lunedì 28 aprile 2025

negli universi

penso che, per qualcuno di noi, ci saranno momenti in questa vita in cui saremo in bilico sul confine tra l'andare e il restare, e da quale lato penderemo ha poco a che fare con le decisioni o il desiderio o il fato e tutto a che fare con le circostanze.

prima di leggere negli universi, se mi avessero chiesto cos'è la realtà? non ci avrei pensato più di tanto, avrei risposto che realtà è l'hic et nunc, lo spaziotempo che percepisco e in cui mi percepisco nell'esatto momento in cui mi viene posta la domanda. il passato è ricordo, nostalgia o rimpianto, il futuro solo immaginazione e qualsiasi ipotesi su quello-che-non-è-stato-ma-forse-avrebbe-potuto-essere nulla di più che sogni ad occhi aperti.
ma se accettiamo l'idea che di fianco al nostro esistano infiniti universi paralleli, allora la risposta a quella domanda cambia radicalmente: realtà inizia a significare tante cose e il presente può essere definito da un'infinità di possibili passati e portare a un'infinità di possibili futuri. forse migliori di quello che vedremo.

il romanzo di emet north prende le mosse proprio da questa idea. ad ogni capitolo l'esistenza di raffi si sposta da un universo all'altro. o meglio: raffi e la sua vita esistono in ogni universo e noi, ad ogni capitolo, ci spostiamo da uno di questi a un altro, leggendo alcune delle versioni possibili del suo essere al mondo. nella prima, raffi studia proprio gli universi paralleli e immagina che in qualcuno di questi le cose con britt, una scultrice che ha conosciuto per caso e di cui si è innamorata senza trovare il coraggio di fare anche solo un passo verso un possibile futuro insieme a lei, possano essere andate in modo diverso...
l'idea degli universi paralleli esiste tanto nella fisica quantistica quanto, ovviamente, nella fantascienza ma nel romanzo di emet north la scienza, attuale o immaginata che sia, c'entra poco.
è la volontà di redenzione che esplode la realtà e la scompone in un'infinità di possibili varianti di sé stessa. l'errore, la colpa e il bisogno di rimediare, di rimescolare gli stessi elementi ancora e ancora fino a trovare la combinazione esatta per cancellare il dolore, anzi, per evitare che possa mai essere stato.

di capitolo in capitolo e di possibilità in possibilità, infatti, alcuni elementi tornano come se l'esistenza stessa di raffi non potesse essere se non in correlazione a loro: relazioni familiari disfunzionali, cavalli argentati, l'essere queer (e accettarlo o non accettarlo), la presenza - e spesso la paura - dei cani, la creazione artistica, la riflessione sulle strutture della realtà, amori irrealizzabili e altri terminati. e poi raffi, britt, kay, alice, graham, caleb e tutti i possibili legami che possono tenerlə insieme in una delle possibili dimensioni temporali.

l'esistenza che si ricompone come un prisma i cui lati trovano nuovi angoli e punti di contatto nella speranza di trovare la forma adatta a farsi rifugio, quella in cui raffi non avrà sbagliato.
legge la parte del libro sui viaggi nel tempo che parla del tornare nel passato per salvare qualcuno che ami. "per quel che ne sappiamo", dice il libro, "è possibile solo se l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica è vera. e se è vera, allora c'è già un universo parallelo in cui la persona che ami ora sta bene. e questo perché esiste ogni universo possibile. purtroppo, ti trovi in quello sbagliato.
c'è un universo in cui raffi pensa che in un altro universo aveva salutato quella bambina, invece di nascondersi. un altro in cui le ha chiuso la porta in faccia e ha distrutto tutto, un altro ancora in cui non ha risposto al telefono quando doveva. c'è un universo che è un incubo post apocalittico in cui gli animali sono posseduti da entità aliene e feroci e uno ancora dove diventare madre di una figlia femmina fa conflagrare il corpo delle donne in orde di animali. quello dove le donne partoriscono polpi e quello dei castelli di sabbia e uno in cui la pelle smette di funzionare.
in qualche modo, ognuno di questi contiene i presupposti dell'altro, come se fossero tutti concatenati, parte di una stessa struttura frattale, una forma che ripete sé stessa su scale differenti.

in ogni storia-universo, raffi mantiene un distacco quasi schizofrenico dalle sue stesse emozioni. per quanto tremende possano essere, per quanto dolore possa sperimentare, per quanto senso di colpa si ritrovi a trascinarsi addosso, raffi guarda alla sua interiorità come se stesse facendo un'analisi di laboratorio. o come se, in qualche modo, le differenti versioni di sé fossero coscienti della coesistenza di ogni momento di ogni universo nello stesso istante. se l'idea del multiverso rimanda immediatamente a quella di variazione, basta uno sguardo un po' più ampio per comprendere che la frammentazione e riformulazione del reale ha più a che fare con la permanenza e quindi con la conoscibilità di ogni dimensione temporale e di ogni possibile alternativa.

questo senso di onniscienza scavalca il limite materiale del romanzo in vari modi: mentre leggiamo, noi riusciamo a vedere il riproporsi dei diversi elementi in differenti combinazioni; raffi sembra riuscire a essere estranea a sé stessa e, allo stesso tempo, sembra indicarci di volta in volta quali sono i punti chiave di ogni storia, quelli a cui guardare per trovare le connessioni nel multiverso. infine, negli universi sembra riprendere la vita stessa di emet north: come le diverse raffi (o altrə personaggə) dei diversi universi, ha lavorato alla nasa, ha insegnato snowboard, ha addestrato cavalli, ha studiato la possibile esistenza del multiverso, è queer e traduce dallo spagnolo all'inglese, e cioè usa due diversi linguaggi-schemi di pensiero per traslare un racconto da una dimensione a un'altra.
negli universi è il suo primo romanzo, un esordio interessantissimo, letteralmente un meraviglioso caleidoscopio di parole.

giovedì 24 aprile 2025

the inheritance trilogy ~ la successione

la mia gente racconta storie sulla notte in cui nacqui. dicono che in pieno travaglio mia madre incrociò le gambe e lottò con tutte le sue forze per non mettermi al mondo. ovviamente nacqui lo stesso: la natura non si può fermare. eppure non mi sorprende che ci abbia provato.

the inheritance trilogy è la prima trilogia di n. k. jemisin.
lo dico perché le vogliamo bene e possiamo perdonarle le ingenuità che qui e lì si presentano in questi tre romanzi. personalmente, ho trovato più interessanti il secondo e il terzo libro (al punto che mi sono detta che se il primo fosse stato pubblicato in un'edizione diversa dal malloppone che li raccoglie tutti, probabilmente avrei abbandonato la lettura senza neppure arrivare a metà del primo).

provo ad andare con ordine (e senza fare spoiler).

le premesse del primo libro, i centomila regni, erano molto interessanti: siamo in un mondo in cui gli dei camminano letteralmente tra gli esseri umani e tutto è governato da un'unica, potentissima famiglia, quella degli arameri. la giovane yeine, discendente dellə arameri ma appartenente al popolo darre, viene convocata a cielo, il palazzo degli arameri, per partecipare alla cerimonia di successione al trono che governa i centomila regni.

quella dellə arameri non è esattamente una famigliola felice e affettuosa, anzi. la linea di sangue più pura domina sugli altri rami della famiglia e lə parenti meno nobili costituiscono la servitù del palazzo, ogni classe riconoscibile da un sigillo tatuato sulla fronte che definisce l'appartenenza a una delle linee di sangue. lə arameri non si mescolano con la gente di altri popoli, al massimo la dominano, ed è per questo che la decisione di kennith di sposare un darre l'ha portata a essere odiata, ripudiata e allontanata.
ma lə arameri non sono solo questo: dispoticə e sadicə, hanno approfittato della guerra degli dei, avvenuta all'alba dei tempi, per imprigionare le divinità cadute - nahadoth, signore dell'oscurità, e sieh, il trickster, sconfitti, insieme alla defunta signora grigia, enefa, da itempas, signore della luce - e usarle come armi. e, peggio, all'occorrenza come passatempo.

yeine si ritrova così da un lato invischiata nelle trame di corte, e dall'altro, però, deve affrontare un segreto che si porta - letteralmente - dentro dalla nascita: nel suo corpo convivono due anime e questo la lega strettamente alle vicende degli immortali.
ed ecco cos'è che non mi è piaciuto affatto: la componente romance tra lei e nahadoth. la loro relazione non solo è terribilmente tossica, ma è così infarcita di cliché che mi ha reso la lettura davvero pesante (e, secondo il mio modestissimo avviso, tutti quei dettagli non erano affatto utili né interessanti).
togliendo dalla narrazione tutto quello che non solo non è essenziale, ma che è semplicemente noioso (e a volte anche un po' imbarazzante) ovvero tutti i dettagli sulla relazione amorosa tra yeine e nahadoth, avremmo avuto un bel racconto molto più breve, ottimo per addentrarci in questo universo.
e invece.

abbiate pazienza però, perché già nel secondo le cose migliorano.

i regni spezzati si colloca una decina d'anni dopo la fine del primo romanzo e ha come protagonista oree shoth, un'artista cieca capace di vedere, però, la magia.
oree vive a ombra, la nuova città sorta tra le radici dell'albero del mondo sotto cielo (so che è poco chiaro ma non posso dirvi di più senza spoilerare tutto, scusate). lo sconvolgimento creato da yeine ha permesso il ritorno di molte deidi sulla terra e il moltiplicarsi dei culti religiosi, ma è ancora a itempas che la maggioranza dei fedeli si rivolge.

