamo - all'idea di femminilità), gli anni in cui piangevamo per lady oscar, rimanevamo terrorizzati (anzi, rimanevate, io non ho mai avuto il coraggio di guardarlo) per la bambina de l'esorcista e idolatravamo sailor moon.
ma lucio è anche immerso in una società che cerca di tirare forte il freno su tante cose, una sorta di santa inquisizione moderna che erige muri e barricate: i maschi sono così e cosà e fanno questo e quello, le femmine, invece, sono in quest'altro modo e fanno queste altre cose. lo dicono i genitori, lo dice il prete, lo dicono lə amicə a scuola.
e se non segui le regole, caro lucio, vuol dire che in te c'è qualcosa che non va.

diventare grandi è un casino, soprattutto quando dietro la facciata di famiglia perfetta si nascondono traumi, paure e difficoltà, e ancor di più quando non riesci a incastrarti perfettamente nelle caselline in cui tuttə intorno a te sembra riescano a trovare il proprio posto.
e se il tuo, di posto, sembra non esserci? se qualsiasi possibilità ti sta stretta e ti chiede di rinunciare a parti di te fondamentali e insostituibili?

allora bisogna creare la propria casellina, modellarla seguendo la propria forma, quale che questa sia.
l'arrivo di sailor moon in tv - è una femmina che si trasforma come le maghette ma combatte il male come i guerrieri maschi! wow! - spalanca a lucio un universo di possibilità, un universo fatto di carta, matite, storie e personaggi: diventerà un fumettista e nei suoi fumetti ci sarà tutto quello che, proprio come sta succedendo a lui, non trova spazio in questo mondo che si finge tanto grande ma che in realtà è piccolo e opprimente.


dunque, tutte le volte che sono diventato grande è la storia di un ragazzino come ce ne sono tanti, travolto dalle domande sulla sua identità, dai problemi della sua famiglia, dal rifiuto del mondo. ma è anche la storia di chi è riuscito a trovare la sua unica, personalissima via d'uscita da quel labirinto che sembrava irrisolvibile e ha trovato il modo di raggiungere il suo futuro.

giulio macaione c'ha fatto emozionare tante volte, ma forse tlvcsdg è il fumetto più coinvolgente di tutta la sua produzione. almeno per me.
sarà che la palermo degli anni '90 è la stessa in cui sono cresciuta io, che le pagine del suo fumetto sono piene di personaggi, giochi e citazioni di quel periodo così bello e così complicato, ed è un attimo che la mucca del fruttolo - come fosse la versione iper-pop della madeleine di proustiana memoria - ti riporti a quella sensazione di sprofondare dentro un sé che non riesci a comprendere del tutto e che vedi rifiutare da chiunque altrə. sarà anche che è facilissimo vedere in trasparenza attraverso lucio e trovare giulio, e pensare che quel bambino che desiderava diventare un fumettista e disegnare le sue storie è riuscito a realizzare il suo sogno.

di tutte le volte che sono diventato grande ne ho parlato con giulio (che ringrazio tantissimo sia per l'intervista e le immagini che trovate in questo post, sia per aver assecondato le mie manie strane e aver litigato con il correttore automatico di word per togliere tutte le maiuscole )
buona lettura!


ciao giulio, bentornato su claccalegge!
parliamo del tuo ultimo fumetto, tutte le volte che sono diventato grande. in un reel in cui lo presenti spieghi che si tratta di un’opera di autofiction, cioè quel genere letterario che mette insieme elementi proprio dell’autobiografia con altri di pura invenzione narrativa, in cui lə protagonista è il narratore stesso o un suo alter ego.
qual è il rapporto tra invenzione e realtà in questo fumetto?
► ciao claudia, grazie!
l’intenzione iniziale era quella di scrivere una vera e propria autobiografia in chiave manga ma mi sono reso conto ben presto che non avrebbe funzionato: intanto mi sembrava un po’ pretenzioso, alla mia età, poi per scriverla come un manga mi ci sarebbero voluti almeno 6 volumi! ma, soprattutto, mi sarei trovato con l’edulcorare molte cose, non tanto quelle che riguardavano me stesso quanto quelle che coinvolgevano altre persone. volevo essere il più sincero possibile quindi non mi avrebbe soddisfatto fare un lavoro che sarebbe riuscito a metà, sentivo il bisogno di scavare a fondo, senza pormi troppi limiti.
l’indicazione sulla via da seguire è arrivata da un libro che mi ha regalato un amico: “la bella confusione” di francesco piccolo, nel quale il noto sceneggiatore racconta i set e i processi creativi dietro a “il gattopardo” di luchino visconti e “otto e mezzo” di federico fellini e a proposito di quest’ultimo dice: “(…) come per quella che viene definita autofiction, il rapporto tra il personaggio messo in scena e l'autore reale è necessario perché dà una forma esponenziale al senso.
se esistesse il film con guido senza che chi lo ha realizzato fosse fellini, perderebbe gran parte della sua potenza espressiva. mettere insieme guido e fellini vuol dire che quello che fellini racconta di guido è vero, nel senso più profondo; non: è successo esattamente così; ma: racconta una verità profonda. se chi guarda il film non riconosce quella verità che fellini suggerisce di dare a guido, il film perde una buona percentuale della sua forza. otto e mezzo è otto e mezzo non solo per quello che racconta, ma anche per chi lo racconta - e per come le due cose coincidono.”
il protagonista della storia è lucio, un ragazzino siciliano appassionato di manga e anime che fa fatica a districarsi tra la ricerca della propria identità e il modo di pensare - spesso molto chiuso - della sua famiglia. dando vita a questo personaggio, quali elementi di te e del tuo passato sei riuscito a scoprire e a esprimere meglio?
► la volontà di scrivere questo libro è arrivata facendo un percorso di terapia. ma in realtà già dal mio romanzo precedente, “scirocco”, avevo usato i fumetti per elaborare delle cose personali, in quel caso un lutto, in questo dei traumi e degli avvenimenti della mia infanzia che non avevo mai affrontato davvero. pur utilizzando dei simboli e dei personaggi di fantasia, il fumetto mi ha consentito di esprimere le emozioni nella maniera più sincera possibile, come forse a parole non avrei saputo fare. ho attraversato un vero e proprio momento di regressione all’infanzia, ritrovandomi in alcuni momenti cruciali della mia crescita, e riviverli nella doppia veste di bambino e adulto/autore mi ha consentito di dargli una nuova forma, ridimensionandoli e spostandoli in un’altra dimensione non più traumatica.
ho capito tante cose di me, ad esempio il perché sailor moon mi abbia colpito così tanto quando lo vidi per la prima volta a 11 anni: bunny/usagi riceveva dei poteri che non avrebbe mai voluto, frignava e si lamentava ad ogni combattimento e nel monologo finale della prima stagione diceva apertamente che la vita che voleva era fatta di piccole cose quotidiane, non di battaglie tra il bene e il male, quella era una responsablità che le pesava troppo. in maniera analoga, io mi ero sentito schiacciato dalle responsabilità che mi erano state affibbiate, togliendomi la leggerezza e la spensieratezza sacrosante per un bambino.
ho capito anche il perché negli anni - e prepotentemente quando ho iniziato a lavorare a questa storia - io sia stato ossessionato da regan macneil, la bambina posseduta de “l’esorcista”: ho canalizzato in quella figura una serie di sensi di colpa dovuti alla pesante educazione cattolica, l’imbarazzo provato nella pubertà, nel momento in cui mi sono sentito più sbagliato in quanto “diverso”, la difficoltà di reprimere la mia parte femminile che reputavo sbagliata, e ovviamente la malattia mentale con la quale mi sono scontrato in famiglia.

il problema del racconto personale - per quanto romanzato e non pedissequamente realistico - immagino sia l’inevitabile coinvolgimento di altre persone, che si ritrovano a essere personaggiə della narrazione. qui parli di una famiglia molto conservatrice su molti aspetti, che deve affrontare situazioni anche molto difficili. che tipo di reazione hai avuto da parte di chi si è rispecchiatə in questa storia?
► la reazione finora è stata molto positiva. ho cercato di essere il più possibile rispettoso e credo che leggendo la storia si possa percepire comunque l’affetto per la mia famiglia. per quanto riguarda il racconto della depressione, ho provato a raccontarlo andando un po’ in punta di piedi, proprio perché non è una cosa che ho vissuto direttamente sulla mia pelle ma alla quale ho assistito. crescere con un genitore depresso è una cosa che ti cambia per sempre ma bisogna anche sdoganare il fatto che i disturbi mentali siano malattie, non onte delle quali vergognarsi.
in “tutte le volte che sono diventato grande” ci sono tantissimi riferimenti a manga e anime degli anni ‘90: quali erano i tuoi personaggiə preferitə - e lə artistə - dell’epoca e in che modo hanno influenzato la tua crescita, come persona e come artista?
► ho già parlato di sailor moon e regan, ma ci sono statə tantə altrə personaggə, reali e non, importantissimə per me. madonna, per esempio, è stata un esempio di libertà di espressione ed emancipazione. mi sono ritrovato molto nei percorsi dei due protagonisti di x-files, mulder bisognoso di credere e scully così razionale. ma ovviamente ci sono stati i fumetti e i cartoni animati: lady oscar, gokinjo monogatari, proteggi la mia terra, maison ikkoku, slam dunk, city hunter, ranma 1/2… per poi arrivare ai fumetti di “mondo naïf” e autorə come vanna vinci e andrea accardi.

rispetto alle tue opere precedenti, si vede chiaramente il tuo lavoro di ricerca grafica in una direzione differente. sia il tuo tratto sia la struttura delle tavole si avvicinano qui molto di più a quello proprio del fumetto giapponese che allo stile più tipicamente europeo che aveva influenzato opere come sciroccobasilicò o stella di mare. cosa ti ha portato a questa scelta stilistica?
► come dicevo prima, l’intenzione iniziale era quella di realizzare questa storia come se fosse un vero e proprio manga, sia dal punto di vista narrativo che da quello grafico, perché racconto gli anni nei quali ho scoperto quella narrazione e quei fumetti, che poi sono stati i primi a farmi capire l’enorme potenziale espressivo delle storie, quando potevo rifugiarmici e sentirmi libero. per cui la scelta è stata inevitabile. in realtà non ho dovuto sforzarmi di cambiare, quelle cose ce le ho nelle vene da quando ho iniziato a disegnare, ho semplicemente assecondato un istinto. lavorare con i retini (mezzitoni e pattern tipici del manga) è stato divertentissimo, ma anche usare alcuni espedienti di impaginazione o fare delle citazioni esplicite è stato bellissimo.
nella storia, lucio non ha nessuna fretta di crescere ma si ritrova a “diventare grande” tante volte, almeno agli occhi delle persone adulte che fanno parte della sua vita. ma cosa vuol dire, secondo te oggi, “essere diventatə grande”?
► questa è una domanda difficile :) per quanto mi riguarda, credo che fare questo libro sia stato un ennesimo momento di crescita personale. forse si diventa grandi definitivamente quando si smette di considerarsi figliə e si impara a vedere i propri genitori come persone a sé stanti con tutti i loro limiti.

adesso, soprattutto dopo aver realizzato il sogno - che è anche quello di lucio - di diventare un autore di fumetti, puoi dire di “essere diventato grande”?
► macché, mi sento sempre un teenager :D con molta esperienza, un corpo che invecchia e un bel bagaglio di sofferenze, ma pur sempre un ragazzino. scherzi a parte, forse chi fa fumetti non riuscirà mai a sentirsi del tutto adulto e credo che sia una grande fortuna, allo stesso tempo ho accettato il fatto che diventare grandi abbia anche in suoi vantaggi, a cominciare dal fatto che si possono elaborare cose che ci hanno ferito in passato e imparare a vivere più serenamente. il segreto in fondo è cercare di coltivare un po’ di leggerezza e in questo chi fa un lavoro creativo può essere avvantaggiatə.
grazie mille per il tuo tempo e per averci raccontato il tuo lavoro! a presto e imboccallupo per tutti i tuoi progetti futuri! 

martedì 10 giugno 2025

dracones: associazione per la scrittura fantasy italiana aps ~ intervista a gloria bernareggi e sephira riva

qualche post fa, quando parlavo del salone del libro, dicevo che quando parliamo di libri, parliamo di persone. e quando parliamo di libri e di persone, parliamo delle reti che le persone costruiscono grazie ai libri. questo grazie ai libri si può declinare in tantissimi modi: grazie ai libri che ti insegnano a leggere le persone che ti stanno intorno, che ti insegnano com’è fatta – nel bene e nel male – l’umanità. ma anche grazie ai libri che uniscono lettorә di ogni dove, che ti fanno costruire legami, che si fanno pretesto di amicizie capaci di superare attese e distanze e di nutrirsi di tutto quello che gira intorno ai libri e dentro di noi.

e poi, grazie ai libri, queste reti si fanno tanto grandi da diventare comunità. comunità vere, non community da social. e dentro queste comunità, oltre ai legami personali e le amicizie, germogliano idee, sboccia la voglia di fare, di cambiare quello che non ci piace e di inventare realtà completamente nuove.