così, per oree non è affatto una cosa tanto straordinaria trovare tra la spazzatura un deide un po' malconcio e portarselo a casa. muto e poco socievole, verrà battezzato da oree shiny, per la sua capacità di brillare di magia ogni mattino al sorgere del sole.
la vita di oree continua tranquilla tra il suo lavoro di venditrice di oggetti d'arte al mercato di ombra - sempre pieno di turistə e pellegrinə diretti all'albero mondo - e la sua strana convivenza con shiny, fino al giorno in cui trova il cadavere di una deide a cui è stato rubato il cuore, e viene sospettata dell'assassinio.
da questo momento la situazione precipita sempre di più per oree, mentre intorno a lei certe importanti rivelazioni stravolgono la sua - e la nostra - conoscenza del pantheon e delle relazioni tra esseri divini e umani.

oree mi è piaciuta molto di più di yeine come protagonista, e anche la sua storia è molto più interessante e appassionante. oree non si lascia trascinare dagli eventi e, anzi, nonostante le tante difficoltà che si ritrova ad affrontare mantiene sempre una forza straordinaria. c'è un po' di componente romance anche qui ma non l'ho trovata fastidiosa come nel primo romanzo - e non è nemmeno il tema principale della storia. ho anche apprezzato tanto il modo in cui è stata rappresentata la sua cecità e ancora di più come questa, di per sé, non sia motivo di discriminazione a ombra (non ci vivrei ma almeno non è una realtà abilista).
la vicenda di oree dà maggiore struttura al mondo costruito da jemisin, ci spiega meglio quali sono le leggi che regolano la vita degli immortali, le gerarchie interne e su cosa si basano le differenziazioni tra di loro, chiarendo tutto quello che nel primo libro veniva solo accennato.

del terzo romanzo, il regno degli dei, la quarta di copertina vi dice che la protagonista è shahar arameri.
però non è vero.
il protagonista è sieh, la deide - figlio cioè di due dei tre, in questo caso di enefa e nahadoth - che avevamo già incontrato accanto a yeine e che appare anche nella storia di oree.
sieh è il mio personaggio preferito di tutta la trilogia. incarna quello che nelle diverse mitologie è il trickster, l'imbroglione, e il dio dell'infanzia. ambiguo per natura, sieh vive in quello spazio liminale tra infanzia ed età adulta dove la morale non è quella dellə mortali ma neppure quella dellə deə: le leggi che guidano le sue azioni appartengono solo a lui e ai suoi impulsi del momento.
scaltro, amorale e privo di pietà come ogni bambinə che non ha ancora imparato a vivere secondo le regole del suo mondo, sieh ha già dimostrato però di essere capace di amore e lealtà (se, quando e verso chi vuole), tanto quanto di odio: quello che a sieh sembra impossibile riuscire a fare è lasciare che i suoi sentimenti cambino al cambiare delle situazioni. come per tutte le divinità, la sua natura è immutabile.

la storia inizia, ancora una volta, a cielo, nel palazzo arameri. sono passate generazioni dai tempi di yeine e anche se sieh non è più legato alla famiglia arameri, sembra incapace di allontanarsi definitivamente da cielo. qui incontra per la prima volta shahar e dekarta arameri, due gemellə figlə della reggente della famiglia, cresciutə con la stessa arroganza che ha caratterizzato da tempo immemore la loro stirpe, ma ancora bambinə. e come tuttə lə bambinə, desiderosə di fare amicizia e giocare con lə coetaneə come sieh.
provato il loro valore agli occhi della deide, shahar e dekarta riusciranno a convincerlo a stringere un patto di sangue con loro: saranno amicə per sempre. ma nel momento in cui i loro palmi incisi e sanguinanti si toccano, tutto viene travolto da un'inspiegabile esplosione.
lə bambinə sopravvivono, ma sieh si risveglia otto anni dopo, prigioniero di un corpo umano, debole e quasi incapace di esercitare la magia, che invecchia troppo velocemente.

mentre cerca di recuperare la sua natura divina e di tenere a bada il suo nuovo corpo da adulto, sieh dovrà da un lato gestire la complicata relazione con shahar e dekarta - a cui si trova legato da sentimenti che vanno oltre l'amicizia giuratasi da bambinə - e dall'altro muoversi un mondo che vuole scrollarsi di dosso il dominio arameri.

non so decidere quale tra il secondo e il terzo sia il mio preferito della trilogia, mi sono piaciuti tantissimo entrambi: le storie di oree e di sieh sono imprevedibili, il ritmo della narrazione è sempre alto e non lascia spazio a momenti di noia e le loro vicende aprono a riflessioni interessanti: ragionare sulla natura delle divinità significa ragionare su quella delle creature mortali perché è impossibile provare a capire le prime senza metterle a confronto con le seconde.

the inheritance trilogy è un fantasy che, nonostante sia incentrato su tematiche come l'amore, le relazioni familiari e la politica, potrei definire filosofico: cosa sarebbe di tutta la nostra cultura se davvero potessimo camminare sulla terra insieme allə deə? cosa sarebbero i nostri miti se non la nostra storia e cosa sarebbe la storia umana se non un breve capitolo nell'immenso libro di quella divina? e cosa ci differenzierebbe dallə immortalə se non la brevità della nostra esistenza e la capacità, quindi, di mutare nel corso della nostra vita, di trasformarci nel corso del tempo in infinite versioni di noi stessə?

sicuramente non è un capolavoro imperdibile, soprattutto per colpa del primo libro che sembra davvero uno scoglio insormontabile, ma è un'ottima lettura per chi apprezza il genere. il wordbuilding è interessante e ben strutturato, e si svela poco alla volta senza spiegoni noiosi, andando avanti con le storie - i tre romanzi principali e i racconti conclusivi - e dellə personaggə, divinə e non, ben caratterizzatə.

martedì 15 aprile 2025

la falce dei cieli

le cose non hanno uno scopo, come se l'universo fosse una macchina, in cui ogni parte svolge una funzione utile. qual è la funzione di una galassia? non so se la nostra vita abbia uno scopo, e non mi pare che la cosa abbia importanza. la cosa che ha importanza e che noi siamo una parte. come un filo di lana in un tappeto, o un filo d'erba in un prato. quello esiste e noi esistiamo. la cosa che stiamo facendo è come il vento che soffia sull'erba.

ho sempre amato moltissimo il vecchio adagio che recita attenzione ai tuoi desideri perché potrebbero avverarsi, perché credo che riesca a riassumere al meglio l'idea che qualsiasi cosa, anche quella fatta con le migliori intenzioni, può portare a un concatenarsi di conseguenze via via sempre più spiacevoli, se non addirittura drammatiche e irreparabili.
la falce dei cieli di ursula k. le guin, da poco ripubblicato da mondadori, sì rifà proprio a quest'idea.

estraneo al ciclo dell'ecumene, la falce dei cieli gioca con l'immaginario fantascientifico per indagare l'interiorità degli esseri umani, il mondo psichico. anzi, più precisamente, la sua dimensione inconscia, che confluisce poi nel regno dei sogni.

è qui che george orr, protagonista del romanzo, riesce a fare qualcosa di impensabile: i suoi sogni - o meglio, alcuni di essi, che lui definisce efficaci - trasformano la realtà, agendo retroattivamente su di essa e cambiandola senza che nessunə, tranne orr stesso, ne sia consapevole.
orr è dunque sia l'unico (probabilmente) essere umano in grado di mutare il tessuto della realtà, sia un archivio vivente di tutte le realtà-che-sono-state e che si sono perse a seguito di uno dei suoi sogni efficaci.
un potere spaventoso che orr non può controllare, proprio come nessunə di noi può controllare i propri sogni. un potere che orr non vorrebbe avere.

ed è proprio per il desiderio di sottrarsi a tutto questo che orr finisce in cura da uno psichiatra, il dottor haber. entrambi, orr e haber, vivono in quello che, negli anni '70 del secolo scorso, per le guin era un futuro prossimo e per noi è già passato (ed è difficile dire da quale delle due prospettive è la più terrificante): è il 2002 e a portland, nell'oregon, dove paziente e medico vivono, piove sempre. la popolazione mondiale è troppo numerosa e la malnutrizione è inevitabile. il cambiamento climatico ha reso il pianeta inospitale, nonostante l'umanità si aggrappi a quella cosa che chiama vita con le unghie e con i denti, e la guerra sconvolge i paesi del sud-ovest asiatico (visto che possiamo evitare di chiamarlo medio oriente?).
nessuno dei sogni di progresso, di pace e di benessere mondiale è stato realizzato, anzi.
sogni di progresso, pace e benessere.
sogni.

la prima volta che orr rivela i suoi timori ad haber, è rassegnato all'idea di non essere creduto. sa che per chiunque altro è impossibile immaginare che i sogni di un uomo anonimo come lui possano avere un potere così grande.
ma haber è un uomo di scienza e, prima di etichettare orr come il solito psicotico con manie di onnipotenza, decide di metterlo alla prova. grazie a un macchinario di sua invenzione, l'aumentatore, spiega a orr di poter controllare i ritmi del suo cervello (chiedo perdono di questa mia spiegazione a ogni neurologhə che si ritroverà eventualmente a leggerla) e di poterlo portare a sognare in modo efficace ma controllato. questo primo esperimento convince haber della sincerità orr, e gli spalanca le porte all'opportunità di realizzare ogni possibile miglioramento nell'intera realtà sfruttando i sogni di orr.