una di queste è dracones: associazione per la scrittura fantasy italiana aps, nata da un’idea del duo di scrittrici e divulgatrici moedisia, aka gloria bernareggi & sephira riva, autrici di creature dell’assenza e anatomia del fantasy, qui in veste di direttivo dell'associazione.

al salone del libro ci siamo incontrate – come accade da un po’ di anni a ogni fiera, ormai – e ci siamo promesse di parlare di questo nuovo progetto qui su claccalegge, per raccontare cos’è dracones, cosa fa e a chi si rivolge.

buona lettura!

gloria e sephira presentano dracones al salone del libro 2025

ciao sephira, ciao gloria! grazie mille per aver accettato il mio invito e per essere oggi su claccalegge. chi vi segue conosce sicuramente già il vostro nuovo progetto, dracones, che è già online da qualche settimana. ci raccontate di cosa si tratta?
► Ciao Claudia e grazie per l’invito! Dracones: Associazione per la scrittura fantasy italiana è un’associazione di promozione sociale (cioè senza scopo di lucro e regolarmente registrata) che si pone come obiettivo la tutela, valorizzazione e promozione del fantasy italiano, in Italia e all’estero.
come è nata l'idea di fondare questa associazione?
► Frequentando l’ambiente del fantasy da anni, abbiamo avuto modo di scoprirne gli aspetti positivi e quelli negativi. Ragionavamo da molto tempo su quale fosse il modo migliore per intervenire in uno spazio già affollato, per dire qualcosa di nuovo e diverso. La spinta decisiva è arrivata durante l’estate.
Questo momento storico è particolarmente critico per chi svolge lavori in campo creativo: ci siamo rese conto che le difficoltà crescenti stavano acuendo alcune problematiche già note (come l’utilizzo smodato delle tecnologie di AI generative, ma anche altre forme di sfruttamento ai danni di categorie già fragili). Abbiamo sentito forte l’esigenza di proporre un’alternativa, presentando un modello collaborativo e democratico.
Con queste premesse, la scelta di unirci in un'associazione è stata naturale. Infatti, le associazioni sono un potente strumento di democrazia: operano attraverso organi eletti e incentivano la partecipazione, la solidarietà e il pluralismo delle idee. In un panorama culturale frammentato e dominato da interessi economici personali, crediamo che sia una scelta radicale e necessaria per far fronte alle sfide del presente e portare avanti le battaglie che ci riguardano.
quindi quali saranno le attività dell'associazione? e come potrà partecipare attivamene chi vorrà associarsi?
► Abbiamo molti progetti in cantiere! Alcuni di essi vedranno la luce nella seconda parte dell’anno; altri stanno già prendendo forma: uno di essi è senz'altro il nostro sito internet - interamente dedicato al fantasy italiano, con una vetrina in lingua italiana e inglese.
È uno spazio che abbiamo voluto fortemente, slegato dalla logica degli algoritmi, che ci permette di instaurare un dialogo anche fuori dai confini nazionali: questo sguardo verso l'esterno, che è un po' un'anomalia nel mondo editoriale, ci ha già permesso di entrare in contatto con realtà estere che condividono i nostri stessi principi etici (come la francese Hikaya, con cui ci siamo gemellate da poco).
Al sito è inoltre associato anche un blog di approfondimento, in cui presenteremo percorsi di lettura tematici, interviste, recensioni e recupero di testi dimenticati. Questo ci permetterà di contestualizzare la produzione fantasy italiana, oltre che dare visibilità a opere di valore.
Un altro tema che ci è molto caro è quello della formazione: vogliamo dare ai nostri associati gli strumenti per scrivere meglio, e per approfondire i temi che stanno loro a cuore. Perciò abbiamo stipulato degli accordi con scuole di scrittura che operano in modo virtuoso, alla cui offerta formativa accompagneremo dei corsi di specializzazione interni. I primi sono in partenza a giugno: uno dedicato a come strutturare una proposta editoriale; il secondo una guida pratica ai sottogeneri del fantasy. Altri arriveranno in autunno, grazie a docenti davvero eccezionali.
Insomma, abbiamo davvero tanta carne al fuoco - ed è solo l'inizio!

dracones si rivolge soprattutto a chi scrive fantasy. avete riservato anche uno spazio agli editori che si occupano di fantasy?
► Al momento non abbiamo ancora uno spazio da dedicare alle case editrici, ma il loro coinvolgimento nel progetto è costante: Dracones si pone come un ponte tra le molte anime della filiera, perciò anche le case editrici sono interlocutrici continue. Riceviamo molti input relativi ai problemi che incontrano più di frequente o a ciò che cercano, ma ci vengono anche richieste opinioni specifiche. È una conversazione che va in entrambe le direzioni.
e, invece, come possono interagire lә lettorә con l'associazione?
► Di certo speriamo che chi legge inizi a frequentare la nostra vetrina e il blog! Il nostro obbiettivo principale è incuriosire il pubblico, mostrando quanta varietà di temi e sottogeneri ha da offrire il fantasy italiano. Nel lungo termine, però, ci piacerebbe anche organizzare delle collaborazioni con le scuole: il lettorato più giovane è anche quello più aperto a sperimentare con nuovi titoli, e dobbiamo partire da qui per decostruire i tanti pregiudizi che ancora circondano la nostra produzione letteraria.
come è stato accolto il progetto dallә autorә italianә di letteratura fantasy?
► Come tutte le cose nuove, è innegabile che abbiamo incontrato un po’ di diffidenza. Ce lo aspettavamo: è normale che ci si chieda se Dracones è un fuoco di paglia. Aggiungiamoci che c’è una grande confusione riguardo a cosa sia un’associazione e cosa dovrebbe fare… abbiamo dovuto fare un grande lavoro preliminare di comunicazione, che però ha dato i suoi frutti: abbiamo intercettato l’interesse di persone appassionate ed entusiaste, e nel giro di un mese abbiamo già raggiunto il grande traguardo di 30 associati. Ricordiamo comunque che è possibile associarsi a Dracones APS in qualsiasi momento, la campagna è sempre aperta.
dalla mia prospettiva di lettrice mi sembra che negli ultimi anni il fantasy - e un po' tutta la letteratura di genere - stia vivendo una sorta di età d'oro, o comunque mi sembra che certi pregiudizi vadano cadendo un po' alla volta, soprattutto, per riprendere quello che dicevi tu prima, tra lә lettorә più giovani. qual è invece la vostra prospettiva, da un punto di vista più "interno"?
► Hai perfettamente ragione: qualcosa sta cambiando, e lo vediamo anche noi. Negli ultimi anni il fantasy - e il fantastico in generale - sta finalmente uscendo dal suo angolino, almeno a livello di mercato. Soprattutto all'estero, dove il generale ha già da tempo una struttura solida e un pubblico molto ampio. In Italia, invece, la situazione è diversa: la crescita c'è, ma riguarda quasi esclusivamente la narrativa straniera in traduzione. I titoli di penne italiane continuano a essere una risicatissima parte della proposta che arriva al pubblico. è una stranezza perché nessun altro genere presenta uno squilibrio così forte tra autor* italian* e internazional*.
in effetti, dando un'occhiata in libreria si vede facilmente che le case editrici puntano moltissimo sul fantasy estero, soprattutto anglofono, rispetto a quello italiano. secondo voi, come si spiega questa "sfiducia" nei confronti dellә autorә nostranә?
► Eh, domanda difficile a cui non c'è una risposta unica, perché il problema è su più fronti.
Al momento, il fantasy italiano è sostenuto quasi esclusivamente da realtà medio-piccole-piccolissime indipendenti che fanno un lavoro davvero prezioso. Il problema è che da sole non riescono a raggiungere un pubblico ampio, e quindi faticano a cambiare davvero la percezione del genere. Il risultato è che spesso il lettore medio (quello che non legge solo fantasy, magari, ma ha gusti più onnivori) non sa che esiste un fantasy italiano contemporaneo - e questo alimenta l'idea che "non ci sia nulla di valido".
Il punto, però, è che questa sfiducia non è sola da parte del pubblico, ma a che dentro la filiera editoriale. Si crea una sorta di circolo vizioso: gli autori pensanoche non ci siano spazi per loro, quindi magari rinunciano a provarci o si autocensurano; gli agenti e le case editrici, dal canto loro, evitano di scommettere su esordienti italiani perché non vedono un ritorno immediato. E così si resta impantanati.
Quello che serve, seconodo noi, è rompere questo meccanismo da più lati: supportare chi già lavora sul fantasy italiano, investire in figure professionali che conoscano davvero il genere e, soprattutto, puntare sulla qualità. Solo così si può cambiare la narrazione: non aspettando che il sistema di accorga di noi, ma facendo in modo che non ci possa ignorare.

dracones è un'associazione pensata per lә autorә ma che ha già aperto dei canali social che inevitabilmente saranno seguiti anche da lettorә e appassionatә di fantasy. ci sarà modo anche per loro di contribuire in qualche modo al progetto?
► Certo! Chi desidera supportarci può farlo con una donazione, oppure contribuendo come volontari*. Per esempio, a breve apriremo una call per blogger che desiderino collaborare con l’associazione.
prima parlavate di realtà estere a voi affini, come hikaya. che tipo di realtà sono e che attività svolgono?
► Stiamo cercando di coordinarci in primis con altre associazioni impegnate nella valorizzazione della produzione locale del fantastico: in Europa sono numerose e con una storia decennale. Per esempio, oltre alla francese Hikaya, che pur essendo nata come associazione si sta strutturando come casa editrice e centro di scouting, siamo state contattate anche dalla Turchia.
Una cosa che abbiamo notato è che, anche se noi italiani abbiamo accumulato un certo ritardo nella discussione internazionale sul genere, c’è molto interesse nei confronti della nostra produzione nazionale!
restiamo sintonizzati sui canali di dracones (sito, instagram, facebook, tiktok, linkedin) per seguire gli sviluppi di questo progetto! vi ringrazio tantissimo per il vostro tempo e vi faccio un mega imboccallupo per dracones e per i vostri progetti personali! ❤️ a presto!
► Grazie per questa bella intervista, a presto!

giovedì 5 giugno 2025

bea wolf

ehi, aspetta!
ascolta le vite dei bimbi del tempo che fu, i paladini del mondo,
i piccoli ribelli ai genitori, gli inappropriati, gli impudichi,
gli indomiti domatori di bulli,
i sabotatori del sonno, i soffia-sberfletti,
lottatori contro i limitatori di letizia,
liberi dalla paura, destinati alla fama.


«attenzione! sappiamo della gloria, in giorni lontani, dei danesi con l'asta, dei re della nazione; che grandi cose fecero quei principi, nel passato...»
così inizia beowulf, il più antico e importante poema epico della letteratura anglosassone, ed è immediato trovare l'eco di questi primi versi all'inizio di bea wolf, il non-fumetto scritto da zach weinersmith e illustrato da boulet.

la storia si apre con una lunga dinastia di re e regine bambinə che risale al prode carl, modellatore di montagne, localizzatore di metalli, flagello dei bulli. lontana dall'idea che ne hanno lə adultə, regnare per lə bambinə significa condividere ricchezze - ovvero giocattoli, dolci e snack di ogni tipo - e proteggere il proprio gruppo dalle perenni minacce che arrivano dal mondo adulto: essere costrettə a lavarsi i denti o a passare il tempo con giochi educativi, non ingozzarsi di schifezze zuccherate e, cosa peggiore di tutte!, crescere.


è proprio questa la minaccia che grava sulla generazione di bambinə di re roger - detto il costruttore per aver realizzato la gloriosa casa sull'albero - impersonata dal terrificante grindle.
grindle è il non plus ultra dell'adultità: quarantenne grigio, dotato di riportino unticcio e gambette sottili da triste impiegato. questo cupo, anonimo e dimenticabile figuro vive proprio accanto alla casa sull'albero e le risate e le urla dei giochi dellə bambinə gli sono tanto indigeste da portarlo a dichiarare guerra allə piccolə vicinə.
grindle ha un solo, devastante potere, ovvero quello di rubare l'infanzia con un semplice tocco. le sue vittime, appena sfiorate, si trasformano in teenagers dai capelli appiccicosi di gel, schiavə di cellulari e dediti allo sbaciucchiamento selvaggio o, peggio, diventano all'istante adultə bisognosə di restare costantemente aggiornatə dai telegiornali, interessatə all'andamento delle borse o alle ultime beghe politiche.


eppure, nonostante il valore del suo esercito, re roger non riesce a sconfiggere l'odioso avversario. ad aiutarlo, però, arriva da lontano una valorosa combattente. questa è la spada giurata della regina heidi, cugina di carl e alleata di roger. bea wolf, questo il nome, è una bambina che ha già avuto modo di provare il suo coraggio e la sua integrità morale. vestita della sua armatura-orsacchiotto, bea wolf è pronta a vendicare i torti subiti dallə alleatə e a preservare il loro diritto a un'infanzia allegra e casinista.