haber e orr sono due personaggi diametralmente opposti: haber non dubita mai, neppure un momento, della legittimità delle sue azioni. è sicuro che modificare il mondo, agire sulla sua storia per trasformare il presente e tendere verso un futuro che sia il più possibile simile alla sua personale idea di bene, sia non soltanto una possibilità ma una sorta di dovere. haber deve agire. deve imporre il suo giudizio sul reale per piegarlo alla sua logica e ai suoi desideri, perché crede fermamente che questi siano la migliore soluzione per tuttə, anche quando il prezzo da pagare è tremendamente caro.

se haber è il mutamento, orr è l'equilibrio, la stasi perfetta, la migliore interpretazione possibile del termine medio. orr non si affida a ciò che crede ma a ciò che sa, e sa che nessunə, neppure nella peggiore delle situazioni, può decidere del destino di miliardi di esseri viventi. orr sa che non può affidarsi a uno strumento incontrollabile come i sogni e sa, soprattutto, che nessunə può distanziarsi così tanto dalla natura umana per mutarsi in dio. perché se a ogni cambiamento di continuum - come lo chiama haber - le memorie delle diverse realtà restano e si sommano nella mente di chi ha sognato o ha pilotato il sogno, la realtà per quell'individuo andrà sempre più disgregandosi, portandolo infine alla follia. perché è l'irrealtà a farci impazzire, il vuoto generato dal disfacimento del tessuto del reale e l'impossibilità di rimanere connessə allə altrə.
sapeva che quando si nega ciò che si è, si finisce con l'essere posseduti da ciò che non si è: dalle ossessioni, dalle fantasie, dalle paure che accorrono a colmare il vuoto.
la falce dei cieli è il romanzo più filosofico - se per filosofia intendiamo l'indagine intellettuale su ciò che esiste, sul come e sul perché esiste - tra quelli che ho letto di ursula k. le guin.
nella storia, i piani della realtà si sovrappongono e noi lettorə, proprio come orr e haber, ci ritroviamo nei panni di chi riesce a vedere in trasparenza tra tutti gli strati creati dai sogni efficienti, trovandoci sempre più disorientatə in una trappola multidimensionale di realtà sostituite.

per farla brevissima: l'ennesimo capolavoro di una scrittrice straordinaria.

giovedì 20 marzo 2025

il governo ombra

«saranno belle e potenti entrambe. immensamente potenti. due maestre.»
[...]
«però mi spiace molto doverti dire, miranda, che bellezza e potere sono tutto quello che le tue figlie avranno in comune. perché mentre una sarà dolce, generosa e amorevole, l'altra sarà in combutta con i demoni.»
miranda spalancò gli occhi. «cosa?»
«lo dirò chiaramente. una sarà buona, l'altra cattiva.»

attenzione! questo post contiene spoiler su la congregazione reale di sua maestà, il primo volume della trilogia. se non l'hai ancora letto, rimedia subito e poi torna qui!

qualche mese fa vi avevo parlato de la congregazione reale di sua maestà di juno dawson, uno dei libri che mi avevano appassionata ed entusiasmata di più l'anno scorso. adesso è finalmente uscito il seguito, il governo ombra, e io l'ho divorato subito, l'ho adorato come e forse più del primo e ne voglio ancora!

il finale del primo romanzo era stato un cazzotto gigantesco in piena faccia (ve lo ripeto, ci saranno necessariamente spoiler su lcrsm) e questo seguito inizia proprio lì dove la storia si era interrotta.

anzi, inizia con una profezia, quella che viene fatta a miranda, la madre di niamh e ciara, prima ancora che le sue figlie nascessero: entrambi potentissime, ma una buona e dolce, l'altra cattiva e in combutta con i demoni. e adesso eccole lì, le due gemelle così uguali e così diverse, al funerale di ciara, la sorella cattiva. la ciara che ha tramato contro le altre streghe, che ha ucciso il solo, unico e grande amore di niamh, che si è lasciata divorare dai demoni e che si è alleata con dabney hale, lo stregone che voleva distruggere la congregazione e schiacciare gli esseri umani senza poteri. la ciara che niamh stessa ha cancellato, svuotata di ogni ricordo, ridotta a un guscio vuoto che per nove lunghissimi anni non ha fatto che sopravvivere su un lettino d'ospedale, mentre il mondo intorno a lei continuava ad andare avanti.

o almeno, così pensano tuttə. quello che nessunə sa è che se il corpo sepolto è effettivamente quello di ciara, la sua anima si trova nel corpo di niamh. e l'anima di niamh... beh, è ovvio no? chissà quanto sarebbe diversa l'atmosfera di quel funerale se sapessero che ad essere tornata per sempre a gaia è la sorella buona, quella amata da tuttə, la santa e impeccabile niamh!

da lettrice, ammetto che questo primo capitolo è stato una vera e propria sofferenza. mi ero affezionata a niamh tanto quanto avevo detestato ciara, ma - e qua sta la magia di juno dawson! - nel corso della storia i miei sentimenti hanno iniziato a vacillare fino a stravolgersi.
la storia di ciara è quella delle cosiddette profezie che si autoavverano. in psicologia e in sociologia si parla di profezia che si autoavvera quando una persona (o un gruppo di persone), convinta della possibilità che un evento infausto possa verificarsi, cambia il suo comportamento finendo proprio causare lo stesso evento che avrebbe voluto evitare.
man mano che i ricordi di ciara tornano a galla, scopriamo come sua madre miranda abbia sempre mantenuto un atteggiamento diverso con le due gemelle, incoronando niamh come figlia perfetta mentre controllava ossessivamente ciara, la rimproverava e puniva per nulla, arrivando perfino a terrorizzarla da bambina e a distruggere i suoi sogni di adolescente. portandola, insomma, a essere davvero una strega cattiva.
ogni volta che ciara ritrovava un episodio della sua storia passata, un pezzetto del mio cuore si sbriciolava.

ovviamente però, il governo ombra non è solo la storia di ciara e del suo passato. la minaccia di dabney hale incombe su tutta la congregazione; leonie è in viaggio, intenzionata a ritrovare suo fratello radley; theo è stravolta dal suo nuovo corpo, dalle reazioni che suscita nellə altrə e da quelle che suscita in ləi stessə, mentre la profezia del leviatano continua a gettare ombre sul suo futuro e lo strano atteggiamento di niamh le fa temere di trovarsi sul punto di essere abbandonata ancora una volta. e poi ci sono holly, in piena crisi adolescenziale, e elle che, nonostante la sua età, è rimasta ancorata ai suoi sogni di felicità matrimoniale di ragazzina e ora si vede sgretolare tutto tra le mani, scoprendo di avere un potere che non sa gestire e che la spaventa al punto da non riuscire neppure a parlarne.
la narrazione si allarga ancora e ancora, toccando altre città - c'è anche bologna! - e paesi, reali o mitici che siano. perché è ovvio che la crsm non è la sola congregazione di streghe del mondo e la minaccia di hale (e quella del leviatano) è enorme per chiunque. infine, il personaggio-rivelazione di questo romanzo è stato luke! non aggiungo altro perché non voglio rovinare la sorpresa a nessunə ma... non me lo sarei mai aspettato!

oltre ad avere una trama serratissima che ti incolla alle pagine e non lascia tirare il fiato nemmeno un secondo, anche ne il governo ombra rimane l'attenzione per le tematiche che mi avevano fatta innamorare della scrittura di juno dawson nel primo romanzo e che fanno di questi libri dei perfetti esempi di narrazione transfemminista e intersezionale in cui si sottolinea come, senza fare retorica, davvero il personale è politico. dawson pone l'accento sulle relazioni sentimentali (romantiche, familiari, d'amicizia) e su come queste riproducano in piccolo i rapporti di potere tra le categorie socialmente privilegiate (gli uomini, le persone bianche, quelle cis, quelle ricche) e quelle marginalizzate e svantaggiate (le donne, persone nere, quelle trans, quelle povere, ecc.).

e poi, anche questa volta, arrivatə all'ultima pagina non possiamo che metterci a gridare e ad aspettare con ansia che arrivi presto il capitolo conclusivo. personalmente, ho bisogno di un gruppo di sostegno e supporto psicologico da adesso all'annuncio della prossima pubblicazione (anzi, fino al momento in cui potrò finalmente iniziare a leggere human rites). se vi trovate nella stessa situazione, contattatemi: scriviamoci, parliamone, teniamoci per mano!

giovedì 13 marzo 2025

il mondo di rocannon

come si può distinguere tra leggenda e realtà, su mondi che giacciono a molti anni di distanza dal nostro? pianeti senza nome, che i nativi chiamano semplicemente "il mondo"; pianeti senza storia, dove il passato è materia di mito e dove l'esploratore che vi fa ritorno scopre che le sua azioni di pochi anni prima sono diventate le gesta di un dio. un velo buio di irrazionalità si stende sull'intervallo di tempo che le nostre astronavi attraversano alla velocità della luce, e nell'oscurità proliferano l'incertezza e le esagerazioni, come erbacce.

il mondo di rocannon di ursula k. le guin è considerato il primo romanzo del ciclo dell’ecumene, una serie di romanzi autoconclusivi e di racconti - presenti in raccolte come ritrovato e perduto - le cui vicende sono indipendenti e che quindi possono essere in qualsiasi ordine, ma che condividono la stessa ambientazione, cioè l’universo colonizzato dal pianeta hain, il mondo di provenienza della specie umana.

da hain, l’umanità si è spostata in decine di pianeti e, nel corso del tempo, si è adattata ed evoluta sulla base delle necessità dettate dalle diverse condizioni ambientali dei mondi colonizzati. nonostante le differenze biologiche e culturali, che si sono sempre più accumulate nel corso dei secoli, è riuscita a riunirsi in quello che, appunto, si definisce ecumene, una colossale struttura sociale, politica ed economica. l’unità è garantita grazie a tecnologie di comunicazione - come l’ansible - e di trasporto interstellare, elementi fondamentali anche delle vicende raccontate nei romanzi e nei racconti.

è grazie alla possibilità di incontro, comunicazione e scambio - non sempre positivi, come ad esempio ne il mondo della foresta - che le guin riesce a raccontare l’enorme ventaglio di possibilità entro cui l’umanità può organizzare la sua esistenza, con una prospettiva fortemente antropologica che rende sempre le sue storie estremamente realistiche e fantascientifiche (perché anche le scienze sociali sono scienze).

le storie del ciclo dell’ecumene sono ambientate sia prima che dopo l’avvento dell’ecumene propriamente detto, raccontandoci così - in una narrazione orizzontale che resta sempre sullo sfondo di ogni vicenda - anche la storia di un’unione di mondi e degli infiniti possibili modi di esistere come esseri umani.

il mondo di rocannon, pubblicato per la prima volta nel 1966, ci presenta fomalhaut II, un pianeta il cui sviluppo tecnologico è assimilabile a quello della nostra età del bronzo o poco più, abitato da tre specie umane già note e da altre su cui mancano informazioni. le prime sono lə gdemiar, il popolo d’argilla, dalla pelle chiara e i capelli scuri, di piccola statura, abituatə a vivere sotto terra e prevalentemente notturnə; lə fiia, altrettanto piccolə e chiarə di pelle ma biondə, amantə della luce e della natura. infine vi sono lə liuar, più altə e fortə, organizzatə in una sorta di società feudale in cui la nobiltà di lignaggio deve essere confermata dal coraggio, dalla lealtà e, più in generale, da un preciso codice morale che regola i rapporti intra- e interspecie, ma soprattutto da alcune caratteristiche somatiche che dividono la specie in due: da un lato lə angyar, lə signorə, dalla pelle scura e i capelli biondi o rosso-oro, dall'altra lə olgyior, la plebe, che come lə gdemiar hanno la pelle chiara e i capelli scuri.

lə liuar sono la popolazione più nota dallə studiosə del pianeta e la loro storia, così antica da perdersi nella leggenda, si fonde con quella di rocannon, grazie agli sfalsamenti temporali dovuti ai viaggi intergalattici.

il tono del romanzo è sospeso tra epica, fantasy e fantascienza proprio in virtù del fatto che fomalhaut II vive in un’epoca di sviluppo tecnologico ancora distante da quello degli altri pianeti - come ad esempio nuova georgia del sud, il pianeta da cui arriva rocannon, etnografo in missione, che ospita la base esplorativa delle forme di vita a intelligenza elevata della lega.

il prologo alla vicenda sembra una favola, la leggenda di un mondo lontano nel tempo: il lungo viaggio della regina semley per recuperare il suo tesoro perduto, così da ridare lustro alla sua casata e al suo re. è affascinante come le guin suggerisca che l’inspiegabile è tale solo fino a che non si fanno proprio le conoscenze scientifiche e tecnologiche che lo rendono possibile, e che lo faccia senza giudizi di sorta, scrollandosi di dosso quel senso di sufficienza e superiorità che ha caratterizzato la prima etnografia.
allo stesso modo, anche rocannon stesso, per quanto provenga da una realtà più progredita, rifugge da facili giudizi e riesce a costruire legami sinceri con lə coprotagonistə del romanzo.

la vicenda prende il via quando lə compagnə di rocannon vengono spazzatə da un attacco alla loro nave condotto dallə ribellə di faraday, contrarə al consolidamento della lega dei mondi e alle regole imposte per l’effettiva cooperazione intergalattica. rimasto solo su un pianeta alieno, senza più un mezzo per tornare nel suo mondo né l’ansible - un apparecchio capace di trasmettere istantaneamente i messaggi a qualsiasi distanza, grazie alla capacità di far viaggiare i dati a velocità superiori a quella della luce - per comunicare con la lega dei mondi, rocannon inizia il suo viaggio alla ricerca dellə ribellə e del loro ansible.
ad accompagnarlo ci sarà una sorta di compagnia dell’anello formata da mogien, signore di hallan e da un gruppo di suoi fedeli, appartenenti alle altre specie umane del pianeta.

il viaggio attraverso fomalhaut II è insidioso, costellato di pericoli, di incontri e scontri. rocannon, già noto come signore delle stelle, è dotato di una corazza sottile come una seconda pelle, praticamente indistruttibile e resistente a qualsiasi tipo di arma, che lo trasforma agli occhi di chi lo incontra nel dio errante, colui che cammina in mezzo agli uomini.

come già detto, il mondo di rocannon è un romanzo di fantascienza che attinge a piene mani dal repertorio fantasy ed epico per i toni, per la caratterizzazione dellə personaggə, per l’organizzazione delle loro società e del loro sistema di valori, e la vicenda di rocannon stessa si rifà alle numerose interpretazioni - discutibili e ampiamente discusse (se vi può interessare vi rimando alla famosa diatriba tra marshall sahlins e gananath obeyesekere sulla vicenda del capitano cook) soprattutto nei decenni immediatamente successivi alla pubblicazione di questo romanzo - che nel corso degli ultimi secoli sono state fatte sul pensiero delle popolazioni native, indebitamente chiamate selvagge, in merito allə esploratorə e studiosə bianchə, arrivando alla conclusione - voluta o meno - dell’inevitabile rivalutazione del significato stesso di nativo e selvaggio.

non è uno dei miei preferiti di ursula k. le guin ma resta un testo prezioso sia per conoscere al meglio l’autrice e il suo pensiero, che qui si declina in una riflessione sui significati che gravitano intorno alla conoscenza dell’altrə, sia per approfondire il ciclo dell’ecumene stesso che, oltre all’innegabile valore letterario, ha - dal mio personalissimo e trascurabile punto di vista - il merito di ricalibrare il concetto di etnocentrismo in una prospettiva intergalattica: come si diceva più su, le guin ha indicato hain come pianeta di origine per l’umanità e non la terra, identificando così la nostra specie come una delle tante, possibili variazioni adattative di una stessa specie. in quest’ottica la terra perde il suo ruolo centrale tipico delle narrazioni fantascientifiche e si riduce a essere una delle tante colonie spaziali.

per concludere, volevo spendere due parole sulla nuova uniform edition dedicata a le guin e al ciclo dell’ecumene. mondadori ha già iniziato a ripubblicare tutti i titoli della serie - molti, come il mondo di rocannon, erano fuori catalogo da anni - con le nuove copertine illustrate da rodrigo corral, contributi di autorə italianə e internazionali e, quando presenti, le introduzioni firmate da le guin stessa.
oltre ai titoli già pubblicati (il mondo della foresta, i reietti dell’altro pianeta, ritrovato e perduto e il pianeta dell’esilio, che si aggiungono a la mano sinistra del buio, pubblicato nel 2021 con una nuova traduzione) sono previste nuove edizioni anche per la falce dei cieli, città delle illusioni, il giorno del perdono, sempre la valle e la salvezza di aka.

venerdì 7 marzo 2025

orbital

resteranno così per nove mesi, nove mesi a fluttuare, nove mesi di testa gonfia, nove mesi di questa vita da sardine, nove mesi a osservare la terra a bocca aperta, per poi tornare giù, al pianeta paziente.
qualche civiltà aliena potrebbe avvistarli e chiedersi: cosa ci fanno qui? perché non vanno da nessuna parte, girano solo su se stessi? la terra è la risposta a tutte le domande.

l'ho fatto di nuovo.
ho letto un libro su cui avevo aspettative altissime e mi sono chiesta ma è davvero tutto qui?
orbital mi ha un po' delusa. un po' tanto.
per essere un capolavoro, il libro più chiacchierato del momento, una bellissima lettera d'amore al nostro pianeta, mi aspettavo qualcosa di più.

orbital racconta di sei astronautə - anzi, quattro astronautə e due cosmonautə (se ci interessa scoprire la differenza possiamo andare a fare una ricerchina online perché samantha harvey non ce la spiega) - in missione sulla stazione spaziale internazionale che, appunto, orbita intorno alla terra e che ha la funzione principale di laboratorio in cui svolgere esperimenti di ricerca scientifica di varia natura in assenza di gravità.
dallo spazio, quindi, il personale della stazione studia e sperimenta in favore nostro, mantenendo lo sguardo fisso - in senso letterale e non - sul pianeta. inoltre, sulla stazione si effettuano esperimenti che saranno utili ad eventuali futuri viaggi verso la luna o marte e, soprattutto, il suo carattere di internazionalità suggerisce l'idea che la cooperazione tra popoli e nazioni possa essere più utile e produttiva degli atteggiamenti di chiusura o, peggio, di quelli belligeranti.
idea abbastanza semplice ma, a quanto pare, abbiamo bisogno di lanciarci a duemila chilometri fuori dall'atmosfera per capirla.

la narrazione segue la durata di sedici orbite della stazione intorno alla terra, ovvero circa ventiquattro ore. una giornata nello spazio in cui, un po' come per il piccolo principe, si susseguono sedici albe e sedici tramonti, un gioco di luce e buio che illumina il pianeta visibile solo da chi ha l'incredibile, privilegiata prospettiva che solo la stazione internazionale può offrire.