dicevo all'inizio che bea wolf è un non-fumetto, e in effetti manca della tipica struttura a vignette, con i dialoghi dellə personaggə racchiusi nei baloon. quello di weinersmith e boulet è più un ibrido tra un libro illustrato e un fumetto vero e proprio. boulet disegna con un tratto morbidissimo, arricchito da accurati chiaroscuri, che rende lə piccolə protagonistə di questa storia tremendamente adorabili, morbidə monellə con gli occhi tondi e vestitə di improbabili miscugli di capi che ci riportano alla mente l'isola che non c'è. il perfetto opposto di grindle, dunque, stereotipo grottesco dell'adulto che non abbandona la propria banale e pigra routine neppure per un attimo. ai testi, così, rimangono gli spazi bianchi sopra e sotto alle illustrazioni, un modo per raccontare la storia non soltanto attraverso i dialoghi, come avviene solitamente, e di poter quindi avvicinarsi allo stile maestoso dell'epica.


riprendendo il tono, la poetica e il linguaggio caratterizzanti le epopee mitiche del passato, i due autori francesi danno vita a un racconto che parla di bambinə e allə bambinə (anche quellə che anagraficamente non rientrano più nella categoria), e che restituisce all'età dell'infanzia tutta la sua imparagonabile grandiosità e bellezza, oggi forse perduta o quasi in quella confusione di bambinə zittitə con uno smartphone che spara lucine e canzoncine a tutto volume, che non vedono l'ora di diventare grandi, e adultə che non hanno mai voluto saperne di crescere.

venerdì 30 maggio 2025

commenti randomici a letture randomiche (91)

la pila dei libri presi al salone mi tenta moltissimo, e mi tenta moltissimo quella dei libri che mi sono portata su da casa l'ultima volta che sono tornata. e in generale, mi tenta qualsiasi libro sia ancora negli scaffali dei libri-da-leggere. mi sento ancora frastornata da un sacco di cose e faccio fatica a scrivere, vorrei solo stare ore e ore e ore a letto abbracciata al mio pupazzo preferito a leggere.
ma, allo stesso tempo, la pila dei libri-che-ho-letto-e-di-cui-voglio-parlare cresce e mi guarda malissimo. quindi provo a raccontarvi un po' delle mie ultime letture mentre ricarico le batterie quel che basta per affrontare un po' di idee che ho per il blog...

 la mappa dell'altrove di emily wilde 
bisognerebbe essere dei veri idioti per sposare una creatura fatata. sono poche le storie in cui un'unione di questo tipo va a finire bene, mentre ce ne sono migliaia che si concludono con la pazzia o una morte atroce e prematura.
ovviamente sono anche sempre cosciente di quanto sia ridicolo che un re delle fate abbia chiesto a me di sposarlo.

qualche settimana fa è uscito il secondo libro dedicato al mondo di emily wilde, la miglior driadologa in circolazione nonostante il suo carattere scontroso e la sua scarsa capacità di attenersi alle norme sociali. e ammetto che è proprio per questo - ma non solo - che la cara emily e i suoi diari mi erano mancati.
emily wilde è un po’ la personificazione del cliché dellə scienziatə fuori dal mondo, ferratissimə nel suo campo ma in estrema difficoltà quando si tratta di gestire i rapporti interpersonali o curare il proprio aspetto quel tanto che basta a evitare sguardi indagatori e giudicanti. nonostante sia, appunto, un po’ un cliché, emily è molto più di una macchietta o di una maschera da teatro: heather fawcett è riuscita a sviluppare tanto bene la sua personaggia da renderla a tutto tondo, un mix ben dosato di goffaggine, intelligenza ed erudizione (in merito al mondo delle fate, ovvio).
 
la mappa dell’altrove di emily wilde è il libro-di-mezzo della serie e un po’ si avverte questo suo ruolo di connettore tra il primo romanzo, che ha gettato le basi per costruire questo mondo a metà strada tra il cozy fantasy e il light academia (eh, visto che brava che sono che inizio a imparare i nomi dei vari sottogeneri?), e il capitolo conclusivo (che la sottoscritta non vede l’ora di leggere).
molte situazioni, infatti, restano un po’ sospese ed è chiaro che ci stanno preparando al finale della storia, ma comunque resta un romanzo estremamente godibile, anche se forse un pelino meno del primo.
inevitabilmente in questo post ci saranno degli spoiler sul primo libro.
 
oltre alla nostra protagonista, al suo wannabe-promesso-sposo wendell bambleby, e al mio adoratissimo shadow, il grosso cagnolone nero che accompagna emily nelle sue avventure e che è, in realtà, un gramo, compaiono due personaggə nuovə: il professor rose, driadologo della vecchia guardia, con cui emily ingaggia - o viene ingaggiata in - schermaglie circa i loro metodi di ricerca (estremamente differenti), e infine ariadne, la giovane, immatura e entusiasticamente affascinata dal popolo fatato, nipote di emily.
 
ne la mappa dell’altrove di emily wilde la missione che porta avanti la trama del racconto diventa triplice: ufficialmente la nostra driadologa, che ha ormai raggiunto una certa notorietà ed è ufficialmente una professoressa a cambridge, sta compilando il suo atlante delle porte che conducono al mondo delle fate. meno ufficialmente sta indagando, insieme a bambleby, per ritrovare la porta che lo conduca al suo regno, la silva lupi, e gli permetta di riottenere il trono che gli è stato usurpato dalla sua matrigna, che è riuscita a “lanciare” su di lui una maledizione che sembra non lasciare scampo e che terrorizza emily.
per riuscirci, hanno seguito le impronte di danielle de gray, studiosa scomparsa misteriosamente da decenni, forse smarrita in un qualche regno fatato, che aveva teorizzato l'esistenza di uno snodo, cioè di una porta capace di collegare contemporaneamente il nostro mondo e diversi mondi fatati, sulle alpi austriache.
 
ai temi della ricerca e dell’indagine sui misteri, si accosta inevitabilmente quello della storia d’amore tra emily e bambleby che, grazie al cielo, heather fawcett sintetizza in poche pagine sparse qua e là, risparmiandoci i dettagli, mentre il grosso delle loro interazioni mantiene il tono più leggero del primo libro. anche il fatto che lə comprimariə di emily siano tre ripartisce in qualche modo lo sviluppo della sua personaggia: il suo lato romantico, che cresce all’intensificarsi e chiarirsi dei suoi sentimenti verso bambleby; la emily-studiosa che diventa sempre più sicura di sé e del suo metodo di ricerca attraverso il confronto con il professor rose; e infine il rapporto con ariadne che sembra essersi unita alla spedizione per permettere a emily di crescere come persona, di diventare un’adulta capace di prendersi cura dellə altrə e di imparare a gestire le relazioni interpersonali - cosa in cui non ha mai raggiunto risultati eccellenti…

la storia, quindi, procede con un ritmo serratissimo: ci sono misteri da risolvere, un re delle fate da salvare, creature magiche mai incontrate prima, porte fatate da attraversare, regni incantati e pericolosi da esplorare e una domanda fondamentale - mi vuoi sposare? - a cui rispondere. nonostante sia chiaramente percepibile la doppia tensione che lega questo romanzo da un lato al primo libro e dall'altro al capitolo conclusivo, la mappa dell'altrove di emily wilde è una lettura molto piacevole, un romanzo che fa divertire, commuovere e che spesso ci lascia con il fiato sospeso per diverse pagine.