«da quassù la terra è bellissima, senza frontiere né confini» è forse una delle frasi che meglio ha saputo mettere insieme poesia e politica. una frase semplicissima, pronunciata nel 1961 da gagarin. eravamo in piena guerra fredda ed era la prima volta che un essere umano riusciva a trovarsi abbastanza lontano dal pianeta da poterlo abbracciare interamente con il proprio sguardo.
una frase semplicissima che racchiude dentro di sé significati e messaggi fondamentali: la bellezza di un pianeta unico in uno spazio oscuro e sconfinato, l'unica casa che abbiamo e che dobbiamo preservare e proteggere (o magari, con un pelino meno di arroganza, limitarci a non distruggere), una sorta di gigantesca madre comune che ci rende tuttə fratelli e sorelle, un mondo intero su cui abbiamo giocato con linee immaginarie per poter dire questo è mio, quello è tuo. in questa frase c'è tutto.
ovviamente possiamo aprirla questa frase, scartarla come un regalo e osservare pezzetto per pezzetto cosa c'è dentro: magari così è più facile da capire, anche se però perdiamo quel tono poetico, quasi magico che ci fa salire le lacrime agli occhi ogni volta che la sentiamo o leggiamo.
mentre leggevo orbital mi rigiravo in mente questa frase.
e pensavo che, per fare letteratura, bastava così.

questo romanzo ha, secondo me, due enormi problemi: il primo è che è estremamente ridondante. va benissimo che non ci sia una vera e propria trama, va benissimo che non succeda niente, ma gli elenchi di paesi illuminati dal sole - la loro bellezza, i loro colori, il modo in cui le nuvole li nascondono o li svelano, come le luci artificiali tradiscono una presenza umana che altrimenti risulta invisibile - ripetuti più volte stancano. rallentano la lettura, ti fanno pensare ok, l'hai già detto, l'ho capito. e se non l'avessi capito potrei tornare indietro a rileggere, non serve che me lo ripeti.
il secondo, immenso problema (sottolineo: sempre secondo il mio personalissimo parere) è il punto di vista della narrazione. in queste ventiquattro ore lə personaggə alternano le loro voci, le loro emozioni, i loro ricordi, le loro considerazioni, ma molto spesso la voce narrante è quella di un noi collettivo e indefinito, come se in questa pluralità lə sei abitanti della stazione orbitante si fondessero e confondessero tra loro, trasformandosi in un'entità unica di cui solo a volte si riconoscono le diverse personalità. tutto questo mi ha fatto sembrare lə personaggə piattə, interscambiabili a volte, privi di una qualche riconoscibilità forte.

insomma, sono d'accordo con chi dice che orbital è una lettera d'amore verso il pianeta, molto meno con chi dice che questo amore si rivolge anche all'umanità: da un lato l'umanità dellə astronautə/cosmonautə è appiattita sul loro ruolo e su delle storie personali troppo accennate per diventare abbastanza importanti da restituire loro profondità. abbiamo troppo poco tempo a disposizione per poterlə conoscere quel tanto che servirebbe a riuscire ad avvicinarci a loro, sbirciamo nelle loro menti solo per un giorno, solo per ventiquattro ore in cui i loro pensieri rincorrono ricordi lontani, preoccupazioni, lutti, l'idea di essere solo a dieci centimetri di titanio dalla morte. troppo e troppo poco tempo per permetterci di conoscerlə.
dall'altro lato, il resto dell'umanità della terra è cancellata dalla distanza.
si intravedono solo gli effetti - quelli peggiori - della sua presenza:
la mano della politica è così visibile da lì, che si chiedono come hanno fatto a non accorgersene subito. è evidente in ogni dettaglio - come la forza di gravità ha fatto del pianeta una sfera e ha spinto e tirato le maree che modellano le coste, così la politica l'ha scolpito modellato, lasciando ovunque tracce di sé. vedono finalmente la politica dell'avidità. la politica del crescere e del prendere, la voglia di avere di più declinata in miliardi di modi diversi, ecco cosa vedono guardando in basso.
quell'umanità che poeticamente scompare alla luce del sole, troppo piccola per poterla vedere da lassù, lascia tracce devastanti sul pianeta. è un'umanità che ha perso la sua innocenza primordiale, che ha smesso di limitarsi a popolare il pianeta per iniziare a plasmarlo secondo il proprio bisogno e il proprio profitto, un'umanità avida che non si rende conto della sua piccolezza, della sua fragilità, del suo essere poco più che nulla in confronto a quello che si estende all'infinito davanti agli sguardi dell'equipaggio della stazione internazionale. più che d'amore, mi è sembrata una lettera piena di sconforto verso quelle creature minuscole che rosicchiano il loro stesso futuro.

e quindi: mi è piaciuto orbital? nì. per essere un libro così chiacchierato, mi aspettavo qualcosa di più.
ha dei passaggi straordinariamente belli ma diluiti in troppe pagine che mi hanno annoiata, ha un linguaggio ricercato ed elegante, ma a volte sembra che questo lirismo sia inutilmente stiracchiato, come se cercasse ad ogni costo di colpire lə lettorə che, nel frattempo, ha imparato a difendersi.

giovedì 27 febbraio 2025

detransition, baby

voleva davvero diventare mamma. lo voleva più di ogni altra cosa. aveva passato tutta l'età adulta in mezzo a persone queer, ad assorbire le loro relazioni radicali e li poliamore e i ruoli di genere, ma in qualche modo non aveva mai davvero destituito dall'apogeo della femminilità quelle mamme del wisconsin bianche e carine che avevano popolato la sua infanzia. non aveva mai perso l'ardente speranza di diventare una di loro. nella maternità riusciva a immaginarsi separata dalla sua solitudine, dal bisogno che la consumava, perché da madre, credeva, non si è mai da sole.

ci sono narrazioni abbastanza stereotipate circa le reazioni degli uomini alla notizia che la loro compagna/fidanzata/moglie è incinta, c'è chi rimane pietrificato, chi pensa alla fuga e chi - credo nella maggior parte dei casi - si lascia trasportare dalla gioia e dall'entusiasmo.
fuori dagli stereotipi, sicuramente, c'è la reazione di ames che, quando katrina gli annuncia che sta per diventare padre, chiama reese, la sua ex che ha sempre desiderato diventare madre, e le propone di crescere questa creatura in tre.

detransition, baby inizia così, con questa folle richiesta di prendersi per mano e fare un salto nel vuoto, ames, reese, katrina, lə bambinə e insieme noi lettorə che non sappiamo ancora molto degli strani, inusuali legami che tengono insieme questo terzetto sgangherato. quello che sappiamo è che di solito non è così che funziona, che le famiglie si creano in un certo modo, di sicuro non con una telefonata che rompe anni di silenzio e lontananza, sappiamo che ci sono delle gerarchie tra le relazioni e che l'attuale compagna incinta vale più della tua ex con cui hai rotto da secoli, che gli uomini fanno i padri e le donne le madri e che ne bastano uno e una per mettere al mondo una terza vita, che lə figlə è bene crescerli dentro a un matrimonio (e, meglio ancora, evitare di concepirli prima di un matrimonio).

visto che, con buona pace di una certa fetta di popolazione, nella famiglia nucleare cis-etero monogama non c'è niente di naturale, potremmo (e, se non l'abbiamo mai fatto, dovremmo) chiederci perché sappiamo tanto bene queste cose al punto di crederle come un dato di fatto scolpito nella nostra genetica di esseri umani. darci le risposte qui, però, sarebbe impossibile sia per ragioni di spazio che di buon senso, quindi torniamo al romanzo di torrey peters e al nostro salto nel vuoto.
"ricordi che hai sempre voluto che facessimo un bambino insieme? lo vorresti ancora?" non è una domanda facile, non quando ti coglie alla sprovvista, non quando arriva da una voce che credevi non avresti mai più ascoltato pronunciare certe parole, ma reese sa cosa desidera, cosa ha sempre desiderato nonostante per una donna trans sia estremamente difficile se non impossibile diventare madre, ed è per questo che non ha dubbi: sì, certo che vuole farlo.

dal momento di quella telefonata, la narrazione inizia a muoversi avanti e indietro nel tempo, ancorandosi a un punto zero che coincide con quello del concepimento. anni prima, settimane dopo, impariamo a conoscere uno spezzone alla volta la storia di reese e di ames che, quando stava con lei, era ancora amy. disporre i capitoli in ordine non cronologico non è una scelta meramente stilistica né un artificio narrativo architettato solo per incuriosire lə lettorə, ma un modo molto chiaro ed esplicativo di mostrare come esperienze passate e aspettative future siano strettamente intrecciate e come coinvolgano il presente, senza che ci sia una qualche soluzione di continuità tra chi eravamo, chi siamo e chi speriamo - o temiamo - di essere. se, nel corso del tempo, cambiamo, non è per rinnegare quello che siamo statə ma semplicemente perché tra tutti i possibili futuri che possiamo intraprendere, dobbiamo sempre e comunque sceglierne uno, giorno dopo giorno.
e questo potrebbe essere un comodo riassunto per raccontare la storia di amy/ames: la detransizione non è un pentimento né un'ammissione di colpa e, come dice lui stesso, non è neppure una scelta definitiva e irreversibile. è solo la vita. ogni scelta ha avuto dietro di sé una ragione e, proprio in virtù degli anni passati insieme, una buona parte di quella ragione è intrecciata alla sua relazione con reese e quindi con i suoi desideri, tra cui quello di diventare madre.