 suoni ancestrali 
d'improvviso fu colta dall'angoscia. e se il pubblico ci rimanesse male? per renderlo storia, il mito avrebbe dovuto necessariamente essere messo a nudo. [...] altro che un onore! quella faccenda era un tranello, forse il peggior progetto della sua vita. le sarebbe toccato adattare il mito alla storia, far corrispondere i canti ai risultati degli scavi. un inferno, pensò. trovava infatti intollerabile che le fantasie distorcessero la realtà storica. i morgondi erano troppo amati.

la cosa che mi ha attirata di più verso suoni ancestrali era la strana commistione di archeologia e storia e fantastico, che poi si è svelato essere più distopico che fantasy in senso stretto.
ammetto subito che non è stato uno dei miei best of del momento ma mi è piaciuto abbastanza da farmi venire voglia di recuperare il primo romanzo di perrine tripier (le guerre preziose), soprattutto per le doti stilistiche che l'autrice ha dimostrato e che sono state, probabilmente, la cosa che mi ha stupita di più durante la lettura.

il punto del romanzo è: in che modo possiamo utilizzare la nostra capacità di scoprire il passato? a cosa serve guardarci alle spalle e imparare a conoscere chi siamo statə? le risposte si possono riassumere in due atteggiamenti contrapposti. il primo è quello più critico, quello cioè che tiene conto tanto della grandezza e dei successi dellə nostrə antenatə quanto dei loro errori, così da riconoscerli, riscattarli e sapere come evitare di commetterli di nuovo (cosa che, a guardare le cronache dell'ultimo anno e mezzo, pare solo una bella ma irrealizzabile utopia). il secondo atteggiamento è quello più facile e immediatamente soddisfacente: prendere dal passato solo quello che ci fa comodo e usarlo a nostro vantaggio, per propagandare un'idea di noi tanto magnificente quanto falsa.

in un non meglio precisato impero, un evento fortuito permette di scoprire una città antichissima, risalente forse all'epoca dei morgondi, i leggendari antenati dell'imperatore e del suo popolo. questa profusione di maschili non è frutto di una distrazione: i morgondi sono stati valorosi guerrieri, navigatori e cacciatori di balene, tutti rigorosamente maschi. è degli eroi morgondi che parlano le favole, non di eroine, di cacciatrici o navigatrici.
a sovrintendere gli scavi, però, è una donna, la storica martabea che, da un giorno all'altro, si vede accordare dal capriccioso, volubile e spesso ridicolo imperatore un favore dopo l'altro: una casa sontuosa, un autista privato, abiti lussuosi, feste esclusive. in cambio, l'imperatore non chiede altro che poter inserire qualche frase scritta di suo pugno nei bollettini che martabea deve compilare regolarmente per tenere a bada il popolo, costretto a pagare nuove tasse per finanziare i lavori. che sarà mai, in fondo?

la civiltà morgonda svela meraviglie a ogni sacco di sabbia scavato via: architetture colossali e raffinatissime, cimiteri mitici, statue di pregevolissima fattura, straordinari strumenti a fiato e un intero immaginario epico da cui l'impero tutto può attingere. è questo quello che vuole l'imperatore: una nuova mitologia che diventi il fondamento legittimo del suo potere, un legame diretto - storico e genetico - con quella popolazione così progredita e valorosa, che riversi su di lui la stessa grandezza che quelle rovine riescono a riecheggiare dal passato.

ma dove sono le donne morgonde?
rispondere a questa domanda significa aprire un armadio in cui è conservato ben più di uno scheletro. e martabea sarà posta davanti alla scelta più importante non solo della sua carriera di accademica ma del suo essere al mondo come persona oltre che come donna.

la cosa più notevole durante la lettura è stata, per me, il repentino cambio di tono. inizialmente la penna di perrin è elegantissima, aulica, quasi stucchevole. la scrittura si arriccia su sé stessa in volute barocche, inanella immagini evocative una dopo l'altra, sceglie le parole con infinita cura perché tutto sia bello. poi, nel momento in cui il proseguire dei lavori di scavo toglie la maschera alla realtà, la penna si impiglia in testimonianze così sconvolgenti e inaspettate da diventare incapace dei primi virtuosismi. la lingua diventa asciutta, veloce, schietta anche a costo di ferire. e ferisce, moltissimo.
la realtà si fa brutale e chiede una scelta: ammettere l'errore del presente e quello del passato e pagare per entrambi, o lasciare che questi continuino a essere reiterati, nascondendo sotto al tappeto la polvere e gli orrori.

il finale è stato spiazzante. e disperante.
leggete questo libro a vostro rischio e pericolo.
e poi arrabbiatevi.

 il lungo viaggio 
la galassia è regolata da leggi. la gravità, i cicli vitali di stelle e sistemi planetari, le particelle subatomiche; tutti seguono delle leggi. conosciamo le condizioni esatte che porteranno alla formazione di una nana rossa, o una cometa, o un buco nero. perché allora non possiamo ammettere che l'universo segua leggi altrettanto rigide anche per quanto riguarda la biologia? abbiamo scoperto la vita solo su pianeti e lune di dimensioni simili, che occupavano una ristretta fascia di orbite intorno a stelle adatte. se ci siamo evoluti tutti su pianeti affini, perché il fatto che abbiamo seguito cammini evolutivi simili dovrebbe sorprenderci?

la bellezza di questo libro è inversamente proporzionale a quella della copertina, che fa schifo. insomma, è meraviglioso .
ho conosciuto becky chambers con un salmo per il robot/un salmo per l'universo e me ne sono innamorata follemente. i suoi libri - compreso questo - hanno un'intelligenza, una sensibilità, una poesia e uno humor rari, che sinceramente non avrei mai pensato di trovare in associazione alla parola fantascienza. so che è un bias cognitivo che dovrei abbandonare (anzi, direi che dopo aver letto becky chambers ho iniziato a farlo), ma da un romanzo sci-fi mi aspetto sempre almeno un certo livello di tensione e azione che qui, anche quando c'è, si risolve velocemente, lasciando spazio a tutto il resto.
non che il lungo viaggio non sia un romanzo d'evasione, lo è, vuole esserlo e ci riesce benissimo, ma mi ha permesso di evadere in un modo tutto suo.