c'era stato già un momento in cui reese e amy avevano provato a creare una famiglia, una famiglia non ordinaria tanto quanto potrebbe esserlo questa che ames le sta proponendo. era stato difficile anche allora, è facilmente immaginabile il numero e l'entità degli ostacoli che una coppia di donne trans deve affrontare dal momento in cui decide di compiere un passo così importante. su quegli ostacoli, amy e reese sono andate a sbattere con una violenza tale da mettere in crisi la loro stessa esistenza come coppia.
avanti e indietro nel tempo, peters sembra sussurrarci all'orecchio con la vocina metallica e insensibile di un navigatore che la vita è un continuo ricalcolo percorso, che le scelte che facciamo ci cambiano ma cambiano anche le persone intorno a noi, il nostro e il loro futuro, e che la somma di tutte le variabili accolte e di quelle scartate può condurre a situazioni che sembrano assurde solo se guardate da chi non ha percorso quelle strade.

detransition, baby è un libro che racconta come la comunità trans ha reinventato regole, legami di parentela e percorsi di vita per trovare una propria dimensione all'interno di quella ufficiale ed escludente del mondo cis-eteronormato, e che lo fa senza didascalie o note a piè di pagina. non spiega nulla - perché nessuna minoranza è tenuta a offrire lezioni su di sé a beneficio della curiosità altrui - ma ci mostra tutto, anche i lati più personali e intimi dellə suə personaggə, affidandosi a una comprensione emozionale ed empatica più che a un apprendimento razionale.
attraverso reese, peters ci permette di ragionare senza pregiudizi sugli stereotipi di genere e su quanto - senza mai giustificarli o, peggio, naturalizzarli - questi siano fondamentali per orientarci e darci modo di trovare il nostro posto nel mondo. da donna trans, reese desidera che gli uomini proiettino su di lei tutti quegli stereotipi (anche quelli negativi) di cui rivestono le donne cis, semplicemente per potersi riconoscere anche lei in quel preciso ruolo di genere, che non può che definirsi proprio attraverso le relazioni con lə altrə. da donna disabile, ho cercato di mettere a fuoco come le comuni narrazioni sugli stereotipi e i ruoli di genere non soltanto non coinvolgono tutte le persone allo stesso modo, ma che anche la loro non applicazione - tanto desiderata dalla maggior parte della gente che li subisce costantemente - può portare un qualche tipo di sofferenza.
le parole di reese, anche le più controverse e fastidiose, mi hanno illuminata molto più di quanto non abbiano saputo fare pagine e pagine di saggistica sull'argomento. se costruiamo un ruolo e ci mettiamo dentro le persone sulla base del loro genere e delle aspettative che riponiamo in quel genere, escluderne una minoranza non fa che peggiorare la condizione tanto delle persone escluse che di quelle incluse, rafforzando gli aspetti negativi che quel dato ruolo ha, e rafforzando, quindi, le strutture di potere che funzionano proprio sulla base di quella divisione di ruoli.

altro grandissimo merito di peters è stato quello di ripulire la parola queerness dai glitter e dagli arcobaleni di cui siamo solitə abbellirla al punto di averla fatta diventare una moda, o nel migliore dei casi una via di fuga dalla noia dell'eteronormatività. peters ci ricorda che la storia delle persone queer non è fatta soltanto del rigetto che viene dalla stanchezza per certe convenzioni sociali a cui è facile rinunciare, soprattutto per chi ricopre ruoli sociali di prestigio (come katrina), ma è stata costruita pezzo dopo pezzo di lotte e sofferenze vere, di famiglie che allontanano, di omofobi e transfobici che picchiano, di malattie che prima emarginano e poi uccidono, di ogni forma possibile di ingiustizia, di povertà, di diritti negati, di depressione e anche - in alcune pagine che sotto una scorza di cinismo rivelano una sensibilià gigantesca - di suicidi.

detransition, baby è un romanzo stratosferico che parla di persone e di come le persone vanno avanti nella vita, incespicando e rialzandosi e cambiando idea, andando avanti e poi indietro e scartando di lato. ed è un romanzo che dice che va bene così, che ogni persona e ogni vita è fatta di tutto il suo tempo e le sue scelte, e che è perfetta così.

mercoledì 19 febbraio 2025

brucia la notte ~ s'infiammano le stelle

nessuno entra.
nessuno esce.

noi siamo nessuno.

in una emilia-romagna immaginata ma non troppo, nel pieno di una catastrofe climatica lontana da noi ma non troppo, sotto un regime distopico ma non troppo, ani e bi(anca) cercano il modo di sopravvivere nel campo dove sono state confinate.
il campo è una salina e il lavoro lì spacca le mani e corrode l'animo.
a lavorare il sale, immerse nell'acqua tutto il giorno sotto lo sguardo vigile delle stecche - o gli integri, come preferiscono definirsi - sono solo donne. denunciate per comportamenti che offendono la morale del regime, come bianca, o rinchiuse perché migranti senza diritti, come ani, o anche volontarie, come tutte quelle donne che hanno scelto la dura vita del campo alla fame e alla miseria del mondo esterno, le centinaia di raccoglitrici delle saline sono la manodopera fondamentale in un mondo in cui l'economia - e quindi il potere - gira tutta intorno al sale che, esauriti i combustibili fossili, è diventato l'unica fonte di energia disponibile.

formalmente le saline sono solo saline, ma nei fatti si tratta di vere e proprie prigioni dove rinchiudere le donne - soprattutto quelle scomode, le povere, le migranti, le non cis-etero, eccetera - e spremerle fino all'osso, abusando tanto del loro lavoro quanto del loro corpo.
è per questo che bi e ani non si limitano solo a sopravvivere, ma cercano ad ogni costo di scavalcare le mura del campo e riprendersi la loro libertà.

bianca e ani sono come il giorno e la notte: bianca è un biondo fiume in piena di parole che adora fare la buffona e sdrammatizzare le situazioni più difficili; ani è silenziosa e schiva, un cespuglio di arruffati ricci neri, minuta e agile. a unirle non è soltanto uno spontaneo e sincero sentimento di amicizia, nato fin dal loro primo incontro nel campo, ma soprattutto un odio profondo e totale per quel regime che ha distrutto la loro vita, le ha separate dalla loro famiglia e ha rubato la loro libertà.
ani e bi non si sono mai fermate, hanno vissuto ogni giorno, ogni ora per riuscire a fuggire dal campo, hanno fatto piani su piani, mappature dell'area di comando e progetti, ma l'occasione arriva nel modo più imprevedibile e violento.
il primo attacco dall'esterno, la prima violentissima esplosione annienta in pochi minuti l'incrollabile e organizzatissima routine delle saline, manda le stecche nel panico ma, al contempo, uccide integri e raccoglitrici indistintamente.
è così che ani perde l'unico motivo per cui non si è mai decisa davvero a scappare, l'unico legame che la teneva stretta al suo ruolo.
ed è così che la rivoluzione ha inizio.

il dolore di chi viene costantemente schiacciatə, abusatə, violatə, imprigionatə e spogliatə della sua dignità di essere umano fa in fretta a trasformarsi in rabbia, e lì dove esistono regimi che si basano proprio sulla sopraffazione e sulla violenza nasce la resistenza, pronta a tutto pur di ritrovare una dimensione in cui vivere libera e in pace.
senza avere più niente da perdere, ani e bi approfittano dell'attacco e del caos per sfuggire alle guardie, e se la scoperta che bianca ha il potere di manipolare le menti di chi ascolta il suo canto sconvolge ani, l'incontro fortuito con sua sorella gizem - da cui si era separata anni prima, al suo arrivo in italia, e creduta perduta per sempre - è ancora più shockante, e di certo molto meno romantico e strappalacrime di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare.

grazie a gizem, ani e bianca arrivano alla congrega di dozza, una delle tante comunità fuori dal controllo del regime, dove la gente vive in regimi di mutuo soccorso e autosostentamento e... magia. perché bianca non è l'unica ad avere capacità fuori dal comune, anzi: le streghe - le strighe - esistono.
storiche vittime del potere, adesso sono loro a dirigere la resistenza contro quel potere che le teme e vorrebbe annientarle.


clarissa la suprema, guida e riferimento per tutta la congregazione; velia, tabagista affettuosa e saggia; dina, una guerriera dalla forza straordinaria; jole, che sa comunicare con lə scomparsə, le anime dellə defuntə; ottavia, archivista straordinaria e memoria vivente di dozza; aatifa, guaritrice della congrega e pittrice che ricorda, attraverso la sua arte, chi ha dato tutto per la congrega. e soprattutto ebe - fuggita da una vita ricca e agiata in quella rocchetta mattei che ha sempre appoggiato il regime per proprio tornaconto, incurante delle sofferenze altri, che sarà teatro fondamentale dell'ultima parte della storia - e ora votata al bene collettivo.
le storie e i destini di queste donne si intrecciano a quelle di ani, bianca e gizem sullo sfondo di una rivoluzione appena nata e già pronta a esplodere con ferocia.
sono storie cariche di rabbia e di voglia di rivendicazione che riassumono millenni di altre storie e di altre vite, quelle di tutte le donne che non si sono arrese al potere costituito a ogni livello dell'organizzazione sociale, dal microcosmo delle loro case fino a travolgere il mondo intero.
sono le storie delle donne che di solito non trovano spazio nei racconti: donne trans, donne lesbiche, donne anziane, donne disabili, donne bellissime ma forti quanto e forse più degli uomini. da questo punto di vista, questi romanzi sono un riscatto enorme per tutte quelle donne che non hanno avuto troppo spesso il privilegio di essere protagoniste di una storia.

se brucia la notte ha il ruolo di introdurci in questo sistema-mondo distopico e magico, di presentarci le protagoniste e il territorio - che, proprio in virtù del suo essere sovrapponibile a una geografia reale, è altrettanto protagonista del racconto - e di iniziare un percorso (concludendosi con un plot-twist e un cliffanger che definire crudele è solo una dimostrazione d'affetto nei confronti delle autrici), s'infiammano le stelle inizia con uno scioglimento iniziale della tensione che dura solo un attimo, prima che il racconto riprenda la sua corsa verso il gran finale.
brucia la notte / s'infiammano le stelle segue un percorso circolare, o meglio un percorso a spirale che parte dalle saline e che, andando avanti, s'ingrandisce, cresce insieme alle sue protagoniste come una linea che si irrobustisce caricandosi tanto di rabbia quanto di quell'amore che alimenta le comunità nate dal basso, dove nulla è imposto e tutto è collettivo.
una linea che abbraccia un territorio che si allarga sempre di più, traslato dal mondo reale a quello fittizio-ma-possibile del romanzo, una linea che accelera attraverso un racconto costruito dall'alternanza delle voci e dei punti di vista di ani, bi, ebe e gizem, che trovano sempre di più la loro forza come gruppo proprio nelle loro differenze individuali.

brucia la notte / s'infiammano le stelle sono romanzi pieni di rabbia e di forza che partono dall'idea streghe vs. fascisti e si trasformano in una storia che raccoglie a piena mani dalla nostra realtà e dalla nostra storia recente.
è impossibile incasellarli in una qualche categoria specifica e questo per me è prova della loro originalità e del lavoro delle autrici, tiffany vecchietti e michela monti, che, se da un lato hanno fatto loro tante lezioni di storytelling nella loro lunga carriera di lettrici (per una volta, l'orribile adagio del chi scrive non legge non vale!), dall'altro sono state capaci di restituire qualcosa di unico - tanto nei toni e nello stile, che rendono entrambi i romanzi estremamente appassionanti, quanto nei temi e nei contenuti - profondamente radicato nel territorio e nelle sue tradizioni e ispirato da una coscienza politica transfemminista fortissima e solida.

lunedì 3 febbraio 2025

lucifero

ogni volta che mi sveglio guardo il mio riflesso, mi chiedo chi sono e non so mai che cosa rispondere. so solo che mi chiamo lucifero. so con quali indumenti mi ha vestito il signore, che cosa mi ha donato e, dentro di me, sento ogni dettaglio con cui mi ha creato. eppure mi sento perso. vorrei sapere perché esisto, così da poter onorare il suo splendore.
ma non lo so. non so nulla.

leggendo questo libro ho capito una cosa importantissima, una verità a cui mi ero avvicinata tante volte ma che non mi era mai apparsa tanto chiara: quando un libro non rispetta le aspettative che me ne ero fatta, non è (quasi mai) colpa mia. non sono io che, per chissà quale ragione, guardo una copertina, leggo le poche righe di presentazione dietro e do il via a processi mentali insensati nutriti dalla mia immaginazione. quando mi faccio delle aspettative che vengono tradite, è perché chi doveva presentarmi il libro mi ha lanciato un messaggio completamente sbagliato, una bugia a cui io ho creduto.

prendiamo lucifero di rafael nicolás. a guardare la copertina e a leggere la definizione di retelling queer della storia di satana mi aspettavo - per dirla sinceramente e senza troppi giri di parole - un mezzo pornello gay pieno di uomini bellissimi e con le alucce che si davano alle orge.
capisco la necessità di rivolgersi a quella fetta di lettorə che, nel nostro paese, è più ricettiva alle novità, mette più volentieri mano al portafogli e fa vivere i libri - a volte li fa diventare dei veri e proprio miracoli editoriali - grazie al bookstagram e al booktok, però se diventa una forzatura, se ci si rivolge al target sbagliato o al target giusto ma lanciando dei messaggi sbagliati, si rischia di far arrivare il libro a chi non lo apprezzerebbe davvero e di non raggiungere lə lettorə giustə.
e infatti non è che avessi molta voglia di leggerlo (ammetto con candore che i mezzi pornelli - o i pornelli completi - mi mettono abbastanza a disagio, a prescindere dal sesso, dalle identità di genere e dalle preferenze sessuali dellə protagonistə) ma poi la brava francesca (l'autrice de la bilbioteca di zosma) mi ha detto che lo stava leggendo e che non era nulla di quello che avevamo (dunque non era solo una questione mia) pensato, nessuna feticizzazione di uomini belli, più o meno vagamente androgini e gay (ciao fan degli yaoi!) ma un romanzo incredibilmente profondo che si poneva questioni filosofiche, etiche e teologiche circa la natura stessa di bene e male.

mi spiace per chi sperava di trovare pettorali bagnati di sudore e peccaminose passioni, ma sono felicissima di aver seguito il consiglio e di aver letto un romanzo così forte, che metterei volentieri accanto al paradiso perduto di milton e a il vangelo secondo gesù cristo di saramago (con i dovuti distinguo, ovviamente).
gli appunti che ho preso su questo libro sono tantissimi, e moltissimi di questi sono in forma di domanda, ma si possono sintetizzare tutti in un disperato perché? che riecheggia i pensieri e le parole di lucifero per più della metà della storia.

dicono che quando nasciamo piangiamo perché l'atto della nascita stesso è violento e doloroso, un trauma che ci strappa da tutto quello che è la nostra realtà, una realtà dolce e rassicurante, per scaraventarci in un mondo ostile fatto di luci che ci feriscono gli occhi, rumori che nessuna membrana attutisce più per noi, aria che forza i polmoni.
anche la nascita di lucifero è violenta e dolorosa. il puro spirito che viene plasmato e scolpito da dio, costretto in un corpo fatto di carne e sangue e muscoli e ossa, un corpo che può soffrire, che può essere ferito e piegato. lucifero viene plasmato da dio non perché sia bello ma perché sia l'incarnazione stessa della bellezza.
sia chiaro che in questo post, così come nel libro, per lucifero e per tutti gli altri angeli viene usato il maschile solo per abitudine: la forma degli angeli non è quella che siamo abituatə a pensare, esseri umani - maschi o femmine che siano - di indicibile bellezza e grazia, soffusi di luce e ammantati da ali piumate. nicolás si rifà al testo biblico per lasciarci intuire che le loro forme sono a dir poco incomprensibili e inimmaginabili per la mente umana, mostruose nel significato originario del termine, che ci sia una sovrabbondanza di teste (e non necessariamente umane) o di ali (non necessariamente attaccate sotto le scapole) o anche che non ci sia nessuna parvenza di forma umana o animale di sorta.

sappiamo solo che gli angeli sono di una bellezza squisita, che sono diversi tra loro per il colore della pelle, dei capelli e degli occhi e per le forme, che possono essere esili e delicate o forti e vigorose, ma gli altri dettagli sono omessi o solo accennati perché, sia chiaro, sono angeli, non esseri umani alati. e l'idea di bellezza che dio ha deciso di incarnare in loro non è neppure afferrabile per le nostre menti.
atteniamoci a questo e diciamo addio all'idea di un retelling queer: cosa dovrebbe esserci di queer in creature che non hanno nemmeno una vaga idea di cosa sia l'identità di genere, figuriamoci il sesso biologico (ammesso e non concesso che ne esista uno e che somigli a quello che noi intendiamo con queste parole)? ve lo dico io: assolutamente nulla. se anche fossero tutti biologicamente maschi e se anche tutti si riconoscessero nella categoria socioculturale di maschi, o se fossero tutte femmine o tuttə non binary o quello che vi pare, non cambierebbe niente. perché né il sesso, né l'identità di genere, né gli atti sessuali - che ci sono, certo, ma non sono quello che la copertina, tra testo e illustrazione, vi suggerisce - hanno un ruolo utile ad appiccicare a questo libro l'etichetta di queer. con buona pace di chi si occupa del marketing.

lucifero nasce e in noi - e in lui - nascono i primi perché: il suo corpo, così bello da stupire ogni altro angelo del paradiso, non è soltanto l'origine di un dolore fisico, ma motivo di vergogna. dio lo crea, gli dà la vita e la conoscenza e lo ammanta di ogni pietra preziosa e di vergogna.
perché lo fa? e come può una creatura come un angelo, la cui vita è destinata a godere di ogni possibile piacere in paradiso per l'eternità, provare vergogna per il proprio corpo? come fa a conoscere il concetto stesso di vergogna, il più artificiale e culturalmente informato dei nostri - umani - sentimenti?
tenete da parte questa domanda (tranquillə, ve la porrete alla seconda pagina, non è uno spoiler) perché vi accompagnerà per tutta la lettura.