la storia inizia nel momento in cui rosemary harper, una giovanissima archivista, viene assunta sulla wayfarer, una nave attrezzata per aprire wormhole nell'universo e garantire un sistema di spostamenti veloci sempre più funzionale all'interno della comunità galattica. per rosemary non si tratta semplicemente di un nuovo lavoro, la wayfarer rappresenta per lei la possibilità di lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita e tutto il dolore che le ha causato.
rosemary è un'umana, nata e cresciuta su marte, pianeta che gli esseri umani hanno colonizzato dopo che la terra è diventata praticamente inabitabile, e avventurarsi nello spazio significa anche entrare a contatto con specie differenti dalla sua. la differenza non è mai semplicemente una questione d'aspetto o di fisiologia. specie differenti di sapiens si sono sviluppate nell'universo in modi estremamente lontani uno dall'altro, nonostante le condizioni fisico-chimiche dei pianeti d'origine fossero simili.
corpi differenti con funzioni, abilità e necessità differenti significano anche culture e storie differenti che comportano abitudini, modi di pensare e di agire differenti, persino universi emotivi differenti.

l'attenzione che chambers dedica a ogni personaggiə mi ha fatto venire in mente la capacità che ha avuto ursula k. le guin di raccontare le società e gli individui che hanno popolato i suoi romanzi, il modo in cui ha ricostruito dietro ciascunə di loro intere culture, con un'attenzione antropologica puntuale e un'ottica anticolonialista che non si è mai abbandonata all'etnocentrismo.
chambers ha colto pienamente la lezione di le guin, ed è per questo che il lungo viaggio è un romanzo tanto straordinario.

per questo e per tutte quelle belle qualità che animano lə personaggə e che solitamente racchiudiamo nel termine umanità ma che mai come in questo contesto diventa un termine specista. pensiamo che la gentilezza, l'altruismo, la buona volontà, il coraggio, la rettitudine morale eccetera siano cose che appartengono solo a noi, che soltanto noi siamo riusciti a codificare un sistema etico degno di questo nome, a darci delle regole e a seguirle (o meno). chambers ci dice che non è così. che altre creature diverse da noi possono creare altri sistemi etici diversi, in varia misura, dal nostro ed essere comunque delle belle persone. belle persone che riescono a stare bene insieme, nonostante le loro differenze o forse proprio in virtù di quelle differenze, perché ognuna di loro ha qualcosa da dare alle altre, ognuna di loro può mostrare le cose da un punto di vista inedito e impensabile. e spesso, cambiare prospettiva è la migliore delle soluzioni che abbiamo per affrontare i momenti difficili e superare gli ostacoli.

se dovete scegliere un solo titolo tra questi tre, scegliete il lungo viaggio (il cui titolo avrebbe dovuto essere il lungo viaggio verso un piccolo pianeta arrabbiato ma... ok, non aggiungo altro sull'editore).
in realtà, anche se funziona benissimo come stand-alone, è il primo di una serie di cinque romanzi (va bene, non è vero che non aggiungo altro sull'editore) ma in italia sono arrivati solo i primi due (la pubblicazione si è interrotta cinque anni fa e dubito fortemente che vedremo il seguito, a meno che qualche altra casa editrice non recupererà i diritti, cosa che spero fortemente).

venerdì 23 maggio 2025

salone del libro 2025 ~ quando parliamo di libri, parliamo di persone

come l'anno scorso, torno a scrivere del salone del libro per parlare di un sacco di cose che girano intorno al salone. o forse è il salone che gira intorno a un sacco di cose, non lo so.

arrivare qui davanti mi emoziona sempre

anche quest'anno ho avuto il pass stampa che, insieme a un po' di cose che mi sono sentita dire lo scorso weekend da un po' di editori con cui ho collaborato (no ok, questa cosa che "collaboriamo" con gli editori è una porcheria da linguaggio social. non c'è alcuna collaborazione, semplicemente scriviamo dei commenti sui loro libro ma anche senza questo vivrebbero e venderebbero lo stesso, non è affatto un lavoro così fondamentale da meritare il termine "collaborazione", ma è giusto per capirci) qui e sul blog audace, mi ha ricordato che questo blog è una cosa bella e importante. e riconosciuta.
succede raramente, ma quando succede ne sono sempre estremamente felice. tanto che scrivo robe sconclusionate come questa (e di scrivere queste cose sconclusionate, per vostra fortuna, succede ancora più di rado).


quest'anno il salone ha avuto 231.000 visitatorə, novemila in più rispetto alla scorsa edizione. un successone, quindi, che però collide con la notizia più chiacchierata nel giro che è quella relativa ai dati di vendita del mercato dei libri: nei primi mesi dell'anno c'è stato un calo di circa un milione di libri venduti rispetto al 2024. non so se avete ascoltato bene, ma è stato tutto un rumore di stracciarsi di vesti e spargersi ceneri sul capo perché, dove andremo a finire signora mia, in italia non legge più nessunə.

manteniamo la calma e ragioniamo un attimo. al netto del fatto che per leggere un libro non devi per forza comprarlo - puoi prenderlo in biblioteca, puoi fartelo prestare da un amicə, puoi rileggere cose che hai già in casa, puoi comprare sì, ma tra l'usato e poi, non facciamo finta di non saperlo, puoi sempre trovare strategie poco legali per leggere in digitale - comprare libri non è una cosa così facile.
il nostro illuminatissimo governo ha fatto tagli alle carte per lə neo-diciottenni e per le biblioteche, la situazione economica di chi lavora è sempre più drammatica per non parlare di quella di chi un lavoro nemmeno ce l'ha. i libri non sono beni primari, spiace dirlo perché non dovrebbe essere così, eppure. persino i settori dell'editoria per la scuola e l'università sono in calo (ma abbiamo studiato abbastanza da sapere come si risolve il problema di un manuale universitario prezzato 45€). e poi si pubblicano troppi libri. ma davvero troppi. e se pubblichi troppo ma vendi troppo poco, la soluzione è, inevitabilmente, alzare i prezzi. e visto quello che si diceva appena due righe più su, se un libro costa in media 18€ non è facile che la gente si accalchi fuori alle librerie con i carrellini della spesa.