leggendo la storia di lucifero scopriamo com'è la vita degli angeli e com'è il paradiso, un posto di eterna beatitudine e gioia, dove gli angeli trascorrono il loro tempo infinito in amicizia fraterna, tra un lavoro che non è mai fatica e divertimenti che anche quando diventano brutali - fanno qualcosa che somiglia ai nostri sport, corrono e fanno giochi di squadra, ma vanno matti per i combattimenti che sono spesso feroci - non sono mai davvero violenti o mortali. i loro corpi sanguinano, vengono feriti, provano dolore ma non muoiono. il dolore è un gioco, per tutti tranne che per lucifero: la prima volta che tira fuori le ali, ripiegate all'interno del suo corpo, lo strappo della carne e il sangue che ne cola è per lui un trauma, che rimarrà impresso nella sua memoria per milioni di anni.
la sua gioventù è un periodo lungo, lunghissimo. il tempo degli angeli è inconcepibile per noi ed è proprio per sottolineare questa impossibilità di comprensione che nicolás non lo scandisce mai in modo chiaro, lasciandoci solo intuire quanto infinitamente grande sia.

circondato dall'affetto degli altri angeli - rosier, raffaele, asmodeo, belial, gabriele, tra gli altri - lucifero trascorre la sua giovinezza tormentato dalla vergogna e dalle domande. avverte la profonda differenza tra sé e tutti gli altri ma non riesce a comprenderla, si strugge nella paura di non essere sufficiente per essere amato da dio e desidera ardentemente incontrarlo. il paradiso è la terra degli angeli e dio, invece, ha scelto di vivere nell'eden, nel suo giardino, chiamando a sé i suoi figli solo quando ne ha voglia, per essere servito, adorato e venerato.
plasmato, creato e voluto da dio, lucifero non è ancora stato ammesso alla sua presenza, e questa lontananza lo fa soffrire, lo impaurisce. perché un angelo, creato perché viva nella gioia, soffre e ha paura?
lucifero cresce senza sapere chi è: ogni angelo ha il suo talento - rosier è l'angelo della frutta, belial l'angelo del volo, e così via - ma qual è il suo? tutti gli dicono che lui è l'angelo della bellezza, ma cosa fa l'angelo della bellezza? in che modo onora il talento che gli è stato donato? cosa deve fare l'angelo della bellezza per compiacere dio? domande su domande su domande, e lucifero crede che solo incontrare finalmente dio potrà dissipare tutti i suoi dubbi.

quando l'incontro avviene, finalmente, l'angelo più giovane e più bello si convince di aver trovato finalmente una risposta: a dio piace sentirlo cantare e i suoi canti e i suoi balli in onore del padre coinvolgono chiunque in paradiso e dunque sarà l'angelo della venerazione. la musica di lucifero trascina chiunque in modo quasi frenetico, estatico, come se nessuno possa resistergli.
parlare con dio, però, non porta ai risultati sperati. nessuna vera risposta, nessuna piena comprensione, solo una valanga di dubbi che cresce man mano che va avanti, che investe tutto quello che incontra, se ne nutre, cresce ancora e diventa inarrestabile.
nelle parole di dio, lucifero non riesce mai a trovare alcuna rivelazione né risposta:
di tanto in tanto lucifero si chiedeva perché il loro padre non potesse spiegare in modo diretto la natura delle cose. erano sempre metafore, allusioni, parole studiate per essere interpretate. le prime falsità.
e intanto, lucifero incontra michele, l'angelo della forza, che per tanto tempo aveva ammirato durante i combattimenti.
potremmo chiamare amore quello che nasce tra loro ma il significato che diamo alle parole non può adattarsi a quello che succede a due angeli del paradiso, esseri eterni creati soltanto per amare dio. totalmente ed esclusivamente dio.
il rapporto tra lucifero e michele è un'amicizia totalizzante che si strugge della sua incapacità di essere qualcosa di più: c'è un'infinita tenerezza tra i due, un desiderio profondo di stare vicini, di toccarsi, di annullare i confini, ma non è nulla che sfiori anche solo lontanamente il nostro concetto di desiderio.
almeno fino a quando non succede quel qualcosa che stravolge lucifero, l'innesco osceno e brutale che dà il via a una lunga e sofferta strada verso la ribellione.

l'amore tra lucifero e michele e quello che dio impone ai suoi angeli da un lato sono diversi dall'esperienza di amore che abbiamo noi, creature finite e per nulla perfette, ma dall'altro rispecchiano benissimo i due concetti di amore sano e amore tossico. lì dove c'è reciprocità, dove c'è rispetto e parità, dove c'è voglia di rendere felice l'altro, ovvero nel rapporto tra i due angeli, nicolás ci racconta l'amore così come dovrebbe essere, un amore che è anche scoperta e conoscenza.
ma nell'amore che dio pretende c'è tutta la tossicità possibile, come se - cioè, è esattamente questo - quella pretesa fosse alla base di ogni orrore insito nelle culture patriarcali che tanto bene conosciamo e di cui tanto parliamo, provando a decostruirle e distruggerle.

il modo di scrivere di rafael nicolás è perfetto per questa storia, lirico e al tempo stesso semplice, capace di portare sul piano umano eventi che vanno molto al di là della nostra natura e della nostra possibilità di comprensione. nicolás ci permette di cogliere la dimensione propria del sentire e del pensare degli angeli e, attraverso le loro parole, quella di dio. dà loro un carattere e una personalità, rendendoli riconoscibili e unici pur nel loro essere perfetti.
ma il capolavoro della sua penna è la caratterizzazione di dio, una figura impossibile da descrivere, un essere che nemmeno gli angeli possono guardare direttamente, di cui però cogliamo alcuni sprazzi. immenso, potente oltre ogni immaginazione, l'idea di dio che ci arriva è respingente e spaventosa eppure terribilmente umana, inquietantemente vicina a quella di un padre che pretende amore dai suoi figli ma che non è capace di dare loro nulla, se non la possibilità di essere venuti al mondo. 
«impuro? che cosa vuol dire essere impuri?» nella sua testa, gridò: "sono diventato impuro? sono rovinato?".
«non conoscere l'impurità, vuol dire essere puri» rispose semplicemente il signore. «non tremare, lucifero, non hai nulla da temere [...] devi sempre mantenere la tua purezza, in tutti i modi possibili. la tua mente e il tuo corpo mi appartengono.»
la storia della guerra in paradiso la conosciamo già: lucifero raduna un esercito di angeli a lui fedeli e combatte contro dio, contro un altro esercito di angeli. una guerra soprattutto fratricida, una guerra che solo dio, in quanto dio, può vincere e che porterà alla caduta di lucifero e di tutti i suoi seguaci, scaraventati giù dal paradiso sulla terra, con così tanta forza da creare l'inferno stesso.
ma nicolás non si limita a riprendere il mito originale, si concentra invece sul come e sul perché della dannazione di lucifero, sulla sua origine, sul suo motivo e sul suo significato.
per farlo, non può che risultare blasfemo agli occhi dellə lettorə credenti. e come potrebbe non essere così? quale altra volontà, se non la sua, poteva concepire il nemico? quale altro potere, se non il suo, poteva corrompere lo spirito perfetto di un angelo?

noi cristianə - e non intendo necessariamente chi ha fede (chi scrive, ad esempio, non ne ha) ma chi è natə e cresciutə in una società prevalentemente cristiana, regolata da leggi morali e giuridiche che si rifanno a quelle cristiane e quindi a un intero sistema di pensiero fondato sull'insegnamento di cristo - abbiamo un'immagine incongruente e sdoppiata di dio: il dio del vecchio testamento e quello del nuovo sono profondamente diversi, per molti aspetti opposti, e quale che siano i motivi - legati alla fede o alla storia sociale, politica e culturale degli ultimi due millenni - per cui vogliamo accettare che sia sempre la stessa entità che decide di cambiare il suo rapporto con gli esseri umani, non riusciamo comunque a toglierci dalla mente l'idea di un dio buono, compassionevole e caritatevole.
ma dobbiamo fare uno sforzo e ricordarci che non è così: dio è terribile e chiede di essere temuto, oltre che amato e venerato. abbiamo deciso di adottare il dio degli eserciti di un popolo che non metteva carità e compassione tra i suoi valori fondamentali, e dunque non possiamo dimenticare l'ambiguità della natura di dio e del suo rapporto con gli esseri umani e, prima, con gli angeli.

nicolás fa quello sforzo per noi, ci ricorda che dio - il dio prima di gesù o, se preferite, lo stesso dio che costringe il suo stesso figlio a sofferenze indicibili e a una morte crudele e senza dignità - è temibile e incomprensibile, lontano dal pensiero umano. ci ricorda che è un dio forte (he whom thunder hath made greater, diceva il lucifero di milton), uno che non si fa scrupoli a ostentare la sua potenza e che agisce esclusivamente per sé, incurante del dolore di creature troppo piccole per valere qualcosa dinnanzi a lui.
questo è il dio di lucifero e questo è il motore primo della storia dell'angelo più bello, quello che porta la luce e che illumina dio e il creato intero.
quell'angelo che ci ricorda che perché ci sia luce, perché qualcuno brilli, qualcun altro deve rimanere nell'ombra e nell'oscurità.
e che se ombra e oscurità non esistono, allora bisogna crearle.