i miei acquisti - e le cose belle che mi hanno regalato - dopo mesi in cui ho costretto il mio portafogli a non avvicinarsi a una libreria

ma invece di preoccuparci dell'inaccessibilità - economica e non solo - alla cultura (intesa anche semplicemente come letteratura d'evasione, eh, lungi da me riempirmi la bocca di questa parola a sproposito solo per rigirarmela sulla lingua e sentire che sapore ha), su altri salotti letterari digitali l'argomento si è ripiegato sull'annoso problema della democratizzazione della critica letteraria e sulla vergognosa diminuzione delle stroncature fatta dallə critichə verə, quellə con la laurea incorniciata nello studio, sopra la grossa scrivania di mogano, tra librerie perfettamente spolverate da qualcun'altrə.
tutto questo discorso non fa che aggiungere classismo al classismo: il popolo ignorante non legge (o di sicuro non spende soldi per i libri, oppure sì ma compra&legge merda commerciale) e quando lo fa si permette persino di scrivere recensioni e dare consigli. e poi c'è l'amichettismo! amichettismo ovunque, quanto ci piace questa parola!

anche qui, respirone profondo e ragioniamo un momento. è vero, adesso chiunque può scrivere di libri. anche da un po' più di adesso ma chissà quand'è stato che lə verə intellettualə del paese si sono accortə della nostra presenza. il fatto è che ormai quel fantastico strumento che è internet si è diffuso così tanto da essere accessibile a chiunque. da tipo vent'anni. e chiunque può aprire uno spazio in modo gratuito e mettere a disposizione ad altra gente quello che scrive in modo gratuito. e in questi spazi può parlare di libri! fantastico, no? e, addirittura, su questi spazi si può parlare di quel tipo di libri che fino a qualche decennio fa nessunə si sarebbe sognato di includere nell'empireo della letteratura: dai fumetti ai romanzi di genere fino alle autoproduzioni.
insomma, tuttə parlano di libri, di qualsiasi libro, lo fanno gratis e senza dover esibire un curriculum prima di cliccare sul tastino pubblica.
mi spiace molto se a qualcunə rode ma, ehi, il mondo cambia e le cose vanno così. chiaramente, la critica letteraria vera, quella dei giornali e delle persone bene, continua ad esistere e chiunque può scegliere se leggere la recensione di una persona pagata per scriverla o se seguire il consiglio di lettura dato da una sedicenne appassionata su tiktok che al massimo domani riceverà un libro gratis da un qualche editore attirato da qualche k di visualizzazioni che renderà quella ragazza una ragazza felice.
a me sembra una cosa bellissima. di cosa ci si sta lamentando quindi? che la letteratura non è più qualcosa di intrinsecamente elitario? ma non eravamo tuttə convintə sostenitorə dell'uguaglianza sociale?

qua niente amichettismo ma tantissima amicizia

quanto all'amichettismo: quello che merita questo nome è quello dei suddetti salotti bene e dellə verə intellettualə che spippolano entusiasmo a profusione per qualsiasi cosa pubblicata dallə loro amicə che genera un vortice di altre pubblicazioni, inviti, assegnazioni di cariche più o meno istituzionali eccetera. tutta roba molto più disgustosamente affascinante rispetto a quante ragazzine hanno ricevuto copie stampa per i loro video o i loro blog (in quel caso, come la sottoscritta ad esempio, probabilmente non sono più ragazzine). se invece parliamo di amicizia, se ci riferiamo a come chi scrive consigli di lettura sul web parla dei libri dellə amicə, beh, ovvio che non sarà mai nulla di puramente oggettivo. perché se siamo amicə probabilmente ci piace abbastanza quello che l'altrə fa, pensa, dice e scrive. o se pure non ci piace, lə vogliamo troppo bene per scrivere una porcheria di stroncatura qualsiasi solo per far sghignazzare qualche stronzə che gode dell'altrui umiliazione pubblica.

e poi, lasciando stare i giudizi di valore su chi scrive in che modo e di cosa, quante persone si sono avvicinate per la prima volta alla letteratura dopo aver letto la critica di una qualche penna famosa su un giornale e quante, invece, l'hanno fatto dopo aver letto una recensione online, magari pubblicata da una persona amica? la risposta la sappiamo.

non so se le parole sono leggere, so però che sono dense e consapevoli, ogni volta sempre di più

tutto questo per dire che quando parliamo di libri, parliamo di persone. persone che con i libri ci lavorano e persone che i libri li amano e persone che, a volte, rientrano in entrambe le categorie. persone che fanno finta di lavorare con i libri - perché si, scrivere di libri è un lavoro ma in italia nessunə ti paga per farlo, e lo facciamo lo stesso anche gratis perché ci crediamo davvero e non, con buona pace di alcunə, per avere il libro gratis - persone che intorno al loro amore per i libri hanno costruito reti di amicizia e scambio e affetti. ma anche persone che prima di cacciare dalla tasca i soldi per comprare un libro devono chiedersi se ne rimangono abbastanza per le bollette e la spesa, persone che semplicemente si sentono prese in giro a vedere sulla quarta di copertina certi prezzi imbarazzanti, persone che credevano che diritto allo studio non significasse sì, ma solo se puoi spendere trecento euro al mese per dare gli esami.

il salone del libro era pieno di queste persone. era bellissimo e terrificante - soprattutto quando queste persone decidevano di colpirti in pieno con gomiti, zaini, panze, shopper piene (di pesanti e spigolosi libri, appunto) - ma capace di darti visivamente l'idea di quanto non abbia senso parlare di libri, di letteratura, di storie senza parlare di persone. perché se non prestiamo attenzione alle persone, cosa leggiamo a fare?

palestina libera!

e, a proposito di persone, so che è banale ma volevo ribadire il mio affetto - che spesso non si vede, lo so - a tutte le persone belle che ho incontrato a torino, da casa eris a tutti gli altri stand dove ci siamo scambiati saluti, sorrisi, abbracci e chiacchiere, a quelle che hanno scarpinato per chilometri con me in giro per gli stand tollerando la mia logorrea e i miei ci facciamo una foto? (tutte su instagram!), e a quelle persone che a torino non c'erano ma che per me sono lə amicə di letture (e non solo) e a cui voglio tanto bene perché rendono per me i libri qualcosa di ancora più speciale. e grazie per le persone che ho incontrato per la prima volta e che mi hanno fatto emozionare tantissimo (penso a gina nakhle koller che ha sopportato il mio inglese imbarazzato ed imbarazzante, o a paola caridi e francesca mannocchi davanti alle quali tutta la mia stima si è trasformata in uno strano calore alle orecchie e - immagino - in un colore poco naturale del viso).

ultimissima cosa: per quanto gli spazi istituzionali come il salone possano organizzare aberranti incontri con filosionisti, anche quest'anno era un fiorire di bandiere palestinesi, di messaggi contro il genocidio e di richieste di cessate il fuoco. perché dove ci sono i libri ci sono le persone, e dove ci sono le persone non può che esserci umanità.